Mille stelline dorate
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Eravamo due universi paralleli.
Eravamo Yin e Yang.
Eravamo due pianeti che entravano in collisione.
Eravamo due placche tettoniche che si scontravano.
Potevamo originare un cataclisma con un’enorme forza distruttrice.
O mille stelline dorate.
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Anteprima del libro
Mille stelline dorate - Manuela Mariani
Manuela Mariani
MILLE STELLINE DORATE.
Prima Edizione Ebook 2023 © R come Romance
ISBN: 9788893472357
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
img1.pngwww.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
img2.jpgLa trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Manuela Mariani
MILLE STELLINE DORATE
Romanzo
INDICE
LIMBO
GIOVEDÌ
VENERDÌ
MERCOLEDÌ
GIOVEDÌ
GIRONE DEI VIOLENTI
SABATO
DOMENICA
LUNEDÌ
GIRONE DEGLI IRACONDI
MARTEDÌ
MERCOLEDÌ
GIRONE DEGLI AVARI E PRODIGHI
GIOVEDÌ
VENERDÌ
SABATO
GIRONE DEGLI ERETICI
DOMENICA
GIRONE DEI GOLOSI
LUNEDÌ
MARTEDÌ
MERCOLEDÌ
GIOVEDÌ
VENERDÌ
GIRONE DEI FRAUDOLENTI
SABATO
DOMENICA
GIRONE DEI TRADITORI
LUNEDÌ
MARTEDÌ
MERCOLEDÌ
PURGATORIO
GIOVEDÌ
VENERDÌ
SABATO
DOMENICA
LUNEDÌ
PARADISO
EPILOGO
L’autrice
Catalogo
LIMBO
GIOVEDÌ
Sospirai per l’ennesima volta allo squillo del telefono, visualizzando il numero del fattorino.
Ti ha lasciata ed è scappato come un codardo. Aspetti ancora una sua chiamata?
Magari ci ha ripensato.
«Chi si crede di essere? Pensa che io possa rimanere in perenne attesa?»
«Hai detto qualcosa?»
«Scusa, credo di aver pensato ancora una volta a voce alta…»
Barbara alzò gli occhi al cielo. «Cosa avrò mai fatto nella mia vita precedente per meritarmi una collega come te?»
«Lo sai che c’è un canale diretto dalla mia testa alla mia bocca. E poi chissà cosa ho fatto io per meritare un angelo come te!»
Barbara afferrò la prima cosa che gli capitò fra le mani (per fortuna era una gomma) e me la scagliò contro. «Guarda che non funziona con me! Dopo due anni, ho sviluppato gli anticorpi alla tua espressione da cerbiatto. E anche ai postumi delle tue delusioni d’amore.»
Il suono di una voce melodiosa attirò la mia attenzione. «Venga, ecco l’assistente del Dottor Santambrogio.» Il mio collega receptionist Marco si fiondò nel mio ufficio, seguito dal proprietario dalla voce sensuale che avevo sentito in precedenza. «Le presento Emma. Lui è il Dott. Alvin Grace e ha appuntamento col direttore.»
Rivolsi il mio miglior sorriso sociale al nuovo arrivato. «Buongiorno Dott. Grace, la annuncio subito. Il Dott. Santambrogio la aspettava.»
Mentre messaggiava con il suo ultramoderno smart phone, il nuovo arrivato replicò con una voce fredda e piuttosto scostante. «Veda di fare in fretta. Non ho tempo da perdere.»
Sollevai il ricevitore e cercai di scrutare questo corpo estraneo che si era insinuato nel mio spazio visivo. Anche perché era impossibile non notarlo: gli occhi azzurro ghiaccio davano l’impressione di risplendere di luce propria; le labbra erano atteggiate a un broncio fanciullesco e i suoi denti bianchissimi le mordicchiavano di continuo.
Sollevai lo sguardo e vidi i suoi occhi che agganciavano i miei. Mentre sentivo salire il rossore sulle mie guance, con apparente indifferenza riappesi il ricevitore e gli annunciai che il mio direttore era pronto a riceverlo.
Una volta arrivati di fronte alla porta, mi fermai per annunciare il mio ingresso con i consueti tre colpetti. Il borioso nuovo arrivato era evidentemente troppo impegnato per accorgersene, perché continuò il suo moto a luogo e mi urtò.
Tutti i punti di contatto fra i nostri corpi si tatuarono all’istante sulla mia pelle: le nostre mani che si sfiorarono, il suo bicipite scolpito che si appoggiò alla mia schiena e il suo respiro che s’insinuò sul mio collo. Una scarica mi attraversò la spina dorsale. Cercai di coprire il mio imbarazzo con un finto rimprovero. «Scusi, non le hanno insegnato che bisogna bussare prima di entrare?» Indietreggiando di un passo, mormorò qualcosa di somigliante ad una scusa.
Il mio direttore accolse il suo ospite con entusiasmo. «Benvenuto Dott. Grace! È un vero onore averla nel mio ufficio. Prego, si accomodi! Posso offrirle qualcosa?»
«Un caffè nero lungo e del latte a temperatura ambiente a parte.» Alzò un sopracciglio. «Pensa di potercela fare o devo disegnarle un diagramma di flusso?» Mi guardò in tono di sfida. Il mio direttore scoppiò a ridere. «Non si preoccupi, sta parlando con l’assistente più valida e fidata di tutta l’azienda. Vada, cara, porti per cortesia il caffè al Dott. Grace.»
Mi allontanai con un ghigno al limite della decenza e, appena uscita dall’ufficio, esplosi. «Quanto se la tira! Sarà pure un gran figo ma non mi sembra il caso di farlo pesare così.»
«Che succede?»
Risposi ringhiando. «Succede che il gran cafone appena passato non solo trasmette ordini senza neanche chiedere per favore, ma si permette anche di trattare le assistenti di qualcun altro come cameriere e pure mezze rimbambite.»
Mentre continuavo con la sequela degli improperi, preparai il vassoio e mi diressi verso l’ufficio. «Ecco le sue pastiglie Dott. Santambrogio.»
«Grazie cara. Non saprei proprio come fare senza di te.»
Feci il giro della scrivania e depositai tazzina e bricco del latte di fronte all’ospite. «Ecco quanto ordinato. Pensa di potercela fare a dire grazie o devo disegnarle un diagramma di flusso?» E me ne andai fra le risate del mio direttore e lo sguardo stupefatto della persona seduta di fronte a lui.
Appena ritornata alla scrivania, non resistetti alla tentazione di digitare su un motore di ricerca il nome di Alvin Grace. Ero curiosa di sapere se perlomeno avesse il diritto di darsi tante arie. In 0,24 secondi apparvero circa due milioni di risultati. Stando a quanto riportato sul web, avevo risposto acidamente nientemeno che al fondatore e amministratore delegato di una delle più ricche e attive società che operavano nel campo dell’informatica. Tutti i siti decantavano le doti di questo genio tecnologico, che aveva creato un vero e proprio impero finanziario partendo da zero.
Ogni articolo era corredato da numerose foto, in cui i suoi occhi stile fari allo xeno abbagliavano gli ignari navigatori della rete.
Dopo circa un’ora, il mio superiore mi convocò per comunicarmi la lista delle pratiche che avrei dovuto preparare in vista dell’imminente avvio del progetto fra la nostra società e la holding del tanto decantato Dott. Grace.
Appena entrata nell’ufficio, sentii suonare il suo telefono. Si alzò di scatto dalla sedia. «Grace.» Che tono perentorio. Si spostò verso la porta finestra e alzò il tono della voce. «Non mi interessano le vostre scuse. Voglio il programma operativo entro domani mezzogiorno. Non accetto deroghe. Altrimenti, potete anche prendere le vostre cose e andarvene.» Riappese senza neanche salutare. Doveva essere la regola, non l’eccezione. Si sedette e dette un’occhiata distratta al contratto che aveva di fronte. «Che cosa sarebbe questa sciocchezza della clausola a pagina cinque? Spero non vorrete prendermi in giro.»
Il mio direttore sembrava mortificato. «Si figuri Dott. Grace, non ci permetteremmo mai. Siamo lusingati dal fatto che lei abbia scelto la nostra società fra le tante candidature.»
Grace non sollevò neppure lo sguardo dai fogli. «Bene, si preoccupi di non farmene pentire.»
Questo era troppo: non potevo vedere maltrattare il mio adorato capo senza reagire. «Scusi se mi permetto Dott. Grace, potrebbe dirci qual è il problema?»
Alzò gli occhi stupefatto. «Devo ammettere che ha del fegato. Nessuno si permette di rispondermi a tono e lei è già la seconda volta che lo fa. Non sono abituato a dare spiegazioni; sono abituato a trattare con persone che dicono sì ad ogni mia richiesta.»
Sostenni il suo sguardo. «Non la sto ostacolando, glielo sto chiedendo perché ho suggerito io quella parte del contratto. Mi sembra insensato volerlo escludere a priori, solo perché non l’ha proposto lei. Mi spiace che lei non sia disponibile al dialogo, perché spesso dal confronto di idee possono uscire degli ottimi risultati.»
Allargò impercettibilmente le pupille. «E se io fossi già sicuro che la mia idea sia la migliore?»
«Allora non dovrebbe avere problemi a sostenere la sua tesi.»
Sibilò fra i denti. «La sua audacia mi sorprende, ma devo dire che è riuscita ad incuriosirmi. D’accordo, mi illustri la sua proposta.» Vittoria.
«Tanto non avrò problemi a dire che è inaccettabile.» Ti pareva.
Passai l’ora successiva a caldeggiare la mia ipotesi, mostrando grafici e ribattendo colpo su colpo a tutte le sue obiezioni. Lavorare con lui fu una vera sfida: si mostrò un osso duro, di una malcelata arroganza e di un altezzoso distacco. Dovevo però ammettere che tutti i giudizi lusinghieri che riguardavano la competenza erano fondati. Alla fine, arrivammo ad un compromesso che sembrava accettabile.
Mi lanciò una lunga occhiata e poi rilesse il contratto con aria indifferente. «Potrebbe essere un’alternativa interessante. Mi riservo di rifletterci assieme al mio ufficio legale e le darò conferma nei prossimi giorni. Ora trovo sia indispensabile visionare gli strumenti del vostro laboratorio per stabilire i prossimi steps.»
Vidi il mio capo rivolgergli uno sguardo mortificato. «Temo che ora non sia possibile, i ragazzi hanno già terminato l’orario di lavoro e sono in pausa pranzo.»
Grace sospirò scocciato e quindi proseguì. «D’accordo Dott. Santambrogio, direi allora di pranzare e proseguire al rientro.»
Dovetti intervenire. «Temo che nemmeno questo sia possibile. Dott. Santambrogio le ricordo che tra dieci minuti deve recarsi all’Università per assistere alla proclamazione della tesi di laurea di sua figlia.»
Aprì la bocca per la sorpresa. «Accidenti! Sono stato così assorbito da questo progetto che me ne ero dimenticato! Tesoro, sei un angelo. Accipicchia, mi sono dimenticato di comprarle dei fiori!»
«Non si preoccupi, ci ho pensato io. Troverà il bouquet in un vaso alla reception.»
«Sei impagabile. Mi scusi Dott. Grace, ho promesso a mia figlia che sarei stato presente. Le devo chiedere di proseguire la nostra discussione alla riapertura dei nostri uffici. Vuole che Emma le prenoti un ristorante qui vicino?»
Guardò con noncuranza lo schermo del suo cellulare. «Detesto pranzare da solo. Forse la sua efficientissima assistente potrebbe accompagnarmi.» Sbarrai gli occhi presa da un attacco di terrore.
Di contro, il viso del mio capo si illuminò. «La trovo un’idea magnifica. Cara, ti spiacerebbe farmi questo immenso favore? Te ne sarei grato. Mi sento molto in imbarazzo per la situazione che si è venuta a creare…»
Panico. Allo stato puro. Incrociai lo sguardo di Grace e tutti i miei neuroni si accordarono per un’ora d’aria. «Ecco, io, be', non… non mi sembra il caso…»
Mi rivolse un ghigno. «Incredibile, è la prima volta che non ha la risposta pronta.»
Lo fulminai con lo sguardo. «Temo di non essere abbastanza qualificata per sostenere una conversazione con un interlocutore del calibro del Dott. Grace.»
Il mio superiore non si diede per vinto. «Che sciocchezze! Sei la ragazza più intelligente e brillante che io conosca. Sono sicuro che sarai in grado di accompagnare il Dott. Grace a pranzo. L’hai già fatto con altri clienti con eccellenti risultati.»
Grace mi rivolse uno sguardo glaciale. «Si tratta solo di una colazione di lavoro, non di un test attitudinale.»
Guardai il mio direttore e colsi nei suoi occhi uno sguardo implorante. Sospirai. «D’accordo, lo faccio solo per permetterle di assistere alla cerimonia con serenità. Conoscendola, sarebbe altrimenti sulle spine per tutto il tempo.»
Il suo viso si rasserenò all’istante. «Grazie di cuore, Emma. Bene Dott. Grace, ci vediamo più tardi.»
Mi incamminai verso la mia scrivania, tallonata dall’ospite che mi era stato imposto. «Mi dica Dott. Grace, vuole darmi qualche indicazione riguardo al tipo di locale in cui vorrebbe andare?»
«Mi va bene tutto. Scelga lei, mi stupisca. Vediamo se riesce a trovare un locale alla mia altezza.»
«El dictator?» mi chiese sollevando l’angolo di un sopracciglio e della sua meravigliosa bocca.
«È lei che mi ha chiesto di scegliere un posto che la rappresentasse.» Entrai nel locale, non prima di aver colto un guizzo nei suoi occhi glaciali.
Non appena varcata la porta, il proprietario del ristorante, mi corse incontro e mi abbracciò con trasporto. «Hola guapa! È un po’ che non mi vieni a trovare!»
«Ciao Alex! Ti presento il Dott. Alvin Grace.»
«Benvenuto Dott. Grace.» Alex gli strinse la mano con vigore. «Aspetti, quel Dott. Grace? Accidenti, questa non me la sarei proprio aspettata. Venga, si accomodi, vi accompagno al nostro tavolo migliore.»
Li seguii stupefatta nel vedere il cambiamento di Alex da simpatico guascone a tappetino scendiletto non appena sentito il nome del mio accompagnatore. Allora era davvero famoso… possibile che io fossi l’unica sulla faccia della terra a non aver mai sentito pronunciare il suo nome?
La presa di coscienza dell’importanza di Alvin Grace procedeva in maniera direttamente proporzionale alla constatazione di quanto poteva risultare fuori luogo il mio atteggiamento indisponente.
Appena seduta, sollevai lo sguardo e vidi i suoi occhi fissi nei miei. Utilizzai il menù come scudo fra il mio viso (che stava diventando di un acceso rosso corrida) e il suo sguardo penetrante. Fingendo di leggere la lista dei piatti - che in realtà conoscevo a memoria-, riacquistai il controllo e decisi di interrompere il silenzio imbarazzante che si era instaurato dal momento del nostro ingresso al ristorante.
«Dott. Grace vorrei approfittare dell’occasione per porgerle le mie scuse. Penso che il mio comportamento non sia stato sempre adeguato alle circostanze.»
«Capisco.» E si rimise a leggere il menù.
Lo guardai a bocca aperta. «Capisce?»
«Capisco che sta recitando la sua parte di segretaria perfetta. Vorrei precisare che offende la mia intelligenza se pensa che un’assistente impertinente possa influenzare il mio giudizio su un progetto.»
Che stronzo. Mi era già passata la voglia di cambiare atteggiamento nei suoi confronti.
Alex ci portò delle tortillas con salsa di peperone servite su dei cucchiai di ceramica bianca. Grace assaporò lo stuzzichino. Subito dopo lo sentii esplodere. «Dannazione!»
Lo vidi scrutare con aria irosa la goccia rossa che spiccava nel centro della sua costosissima cravatta: sembrava volesse farla evaporare con il raggio di fuoco che usciva dai suoi occhi. Andai a costatare il danno: mi sporsi e mi sentii investire dal suo profumo super eccitante. Cercai di rimanere concentrata sulla macchia per non arrossire. «Forza, se la tolga. Vado a vedere se Alex ha uno smacchiatore.»
Grace si alzò, dominandomi con il suo fisico statuario. Con gesti lenti (e per quanto mi riguarda, terribilmente erotici) si sfilò la cravatta, senza staccare i suoi occhi dai miei. Con l’aiuto di Alex, riuscii a farla tornare come nuova. Tornai al tavolo e gliela porsi con aria trionfale. «Voilà!» Mi sussurrò un ringraziamento.
«Senza giacca e cravatta sembra più giovane.»
L’ombra di un sorriso. «Per questo mi vesto sempre in maniera impeccabile.»
Sollevai un sopracciglio. «Ha paura di non essere preso sul serio perché è troppo giovane?»
«Può darsi.»
«Quindi anche la sua aria arrogante serve per darsi un tono credibile?»
«Non l’avevo mai considerato sotto questo punto di vista, ma potrebbe essere.» Mi rivolse uno sguardo ironico. «Di solito funziona perché la gente ha paura di me. Ma lei no. Perché?»
«Le persone arroganti non mi fanno paura. Hanno solo l’effetto di indispormi.»
In quel momento arrivò Alejandro per le ordinazioni.
«Me gustarìa cochinillo y patatas a la Riojana. Y nos trae una botella de vino tinto. Confío en ti.»
Quando Alejandro si fu allontanato, decisi di indagare. «Caspita, parla benissimo lo spagnolo! Ha delle origini iberiche?»
«Ho vissuto cinque anni a Barcellona.»
E ricominciò a impossessarsi dei miei occhi mentre con l’indice si accarezzava distrattamente il labbro inferiore. «Bene, signorina, visto che dobbiamo in qualche modo riempire il silenzio, perché non trova un argomento di conversazione?»
«Lo farò solo a patto che mi chiami Emma. Detesto essere chiamata signorina.»
Alzò le spalle. «Non amo dare confidenza ai collaboratori di lavoro.»
Arrivò Alex con le bevande. «Emma, ti ho portato questo tovagliolo che s’intona alla perfezione con il tuo vestito di oggi. Lasciatelo dire, sei un vero splendore.» Arrossii. «Vedo che apprezza le lusinghe dei suoi ammiratori» disse il Dott. Grace.
«Cosa vuole, sono sensibile verso chi ha l’ardire di chiamarmi per nome.»
Scoppiò in una sonora risata. «Hai vinto tu. Emma.» Sentire il mio nome uscire dalle sue incantevoli labbra fece partire una scarica che fece la gimkana fra le mie vertebre.
Mi guardò con occhi divertiti. «Anzi, visto che non ho voglia di sorbirmi un pranzo condito con frasi di circostanza e silenzi imbarazzanti, facciamo così: ora usciamo dai nostri ruoli e facciamo finta di essere due colleghi di lavoro che pranzano insieme.» Assunse una posizione più rilassata sulla sedia.
Questa poi… «Non so se sarò in grado di uscire dal mio personaggio.»
«Hai paura che vada a presentare formale reclamo al tuo superiore?»
Tossicchiai imbarazzata. «Più che altro, ho paura di lasciarmi sfuggire qualcosa di imbarazzante.»
«Vuoi sottoscrivere un accordo di riservatezza?» Mi guardò divertito. «Ti sentiresti più a tuo agio se ti dicessi che i dati da te forniti saranno trattati, nei limiti della normativa sulla privacy, solo per le finalità legate a questo pranzo?» A questo punto, anche io non riuscii a impedire alle mie labbra di curvarsi.
«Bene. Ora perché non mi parli un po’ di te?»
«Non penso sia il caso.»
«Perché?»
«Perché penso che potresti ridere di fronte al racconto della banale vita di una semplice segretaria rispetto alla tua vita di uomo di successo.»
«Ti prometto che non riderò.»
«E che non penserai che sono ridicola.»
«Questo dipenderà da cosa mi racconti.»
«Spiritoso!» risposi con una caricatura di aria da arrabbiata. «Va bene, se ci tieni tanto a fare un tuffo nella vita borghese di provincia, ti accontento. Lavoro da due anni alla B-come, vivo in un monolocale sui Navigli, mi piace viaggiare, leggere, andare al cinema e vedere le partite con i miei amici.»
«La partite?»
«Sì, il calcio è sempre stata una mia grande passione. Fino all’anno scorso ero abbonata allo stadio. Poi ci sono stati un po’ di – diciamo – cambiamenti nella mia vita e quest’anno ho deciso di non rinnovare la tessera. Io e i miei amici abbiamo quindi ricreato l’ambiente dello stadio a casa mia: quando il Milan gioca in notturna, ci troviamo tutti insieme, mangiando cibo take-away seduti sul tappeto.» Mi fermai e cercai di trovare nel suo viso il segno di una qualche reazione.
Lui rimase impassibile. «Il calcio non è una passione prettamente femminile.»
Alzai le spalle. «La mia dipende dal fatto che sono cresciuta circondata da amici maschi.»
«Non mi dire. Un membro del club delle illuse che credono che possa esistere l’amicizia fra uomo e donna.»
Risposi con lo stesso tono sarcastico. «Non mi dire. Un membro del club dei patetici che credono che i maschi diventino amici delle femmine solo per provarci.»
«Vuoi farmi credere che i tuoi amici non ci hanno mai provato con te?»
«Invece è proprio così. Anche perché ti assicuro che nell’età adolescenziale ero un vero e proprio brutto anatroccolo.»
«E cosa è successo quando le piume nere sono cadute?»
«Be', a un certo punto uno pseudo cigno bianco ha spiccato un traballante volo di ricognizione. Come in ogni favola che si rispetti, il primo ragazzo che mi ha concesso un minimo di attenzione è stato eletto «principe azzurro» e la mia vita si è incanalata in un rassicurante binario unidirezionale in cui tutto scorreva placido e senza scossoni. Anche la convivenza a un certo punto è diventata un passo quasi scontato.»
Perché mi ero messa a raccontare tutte quelle cose? Per fortuna, mi ero fermata prima di precisare la fine burrascosa della mia storia. «Come vedi, tutto abbastanza ordinario. Ora perché ora non mi parli un po’ di te?»
«Perché tutti parlano di me già a sufficienza. Pensavo che avessi già reperito tutto quello che ti serviva sapere.»
Lo guardai con aria colpevole. «Ti posso confidare una cosa senza che ti arrabbi?» Mi fece con le mani il gesto di proseguire. «Fino a stamattina non sapevo neanche chi fossi.»
«Non sono arrabbiato, sono sorpreso. Mi stupisce che una collaboratrice efficiente come te non abbia fatto ricerche approfondite sull’ospite atteso dal suo direttore.»
«In effetti, ho rimediato appena uscita dall’ufficio, navigando sul web.»
I suoi occhi assunsero un tono divertito. «Cosa hai scoperto?»
«Che dall’altra parte della parete sedeva nientemeno che un guru della new economy, a capo di un impero finanziario.»
«Mi aspettavo da te un’analisi meno banale.»
«In realtà pensavo di interfacciarmi solo con lo spietato manager multimilionario. Se avessi pensato di dover entrare in contatto anche con il tuo lato umano, sarei andata in cerca di notizie anche su una pagina di gossip.»
«Non avresti trovato granché. Non amo rendere pubblico il mio privato. Tutto quello che trapela, è frutto di foto rubate o di falsi pettegolezzi.»
«Messaggio ricevuto. Ho capito che non hai intenzione di farmi fare un giro nell’intensissima vita sociale di un uomo di successo.»
«Me lo chiedi solo per dovere di conversazione?»
Alzai gli occhi al cielo. «Per dovere di conversazione ti avrei chiesto se credi che il bel tempo durerà o cosa ne pensi della mancanza di parcheggi a Milano.»
«Scusa, ma non sono abituato a parlare con persone che mi pongono domande personali senza avere