La principessa in incognito: Harmony Jolly
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Quando il milionario Gio Grassi, per le strade di Firenze, incontra un'affascinante sconosciuta, offrendole il suo aiuto, mai avrebbe immaginato di avere davanti la principessa Luciana. La giovane si è presa del tempo per sé e vuole vivere in incognito prima di un matrimonio combinato. L'innocenza e la vivacità di Luciana attraggono fin da subito Gio, ma le ferite inflitte dalle precedenti sofferenze del cuore sono difficili da rimarginare e rischiano di fargli perdere l'occasione di amare nuovamente. Quell'incontro fortuito potrebbe, però, cambiare i loro destini per sempre.
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Anteprima del libro
La principessa in incognito - Andrea Bolter
successivo.
1
Sua Altezza la Principessa Luciana de la Isla de Izerote inspirò finalmente l'aria calda di Firenze.
Il suo viaggio in incognito dall'isola al largo della costa spagnola dove viveva era stato lungo e difficoltoso, ma finalmente si trovava sotto il sole della Toscana, e la luce lì era molto diversa rispetto a quella a cui era abituata.
Ciononostante, il senso di liberazione che si era aspettata di provare inalando la prima boccata di libertà si rivelò ben diverso dal previsto.
In effetti Luciana iniziava ad aver paura di quella solitudine: aveva il fiatone per essersi allontanata di corsa dalla gioielleria dove aveva cercato di vendere un gioiello preso a palazzo, e come se non bastasse aveva l'impressione che tre ragazzi la stessero seguendo. Si voltò rapidamente per osservarli meglio: erano trasandati e indossavano felpe scolorite e pantaloni sdruciti. Quella compagnia imprevista faceva apparire la sua fuga, più che temeraria, incosciente.
«Ehi bambolina, facci vedere quella collana» disse uno dei tre. «Te la compriamo noi la tua mercanzia.»
Luciana allungò il passo. Era arrivata a Firenze con l'idea di vivere un'ultima avventura prima di consacrarsi a una vita all'insegna degli obblighi imposti dal suo rango. E non avrebbe mai pensato di trovarsi in una situazione simile.
Si mise a correre, la mano stretta intorno alla catenella d'oro massiccio con cui intendeva finanziare quell'avventura. Non conosceva la città in cui era adesso e non aveva la più pallida idea di dove si stesse dirigendo. Sperava solo che i ragazzi alle sue calcagna non si fossero accorti che nella borsa aveva anche altri gioielli. Sarebbe riuscita a correre più velocemente se non avesse avuto il trolley da trascinarsi dietro. Tra l'altro quella valigia conteneva tutti i suoi effetti personali per le tre settimane che aveva deciso di passare a Firenze. Dopo quella parentesi sarebbe tornata a Izerote e ai suoi obblighi, compreso il matrimonio combinato con il re Augustin de la Isla de Menocita, un vedovo trent'anni più vecchio di lei, sovrano dell'isola vicina.
Aveva pianificato la sua fuga a lungo e definendo tutti i dettagli, a cominciare da come avrebbe finanziato il soggiorno in città; ma dall'alto della sua inesperienza non aveva pensato che una qualsiasi gioielleria le avrebbe chiesto dei documenti di identità per acquistare i suoi monili.
Dopo la prima tappa a Barcellona aveva avuto bisogno di contanti per comprare il biglietto del treno per Firenze e anche per mangiare qualcosa. Fortunatamente, dopo vari tentativi, era riuscita a trovare un gioielliere pronto ad acquistare un anello con ametista per una cifra considerevolmente inferiore al suo valore.
Avendo trascorso tutta la sua vita al palazzo di Izerote, non era abituata ad aggirarsi da sola nelle strade di una città in cui non era masi stata; inoltre, a ogni sua uscita, era sempre stata protetta da accompagnatori, scorte e autisti. Ecco perché per quella fuga aveva scelto Firenze, la città di cui si era innamorata leggendo libri d'arte e guardando documentari. Sarebbe stato il posto ideale per fare un'esperienza da semplice turista.
Ma le difficoltà incontrate nel vendere i gioielli e quell'inseguimento fuori programma stavano trasformando quel sogno in un incubo.
«Ehi, bellezza!» Uno dei ragazzi le si fece più vicino, il suo tono era minaccioso a dispetto del complimento.
«Fermati una attimo, tesoro» fece un altro stringendola di lato.
Luciana gli diede un colpo con il trolley e cominciò a correre più in fretta. Avrebbe chiesto volentieri aiuto, ma non voleva attirare l'attenzione dei passanti: nessuno doveva sapere che si trovava lì.
Svoltò per una strada laterale e uno dei ragazzi la strattonò per la borsetta.
«Basta, lasciatemi in pace» gridò Luciana.
Una parte di lei temeva che le guardie del palazzo reale fossero già sulle sue tracce e che di lì a poco sarebbero riuscite a localizzarla; un'altra parte sperava che quel timore divenisse in quel momento una realtà.
Si sforzò di pensare rapidamente. Infilò una mano nella borsetta, afferrò i gioielli e lì tiro fuori nascondendoli tra le dita. Se anche fossero riusciti a rubarle la borsetta, almeno l'avrebbero trovata mezza vuota.
«Molla subito quella borsa» disse uno dei tre con tono minaccioso.
«Andatevene immediatamente» gridò Luciana con tono isterico. Si voltò per guardarsi alle spalle e quando si rigirò, andò a sbattere contro...
... le spalle larghe e il petto possente di un uomo. Il suo viso sprofondò letteralmente tra i solidi pettorali. Quel tizio era davvero molto alto, come minimo un metro e novanta. Per giunta il profumo che emanava da quella massa di muscoli era dei più piacevoli: biancheria fresca di bucato. Le sarebbe bastato sollevare la testa per guardarlo in faccia, ma preferì restare in quella posizione ancora un po'.
«Salve.» La voce che doveva essere di quel tipo si fece strada tra i suoi sensi. «Ha bisogno di aiuto?» Era una voce calda e profonda che la avviluppò esattamente come avevano fatto i suoi pettorali un attimo prima. Per quel che ne sapeva poteva essere un altro malintenzionato, ma l'istinto le diceva tutt'altro.
Di una cosa era certa, però: non si trattava del petto di sua maestà Augustin de la Isla de Menocita, l'uomo che avrebbe dovuto sposare fra tre settimane. Non solo il suo promesso sposo era molto meno prestante e atletico, ma parlava con una voce acuta e stridula, niente a che vedere con quella dolce e calda che aveva appena udito.
«Questi ragazzi stanno cercando di rubarmi la borsetta» disse Luciana con il naso ancora affondato nel petto dello sconosciuto, certa che lui sarebbe riuscito a sentirla comunque. Serrò con forza le dita attorno ai gioielli, tanto che le unghie le sprofondarono nella carne dei palmi.
La reazione dell'estraneo fu esattamente quella sperata: le cinse le spalle con un braccio come a farle scudo, e la strinse a sé. «Tesoro» disse con tono familiare, «sei in ritardo. Stavo venendo a cercarti in stazione.»
Luciana capì che l'uomo stava fingendo di conoscerla per dissuadere quei tre delinquentelli dai loro piani, così decise di stare al gioco. «Mi sono fermata un attimo in gioielleria.»
«Posso fare qualcosa per voi, signori?» Lo sconosciuto si rivolse ai tre, che si guardavano l'un l'altro indecisi sul da farsi. «Devo ripetere la domanda? Posso fare qualcosa per voi?» chiese di nuovo, questa volta con un tono abbastanza aggressivo da spaventarli.
Luciana sollevò leggermente il mento in modo da poterlo guardare in faccia. Era uno degli uomini più belli che avesse mai visto.
La pelle chiara del viso metteva in risalto occhi azzurri e luminosi. Gli zigomi erano alti, la bocca carnosa e i ricci dorati, come quelli delle creature ritratte nei dipinti rinascimentali.
«No, signore» rispose uno dei ragazzi.
«Stavamo facendo una passeggiata per goderci il bel tempo» aggiunse un altro.
Ma solo quando il gruppetto si fu allontanato, il suo salvatore si staccò da lei permettendole di guardarlo bene negli occhi per la prima volta. Luciana ebbe l'impressione di essere stata colpita da un fulmine, ma il cielo terso rendeva la cosa improbabile.
L'uomo dagli occhi azzurri la aiutò a liberarsi dalla tracolla della borsa, che le si era quasi attorcigliata attorno al collo mentre cercava di fuggire dai tre. Gli ci volle un po', tanto la cinghia era annodata, ma alla fine ce la fece e gliela ripose sulla spalla.
L'attenzione che quel perfetto estraneo le stava dedicando era davvero sorprendente. Era la prima volta che la provava: fatta eccezione per le strette di mano durante gli incontri col suo popolo, che però avvenivano sempre sotto stretta sorveglianza, perché la gente comune non aveva il diritto di toccarla. In ogni caso non si era mai trattato di un bellissimo sconosciuto con delle mani enormi che si prendeva la libertà di sistemarle la borsetta su una spalla.
Ma proprio in quel momento si ricordò dei gioielli che teneva tra le dita. «Oh, avevo dimenticato questi» sospirò portandosi la mano davanti.
«Si può sapere perché te ne vai in giro per strada con dei gingilli tanto preziosi?»
«È una lunga storia.»
Aprì la borsetta e ripose i gioielli. Lo sconosciuto aveva ragione, era da matti andare in giro con dei preziosi simili senza alcuna protezione: solo una delle tante follie compiute in quei giorni, ma oramai era tardi per tornare indietro.
«Grazie» disse abbozzando un inchino. «Mi hai salvata.»
«Dovere, sono il perfetto cavaliere senza macchia e senza paura, o il perfetto principe azzurro, come preferisci.»
Sua Altezza la Principessa Luciana de la Isla de Izerote non aveva mai desiderato con altrettanta intensità che quell'ultima definizione corrispondesse al vero.
«Posso accompagnarti fino alla tua prossima destinazione?» chiese il suo bellissimo salvatore dopo che i delinquenti furono spariti dalla vista.
«D'accordo» acconsentì lei pur non sapendo quale fosse in realtà la sua destinazione. Questa consapevolezza le provocò un sottile piacere, perché era la prima volta che passeggiava per una città senza avere un percorso già pianificato. E soprattutto senza avere intorno accompagnatori, scorte e guardie. D'altro canto, però, questa libertà a cui era così poco abituata generava in lei anche un certo timore.
«Oh, dimenticavo, io sono Giovanni Grassi. Ma chiamami pure Gio. E tu?» Lanciò un'occhiata al suo trolley e glielo prese gentilmente dalle mani.
«Luci...» Si interruppe prontamente limitandosi al nomignolo con cui la chiamava sua madre quando era bambina. Era da tanto tempo che pensava più a quel nomignolo, e ora che lo aveva pronunciato le tornò in mente sua mamma, morta anni prima, senza mai nemmeno provare un briciolo della libertà e dell'autonomia che Luciana sperava di ottenere durante quel viaggio.
«Molto piacere, Luci.»
Non era sicura che lasciargli trasportare la sua valigia fosse una buona idea. E se fosse scappato via portandosela dietro? O se la sola intenzione di quel tipo fosse stata di attirarla in trappola per rubarle i gioielli?
A onor del vero sentiva che le intenzioni di quell'uomo erano nobili e del resto nessuno gli aveva chiesto di intervenire in suo soccorso col rischio di cacciarsi a sua volta nei guai. A tutto ciò si aggiungeva che aveva perso l'orientamento e non sapeva proprio dove andare. Se fosse riuscita a vendere quella catenella in qualche negozio, coi soldi che ne avrebbe ricavato sarebbe andata in un ufficio turistico alla ricerca di un alloggio. In ogni caso, adesso, aveva paura ad andarsene in giro da sola con quei gioielli. Così decise di seguirlo.
Dopo alcuni minuti che camminavano, Luciana vide la propria immagine riflessa nella vetrina di un negozio. Nella concitazione di quell'arrivo a Firenze si era dimenticata che portava in testa una parrucca. Se l'era messa per non dare troppo nell'occhio. Infatti, se anche Izerote non era un'isola molto grande e il suo volto non appariva su tutte le riviste di gossip europee,