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L indomita Miss Chester: Harmony History
L indomita Miss Chester: Harmony History
L indomita Miss Chester: Harmony History
E-book219 pagine3 ore

L indomita Miss Chester: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1812
Caterina Chester è bella e talentuosa, ma anche ribelle e ostinata e, contrariamente alle sue coetanee, non ha alcuna voglia di sposarsi. Desidera di più dalla vita, sogna un uomo che le faccia palpitare il cuore, vuole la Passione. Ed è proprio la passione che mette in tutto ciò che fa, a iniziare dal canto, che conquista all'istante Sir Chase Boston, giunto nella residenza dei Chester per riscuotere il debito che il fratello della giovane ha contratto con lui e che getterebbe la famiglia sul lastrico. Unica soluzione, che lo splendido usignolo di Paradise Road si unisca in matrimonio con un creditore tanto esigente. Ma può una donna caparbia come Miss Chester accettare senza lottare di sottomettersi a un simile destino?
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2019
ISBN9788858996133
L indomita Miss Chester: Harmony History
Autore

Juliet Landon

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    L indomita Miss Chester - Juliet Landon

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Dishonour and Desire

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2007 Juliet Landon

    Traduzione di Silvia Zucca

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-613-3

    1

    Richmond, Surrey, 1812

    Ridendo per una qualche facezia, Miss Caterina Chester e sua sorella cavalcarono fino alle scuderie del numero 18 di Paradise Road, accarezzando i colli lucenti dei loro animali e aspettandosi, come sempre, i sorrisi di benvenuto dei garzoni, che le avrebbero aiutate a smontare. Tuttavia, in quel mattino assolato tutti sembravano occupati a pulire un phaeton ricoperto di fango dalle ruote al tettuccio, mentre un lacchè in livrea verde, a loro sconosciuto, strigliava un grosso stallone grigio. E nessuno accorse ad accoglierle.

    «Nostro padre ha visite» commentò Sara.

    «Ma quello è il phaeton di zia Amelie!» esclamò Caterina. «Perché è tutto ricoperto di fango? Joseph!» chiamò. «Cos’è successo?»

    Joseph posò lo spazzolone e si voltò di scatto. «Oh, Miss Chester, mi dispiace. Non vi ho proprio sentite arrivare.» Si ripulì le mani sul grembiule e si fece avanti per prendere le briglie, ma Caterina fu più veloce e saltò giù di sella prima che potesse raggiungerla.

    «Io posso fare da sola. Aiuta Miss Sara» gli disse. «Ma chi ha usato il phaeton?»

    «Mr. Harry» rispose Joseph a disagio. «L’ha preso in prestito ieri sera e...»

    «Preso in prestito? Senza chiedermelo?» Caterina rivolse uno sguardo furioso alla sorella. «Ne sapevi qualcosa, Sara?»

    «Certo che no. Zia Amelie l’ha prestato a te, non ad Harry.»

    «Perché non me ne hai accennato stamattina, quando siamo uscite per la passeggiata, Joseph?»

    Lo stalliere si grattò la nuca, sbirciando il veicolo e poi abbassando gli occhi. «Be’, perché pensavo che lo sapeste, Miss Chester. Mr. Harry mi ha detto di avere il vostro permesso e di sbrigarmi a prepararlo.»

    «Prepararlo per cosa?»

    «Non me l’ha detto, signorina. Ma qualsiasi cosa fosse, non credo che a Lady Elyot avrebbe fatto piacere. Guardatelo, gronda fango dappertutto.» Glielo indicò ancora. «È ritornato soltanto mezz’ora fa.»

    La dolce Sara non aveva alcuna intenzione di smontare di sella da sola se poteva contare sull’aiuto di uno stalliere prestante come Joseph. Una volta a terra, aspettò qualche istante prima di togliere le mani dalle spalle del giovane, ma neppure questo distrasse sua sorella.

    «Tornato da dove?» domandò infatti Caterina.

    D’improvviso, avvertendo il suo tono gelido, tutti nell’aia di fronte alle scuderie tacquero.

    Poi Joseph sospirò. «È stato a Mortlake per tutta la notte, a quanto pare. Nelle scuderie di Sir Chase Boston. Quello laggiù è appunto il lacchè di Sir Chase. Ce l’hanno riportato stamattina. Devo chiedergli...?»

    «No. Scoprirò da me il resto.» L’orlo dell’abito grigio tortora di Caterina accarezzò l’acciottolato bagnato, mentre si avviava decisa verso casa, con la schiena tesa come un arco ed entrambe le mani impegnate a sollevare la veletta del cappellino. Prima che sua sorella potesse raggiungerla, una cascata di riccioli fulvi le era ricaduta sulle spalle, illuminata dai raggi del sole.

    «E così, quella è lei» commentò il lacchè di Sir Chase, abbozzando un sorriso.

    «Sì, quella è lei» rispose Joseph, portando via i due cavalli. «Ora aspettiamo i fuochi d’artificio.» Scosse il capo. «Tra cinque minuti, il tuo padrone uscirà da quella porta con le orecchie in fiamme, vedrai.»

    «Vuoi scommettere?» lo pungolò l’altro, tendendogli la mano.

    Caterina si soffermò solo un attimo nel bell’ingresso bianco e oro. Giusto il tempo di vedere che sul tavolo c’erano un cappello da uomo, un paio di guanti di pelle chiara e un frustino con l’impugnatura d’argento. Poi, venne distratta da alcuni rumori provenienti dal piano di sopra: una porta che sbatteva e una donna che alzava la voce nel vano tentativo di farsi ubbidire, seguiti subito dal pianto disperato di bambini. Strizzando gli occhi per quella sgraziata cacofonia, Caterina dimenticò di celare il proprio malumore e aprì la porta dello studio.

    Suo padre, che di solito non si curava di quelle interruzioni, smise di parlare e storse il naso, presagendo la tempesta cui avrebbe assistito. «Ah, sei qui» disse. «Hai... hai ricevuto il messaggio?» Stephen Chester, un uomo di mezza età con l’aspetto di un vecchio segugio, fece del suo meglio per sorridere.

    «No, padre. A quanto pare, c’è una falla nel sistema. Non ho ricevuto alcun messaggio riguardante il phaeton

    «Oh, e così l’hai visto. Ebbene, Sir Chase l’ha condotto qui da Mortlake per spiegarci la situazione. Non credo che vi siate mai incontrati. Sir Chase, la maggiore delle mie figlie, Caterina.»

    Caterina avvertì un movimento alle proprie spalle e capì che l’ospite di suo padre era rimasto nascosto dietro di lei per spiarla senza essere notato. Be’, forse non proprio per spiarla, ma non si poteva fare a meno di pensare che avesse scelto quella posizione di proposito.

    Come suo padre, Caterina era alta ed erano pochi gli uomini che la sovrastavano tanto da obbligarla a sollevare il mento per essere guardati negli occhi. Quello che ora aveva di fronte non solo era alto, ma aveva un petto ampio e spalle muscolose. Aveva sentito parlare di lui. Tutti in società avevano sentito parlare di Chase Boston, delle sue relazioni illecite, delle scommesse senza senso che sembrava vincere sempre, dei suoi prodigi a caccia e della sua abilità nel guidare il carrozzino. Non c’era nulla che quell’uomo non avesse provato. A parte il matrimonio.

    Si sarebbe aspettata un viso scaltro, rovinato dalle intemperie oltre che dagli eccessi, solcato da rughe profonde e con la pelle brunita dal sole. Invece, si trovò a contemplare un paio d’intensi occhi castani, che fissavano i suoi con allarmante franchezza, un volto pulito, una fossetta sul mento e capelli neri che gli ricadevano selvaggi sulle spalle.

    Sì, pensò Caterina, anche il suo aspetto aveva un che di eccessivo, nonostante i suoi abiti fossero impeccabili e all’ultima moda in ogni dettaglio. Ma non poté fare a meno di abbassare lo sguardo e arrossire come una scolaretta, poiché c’era qualcosa negli occhi di quell’uomo che andava al di là della mera cortesia. «Sir Chase» esordì. «Posso chiedervi il motivo per cui avete riportato il phaeton di mia zia in quelle condizioni?» Lo sguardo dorato della giovane brillò di rabbia, ma non ebbe l’effetto sperato.

    «L’ho vinto» dichiarò lui. «Insieme ai cavalli. Da vostro fratello.» La sua voce era profonda, vellutata come una carezza, e si addiceva perfettamente a un uomo come lui.

    «Cosa? La coppia di grigi di mia zia? Cos’ha fatto Harry?»

    «È un bel colore. Si sposa bene con il marrone.»

    Caterina ebbe il sospetto che non stesse parlando della carrozza. «Padre!» esclamò togliendosi i guanti. «Volete dirmi che cosa sta succedendo? Zia Amelie aveva prestato a me il suo phaeton, lo sapete, e...»

    «Sì. E il giovane Harry stamattina presto ha preso la prima diligenza per Liverpool senza dire niente di questa ridicola scommessa. Pare che tuo fratello e Sir Chase abbiano fatto una corsa intorno a Richmond Park, ieri notte, e che Harry abbia perso. Non faresti meglio a sederti, cara?»

    «Harry ha perso qualcosa che non era di sua proprietà!» esclamò Caterina. «Non mi voglio sedere. Sir Chase, se sapevate che quel phaeton non apparteneva a mio fratello, perché avete...?»

    «Non lo sapevo» l’interruppe l’ospite, staccandosi dal muro e raggiungendo il fianco di Mr. Chester, posizione dalla quale riusciva a vederla meglio. «Mi ha fatto credere che fosse suo, quando mi ha proposto la scommessa. E io ho vinto. È stato obbligato a lasciare il phaeton a Mortlake. Ma quando poi l’ho ispezionato, ho trovato questo sotto un sedile.» Si frugò nella tasca interna della giacca e ne trasse un fazzoletto, che porse a Caterina. «Ci sono le iniziali A.C. sopra. Suppongo che appartenga a Lady Amelie Chester, ora Lady Elyot. E nel caso rivolesse indietro il suo phaeton, ho suggerito a vostro padre di riscattarlo. Penso che duecento sterline siano abbastanza. È una bella carrozza. Ha circa cinque anni, un solo proprietario, ottime sospensioni. I cavalli, be’... loro valgono...»

    «E mio fratello è tornato fin qui a piedi da Mortlake? Oppure gli avete offerto voi un passaggio?»

    Gli occhi di Sir Chase tradirono un bagliore malizioso. «Vostro fratello mi deve del denaro, Miss Chester. Non offro mai passaggi ai miei debitori. E voi?»

    «Il punto è, mia cara» disse il padre di Caterina, «che Sir Chase ha tutto il diritto di aspettarsi che il debito venga onorato. È molto gentile da parte sua offrire un riscatto per il phaeton, ma una scommessa è una scommessa.»

    «Ma sarebbe ancora più gentile da parte di Sir Chase dimenticare l’intera faccenda. Dopotutto, suppongo che abbia già una carrozza e dei cavalli, non è vero? Harry ha solo vent’anni, non è ancora entrato in possesso della sua rendita e ha la tendenza a essere del tutto irresponsabile da un po’ di tempo.» Caterina sentiva il cuore pulsarle in gola, ma non riusciva a definire la singolare ostilità che provava verso quell’uomo. Era per via della sua ostentata sicurezza? Per quello che esigeva? Per il modo in cui trattava suo padre? Oppure era perché aveva sentito parlare così tanto di lui e di tutte le sue relazioni amorose?

    «La mancanza di fondi di vostro fratello, Miss Chester, è un problema della vostra famiglia, non mio» dichiarò Sir Chase. «Se vuole scommettere, dovrebbe avere i fondi per onorare le sue perdite senza mettere in imbarazzo nessuno. Convengo con voi sul fatto che sia un irresponsabile, ma non ho la tendenza a dimenticarmi dei miei crediti. Né voglio far finta di aver perso. Non sono un istituto di carità ed è ora che il giovane Mr. Chester impari un paio di cose sull’onore.»

    «Ho pensato che in questo caso, per un phaeton a due cavalli, potevate fare un’eccezione. Credo che abbiate capito che mio fratello non aveva alcun diritto di mettere in palio una cosa che non gli apparteneva...» Lei si fermò, intuendo all’improvviso che c’era dell’altro che non le era stato detto.

    Stephen Chester non era mai stato bravo a nascondere i propri pensieri e ora la sua espressione era sconvolta. «Oh... io... Santo cielo!» sospirò.

    «Cosa c’è, padre? C’è dell’altro, non è vero?»

    Lui annuì. «Harry gli deve anche del denaro» mormorò. «Sir Chase me lo stava dicendo proprio quando sei entrata, ma non sono certo che anche tu dovresti sentire.»

    «Quanto?» volle sapere Caterina. «Avanti, parlate.»

    «Sir Chase?» domandò Mr. Chester.

    «Ventimila, signore.»

    Mr. Chester si prese la testa tra le mani. «Come ha potuto? Dio mio! Come ha potuto fare questo a suo padre?»

    «Ovviamente ho un documento firmato da vostro figlio, che comprova ciò che dico. E gli ho dato ventiquattr’ore di tempo per onorare il suo debito. Mi aveva assicurato di pagarmi ieri mattina, ma quando si è presentato alla porta di casa mia, a Londra, mi ha proposto la corsa intorno a Richmond Park, per la quale, se avesse vinto, avrei cancellato il suo debito precedente...»

    «E mio fratello vi ha poi detto come avrebbe fatto a pagarvi? Avrebbe chiesto dei prestiti?»

    «Non era affar mio, Miss Chester. Ma non credo che abbia trovato un modo per avere quei soldi, altrimenti non sarei venuto a parlare con vostro padre.»

    «E pensavate di trovare qui anche Harry?»

    «Sì. E poi volevo restituire il phaeton di Lady Elyot.»

    La mano di Mr. Chester si tese tremante verso il proprio bicchiere di brandy, che tracannò d’un fiato.

    Caterina si sentì ribollire dalla rabbia. Suo padre non aveva fatto niente per meritarsi tutto ciò. Ventimila sterline erano una somma enorme, per la quale avrebbe di certo dovuto vendere quella casa e l’altra, a Buxton, visto che la rendita delle tenute che aveva ereditato era esigua.

    Sospirò. Come avrebbero fatto? La seconda moglie di suo padre, Hannah, in sei anni di matrimonio aveva dato alla luce addirittura due coppie di gemelli, con l’effetto che ora il numero 18 di Paradise Road, un tempo l’elegante dimora di Lady Elyot, era tutto un vociare e piagnucolare perpetuo. Per questo motivo ad Harry era stato permesso di passare le vacanze a Londra, che distava solo un paio d’ore di viaggio.

    «Vivete delle vostre rendite, Sir Chase?» domandò Caterina all’improvviso, con la speranza di farlo ragionare.

    «Caterina!» la rimproverò il padre. «Cara, non puoi chiedere una cosa del genere a un gentiluomo. Per favore, è ora che tu vada. Sir Chase e io ne discuteremo e troveremo una soluzione, in qualche modo. Va’, Hannah ti starà sicuramente cercando.»

    Sir Chase la precedette verso la porta e, con una mano sulla maniglia, gliel’avrebbe aperta, se Caterina non l’avesse bloccata piantando una mano sul pannello di legno. «Un momento, per favore» disse, reclinando il capo per guardarlo negli occhi. «Capisco le questioni d’onore tanto quanto gli uomini, Sir Chase, ma se non vi posso domandare niente riguardo alle vostre rendite, perlomeno posso chiedervi se pensate che sia stato onorevole accettare la sfida di mio fratello quando sapevate che non poteva vincere e quando già vi doveva tanto denaro.»

    Sir Chase fissò il bel volto fiero, la cascata di riccioli fulvi e la bocca sensuale della giovane. Quegli occhi castani e dorati avrebbero potuto accendersi di passione in un istante, pensò. E dubitava fortemente che la ragazza avrebbe obbedito a suo padre, se non avesse già avuto intenzione di andarsene. Forse voleva dimostrargli di essere docile, ma lui sapeva che non era così. Una donna come quella faceva sempre ciò che voleva.

    Per sfida, lasciò indugiare il proprio sguardo su di lei un altro po’, sul suo collo e sui suoi seni. «Come vi ho già detto, Miss Chester» disse senza sorridere, «è stato vostro fratello a propormi la gara. Perciò, se davvero capite le questioni d’onore, credo di non dovervi altre spiegazioni.»

    Anche se Caterina pensava che sarebbe potuto esserci molto da dire ancora, non voleva passare altro tempo in compagnia di quell’uomo arrogante, perciò tolse la mano dalla porta e aspettò che lui girasse la maniglia. Quando non lo fece, lo fissò di nuovo negli occhi, ma non riuscì a leggervi nulla.

    Poi, con lentezza, Sir Chase aprì la porta e Caterina fu libera di uscire.

    Si fermò nell’ingresso, furibonda e con il cuore che le martellava nelle orecchie. Sentiva un irrefrenabile impulso di rompere qualcosa, di tirare degli oggetti contro una parete. Invece, udito l’ennesimo strepito provenire dal piano di sopra, con un sospiro si rassegnò a salire le scale.

    Quello stesso urlo aveva raggiunto le orecchie di Stephen Chester e gli aveva fatto sollevare gli occhi sul suo ospite. «Mi dispiace» mormorò.

    Intuendo che stava parlando del rumore, Sir Chase prese posto davanti a lui, sollevando il suo bicchiere di brandy e guardandosi attorno nella bella stanza blu Wedgwood che si affacciava sul giardino sul retro della casa. Attraverso gli alberi in lontananza riusciva a veder luccicare le acque del Tamigi. In casa non c’erano segni di decadenza, ma poteva immaginare che la famiglia si fosse impoverita nel tempo a causa delle molte spese. E, nonostante lui non si fosse affatto recato lì per negoziare, adesso si trovava a fare i conti con un nuovo fattore: Miss Caterina Chester.

    «Avete una famiglia interessante, Mr. Chester» commentò, rimettendo il bicchiere sul tavolo. «Se non ho inteso male, Mrs. Chester è la vostra seconda moglie?»

    Stephen si passò una mano tra i capelli rossicci, ormai radi, e annuì. «Mia moglie è una Elwick di Mortlake» gli spiegò. «Probabilmente li conoscete. Siamo sposati da quasi sei anni.»

    Sir Chase aggrottò la fronte. «In effetti sì. Sono vicini dei miei genitori. Se non erro, il fratello maggiore è morto un paio di anni fa.»

    «Sir Chad Elwick, sì. Io invece ho perso la mia prima moglie dieci anni fa e con tre figli ormai grandi non mi aspettavo una famiglia così numerosa con la mia seconda moglie. Se avessi saputo dapprincipio che saremmo diventati nove, non mi sarei trasferito qui da Buxton. La mia casa nel Derbyshire è molto più grande di questa, ma mia moglie è originaria del Surrey, e Caterina e Sara volevano stare vicino a Londra.» La sua voce si intenerì d’orgoglio paterno. «Caterina ha vissuto qui per un po’ con sua zia, Lady Elyot, che prima ancora era Lady Chester. La casa era perfetta per loro due.»

    «E quanti anni ha vostra figlia, se posso chiedervelo, signore?»

    «Ventiquattro,

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