Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La Figlia del Barone: Le figlie, #2
La Figlia del Barone: Le figlie, #2
La Figlia del Barone: Le figlie, #2
E-book389 pagine5 ore

La Figlia del Barone: Le figlie, #2

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Norman O'Brian ha un solo obiettivo: diventare ispettore di Scotland Yard.

Ma tutto cambia il giorno in cui conosce Hope. Nonostante il loro sia un incontro piuttosto imbarazzante, Norman ne rimane così ammaliato che da quel momento la sua unica meta diventa quella di conquistarla. Ma non sarà facile raggiungere il cuore di una donna che non crede nell'amore perché tutti i suoi pretendenti l'hanno sempre considerata come un semplice mezzo per arricchirsi: quando si tratta di trovare il vero amore, per Hope il fatto di essere la figlia di lord Sheiton è sempre stato un ostacolo piuttosto che un vantaggio.

 

Eppure il destino sta per dimostrare alla ragazza che i sentimenti di Norman sono autentici…

 

Lord Davies costringe Hope a vivere una situazione terribile, che le farà scoprire che l'amore di O'Brian è sincero e che insieme a lui potrà sentirsi sempre protetta e amata.

LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2024
ISBN9798224577675
La Figlia del Barone: Le figlie, #2

Leggi altro di Dama Beltrán

Autori correlati

Correlato a La Figlia del Barone

Titoli di questa serie (3)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La Figlia del Barone

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La Figlia del Barone - Dama Beltrán

    Prologo

    Londra, 5 gennaio 1885

    Quando vide Tricia sollevarsi la gonna del vestito rosa e correre verso il lago Serpentine, in mezzo a Hyde Park, lady Hope fece il possibile per mantenere la calma. Era la decima volta che Tricia si comportava in quel modo impulsivo da quando erano uscite dalla residenza dei Rutland. Ora capiva perché sua zia Beatrice le aveva chiesto così gentilmente di occuparsi di sua figlia quel pomeriggio. Come avrebbe potuto comprare tutto ciò che la giglia maggiore in compagnia di quel terremoto? Distolse lo sguardo dalla cugina e osservò la sua dama di compagnia. La vide così esausta, con le gote non più rosa ma grigiastre, che provò una grande compassione per lei. Mentre pensava a come calmare il comportamento di Tricia fino a quando non fossero tornate a casa, mise la mano sinistra nella borsetta di seta e prese una mentina. La caramella non avrebbe alleviato la fatica di quella brava donna, ma lo zucchero le avrebbe dato l’energia necessaria per sopportare ancora per un po’ quella tortura.

    «Vi ringrazio, lady Hope. Siete angelo sceso dal Cielo» disse, accettando lo zuccherino.

    «È il minimo che posso fare, signora Johnson. È colpa mia se la vostra mattinata è diventata un supplizio» affermò Hope mentre indicava una panchina dove la donna spossata si sarebbe potuta sedere per qualche minuto.

    «Vi garantisco che da quando è nata lady Tricia tutte le mie giornate sono un supplizio» osservò sorridente mentre si sedeva. «Ma non prendetela come una lamentela, anzi! Vederla così sana mi rende davvero felice. Ricordo ancora la tristezza che ci ha colti quando il medico che l’aveva visitata informò i signori che non avrebbe più potuto camminare. Per fortuna, però, è successo un miracolo e adesso, come potete vedere, non solo cammina, ma corre come un levriero.»

    «Ha la stessa forza di mio zio» osservò Hope, volgendo lo sguardo verso la cugina.

    «E la grinta di Lady Rutland» affermò la dama di compagnia, che quindi si mise la caramella in bocca.

    Le due osservarono Tricia in silenzio. Camminava lungo la riva del lago, come se stesse cercando il punto giusto per tuffarsi in acqua. D’un tratto si girò verso il molo, vide che una coppia aveva appena lasciato libera una barca e si affrettò a raggiungerla, momento in cui riemerse tutta la preoccupazione di Hope.

    «Se siete d’accordo, mentre voi recuperate le forze andrò a vedere cosa le è venuto in mente di fare stavolta.»

    «Per favore, se insiste nel voler salire su quella barchetta, non glielo permettete… Lady Tricia potrebbe raffreddarsi con l’umidità del lago» le disse, preoccupata.

    «Non vi preoccupate, farò il possibile per evitarlo» promise Hope, che quindi si incamminò verso il punto in cui si trovava sua cugina, che stava parlando in modo concitato con un lavoratore addetto al molo.

    Elegante, educata, riservata, distinta, timida: questi erano gli aggettivi con cui tutti descrivevano Hope. Ma fin dal primo minuto di quella passeggiata insieme a Tricia, i suoi passi non erano stati misurati e sicuri, bensì lunghi e vacillanti; non aveva dimostrato nemmeno un briciolo di educazione ed eleganza, anzi, aveva urlato come una pescivendola per evitare che sua cugina portasse a compimento i suoi propositi.

    Com’era possibile che gli zii non cercassero di frenare il carattere selvaggio della loro figlia? Non temevano per il suo futuro? Lei sì, tanto che aveva pregato innumerevoli volte di non imbattersi in nessun conoscente durante la passeggiata. Fino a quel momento le sue preghiere erano state esaudite. Alla sua età non era opportuno che qualcuno la sorprendesse a comportarsi in modo sconsiderato. Che tipo di uomo avrebbe osato corteggiarla quando si fosse sparsa la voce di un suo possibile disturbo mentale? Nessuno che fosse armato di buone intenzioni, era chiaro. Le si sarebbero avvicinati solo i gentiluomini alla disperata ricerca del prestigio che avrebbe conferito loro la sua famiglia e di un futuro prospero, possibile grazie ai contatti di suo padre.

    «Meno male che siete venuta!» esclamò Tricia quando Hope la raggiunse.

    Hope adottò un contegno sereno e rispettabile e si rivolse all’addetto al molo: «Cosa c’è?»

    «Vostra figlia insiste per noleggiare una barca e navigare da sola. Le ho spiegato che non è possibile, ma come vedete non mi dà retta» spiegò il buon uomo, che, aggrappato a una fune della barca, tirava forte per far mollare la presa a Tricia.

    «La mia… cosa?» chiese Hope, così sbalordita che impallidì. Sembrava davvero così vecchia? Se non ricordava male, quand’era uscita di casa aveva ancora un volto giovanile. Sembrava proprio che il supplizio infertole da Tricia l’avesse fatta invecchiare.

    «È mia cugina, testa di rapa!» strillò la ragazzina, che continuava ad afferrare la corda della barca. «E rivolgetevi a noi con il dovuto rispetto! State parlando con la figlia del barone di Sheiton e la figlia minore del duca di Rutland.»

    Quando la udì pronunciare quelle parole, Hope desiderò che la terra si aprisse e la inghiottisse. Possibile che, nonostante avesse già compiuto sedici anni, non sapesse cos’era la discrezione? Non si rendeva conto che il suo comportamento poteva creare problemi a entrambi i loro padri? Fu colta da un terribile imbarazzo e si sentì avvampare dalla punta delle dita dei piedi fino alla fronte. La vergogna e l’esasperazione erano giunte al culmine. Mai in vita sua si era trovata in una situazione così imbarazzante!

    «Vi chiedo scusa per il comportamento di mia cugina» disse Hope, cercando di mantenere la calma, mentre prendeva qualche moneta dalla reticella. «Spero che basti per placare la collera e il dispiacere che vi ha causato» aggiunse, mostrando sul palmo della mano sinistra ciò che aveva preso.

    Tricia si girò lentamente verso di lei. Il suo volto esprimeva collera e sorpresa; non capiva infatti perché mai Hope volesse pagare un uomo che l’aveva trattata in modo scortese. Nel frattempo, l’addetto al molo sorrise soddisfatto e accettò di buon grado le monete, ma non allentò la presa sulla fune, anzi, continuò a stringerla forte perché neanche Tricia sembrava lasciarla andare.

    «Tricia, per favore, andiamocene subito. Ti prometto che faremo qualsiasi altra cosa tu voglia» disse Hope sottovoce, in modo che le persone prossime a loro non potessero sentirla.

    «Assolutamente no! Non lo hai pagato per il servizio? Beh, è proprio quello che voglio in questo momento!»

    «Non sono la persona più indicata per darvi un consiglio, ma come voi stessa potete constatare, questa giovinetta ha bisogno di un paio di schiaffi per correggere la sua abominevole condotta. Se è vero che è la figlia del duca di Rutland, Sua Grazia non dev’essere molto soddisfatto del carattere della sua prole.»

    Hope intervenne prontamente e cinse la vita di sua cugina prima che gli saltasse addosso. Quando Tricia iniziò a scalciare con l’intenzione di colpirlo, i passanti si girarono tutti verso di loro. Imbarazzata e arrabbiata per lo scandalo che stavano creando, Hope strinse i denti, si girò e andò verso la panchina dove le aspettava la signora Johnson, con il viso incollato alla schiena di sua cugina.

    «Lasciami andare! Devo picchiarlo! Chi si crede di essere per parlarmi in quel modo? Metterò in pratica con quello stupido tutto quello che mi ha insegnato Evah!»

    «Adesso basta!» gridò Hope quando la lasciò andare. La fece girare e le posò le mani sulle spalle per guardarla in faccia. «Non ti rendi conto di quello che stai facendo? Guardati intorno, guarda cos’hai combinato! Cosa penseranno di noi? Quali voci si diffonderanno se qualcuno scopre chi siamo?

    «Non mi interessa cosa pensa la gente di me. L’unica cosa che m’importa è che quell’uomo non è stato educato e che tu, solo perché ti vergogni di me, gli hai dato tutti i tuoi soldi» borbottò.

    «A volte, per emergere vittoriosi da una situazione, bisogna accettare di perdere qualcosa. Adesso, però, se riusciamo ad allontanarci da qui senza fare un altro scandalo, la considererò una perdita insignificante» spiegò a bassa voce per non farsi sentire dagli altri.

    «Hope, a volte non riesco proprio a capirti. Perché sei così timida? Di cosa hai paura?»

    «Conoscerai la risposta quando avrai la mia età.» Hope la afferrò e la tirò per il polso destro.

    «Devi cambiare questo tuo carattere!» insisté Tricia a gran voce. «Dovresti imparare da Josephine! Le è mai importato cosa gli altri pensano di lei? No! E neanche ad Eric. Ma… chi si innamorerà mai di una donna che non è capace di ridere in pubblico per paura che il suo riso sia scandaloso?»

    «Sei troppo giovane per comprendere perché mi comporto così» mormorò Hope senza frenare il passo.

    «Ho sedici anni! Sono abbastanza grande per sapere che se vai avanti così diventerai una vecchia acida!»

    «Una vecchia acida? Quando hai…» fece per chiedere Hope, che però non poté concludere la domanda, ammutolita di colpo da un’intensa fitta al braccio sinistro.

    D’un tratto il suo corpo barcollò verso sinistra. L’orlo del vestito si impigliò tra le punte degli stivaletti a causa di quel movimento brusco e inaspettato, dopodiché Hope vide che i tronchi degli alberi smettevano di essere dritti e si inclinavano nella direzione contraria a quella in cui cadeva. Il lago aveva preso addirittura il posto del cielo! Cosa succedeva? A cosa si doveva quel dolore? Su cos’era inciampata? Spaventata, chiuse gli occhi e non li riaprì finché non si sentì adagiata su qualcosa di morbido e tiepido. Quando le sue palpebre si schiusero, di fronte a sé vide il volto di un uomo. I suoi occhi verdi la osservavano così incolleriti che non seppe come reagire. Chi era lui, e come mai lei era finita addosso a un estraneo in mezzo a Hyde Park?

    «Da quando ci è stato comunicato che sarai il prossimo ispettore di Scotland Yard, il tuo carattere è diventato ostile e le tue parole stillano odio.»

    «Il mio carattere è sempre stato ostile e le mie parole non sono mai state dolci» rispose Norman O’Brian, con lo sguardo rivolto in avanti.

    Quel pomeriggio, quando il suo amico e collega Oliver gli aveva proposto di sorvegliare e proteggere Hyde Park, aveva accettato immediatamente. Era il posto perfetto dove scippatori e truffatori avrebbero potuto commettere furti o scatenare risse violente. Desiderava che durante la sua ronda ce ne fosse un centinaio di ciascun tipo, solo così sarebbe riuscito a calmare la collera che lo pervadeva da quando gli avevano annunciato che presto non sarebbe più stato un agente comune.

    «Se non sei d’accordo, rifiuta il posto. Sono sicuro che il signor Hill non ci metterà molto a trovare un altro candidato che soddisfi le sue aspettative» insisté Oliver.

    «Non lo rifiuterò. Come sai bene, diventare ispettore è proprio il motivo per cui sono entrato a Scotland Yard» affermò O ‘Brian, fermandosi di colpo. «Credo, però, che non sia il momento appropriato per accettare.»

    «Ah no?» Oliver lo guardò con stupore.

    «No» ribadì lui prima di riprendere a camminare.

    «E perché?»

    «Perché non ho ancora risolto il caso a cui sto lavorando da due mesi» gli spiegò aggrottando la fronte.

    «Nessuno rimarrà sorpreso se continuerai le indagini anche dopo la promozione. Ti ricordo che non saresti né il primo né l’ultimo capo ad avere una poltrona senza restarci seduto per cinque minuti di fila.»

    Norman si portò le mani dietro la schiena e ricordò come suo padre aveva svolto quello stesso lavoro prima di dirigere le imprese di suo nonno. Era vero che non rimaneva mai in ufficio per più di venti minuti e che aveva chiuso molti casi importanti grazie al potere sociale che gli conferiva la sua posizione. Ma a lui quella parte del suo futuro lavoro non piaceva affatto. Il suo carattere scontroso non era appropriato per presiedere a cene, riunioni, addirittura feste! Preferiva affrontare un criminale armato piuttosto che sorridere e ballare un valzer!

    «Cos’hai scoperto finora?» chiese Oliver, dopo un momento di silenzio che si era protratto fin troppo.

    «Le uniche prove che ho trovato sono inattendibili, ma tutto sembra indicare che i sequestri sono stati commessi da una donna. Quello che mi chiedo è come ha fatto a non farsi scoprire.»

    «Secondo me, hai di fronte due possibilità. La prima, ipotizzare che le ragazze conoscessero il rapitore e se ne siano andate di loro spontanea volontà. La seconda, che entrambe siano state sedate e quindi rapite.»

    «E il movente? E che rapporto c’era tra di loro? È stata davvero una donna o è stato un uomo travestito?»

    «Troppe incognite…» ammise Oliver.

    «Te l’ho detto, non è il momento migliore per una promozione» ribadì O’Brian.

    Due quindicenni erano sparite da casa durante la stessa notte. Nessuno ne sapeva nulla. Le rispettive famiglie non sapevano cosa dire dei giorni immediatamente precedenti la scomparsa. Sul tavolo non aveva che ipotesi e questo gli produceva un enorme stress e lo stress, a sua volta, peggiorava il suo carattere, già acido di per sé.

    «Non preoccuparti, Norman, sono sicuro che prima o poi scoprirai chi è stato a portarle via. E poi, è superfluo aggiungere che puoi sempre contare sul mio aiuto in caso di bisogno. Anche se diventerai il mio capo, la nostra amicizia continuerà» disse dandogli una pacca sulla schiena.

    «Se non continuasse, ti licenzierei in tronco» rispose lui.

    «Se non ti conoscessi, penserei che stai scherzando» osservò Oliver, che quindi rivolse l’attenzione verso ciò che stava succedendo di fronte a loro.

    «Sai che io non scherzo mai» affermò O’Brian, lo sguardo fisso su dove stava guardando l’amico.

    Rimasero immobili, l’attenzione concentrata sulle due donne. Prima di dirigersi verso di loro dovevano confermare che non si trattasse dell’ennesima sceneggiata di una compagnia teatrale a caccia di spettatori per la funzione serale. Non sarebbe stata la prima volta che dei poliziotti interrompevano degli attori, convinti che i fatti che si svolgevano davanti ai loro occhi fossero veri, per poi subire infinite prese in giro da parte dei colleghi. Ma non appena furono sicuri che la situazione fosse reale, i due corsero verso le due donne. Il primo a raggiungerle fu Norman, che senza pensarci due volte prese la donna bionda per un braccio e, prima che si voltasse verso di lui, la strattonò forte per farle mollare la presa sulla ragazza mora. Il movimento brusco e l’effetto sorpresa fecero ruzzolare entrambi per terra.

    Norman si arrabbiò, non tanto per la situazione disdicevole in cui si trovava, bensì per la confusione e l’innocenza che vide negli occhi della ragazza quando li riaprì. Naturalmente non si lasciò ingannare da quelle emozioni. Quante donne, appena arrestate, avevano proclamato la propria innocenza e poi erano risultate colpevoli di fatti atroci? Da quando era entrato nel corpo di polizia, ne aveva conosciute parecchie. Per questo, quando la ragazza appoggiò le mani per terra per rialzarsi, lui l’afferrò per i polsi, la sollevò e in un baleno scattò in piedi e la stese sul prato, a faccia in giù. In quel momento concitato, non badò all’abbigliamento di lei, né alle iniziali ricamate sui suoi guanti di seta. Pensò soltanto a tenerle saldamente le mani dietro la schiena e ad appoggiare il ginocchio destro sui suoi glutei.

    «Signorina, state bene?» chiese Norman a Tricia una volta immobilizzata la presunta sequestratrice.

    «Sì… sì» rispose la giovane, che fissava l’altra donna con occhi sbalorditi e spaventati.

    «Adesso potete stare tranquilla, pericolo scampato» insisté O’Brian, con un tono rude ma conciliatorio.

    «Se lo dite voi…»

    «Lasciatemi! Come osate toccarmi?» strillò l’altra donna non appena recuperò la prontezza di spirito.

    Norman chinò la testa, avvicinò la bocca al suo orecchio e mormorò: «State ferma se non volete che vi stringa le mani così forte da farle diventare viola per la mancanza di circolazione».

    «Santo Cielo!» esclamò una persona che si era avvicinata per vedere cosa stava succedendo. «È una ladra? Signorina, ha cercato di rapinarvi?» aggiunse, rivolgendosi a Tricia.

    «A dire il vero no, non mi ha rubato niente. Il suo unico peccato è stato quello di non permettermi di salire sulla barca e aver pagato un ricatto, per il resto non ho di che lamentarmi.»

    «Scusate, signorina» intervenne Oliver, avvicinandosi a Tricia. «Questa donna non ha cercato di sequestrarvi?»

    «Beh, in un certo senso sì. Voleva portarmi da un’altra parte contro la mia volontà; pero non lo definirei un sequestro, diciamo piuttosto una ritirata forzata» spiegò serissima.

    «Tricia Manners! Giuro che vi ammazzo!» urlò la donna a terra quando udì quelle parole.

    «Non dovete parlare e neanche muovervi. Se non fate come dico, vi sbatterò in cella per un bel po’ per intralcio alla giustizia» ordinò Norman, con voce minacciosa.

    «Liberate immediatamente lady Hope!» strillò una donna appena li raggiunse. «Come vi viene in mente di fare una cosa del genere alla signorina Cooper? Suo padre è il barone di Sheiton!» aggiunse mentre picchiava Norman in testa. «Toglietevi di mezzo! Allontanatevi da lei, somaro!»

    «O’Brian! Hai sentito?» chiese Oliver quando riuscì a ingoiare il nodo che gli aveva chiuso la gola.

    «Lei è lady Cooper?» chiese senza però mollare la presa, come se non fosse troppo convinto.

    «Certo che è lei!» insisté la donna accorsa in aiuto.

    «Signor agente, vi confesso che io sono Tricia Manners, figlia del duca di Rutland, e che la donna che avete steso a faccia in giù è la figlia del barone di Sheiton, che conoscerete meglio con il titolo di giudice» intervenne Tricia quando notò che iniziava a esserci un po’ troppa gente intorno a loro e che sua cugina non avrebbe potuto sopportare l’imbarazzo prodotto da quella situazione.

    «Vi ho detto di allontanarsi da lei!» tuonò la dama di compagnia mentre lo strattonava.

    Il mormorio dei passanti diventava sempre più forte. Il canto degli uccelli quasi non si sentiva più. Le fronde degli alberi ondeggiavano al ritmo della brezza. Le coppie di innamorati continuavano a solcare il lago sulle loro barchette. Sembrava un giorno normalissimo, ma i protagonisti di quel malinteso, circondati dai passanti curiosi, non lo avrebbero certo definito tale.

    Tricia non aveva mai immaginato di vivere un’avventura del genere con la sua noiosissima cugina. Hope non aveva mai pensato che un giorno si sarebbe ritrovata distesa con la faccia per terra a causa di un malinteso. La signora Johnson stava per svenire.

    «Ehi, Norman…» disse Oliver, vedendo che non riusciva a reagire.

    «Signori agenti, cosa succede?» chiese uno dei passanti che si erano avvicinati a guardare.

    O’Brian distolse lo sguardo dalla schiena di Hope e lo rivolse verso gli estranei che si erano ammucchiati per curiosare. La sua mente acuta iniziò a elaborare un centinaio di idee per togliersi d’impiccio, ma non sarebbe stato facile nascondere l’identità della figlia di Sheiton, né evitare uno scandalo.

    «Seguite le mie istruzioni, solo così potrò aiutarvi a uscire a testa alta da questo disastro» sussurrò a Hope.

    La giovane donna non rispose, sembrava aver perso i sensi a causa del terribile imbarazzo. Ma Norman sapeva che era presente e che l’aveva ascoltato. Senza perdere altro tempo, appoggiò le ginocchia per terra e si tolse il cappotto, con cui le coprì la testa e gran parte del corpo. Infilò quindi una mano sotto il cappotto, cercando quella di lei, e quando le loro mani si incontrarono, lui si alzò e la aiutò a fare altrettanto. Prima che i curiosi potessero vedere la faccia della ragazza, O’Brian la coprì, le posò un braccio sulle spalle, come per proteggerla, e la invitò a camminare verso l’uscita del parco.

    «Vai sulla strada e cerca una carrozza a noleggio!» ordinò a Oliver, che camminava dietro di lui insieme a Tricia e alla dama di compagnia. Il collega obbedì in meno di un secondo: la situazione esigeva di essere rapidi ed efficaci.

    Mentre i quattro si dirigevano verso l’uscita, cercò un paio di frasi per scusarsi, ma non ne pronunciò nessuna. Era così confuso e preoccupato che era rimasto senza parole. La sua disperazione aumentò quando si accorse che la ragazza non smetteva di tremare. Era davvero così ossessionato da quel caso che aveva dato per scontato di trovarsi dinanzi a un sequestro anziché chiedersi se non si trattava di un semplice diverbio familiare? Quali sarebbero state le conseguenze nel futuro immediato? Cos’avrebbe fatto il giudice Sheiton una volta scoperto cos’aveva appena fatto a sua figlia?

    «Hope, non vi preoccupate. Non ci guarda nessuno» disse Tricia non appena si lasciarono alle spalle il parco e la folla.

    «Santo Cielo! Che situazione imbarazzante!» continuava a ripetere la dama di compagnia.

    Norman non riusciva ancora a parlare e si limitò a proteggere la figlia del barone con il proprio corpo. Non tirò un sospiro di sollievo nemmeno quando vide Oliver tornare con una carrozza, né riuscì ad alleviare l’ansia nel vedere la ragazza e la dama di compagnia salirvi e chiudere le tendine per proteggere l’identità di lady Hope.

    «Tenete pure il cappotto» disse O’Brian quando lady Hope si accinse a toglierselo. «Potete buttarlo via, o bruciarlo.»

    Hope non rispose e, con la testa nascosta sotto al cappotto, salì lentamente in carrozza. Fu Oliver a chiudere lo sportello e ordinare al cocchiere di portare le tre donne a casa degli Sheiton.

    «Spero che quest’incidente non ti crei troppi problemi, ma mi sa che il giudice Sheiton verrà a Scotland Yard a chiedere di te» disse Oliver a Norman, che continuava a fissare la carrozza.

    «Non andrò di certo a nascondermi. Lo affronterò e accetterò le conseguenze» affermò lui risoluto prima di voltarsi e incamminarsi verso la stazione di polizia.

    I

    Londra, 15 gennaio 1885

    Hope si allontanò dalla finestra e andò alla toeletta. Quando vide le valigie per terra, si ricordò che sua madre aveva insistito affinché fossero pronte prima della colazione. In realtà i bagagli erano pronti già dalla sera prima, ma non aveva detto niente perché quella mattina aveva delle cose importanti da fare. Tuttavia, le ore passavano e lui non si faceva vedere. Le sarebbe piaciuto incontrarlo prima di partire per Haddon Hall. Come d’abitudine, le cinque famiglie si accingevano a recarsi nella villa di campagna per trascorrervi insieme le festività di Natale e Capodanno. Nella pace di quel posto, gli zii e suo padre avrebbero discusso di alcuni contratti che avevano in mente di concludere, mentre le loro mogli e le loro figlie si sarebbero prese un po’ di riposo dall’intensa vita londinese. Tutto ciò significava che non sarebbero tornati prima di metà gennaio…

    Si sedette sullo sgabello e si guardò allo specchio. Constatando che tutto era calmo e tranquillo, il suo volto recuperò la serenità. Forse la decisione tempestiva del poliziotto era stata cruciale per evitare che i giornali menzionassero ciò che era accaduto in Hyde Park. Ricordò l’istante in cui le si era scagliato addosso e si sfiorò le guance. La confusione che aveva sentito in quel momento l’aveva intontita. E la voce con cui l’aveva minacciata le aveva paralizzato il cuore. Non le era sembrata affatto eccitante, anzi! Quel tono severo e crudele non le era piaciuto affatto. Eppure, tralasciando quella sensazione sgradevole, era consapevole del fatto che il poliziotto aveva agito semplicemente con l’audacia di chi cerca di fare giustizia. Sequestrare Tricia? Quello sì che le era parso divertente. L’unica cosa che voleva era portarla via da lì per evitare uno scandalo e invece per poco non ne aveva fatto uno lei, e dieci volte maggiore.

    Nella stanza entrò una cameriera e le disse: «Lady Hope, vostra madre insiste, dice che dovete scendere.»

    Hope si alzò e fissò l’armadio. Il cappotto era ancora lì, lavato e asciugato. «Potete buttarlo via, o bruciarlo» le aveva detto. Le parole del poliziotto sembravano sincere, ma Hope non aveva voluto scegliere nessuna di quelle due opzioni. Nonostante lo sgomento, l’aveva comunque aiutata. Chiunque altro le avrebbe chiesto scusa e se ne sarebbe andato, abbandonandola al suo destino. Lui no. Aveva cercato velocemente un modo per proteggerla e tenerla al sicuro. «È il dovere di qualsiasi bravo poliziotto» si diceva ogni volta che ricordava il momento in cui l’aveva coperta con il cappotto e l’aveva stretta a sé per proteggerla dagli sguardi indiscreti.

    «Potete portare giù i bagagli e dirle che sarò pronta tra dieci minuti?» chiese Hope.

    «Certo» rispose la cameriera, affrettandosi a eseguire i suoi ordini.

    Una volta sola, Hope andò al guardaroba, prese il lungo cappotto nero e lo stese sul copriletto. Constatò per l’ennesima volta che non vi era rimasta una sola macchia. Poi fece un passo indietro, incrociò le braccia e continuò a osservarlo. Peccato non poterglielo restituire di persona; le sarebbe piaciuto parlare con lui per spiegargli la scusa che aveva dovuto fornire ai suoi genitori quando l’avevano vista tornare a casa in disordine, per di più coperta da un capo maschile. Ma la fretta di partire di sua madre le impediva di farlo. D’un tratto le venne in mente un modo per fargli pervenire quelle informazioni. Andò velocemente al piccolo scrittoio sotto la finestra e prese un foglio di carta. Si sedette e, penna in mano, pensò a cos’avrebbe potuto scrivere. Non voleva che le sue parole sembrassero taglienti, né che potessero essere mal interpretate. Desiderava semplicemente esprimergli la sua gratitudine e dirgli di non preoccuparsi per il lavoro che aveva svolto. Ricordò la paura che era trapelata dalla voce del secondo agente quando aveva scoperto chi era e sorrise. Ah, suo padre e la sua fama di giudice severo… Per la sua famiglia era sempre stato un bene, nessuno infatti voleva creare problemi ai parenti di un uomo così potente. Tuttavia, in quell’occasione Hope non voleva che qualcuno di loro pensasse che il posto di lavoro fosse in pericolo. Anzi! Dopo averla ascoltata, suo padre le aveva promesso che sarebbe andato a trovare quel poliziotto per ringraziarlo, ma lei temeva invece che, quando gli fosse stato detto di incontrarsi con il giudice, il poliziotto avrebbe immaginato tutte le cose brutte che gli sarebbero potute capitare e non che avrebbe ricevuto un ringraziamento.

    Col sorriso sulle labbra, si accinse a scrivere. Sperava che la sua proposta di comportarsi come due perfetti estranei se mai si fossero incontrati di nuovo in futuro venisse accettata. Non avrebbe giovato solo a lui, ma anche a lei. Non era opportuno che parlassero come conoscenti davanti ad altre persone; un atteggiamento poco distaccato avrebbe potuto dare luogo a nuovi malintesi e, considerato che di lì a poco sarebbe stata presentata in società per cercare marito, sarebbe stato un ostacolo in più da aggiungere alla sua già lunga lista.

    Una volta conclusa e firmata la lettera, aspettò che l’inchiostro si asciugasse e quindi piegò il foglio in otto. Non voleva che la cameriera, alla quale avrebbe detto di restituire il cappotto all’agente qualora fosse passato di lì, scoprisse cos’aveva infilato in tasca. Si alzò dalla sedia e corse a prendere il cappotto, quando udì dei passi avvicinarsi alla sua camera. Con il cuore sottosopra, come se stesse commettendo un grave peccato, nascose il biglietto e lisciò il cappotto con le mani.

    «Vostra madre insiste che scendiate.»

    «Vado subito» rispose, girandosi verso di lei. «Signorina Park, potreste farmi un favore?»

    «Naturalmente.»

    «Avrei bisogno che consegnaste questo cappotto al suo proprietario. Mi ha detto che sarebbe passato oggi, ma non so bene a che ora verrà. Potete darglielo voi?»

    «Ricordate come si chiama?»

    «No. Come capirete, dopo quella terribile caduta non ho pensato ad altro che a uscire da quella situazione a testa alta.»

    «Capisco. Ma almeno lo avete sentito dire che sarebbe venuto a prenderlo oggi?» volle confermare.

    «Sì, questo sì, perché lo ha detto appena prima di farmi salire in carrozza» rispose, senza badare all’insistenza della cameriera. «Per favore, ditegli che è stato lavato e che può anche indossarlo immediatamente» aggiunse quando si fermò davanti alla toeletta e prese un barattolino di pomata. Per il momento non ne aveva bisogno, dato che i lividi e i dolori erano spariti, ma voleva comunque portarlo con sé a Haddon Hall qualora avesse dovuto usarlo durante il soggiorno.

    «Non vi preoccupate, aspetterò l’arrivo del signore e glielo restituirò» rispose decisa

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1