L amante del playboy francese: Harmony Destiny
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Barbara Dunlop
Tra le autrici più note e amate dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
L amante del playboy francese - Barbara Dunlop
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Transformed into the Frenchman’s Mistress
Silhouette Desire
© 2009 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Rita Pierangeli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-035-3
1
Un po’ stordita dal vento e ancor di più dal jet lag, Charlotte Hudson si trovava in Francia. Il giorno prima, una telefonata di suo fratello Jack aveva interrotto il tour che stava compiendo con il loro nonno, l’ambasciatore Edmond Cassettes. La rappresentativa diplomatica era a New Orleans, dove Charlotte e l’ambasciatore erano ospiti d’onore ai ricevimenti offerti dal governatore, da un paio di senatori e da tutti i sindaci della Louisiana che aspiravano a combinare affari con Monte Alegre, la ricca nazione del Mediterraneo.
Poi Jack aveva chiamato e adesso si trovava in Provenza, diretta al castello della famiglia Montcalm con un favore da chiedere. Raine, la sua amica del college, sarebbe rimasta sorpresa nel vederla, ma Charlotte contava sulla sua bontà d’animo per aiutarla a raggiungere il suo scopo. Era la prima volta che il fratello, o chiunque del lato Hudson della famiglia, la coinvolgeva nella realizzazione di un film della Hudson Pictures. E lei voleva fare buona impressione, a tutti i costi.
Charlotte aveva vissuto in Europa con i nonni materni, mentre Jack era stato cresciuto dagli Hudson a Hollywood. Lei aveva incontrato quella dinastia di produttori cinematografici soltanto in un paio di occasioni. Erano stati gentili con lei, ma era chiaro che loro formavano un gruppo molto unito, e che lei era l’estranea.
Adesso, tuttavia, Lillian Hudson, la matriarca affetta da una malattia incurabile, era decisa a onorare il desiderio del suo defunto marito affidando alla Hudson Pictures il compito di portare sul grande schermo la loro storia d’amore, nata durante la guerra. Tutta la famiglia si era impegnata a partecipare al progetto e aveva decretato che il castello dei Montcalm era il set perfetto.
Charlotte aveva finalmente l’occasione di partecipare al mondo degli Hudson.
Trasse un respiro e diede un’ultima lisciata alla gonna dritta e al blazer color avorio mentre si avvicinava al monumentale portone di legno di quercia dell’imponente dimora a tre piani dei Montcalm. Sapeva che il castello apparteneva alla loro famiglia da più di dieci generazioni, fin da quando un loro antenato, intrepido condottiero, l’aveva conquistato con le armi. La sua amica Raine vantava un notevole pedigree.
Charlotte trasse un altro respiro e tese la mano verso il campanello. Non dovette aspettare a lungo prima che un maggiordomo in livrea le aprisse, con un’espressione di formale cortesia sul volto.
«Bonjour, madame.»
«Bonjour» rispose lei. «Cerco Raine Montcalm.»
L’uomo esitò mentre valutava il suo aspetto. «Ha un appuntamento?»
Charlotte scrollò il capo. «Sono Charlotte Hudson. Raine e io siamo amiche. Eravamo insieme a Oxford.»
«Mademoiselle Montcalm non è disponibile.»
«Ma...»
«Le chiedo scusa.»
«Può almeno dirle che sono qui?» Charlotte si augurava che l’amica si sarebbe resa disponibile udendo il suo nome.
«Attualmente mademoiselle non è in casa.»
Charlotte cercò di capire se la stavano snobbando. «Davvero non è qui?»
Il maggiordomo non rispose, ma la sua espressione divenne ancor più acida e formale, sempre che fosse possibile.
«Perché se potesse farle sapere...»
«Problemi, Henri?» chiese una voce maschile.
Oh, no. Non Alec.
«Non, monsieur.»
Charlotte si ritrasse quando un bell’uomo, alto e d’aspetto aristocratico, apparve sulla soglia, sostituendosi al maggiordomo. Il fratello di Raine avrebbe dovuto essere a Londra. Charlotte aveva visto la sua foto sui tabloid, ripreso mentre ballava in un qualche elegante nightclub di Whitehall.
«Temo che Raine sia via per...» L’uomo si interruppe di colpo e un sorriso sensuale gli incurvò le labbra. «Charlotte Hudson.»
Lei non rispose.
«Grazie, Henri.» Alec congedò il maggiordomo in tono educato ma netto, senza mai staccare gli occhi da Charlotte.
Mentre Henri si ritirava, lui si appoggiò con aria indolente allo stipite. Indossava un completo di Caraceni color grigio antracite, una classica camicia bianca e una cravatta di seta scura, punteggiata da quelle che sembravano miniature dello stemma della famiglia Montcalm.
Con il cuore che le batteva forte, Charlotte decise di bluffare. Tese la mano e gli rivolse un sorriso disinvolto. «Non credo che ci abbiano mai presentati formalmente.»
Quanto meno, quella non era una bugia. Non c’era stato niente di formale nel loro precedente incontro. Era stato umiliante, e la sua unica difesa era fingere di essersene dimenticata.
«Oh, sì, siamo stati presentati, signorina Hudson.» Una mano, calda e callosa, si chiuse intorno alla sua, trasmettendole un brivido lungo la spina dorsale.
Lei controllò con cura l’espressione, sollevando un sopracciglio con aria interrogativa.
«Tre anni fa.» Alec inclinò il capo, sfidandola chiaramente a riconoscerlo.
Lei tenne duro.
«Il Ballo d’Autunno a Roma» proseguì lui, con un lampo malizioso negli occhi. «L’ho invitata a ballare.»
Aveva fatto molto di più che invitarla. Aveva quasi mandato all’aria la sua carriera in meno di cinque minuti.
Roma era stata uno dei suoi primi incarichi ufficiali come assistente personale di suo nonno. Per lei aveva rappresentato un importante passo avanti e, ansiosa com’era di non sbagliare, per tutta la serata aveva lottato contro il nervosismo.
Il sorriso di Alec si allargò mentre osservava la sua espressione. «È inciso in modo indelebile nella mia mente.»
«Io non...»
«Certo che ricorda» la interruppe lui in tono pacato, e sapevano tutti e due che aveva ragione. «E le è piaciuto.»
Troppo vero.
«Ma poi è intervenuto l’ambasciatore Cassettes.»
Un sentito ringraziamento a suo nonno.
«Charlotte?» la sollecitò Alec.
Lei finse di essersene appena ricordata. «Ha tentato di darmi la chiave della sua stanza d’albergo» lo accusò con severità.
«E tu l’hai presa» replicò passando a darle del tu.
«Non sapevo che cos’era.» All’epoca aveva ventidue anni, una principiante nell’ambiente diplomatico, e quell’uomo aveva tentato di approfittare di lei.
Alec ridacchiò, incredulo, mentre lei lo fulminò con un’occhiataccia.
«Eri bella quella sera» disse lui, ritornando serio, e il suo sguardo si ammorbidì mentre la esaminava dalla testa ai piedi.
«Avevo ventidue anni quella sera» ribatté Charlotte, incapace di nascondere l’indignazione.
Lui fece spallucce. «Nessuno ti obbligava a prendere la chiave.»
«Ero confusa.» In effetti, aveva impiegato un momento per rendersi conto che la scheda che lui le aveva consegnato era la chiave di una stanza d’albergo.
«Credo che fossi tentata.»
Il cervello l’ammonì a tenere chiusa la bocca, ma l’emotività ebbe il sopravvento. «Ti conoscevo da due minuti.» Altre donne potevano essere tentate da aristocratici affascinanti con denaro da dilapidare, ma Charlotte non era interessata ad avventure fulminee e superficiali.
«Io ti stavo osservando da più di due minuti.»
Le sue parole la lasciarono interdetta. La stava osservando? In senso lusinghiero o con qualche sordido intento?
Alec le si avvicinò con subdola noncuranza. «Eri molto attraente. Per di più davi l’impressione di essere interessante e intelligente; per di più, facevi ridere di gusto tutti quegli uomini. Era chiaro che avevi senso dell’umorismo.»
«Darmi la chiave della tua stanza voleva essere un gesto divertente?»
I suoi occhi castani divennero del color del cioccolato fuso. «Niente affatto. Il ballo stava per finire. Volevo approfondire la conoscenza.»
Charlotte era incredula davanti a tanta faccia tosta. A parte che era giovane e ingenua, quella sera si trovava lì in veste ufficiale, e non avrebbe mai disonorato suo nonno lasciando la festa con uno sconosciuto, soprattutto con uno della reputazione di Alec Montcalm. Era tuttora uno degli scapoli più chiacchierati di Francia.
«Non ti è passato per la mente di invitarmi a prendere un caffè?» chiese, in tono acido.
«Non sono un uomo paziente.»
Alec fece una pausa e lei dominò l’impulso di fissare quei suoi occhi scuri, o di soffermarsi sulla linea perversa della bocca, o su quella quadrata del mento. Le restava così il naso, dritto, aristocratico, con le narici appena un po’ allargate alla base, come se stesse imbevendosi del suo profumo.
«L’approccio diretto è, a volte, il più efficace» proseguì lui.
«Mi stai dicendo che il trucco della chiave funziona?» In realtà, Charlotte non era sorpresa. Dovevano esserci molte donne che avrebbero dato un occhio della testa per saltare nel letto di Alec Montcalm.
Lei, però, non apparteneva a quella categoria.
Il modo sornione con cui sorrise le confermò i suoi sospetti. Ma, subito dopo, sembrò che lui si stancasse di quel gioco perché assunse un tono più sbrigativo. «Visto che mia sorella non c’è, posso fare qualcosa per te, signorina Hudson?»
Ricordando lo scopo della sua visita, Charlotte si rese conto di aver sbagliato a discutere con lui. Si costrinse a calmarsi, liberandosi dalla ragnatela di emozioni che lui sembrava evocare.
«Quando sarà di ritorno Raine?»
«Martedì mattina. È a Malta per un servizio fotografico che apparirà su Intéret.»
Charlotte sapeva che Intéret era la rivista di moda della Montcalm Corporation, e Raine ne era redattrice-capo. Martedì era troppo tardi. A Jack occorreva una risposta entro il weekend.
Poiché Raine non era disponibile, restava soltanto Alec. Charlotte non ne era per niente entusiasta, ma non poteva permettersi di fare la schizzinosa.
Trasse un respiro per farsi coraggio. «C’è una questione di cui vorrei discutere con te.»
Un luccichio si accese di colpo negli occhi di Alec e un sorriso astuto gli incurvò le labbra.
Charlotte soffocò un’istintiva reazione sessuale. C’era un motivo se le donne, da Milano a Praga, accettavano la chiave della sua stanza d’albergo. Quell’uomo rappresentava una tentazione diabolica.
«Entrez» la invitò lui, spostandosi lo stretto necessario per lasciare un po’ di spazio tra il proprio corpo e la porta.
Dopo un attimo di esitazione, Charlotte entrò,