Il prezzo dell'attrazione: Harmony Destiny
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Anteprima del libro
Il prezzo dell'attrazione - Janice Maynard
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Billionaire For Christmas
Harlequin Desire
© 2013 Janice Maynard
Traduzione di Serena Palmucci
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-094-3
1
Leo Cavals aveva mal di testa e si sentiva tutto il corpo indolenzito. Il viaggio in macchina da Atlanta alle Smoky Mountains, nell’East Tennessee, non sembrava così lungo e faticoso visto dalla cartina, ma aveva decisamente sottovalutato cosa implicasse avventurarsi per quelle tortuose strade di montagna ai primi di dicembre.
Gettò uno sguardo all’orologio sul parabrezza, rendendosi conto che erano le nove passate e non aveva la più pallida idea di quanto mancasse per giungere a destinazione. Il GPS aveva smesso di funzionare un paio di chilometri prima e il termometro dell’auto segnava qualche grado sopra lo zero perciò, di lì a poco, la pioggia battente si sarebbe trasformata in neve. Allora sì, che sarebbe stato nei guai. Le Jaguar non erano state progettate per essere guidate con quel tempo pessimo.
Sentendosi accaldato e non stando affatto bene, Leo allungò la mano verso il vano portaoggetti per prendere un’aspirina. In quell’istante gli ritornò alla mente quello che gli aveva detto suo fratello.
«Dico sul serio, Leo. È ora che tu cambi il tuo modo di comportarti. Hai avuto un infarto, per l’amor del cielo! Il dottore ha anche parlato di ereditarietà. Sai che nostro padre è morto prima di compiere quarantadue anni. Se continui così, ben presto mi ritroverò a seppellirti accanto a lui...»
Leo masticò la pastiglia e imprecò quando, improvvisamente, l’asfalto sconnesso della strada si trasformò in manto ghiaioso. Lui avanzò lentamente, scrutando il paesaggio in cerca di segni di vita.
Era circondato, su entrambi i lati della strada, da ripidi pendii. I fari dell’auto illuminavano folti cespugli di rododendro e tutt’intorno l’oscurità della notte sembrava avvolgere il veicolo. La sensazione era quasi soffocante, per uno abituato alle scintillanti luci di Atlanta. Il suo attico aveva una vista spettacolare. Le luci al neon, la frenesia della grande città e la miriade di persone che la popolavano erano il suo pane quotidiano. E allora perché aveva accettato di rifugiarsi in uno stato dove il paesaggio sembrava aspro e inospitale?
Quando stava quasi per darsi per vinto e fare inversione, notò con sollievo un bagliore in mezzo all’oscurità. Leo entrò, quindi, in quel vialetto illuminato.
Fermata l’auto, prese il giubbotto di pelle dal sedile posteriore e, quando scese, sentì dei brividi pervaderlo. Ad accoglierlo, c’era una pioggerellina accompagnata da nebbia e un freddo che gli entrava nelle ossa. Lasciò i bagagli in macchina. Non sapeva dove si trovasse il suo chalet e voleva parcheggiare lì vicino, prima di scaricare il tutto.
Le sue costose scarpe di pelle s’imbrattarono di fango, mentre camminava verso la moderna struttura in legno, disposta su un unico piano e circondata da un portico. Di sicuro non era una casa antica, ma si vedeva che ogni particolare era stato scelto con cura.
Non c’era nessun campanello, così afferrò il batacchio a forma di orso e lo batté contro la porta con forza sufficiente a esprimere tutta la propria frustrazione. All’interno della casa si accesero altre luci. Mentre aspettava impaziente, Leo vide le tende di una finestra scostarsi e rivelare una donna dagli occhi grandi, che sparì con la stessa velocità con cui era apparsa. Dall’interno, una voce flebile chiese: «Chi è?».
«Sono Leo Cavals» rispose con fermezza da dietro la porta, «posso entrare?»
Phoebe aprì la porta con trepidazione, non perché avesse paura dell’uomo che stava aspettando da qualche ora. La cosa che la terrorizzava era dovergli dire la verità.
Si scostò per lasciarlo passare e, mentre Leo varcava la soglia, si sentì come se quell’uomo stesse risucchiando tutta l’aria all’interno della casa. Era imponente, aveva le spalle larghe ed era molto alto, sul metro e novanta. I suoi capelli castani, folti e mossi erano luminosi e la luce del focolare ne metteva in risalto i riflessi dorati.
Quando Leo si tolse la giacca, passandosi una mano fra la chioma scompigliata, Phoebe notò che indossava un maglione blu notte con pantaloni scuri eleganti e profumava di dopobarba e aria fresca di montagna. La sua presenza sembrava riempire l’intera stanza.
Gli passò con cautela accanto, accendendo le luci centrali della casa, sollevata dal fatto che l’atmosfera intima e familiare creata dal focolare venisse rimpiazzata da una più neutra. Notando i suoi piedi, Phoebe si morse il labbro e chiese: «Potrebbe togliersi le scarpe? Ho lucidato il pavimento questa mattina».
Leo la accontentò, anche se malvolentieri. Prima che potesse dire un’altra parola, lanciò un’occhiata veloce intorno e poi diresse il suo sguardo deciso verso la padrona di casa. Era un uomo dall’aspetto virile: naso importante, fronte spaziosa, mascella ben definita e labbra carnose da baciare. Il suo cipiglio si fece più evidente. «Sono stanco morto e ho una fame da lupi. Se non le dispiace vorrei che mi mostrasse lo chalet così da sistemarmi signorina...?»
«Kemper. Ma può chiamarmi Phoebe.» La voce profonda e roca di Leo sembrava solleticarle i nervi a fior di pelle come la carezza di un amante. Il leggero accento del Sud non nascondeva il tono quasi autoritario con cui aveva pronunciato quelle parole. Aveva tutta l’aria di un uomo abituato a dare ordini.
Phoebe deglutì, asciugandosi le mani sudate. «Ho dello stufato di manzo e verdure con pane al mais, ancora caldo. Gliene posso servire un po’, se le va.»
Il malcontento sul viso di Leo si attenuò appena, lasciando posto a un timido sorriso. «Benissimo.»
«Il bagno è in fondo al corridoio, prima porta a destra» gli indicò Phoebe, «le preparo subito la tavola.»
«E poi mi mostrerà il mio alloggio?»
Accidenti. «Certo» gli rispose lei. Di lì a poco, quell’uomo sarebbe stato furioso con lei. Quando Leo tornò, Phoebe aveva già preparato tutto. Una tovaglietta, posate in argento e un piatto fumante di stufato accompagnato da pane al mais, con vicino un allegro tovagliolino giallo a quadretti. «Non sapevo cosa volesse bere» gli disse.
«Del caffè decaffeinato sarebbe perfetto.»
«Glielo preparo immediatamente.» Leo si sedette e si fiondò sullo stufato, mentre Phoebe gli versò una tazza di caffè. Leo Cavals lo prese nero e amaro, senza aggiungere altro, nonostante sul tavolo vi fosse di tutto.
Mentre Phoebe sistemava un po’ in giro, il suo ospite mangiò con gusto, dimostrando che era davvero affamato. In un batter d’occhio sparirono due scodelle colme di stufato, tre fette di pane al mais e una manciata di biscotti alla cannella che lei aveva preparato quella mattina. Intanto che lui stava finendo di mangiare i dolcetti, Phoebe uscì dalla stanza. «Torno subito» disse appoggiando la caffettiera sul tavolo. «Prenda pure dell’altro caffè, se le va.»
Con la pancia piena, l’umore di Leo migliorò decisamente. Non aveva la minima voglia di ripercorrere quella strada per cercare un posto dove poter cenare e, anche se nel suo chalet ci sarebbero sicuramente state cose da mangiare, non era molto bravo a cucinare. Forse era un po’ viziato ma, ad Atlanta, tutto quello di cui aveva bisogno si trovava a portata di mano.
Una volta finito l’ultimo boccone di quei biscotti deliziosi, si pulì la bocca con il tovagliolo e si alzò per sgranchirsi le gambe. Dopo aver guidato così a lungo, si sentiva tutto il corpo rattrappito per essere rimasto nella stessa posizione tanto a lungo. A un tratto, si ricordò dell’ammonimento del medico di non strafare e si sentì in colpa. Ma lui era fatto così, non conosceva mezze misure.
Eppure sapeva che avrebbe dovuto cambiare. Anche se non ne poteva più delle persone che gli stavano addosso, i colleghi di lavoro, i medici e i familiari, era consapevole che lo facevano perché li aveva spaventati. Un attimo prima stava parlando davanti a un gruppo di investitori stranieri, e quello dopo era disteso sul pavimento. Poi il ricordo era un po’ confuso. Rammentava solo che non riusciva a respirare bene e che sentiva una forte pressione al petto.
Turbato da quel ricordo, Leo incominciò a passeggiare freneticamente sul pavimento di legno del locale che univa cucina e salotto in un unico ambiente accogliente. Mentre lo faceva, si accorse di come Phoebe Kemper fosse riuscita a creare un angolo di paradiso nel bel mezzo del nulla. Il pavimento era fatto di assi di legno color miele tirate a lucido e coperte qua e là da tappeti colorati. I mobili erano disposti con cura, invitando gli ospiti a sedersi e godersi l’atmosfera. Al soffitto era appeso un lampadario fatto con corna di cervo che illuminava tutta la stanza. In una parete di fronte era collocata una libreria incassata con accanto il caminetto in pietra. Mentre dava un’occhiata alla collezione di libri di Phoebe, Leo realizzò con piacere che finalmente avrebbe avuto il tempo di leggere.
Un piccolo rumore gli fece capire che la padrona di casa stava per tornare. Girandosi, si fermò a guardarla e realizzò che era davvero uno schianto. Phoebe Kemper aveva lunghi capelli corvini che le arrivavano fino al seno, acconciati in una treccia spessa che le ricadeva sopra una spalla. Era alta, slanciata e aveva gambe affusolate. Aveva un’aria forte e sicura di sé. Eppure Leo non poteva fare a meno d’immaginarsi schiere di uomini pronti a correre in suo aiuto, solo per il piacere di strappare un sorriso a quelle labbra carnose che sembravano boccioli di rosa.
Lei indossava un paio di jeans sbiaditi e una camicetta di seta color corallo che metteva in risalto i toni caldi della sua pelle. I suoi occhi scuri, quasi neri, gli fecero pensare che potesse scorrere sangue indiano nelle sue vene. La tribù Cherokee si era rifugiata proprio in quelle montagne per sfuggire alla persecuzione al tempo del Sentiero delle lacrime.
Phoebe gli sorrise divertita. «Va meglio adesso? Almeno non ha più l’aria di voler ammazzare qualcuno.»
Leo fece spallucce, imbarazzato. «Mi scusi. È stata proprio una giornataccia.»
Lei sgranò gli occhi e smise di sorridere. «E temo che fra poco peggiorerà ancora. C’è un problema con la sua prenotazione.»
«Impossibile» rispose lui con decisione. «Mia cognata si è occupata di tutto. E ho anche la conferma.»
«Ho provato a chiamarla tutto il giorno ma non mi ha risposto. E non avevo il suo numero di cellulare.»
«La mia nipotina le ha buttato il cellulare nella vasca, per questo non è riuscita a mettersi in contatto con lei. Ma non si preoccupi, sono qui adesso. E non mi sembra che sia al completo» le disse con fare ironico.
Phoebe ignorò la sua battuta e si fece scura in volto. «La scorsa notte c’è stata una tempesta e il suo chalet è stato danneggiato.»
«Non si preoccupi, Phoebe. Non sono così esigente. Di sicuro andrà bene lo stesso» le rispose tranquillo.
Phoebe scosse la testa. «Forse è meglio che glielo mostri, per farle capire la situazione. Mi segua.»
«Devo spostare l’auto?» le chiese mentre si stava rimettendo le scarpe con la suola sporca.
Lei prese una cosa che aveva tutta l’aria di essere una piccola macchina fotografica e la mise in tasca. «Non ce n’è bisogno» gli rispose. Indossò una giacca e gli disse: «Andiamo». Nel portico prese una grande torcia e l’accese. Quel cerchio di luce intensa trafisse l’oscurità.
Il tempo non era migliorato. Leo fu contento che Hattie e Luc avessero insistito per preparargli i bagagli. Conoscendo la cognata, di sicuro avevano pensato a ogni evenienza: che si fosse trattato di pioggia, nevischio, neve o grandine sarebbe stato preparato a tutto. Ma per il momento, tutto quello che aveva con sé era chiuso nel bagagliaio. Avrebbe voluto tirare fuori le valigie, ma si limitò a seguire Phoebe.
Senza la luce della torcia non sarebbe mai riuscito a trovare la strada che portava al suo chalet in quella notte scura e nebbiosa. Più che un sentiero pedonale, sembrava il proseguimento della strada ghiaiosa che lo aveva condotto lì.
Leo si fece più impaziente quando si accorse che avrebbero potuto arrivarci in macchina. Alla fine si fermò e disse: «Forse è meglio che sposti l’auto. Sono sicuro che la sistemazione andrà bene».
In quell’istante Phoebe si fermò di colpo, che per poco Leo non le cadde addosso. «Siamo arrivati» gli disse senza giri di parole. «E quello è ciò che resta dello chalet che ha affittato per due mesi.»
La luce della torcia rivelò chiaramente il disastro lasciato dalla tempesta della notte precedente. Un enorme tronco d’albero si era abbattuto nel bel mezzo dell’edificio, piegato a metà. Il tetto era distrutto e la struttura era esposta alle intemperie.
«Oh mio Dio!» Si voltò istintivamente verso la casa di Phoebe, pensando che le sarebbe potuta accadere la stessa cosa. «Deve esserle preso un colpo.»
«Ho avuto