Una verità che scotta: Harmony Destiny
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I signori della California 3
I ricchi e potenti King possiedono ogni cosa.
Tranne l'amore.
Nessuno osa contraddire Jefferson King, a parte gli abitanti di un villaggio in Irlanda che lui ha affittato come location per il suo ultimo film. Jefferson ricorda bene quel paese, visto che ci ha lasciato un pezzetto di cuore in cambio di vividi flashback di una torrida notte di passione.
Quello che non sa è che qualcos'altro di suo lo attende laggiù: il figlio che Maura Donohue aspetta da lui. Il re dei produttori californiani è pronto ad assumersi le proprie responsabilità e offre a Maura il matrimonio. Ma senza amore.
Maureen Child
Maureen Child ha al suo attivo più di novanta tra romanzi e racconti d'amore. È un'autrice molto amata non solo dal pubblico ma anche dalla critica, infatti è stata nominata per ben cinque volte come migliore autrice per il prestigioso premio Rita.
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Anteprima del libro
Una verità che scotta - Maureen Child
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Wedding at King’s Convenience
Silhouette Desire
© 2009 Maureen Child
Traduzione di Roberta Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-434-5
1
«Tu pensi che sia affascinante» proclamò Jefferson King con un sorrisetto soddisfatto. «Si vede.»
«Affascinante, eh?» Maura Donohue si raddrizzò in tutta la propria altezza, per quanto non troppo imponente. «Credi che mi faccia fuorviare tanto facilmente da un uomo che sa come usare le parole?»
«Facilmente?» Jefferson scoppiò a ridere. «Ci conosciamo da quasi una settimana ormai, Maura, e posso affermare con certezza che non c’è niente di facile in te.»
«Be’» ribatté lei, a sua volta con un sorriso. «Se questa non è una cosa carina da dire...»
Era compiaciuta, Jefferson glielo leggeva in faccia. Nessun’altra donna, tra quelle che conosceva, avrebbe considerato un complimento il fatto che un uomo la giudicasse difficile. D’altro canto, Maura Donohue era una su un milione, no?
Lui l’aveva intuito nell’istante stesso in cui l’aveva conosciuta.
Jefferson era in Irlanda in ricognizione per un film prodotto dai King Studios quando si era imbattuto nella fattoria di Maura, nella contea di Mayo; immediatamente aveva capito che si trattava proprio del luogo che stava cercando, ma convincere la proprietaria si era dimostrato tutt’altro che una passeggiata.
«Lo sai» riprese lui, appoggiando una spalla al muro della stalla sbiancato dal tempo, «la maggior parte della gente farebbe i salti di gioia alla possibilità di racimolare un po’ di denaro facile.»
Al che lei scosse i lunghi capelli neri dietro la schiena e lo scrutò con occhi socchiusi.
«Eccoti di nuovo a usare la parola facile, quando hai già ammesso che non sono una donna abituata a prendere la strada più agevole.»
Lui sospirò e scosse il capo. Quella donna aveva sempre la risposta pronta, ma accidenti se era intrigante! Tanto che Jefferson si stava divertendo. Come dirigente dei King Studios, era abituato alla gente che faceva di tutto pur di compiacerlo. Quando arrivava in una località con l’intenzione di sborsare fior di quattrini per poter filmare in un determinato luogo, le persone con cui aveva a che fare erano sempre pronte a firmare in calce e a mettersi in tasca i soldi.
Maura no.
Ormai erano giorni che veniva alla fattoria Donohue per parlare con la sua ostinata proprietaria. Aveva tentato con i complimenti, con la promessa di una montagna di denaro che sapeva bene lei non poteva permettersi di snobbare, e in generale aveva cercato di apparire irresistibile.
Ma lei aveva resistito.
«Mi sei di impaccio» gli fece notare Maura.
«Scusa.» Jefferson si fece da parte, in modo che potesse passare con in spalla un sacco di chissà che cosa. L’istinto lo spronava a toglierle quel peso e trasportarlo per lei, ma era certo che non avrebbe accettato – o apprezzato – l’aiuto.
Era molto indipendente, con uno spirito vivace, una lingua tagliente e un corpo al quale Jefferson aveva pensato fin troppo a lungo. I capelli neri le scendevano in dolci onde fino a metà schiena e a lui prudevano le dita per il desiderio di affondarle in quella chioma e sentirne la morbidezza. Aveva un mento testardo che tendeva a sollevare quando diceva la sua e un paio di occhi blu accompagnati da lunghe ciglia nere come l’inchiostro.
Indossava dei jeans consunti e un pesante maglione irlandese che nascondeva la maggior parte delle sue curve; ma l’inverno sull’isola di smeraldo implicava freddo e umido, perciò non poteva certo biasimarla. Tuttavia, sperava che lo invitasse in casa per un tè, perché a quel punto si sarebbe sfilata il maglione e avrebbe rivelato al di sotto una maglietta che consentiva una vista di gran lunga migliore.
Per il momento, comunque, dovette accontentarsi di seguirla fuori dalla stalla, in un vento gelido che gli schiaffeggiò il viso facendogli lacrimare gli occhi, quasi a sfidarlo ad affrontare la campagna irlandese. Jefferson aveva le orecchie congelate e il soprabito non gli teneva abbastanza caldo; si ripromise di fare un salto al villaggio per qualche acquisto: un cappotto più pesante, se fosse riuscito a trovarlo, e un paio di quei maglioni fatti a mano. Farsi amici i commercianti locali non poteva certo nuocere. Voleva avere dalla propria parte tutti gli abitanti del piccolo paese di Craic mentre cercava di convincere Maura a consentire ai King Studios l’uso della fattoria.
«Dove andiamo?» gridò nel vento e avrebbe giurato di vedere effettivamente il vento che gli rigettava le parole addosso.
«Noi non andiamo da nessuna parte» rispose lei voltandosi appena. «Io vado al pascolo più alto per foraggiare le bestie.»
«Potrei darti una mano.»
Maura si girò completamente a guardarlo, indugiando con gli occhi sulle sue scarpe lucide e costosissime. «Con quelle belle scarpe?» domandò allora maliziosa. «Si rovinerebbero in dieci secondi, a camminare tra erba e fango.»
«Perché non lasci che sia io a preoccuparmi delle mie scarpe?»
Sollevando quel suo mento testardo, Maura non si lasciò zittire. «Parli come un uomo che non ha bisogno di preoccuparsi da dove venga il suo prossimo paio di scarpe.»
«Sono i ricchi in generale che non sopporti» le domandò allora Jefferson, l’espressione divertita, «o ce l’hai con me in particolare?»
Lei rispose al sorriso, affatto turbata. «Be’, questa sì che è una domanda interessante, non è vero?»
Jefferson scoppiò a ridere. Le donne a cui era abituato erano più civettuole, più pronte a dichiararsi d’accordo con lui, qualunque cosa affermasse. Non davano voce alle proprie opinioni nel timore che non fossero condivise. E Jefferson non si divertiva tanto da molto, molto tempo.
Tra l’altro, non si trattava solo delle donne. Tutti quelli che conosceva, a Hollywood, si comportavano allo stesso modo.
Fatto determinato non solo dalla sua appartenenza a una famiglia importante, ma anche dal suo ruolo di rilievo in un settore dove i sogni potevano venire realizzati o infranti a seconda del ghiribizzo di un dirigente. Troppe persone cercavano a tutti i costi di stare dalla sua parte.
Era salutare trovare qualcuno al quale non importava affatto da che parte stesse.
Maura chiuse vigorosamente il portello del furgoncino che aveva visto giorni migliori e vi si appoggiò, incrociando le braccia sul petto con atteggiamento difensivo. «Perché ti dai tanto da fare, Jefferson King? È la sfida di volermi convincere a tutti i costi? Non sei abituato a sentire la risposta no?»
«Non la sento spesso, questo è vero.»
«Immagino. Un uomo come te, con le sue belle scarpe e il portafoglio gonfio. Probabilmente sei accolto a braccia aperte ovunque vai, giusto?»
«Hai qualcosa contro i portafogli gonfi?»
«Solo quando me li sventolano in faccia un minuto sì e l’altro pure.»
«Io non sventolo» la corresse lui. «Offro. Ti sto offrendo una piccola fortuna per l’affitto della tua terra per qualche settimana. Non mi pare un insulto.»
Le fremettero le labbra, come se volesse contenere un sorriso. «Non è un insulto, questo è certo. Ma mi incuriosisce la tua testardaggine ad averla vinta.»
«Come hai detto, mi piacciono le sfide.» A tutti i King piacevano. E Maura Donohue era la più interessante che avesse dovuto affrontare negli ultimi tempi.
«Allora abbiamo qualcosa in comune.»
«Finalmente, una base condivisa. Perché non mi lasci venire con te al pascolo? Puoi mostrarmi il resto della fattoria.»
Lei lo studiò in silenzio per un lungo momento, mentre il vento sferzava entrambi. «Perché vuoi venire con me?» gli domandò infine.
«Sinceramente, al momento non ho niente di meglio da fare» ammise con un’alzata di spalle. «Perché non mi vuoi con te?»
«Perché non ho bisogno di aiuto.»
«Sembri piuttosto sicura di te.»
«Lo sono, infatti» ribadì.
«Allora perché ti importa tanto che venga con te a dare una mano? A meno che tu non sia preoccupata di lasciarti sedurre dal mio carisma letale.»
Maura scoppiò a ridere. Piegò la testa all’indietro e rilasciò una risata sonora e piena che toccò qualcosa dentro di lui, persino mentre gli stuzzicava l’orgoglio. «Ah, sei proprio un uomo divertente, Jefferson.»
«Non era mia intenzione.»
«Il che ti rende ancora più divertente, non trovi?»
Imbacuccandosi nel soprabito per difendersi dal freddo, Jefferson si convinse che lei stesse cercando di rassicurarsi di non essere toccata. Perché invece era proprio quello che stava accadendo: non manteneva più le distanze come la prima volta che aveva visitato la fattoria. Quel giorno, si era quasi aspettato che tirasse fuori il fucile e lo cacciasse dalla propria terra.
Non esattamente il ritratto della proverbiale ospitalità irlandese.
Grazie al cielo, in famiglia Jefferson era sempre stato quello paziente.
Decise di tentare un’altra tattica. «Guardala in questo modo» insistette. «Mentre mi fai visitare la fattoria, avrai la possibilità di elaborare perché non vuoi accettare la mia offerta di affittarla per un’esorbitante somma di denaro.»
Lei chinò la testa per studiarlo e i capelli neri danzarono nel vento freddo come una bandiera da battaglia. «D’accordo, allora. Se proprio devi, monta.»
«Un invito cortese, come sempre» borbottò.
«Se vuoi cortesia» ribatté però lei, «dovresti andare nel Kerry, al Dromyland Castle. Hanno ottimi camerieri, cibo delizioso e nei giardini sentieri curati apposta per assicurarsi che le scarpe buone dei visitatori non si rovinino.»
«Non mi interessa quel tipo di cortesia» ribadì Jeff avvicinandosi alla portiera del furgoncino. «È per questo che sono qui.»
Dopo un istante, lei rise di nuovo. «Devo ammetterlo, ripaghi con la stessa moneta.»
«Grazie.»
Poi lo raggiunse sul fianco del veicolo «Ma se non ti dispiace, guido io.»
«Come?» Jefferson si rese conto di essersi avvicinato al lato destro – quello che avrebbe dovuto essere il lato del passeggero – ma in Irlanda, è il volante a stare a destra. «Ti rendi conto che guidate dalla parte sbagliata, vero?»
«È tutta una questione di prospettiva, non trovi?» Lo allontanò dalla portiera e lui girò intorno al furgoncino per salire dall’altra parte. «Che sia giusto o sbagliato, ha poca importanza, dato che entrambe le parti sono mie.»
Jeff appoggiò le braccia sul tetto del mezzo. «Che tu ci creda o no, Maura, anch’io sto dalla tua parte.»
«Ah» replicò lei furbescamente, «a questo proprio non posso credere, Jefferson King, perché sono convinta che tu stia sempre dalla tua parte.»
Detto ciò montò in macchina, avviò il motore e Jeff si affrettò a raggiungerla, perché era certo che non si sarebbe fatta alcun problema a lasciarlo appiedato proprio dove si trovava. Era determinata. Ed era bella. E testarda quanto le colline erano verdi.
Vedere il ricco americano attraversare il campo fangoso ricoperto da sterco di pecora in una giornata tempestosa era un bel vedere, rifletté Maura. Persino in quel luogo, completamente al di fuori del proprio elemento, Jefferson King procedeva come se fosse il padrone del mondo. L’orlo del suo soprabito grigio sventolava al vento come il sudario di un fantasma. I folti capelli neri si muovevano come se degli spiriti vi stessero passando attraverso le dita gelide e la sua bocca irresistibile era contorta in una smorfia di disgusto. Eppure, notò, andava avanti. Continuava a portare sacchi di mangime attraverso il fango, per svuotarli nelle mangiatoie delle sue pecore.
E quando il cibo raggiungeva il fondo delle mangiatoie,