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In fuga con il conte: Harmony History
In fuga con il conte: Harmony History
In fuga con il conte: Harmony History
E-book235 pagine6 ore

In fuga con il conte: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1820
Quando la vita della vedova Hetta Champion viene messa in pericolo dalle ricerche del padre sul misterioso omicidio dell'ultimo Conte di Carrowe, il destino vuole che a correre in suo soccorso sia proprio Magnus Haile, il figlio della vittima. Deciso a proteggerla in ogni modo da un criminale che sembra intenzionato a scrivere la parola fine sulle indagini, Magnus conduce Hetta e il figlio in un viaggio intenso ed emozionante lungo la costa sud dell'Inghilterra. I sentimenti che i due provano l'uno per l'altra sono però offuscati dall'ombra del sospetto e da una minaccia che sembra non lasciare loro tregua. Ma la verità è più vicina di quanto immaginano e la soluzione a quel mistero metterà in discussione ogni loro certezza.
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2019
ISBN9788858999479
In fuga con il conte: Harmony History
Autore

Elizabeth Beacon

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    In fuga con il conte - Elizabeth Beacon

    successivo.

    1

    «Oh, scusate... mi dispiace tanto» mormorò la gentildonna.

    «Non è niente» mentì educatamente Hetta. Era colpa sua: se le aveva pestato i piedi, era perché si trovavano nel posto sbagliato.

    «Tutto questo trambusto mi dà sui nervi e odio il mare» spiegò la prima, come se fosse grata di poter parlare con un'altra donna, anche se stanca del viaggio e vestita modestamente.

    «Non piace molto nemmeno a me» ammise Hetta.

    L'altra guardò con ribrezzo l'acqua grigio fango. Il mare era calmo al momento, quindi avrebbero avuto una traversata migliore di quella che aveva appena sopportato Hetta, ma era pur sempre mare ed era chiaro che la donna avrebbe voluto essere altrove.

    «Come vorrei restare» mormorò in tono melanconico, guardando con rimpianto la città.

    «Allora perché partire, se non volete?»

    «Perché devo.» A un tratto la sconosciuta parve ricordare che Hetta era un'estranea e assunse di nuovo il suo atteggiamento freddo e regale.

    «Le onde si sono calmate, quindi dovreste fare buon viaggio» considerò Hetta, voltandosi per andarsene.

    «Grazie» replicò distratta l'altra, rivolgendo l'attenzione a una donna che veniva verso di loro con una bambina di otto o nove mesi in lacrime.

    «Ha bisogno di voi, Lady Drace» disse la bambinaia.

    «Lo so» rispose lei, sorridendo con tenerezza alla figlia. L'amore per la piccola con capelli e occhi scuri le illuminò il viso, trasformando la maschera di ghiaccio che sembrava usare per tenere a bada il mondo degli adulti.

    «No, milady, ha bisogno di voi» insistette la donna.

    Hetta vide Lady Drace arrossire al delicato accenno che doveva allattare la piccola. L'antipatia istintiva che aveva provato per il suo atteggiamento arrogante svanì di fronte alla solidarietà per un'altra madre.

    «Mi spiace, angelo mio, ma non c'è un posto abbastanza privato perché possa accontentarti, anche se so che farai i capricci e ti rifiuterai di lasciarti consolare se non lo faccio. Il mare è già abbastanza per i miei nervi senza che ti ci metta anche tu, piccolina.» Lady Drace rivolse un mesto sorriso alla bambina in lacrime e lanciò uno sguardo terrorizzato al via vai frenetico del porto. Gli occhi di un azzurro chiaro sembravano lucidi di lacrime. Hetta non poteva fingere che non fossero affari suoi e andarsene semplicemente.

    «Laggiù» disse, indicando un mucchio di bagagli in attesa di essere reclamati e non volendo ammettere che appartenevano alla sua famiglia. «Sembra un posto più tranquillo e riparato dall'andirivieni.» Rivolgendosi alla bambinaia, aggiunse: «Se aprirete il mantello da un lato, io farò altrettanto dall'altro, in modo da nascondere alla vista Lady Drace e allontanare chiunque sia abbastanza maleducato da avvicinarsi». Avendo dovuto nutrire Toby in ogni tipo di posto quando seguiva il padre per tutta l'Europa, dopo la morte del marito, sapeva quanto potevano mostrarsi rozzi gli uomini di fronte a una donna che allattava. «Sarà quasi come essere a casa vostra, milady.»

    «Ah, casa» sospirò Lady Drace, guardando la figlia come se fosse divisa tra l'amore materno e la propria dignità. Infine si strinse nelle spalle. «Grazie, siete molto gentile.»

    «È ora che vada a cercare Toby» mormorò il padre di Hetta, allontanandosi.

    «Codardo» gli sussurrò alle spalle. Ma dal momento che era preoccupata anche lei di sapere dove fosse finito Toby, sperava che il padre l'avrebbe trovato. Le sembrava sbagliato andarci di persona e tirarsi indietro dopo aver fatto quell'offerta impulsiva.

    Così Hetta e la bambinaia tennero al riparo Lady Drace con i mantelli perché potesse nutrire la figlia e tutte e tre s'immersero nei loro pensieri.

    Hetta non vedeva l'ora che quel viaggio in patria finisse per poter tornare al calore di una vera estate. Le acque grigiastre della Manica sembravano deriderla con dolci increspature dopo la burrasca in cui aveva creduto di morire. Guardò verso Dover, dove le onde lambivano la banchina con un ritmo pacato che avrebbe cullato un bambino.

    «E questa la chiamano estate?» mormorò tra sé, quando cominciò a cadere una leggera pioggerellina a coronare il suo rientro in patria. Era in Inghilterra da poco più di un'ora e già era umida e gelata e le faceva male la testa. Si sentiva stanca, annoiata, e quasi desiderava poter andare a Parigi con quella signora altezzosa, anche se avrebbe voluto dire attraversare di nuovo la Manica con lo stomaco ancora sottosopra per il viaggio d'andata. Anche se fosse riuscita a trovare in tempo suo figlio, non sembrava una buona idea.

    «Credo che la piccola abbia finito. Adesso potrebbe anche dormire» annunciò finalmente Lady Drace. Si udì un fruscio mentre ricomponeva i vestiti e sistemava la bambina nell'incavo del braccio, scuotendo il capo alla bambinaia come se non volesse cedergliela. «Potete lasciar entrare il mondo» disse in tono risoluto.

    «Vi auguro buon viaggio» mormorò Hetta, chiedendosi dove fosse diretta quella gentildonna bionda, dagli occhi chiari, con la sua bambina con capelli e occhi scuri, che ora si guardava intorno incuriosita e per niente stanca.

    «Grazie. Siete stata gentile ad aiutare una sconosciuta» le disse, come se fosse sorpresa che qualcuno si scomodasse per lei.

    Doveva aver avuto una vita dura per difendersi dal mondo con una simile alterigia a farle da corazza, pensò Hetta. Era felice di averla aiutata, ma ora l'inquietudine per Toby la spingeva a lasciarla. Sapeva che suo padre non avrebbe fatto grandi sforzi per trovarlo, convinto che dovesse sfogare la sua vivacità, e conosceva troppo bene il figlio per lasciarlo troppo a lungo solo in mezzo a quel trambusto.

    «Dicono che si debba stare attenti a quello che si desidera, non è così?» aggiunse Lady Drace con un mesto sorriso.

    «Ma bisogna anche imparare a ignorare gli spiriti negativi» replicò Hetta, scrutando il molo senza trovare traccia del figlio o del padre e sentendo crescere l'ansia.

    «Lo pensate davvero?»

    «Viaggiare è più facile se si riesce a prendere con leggerezza gli ostacoli che s'incontrano sulla strada. Ricordate che Parigi è dall'altra parte della Manica e che lì vi aspetta l'avventura.»

    La gentildonna rise. «Grazie. Farò del mio meglio.» Tenendo stretta la bambina, salutò Hetta con un cenno della mano e si voltò a guardare il mare.

    Anche Hetta si voltò, ma il rumore e il traffico del porto sbiadirono quando un uomo dall'aria infuriata e bello come un dio comparve all'improvviso. La vista di Toby che guizzava come un'anguilla sotto il braccio muscoloso dello sconosciuto la fece ansimare dal panico e le suscitò un'ondata di furia protettiva. Toby cercava di liberarsi a pugni e calci, per niente intimorito da un trattamento così rude. Hetta sentì il cuore martellarle nel petto davanti all'evidente carica d'ira dell'uomo, ma c'era sempre la possibilità che Toby fosse nel giusto una volta tanto, una possibilità molto tenue a giudicare dagli occhi tempestosi dello sconosciuto che avanzava verso di loro come una tigre.

    Probabilmente lo stomaco non le era ancora andato a posto dopo la traversata e la sensazione che le metteva sottosopra il ventre doveva essere l'effetto del mal di mare patito sulla nave, che era stata sbattuta come un tappo di sughero in balia della tempesta. Non poteva esserci altra spiegazione, perché non era possibile che quell'uomo imponente e bellissimo le rimescolasse il sangue senza averle rivolto nemmeno un sorriso o uno sguardo interessato. E per di più mentre teneva saldamente Toby sotto il braccio, come se non fosse altro che un fascio di legna.

    «È vostro?» gridò appena fu a portata d'udito.

    Dal momento che Hetta era l'unica donna a fissarlo a bocca aperta, doveva essere abbastanza facile identificarla come la madre di Toby. Si rese conto vagamente che Lady Drace aveva sussultato alla voce profonda dell'uomo e ora lo fissava con sguardo inorridito. Così erano in due a essere spaventate da quel villanzone che ruggiva, come se avesse tutto il diritto di fare commenti maleducati su chiunque, e c'era da chiedersi perché il resto del mondo non si fosse fermato a guardarlo a bocca aperta.

    «Che cos'hai fatto, Toby?» chiese Hetta al bambino senza rispondere alla brusca domanda dello sconosciuto, troppo preoccupata per il figlio per badare a quel maleducato o alla reazione della sua nuova amica.

    Magnus Haile aggrottò la fronte alla donna che lo fissava come una idiota. A giudicare dal sospiro di sollievo del ragazzino appena l'aveva vista, doveva essere la madre ed era un'irresponsabile a lasciar vagare il figlio senza un guardiano. Non aveva tempo da perdere e non avrebbe dovuto essere lui a castigare un monello che si era gettato sotto gli zoccoli del suo cavallo, rischiando di ucciderli entrambi. Fortunatamente l'uomo tuttofare di suo fratello, Jem Caudle, si era preso cura del cavallo, esausto e nervoso, e gli aveva ricordato che la nave stava per partire. Jem gli aveva anche detto di lasciare a lui il ragazzo e affrettarsi a raggiungere la nave, ma Magnus era troppo infuriato. Così aveva afferrato il moccioso per fare una sfuriata ai suoi genitori prima di trovare il modo di impedire che Delphi e la sua bambina lasciassero l'Inghilterra senza di lui, anche a costo di salire a bordo e abbandonare la sua terra natale con la sola camicia che aveva addosso.

    Era un padre ora, qualunque cosa avesse da dire Delphi. La collera si risvegliò mentre faceva i conti con l'impotenza in cui si era trovato quando Delphi aveva rifiutato di sposarlo. Voleva poter proteggere la figlia quando sarebbe stata abbastanza grande da disobbedire come quel piccolo ribelle. I suoi genitori non sapevano quanto fossero fortunati ad avere il diritto di proteggerlo. E invece lo lasciavano scorrazzare in giro come un monello di strada! Ora il ragazzino cercava di morderlo e graffiarlo, come se fosse lui il cattivo, e Magnus era tentato di lasciarlo cadere sui ciottoli e andarsene. «Provaci ancora e ti darò una bella spolverata al sedere anche davanti a tua madre» lo minacciò.

    «No, non lo farete. Non ve lo permetterà» strillò il bambino, con il labbro tremante e il viso sporco contratto nello sforzo di produrre una lacrima.

    «Quando saprà quello che hai fatto, mi ringrazierà per averle risparmiato la fatica di farlo lei stessa.»

    «Vi scuoierà vivo, invece, e vi butterà nell'olio bollente, se oserete anche solo provare a schiaffeggiarmi.»

    «Quindi secondo te non dovrei preoccuparmi di niente, vero? E tanto meno di un piccolo bugiardo come te.»

    «Lasciate andare subito mio figlio.»

    La donna dal volto bruciato dal sole, con abiti dimessi, il cappellino di traverso e gli occhiali più ridicoli che avesse mai visto, parve riscuotersi finalmente dal suo torpore.

    Ora Magnus poteva vedere da chi il ragazzino avesse preso il suo temperamento, se non i riccioli biondi, i grandi occhi azzurri e lo spirito temerario che lo facevano sembrare un cherubino caduto. Per un breve momento di follia, Magnus desiderò essersi innamorato di quella tigre con gli occhiali, invece che della donna che si nascondeva dietro di lei fingendo di non averlo mai visto prima, sebbene la bambina tra le sue braccia avesse scritto in viso che era sua figlia.

    «Con piacere, se promettete di tenerlo sotto controllo in futuro» disse in tono cupo, cercando di ignorare la fitta al cuore quando la piccola Angela allungò le braccia verso di lui e Delphi l'allontanò bruscamente, come se lo odiasse. «Avrebbe bisogno di collare e guinzaglio. Poco fa ha rischiato di uccidersi gettandosi sotto gli zoccoli del mio cavallo. Per fortuna la povera bestia era troppo sfinita per disarcionarmi quando l'ho bloccata, altrimenti avreste molto di più di cui preoccuparvi.»

    La donna diventò ancora più pallida sotto l'abbronzatura e per un istante Magnus si pentì della sua durezza. Ma in fondo aveva bisogno di un piccolo spavento che la spingesse a controllare meglio il figlio in futuro. Dovette indurire di nuovo il cuore quando la vide sistemarsi gli occhiali con mano tremante e si reputò fortunato che non avesse una crisi isterica. Ma aveva altro da fare che ammirare la sua figura ben modellata e la risolutezza con cui raddrizzava le spalle. Se non fosse stato per l'incidente, non l'avrebbe nemmeno notata mentre si precipitava a rotta di collo per implorare Delphi di non portare sua figlia così lontano da rendergli impossibile rivederla di nuovo.

    «Smettila di divincolarti in quel modo ridicolo e di fingere di piangere, Toby Champion» sbottò la madre del ragazzino.

    Come se avesse agitato una bacchetta magica, Toby si bloccò. Decidendo che, dopotutto, il moccioso avrebbe avuto la punizione che meritava, Magnus lo depose a terra. «Comprategli una catena se non riuscite a tenerlo sotto controllo, madam» abbaiò.

    «Come puoi essere così duro, Magnus?» intervenne Delphi, mentre il ragazzo si gettava dalla madre con tanto entusiasmo da farla barcollare.

    Magnus era così concentrato sulla donna da non aver notato che Delphi lo fissava inorridita, quasi si aspettasse che desse in escandescenze come il poco compianto marito, Sir Edgar Drace. Al contrario, la natura solare di Angela la faceva ridere e gorgogliare tra le braccia della madre, come se assistesse a un bello spettacolo.

    «Se qualcuno non controlla quel monello, finirà per uccidersi» spiegò con impazienza. «Non potevo limitarmi a dargli un buffetto e a dirgli di stare più attento la prossima volta.»

    «No, certo» ammise con un sospiro la madre del ragazzino, come se le costasse molto difendere uno sconosciuto così rude. Girandosi verso Delphi, si strinse nelle spalle con aria rassegnata e disse: «Ha ragione. Mio figlio è troppo scatenato per il suo stesso bene». Poi si rivolse al figlio e aggiunse: «E io voglio che arrivi al tuo ottavo compleanno, bambino mio, nonostante tu faccia di tutto per metterti in pericolo. Quindi togliti dalla faccia quell'espressione ferita e ascolta gli adulti, una volta tanto».

    Il ragazzo si staccò da lei per guardarla con gli occhi spalancati di un cherubino offeso.

    Magnus decise che la donna doveva avere una decina d'anni meno di quanti gliene aveva dati a prima vista e pensò che, se aveva un marito, quell'idiota avrebbe dovuto essere lì a proteggere lei e il figlio. Per un istante lo colpì il pensiero ridicolo che avrebbe voluto essere lui al suo posto, come se non avesse avuto già abbastanza guai con donne complicate e imprevedibili. E che cosa ne sapeva di allevare figli equilibrati e felici dopo quello che avevano dovuto sopportare lui e i suoi fratelli per mano del padre?

    «Capisco» mormorò Delphi.

    Magnus sentì il cuore gonfiarsi di speranza quando la piccola Angela gli inviò un bacio sul palmo. «Ti prego, Delphi, posso venire con voi?» implorò la madre più dolcemente che poté, nonostante le emozioni selvagge che turbinavano dentro di lui. Avrebbe supplicato il diavolo in persona pur di avere un posto nella vita di sua figlia.

    «Ne abbiamo già parlato, Magnus. No. Usami la cortesia di ascoltarmi e di stare lontano da noi, in futuro, prima di fare danni peggiori di quelli che hai fatto.»

    «Devo chiamare il capitano del porto?» chiese la madre di Toby, ergendosi a difesa di Delphi. Perché doveva essere così impicciona e spavalda?, si chiese Magnus. In parte l'ammirava per questo. Si sarebbe dovuto concentrare a convincere Delphi a lasciargli avere un ruolo nella vita di sua figlia, ma continuava a essere distratto da quella sconosciuta che si metteva in mezzo nei momenti peggiori.

    «No, ma vi ringrazio dell'offerta» disse Delphi, inorridita all'idea di attirare l'attenzione. «Non ci farà del male.»

    «Bene, in questo caso potreste comportarvi in modo meno minaccioso in futuro, Lord Drace» replicò la donna.

    «Non è mio marito» le spiegò Lady Delphine Drace con un'espressione così sconvolta che Magnus fu tentato di arrendersi e tornare a casa.

    «Oh» mormorò la sconosciuta, guardando da uno all'altra e poi in direzione della bambina tra le braccia di Delphi come se mettesse insieme due più due. Arrossì e parve rimpiangere di non essere a miglia di distanza, ma incontrò lo sguardo di Magnus con aria di sfida, dietro quelle lenti sgraziate, facendo crescere la sua ammirazione per il coraggio che mostrava.

    «Allora mi pare che abbiate ancora più motivi per lasciare in pace Sua Signoria, signore» disse in tono severo.

    «Non sono affari vostri, madam» scattò Magnus, sapendo che le sue parole erano ancora più scottanti perché aveva ragione.

    2

    «Smettila di mettermi in imbarazzo, Magnus, e vattene. Ti ho già detto chiaramente che non intendo sposarti. Fammi la cortesia di ascoltare, una volta tanto, e lasciaci stare.» Il tono di Delphi suonava così stanco che Magnus si sentì stringere il cuore davanti alla prova finale che diceva sul serio. Il pensiero di vederle partire con quella nave gli faceva quasi piegare le ginocchia.

    «E Angela?» chiese, guardando la bambina con la sensazione imbarazzante di avere le lacrime agli occhi. La piccola rise e saltellò tra le braccia della madre, come se provasse simpatia per lui, anche se Delphi lo odiava. Gli assomigliava tanto che doveva essere evidente a tutto il mondo che era lui il padre, e Magnus avrebbe voluto proclamarlo dai tetti e stare tutta la vita al suo fianco.

    «Sarà al sicuro, amata e con sua madre. È tutto quello che devi sapere» disse Delphi implacabile. La sconfitta non era mai stata così amara.

    «A differenza di suo padre» replicò in tono piatto, com'era piatta la vita che vedeva stendersi davanti a sé, tanto da fargli quasi desiderare che fosse finita.

    «Mi dispiace, Magnus» riprese Delphi, come se il suo dolore fosse così evidente da non poterlo ignorare. «Non sei mai stato l'uomo che volevo veramente quando dovetti sposare Drace, né dopo la sua morte, quando mi ritrovai ricca e libera, e nemmeno allora lui venne a consolarmi per tutti quegli anni sprecati.» Parlava come se fosse certa che il dolore non l'avrebbe mai abbandonata. «Tu eri così simile a lui all'età in cui ricambiava il mio amore. Ammetto che non ho saputo resistere a prendere quello che potevo da uno di voi Haile, quando arrivasti tu, così ansioso di confortarmi dopo la morte di Drace. E lui se ne restò ancora lontano, come se non gli importasse niente di me. Disse che doveva compiere il suo dovere, indipendentemente da dove lo portava il cuore, e mi lasciò senza nemmeno un figlio

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