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Una scomoda eredità
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E-book215 pagine2 ore

Una scomoda eredità

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Info su questo ebook

Italia/Inghilterra, XIX secolo - Mariah Fanshawe è giovane, bella e affascinante, ma il suo sorriso rivela spesso una profonda malinconia. Perché il suo cuore non è riscaldato dalla scintilla dell'amore, qualcosa che neppure il cospicuo patrimonio ereditato dall'anziano marito le può dare. Tra l'altro sono proprio i soldi che la rendono spesso preda di cacciatori di dote senza scrupoli, che già le hanno procurato non pochi guai. Solo il vecchio amico d'infanzia, Lord Lanchester, possiede la chiave per aprire il cuore di Mariah, eppure non si decide a compiere il fatidico passo e a dichiararle i propri sentimenti. Forse perché un oscuro pericolo sembra minacciare il loro futuro.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2018
ISBN9788858980019
Una scomoda eredità
Autore

Anne Herries

Autrice inglese vincitrice di numerosi riconoscimenti letterari, ha iniziato a scrivere nel 1976 e ha ottenuto il suo primo successo appena tre anni dopo. Attualmente vive nel Cambridgeshire con il marito.

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    Anteprima del libro

    Una scomoda eredità - Anne Herries

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Scandalous Lord Lanchester

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2012 Anne Herries

    Traduzione di Graziella Reggio

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-001-9

    Prologo

    Andrew, Lord Lanchester, sorrise con amarezza mentre osservava i tuguri attorno al porto, covi di imbroglioni, ladri e assassini. Avrebbe davvero trovato in quegli squallidi dintorni il furfante che cercava? Con ogni probabilità no, tuttavia non aveva altra scelta che continuare le ricerche, se intendeva liberare il suo buon nome dall’ombra che lo minacciava.

    Per il momento il comandante aveva promesso di serbare il silenzio riguardo alla lettera che accusava Andrew di aver sottratto al reggimento argenti del valore di oltre diecimila sterline.

    «So di potermi fidare della vostra parola, Lanchester, tuttavia il furto è avvenuto quando eravate responsabile della custodia dei beni, e questa missiva vi indica come colpevole.»

    «Vi giuro che sono innocente, Harrison. Non nego che al momento ero a corto di fondi, ma ormai ho risolto il problema, seppure con qualche difficoltà. A cosa mi sarebbero serviti gli argenti? Fondendoli avrebbero perso gran parte del valore, e così com’erano sarebbe stato impossibile rivenderli.»

    «A meno di non portarli all’estero.»

    «In ogni caso...» Andrew aveva provato un impeto di collera. «Credete forse che mi sia recato in Italia a questo scopo?»

    «Non sospetto di voi. Calmatevi, Lanchester. Vi potrei denunciare alla corte marziale, invece sono abbastanza sicuro che il vero ladro intendesse far ricadere la colpa su di voi. A mio parere avete un nemico. Rifletteteci, Andrew. Chi vi odia al punto di volervi rovinare?»

    «Non ne ho idea. Da quanto so, nessuno mi detesta, almeno non con tanta ferocia.»

    «Eppure qualcuno dev’esserci... Che dite del Tenente Gordon? Non lo avevate punito per aver barato alle carte e per il comportamento indegno?»

    «William Gordon?» aveva ripetuto Andrew aggrottando la fronte. «Me n’ero dimenticato, dopo tanto tempo. Ha lasciato l’esercito ed è scomparso nel giro di pochi mesi. Non era forse scoppiato uno scandalo che riguardava la moglie di un altro ufficiale?»

    «Sì. L’ufficiale in questione avrebbe preferito passare tutto sotto silenzio, ma è stato comunque imposto a Gordon di lasciare l’esercito. Ha ereditato una piccola tenuta, l’ha persa al gioco dopo poche settimane e poi è sparito all’estero. Credo che, almeno per un certo periodo, fosse in Italia, anche se non ne ricevo notizie da tempo. Magari è defunto.»

    «Il Tenente Gordon... Non si può escludere, benché non capisca perché dovrebbe odiarmi tanto.»

    «Non dico che sia lui, comunque c’è chi vuole gettare il discredito su di voi. Ostacolate forse una persona? Chi trarrebbe vantaggio dalla vostra rovina... o addirittura dalla vostra morte?» aveva domandato cupo il Maggiore Harrison. «Non sareste il primo a togliersi la vita, schiacciato dal peso del disonore. Persino un sussurro potrebbe impedirvi di contrarre un buon matrimonio, per esempio. Forse qualcuno non si limita a volervi rovinare agli occhi della società.»

    «Già... Il peggio è che stavo giusto pensando di proporre le nozze a una certa dama. Questo però cambia tutto. È chiaro che io non posso prendere in considerazione l’idea di sposarmi finché non avrò riabilitato il mio buon nome.»

    1

    Lago di Como, XIX secolo

    Mariah, giovane e ricca vedova di Lord Winston Fanshawe, era affacciata alla finestra di camera sua ad ammirare il paesaggio. In quella giornata tiepida e serena l’acqua del lago scintillava, come cosparsa di diamanti, e la campagna era splendida. Preferiva i laghi alle altre parti d’Italia visitate negli ultimi mesi. Insieme a Lord e Lady Hubert, i suoi compagni di viaggio, risiedeva in una villa sul lago di Como, tranquillo e appartato, pur essendo vicino a Milano, e attorniato da boschi deliziosi.

    I due amici la coccolavano e vezzeggiavano senza posa, assecondando ogni suo desiderio.

    Allora perché le spuntavano spesso le lacrime agli occhi? Come mai si sentiva tanto sola, nonostante la buona compagnia? Non certo a causa delle brutte esperienze vissute di recente... Poco tempo addietro Mariah era stata sequestrata e tenuta prigioniera sotto narcotici dal malvagio Capitano Blake, poiché gli aveva negato quello che desiderava, ossia la sua mano e il suo patrimonio. Simili prove avrebbero piegato qualunque donna ma non lei, che si era ripresa assai in fretta. No, a farla soffrire non era il ricordo del doloroso episodio, ma una questione più personale.

    Inquieta, sospirò, chiedendosi dove sarebbe andata in seguito. Non aveva casa, pur possedendo parecchie tenute ereditate dal marito. Dopo la morte di Winston, Mariah aveva vagato da un luogo all’altro, senza mai fermarsi più di qualche giorno. Persino quando era ospite del vecchio amico Justin, Duca di Avonlea, e della sua deliziosa consorte Lucinda, si era sentita sola e smarrita.

    Cosa desiderava davvero?

    «Mariah, mia cara, abbiamo visite. Verresti giù?» le chiese dalla porta Sylvia, Lady Hubert, che l’aveva aiutata a distrarsi dai suoi problemi invitandola ad accompagnare in viaggio lei e il consorte, poco dopo il rapimento.

    Mariah non rammentava molto delle sue traversie, poiché era stata sedata per l’intero periodo. Ricordava soltanto il panno intriso di una sostanza disgustosa che le era stato messo sulla bocca mentre cercava di aiutare Jane. La coraggiosa e impulsiva amica aveva finto di essere lei per farsi portare via al posto suo. Mariah era tanto affezionata a Jane, che conosceva da sempre, e a suo fratello Andrew.

    Strinse i pugni con irritazione pensando ad Andrew Lanchester. Rifiutava di lasciarsi spezzare il cuore da quello stupido, che probabilmente era ancora innamorato di Lucinda Avonlea, pur sapendo quanto lei amasse il marito Justin.

    «Dovresti scendere, cara» la esortò Sylvia, interrompendo le sue riflessioni. «Parrebbe strano se non lo facessi.»

    «Davvero?» Ricevevano così tante visite che a volte Mariah temeva di non riuscire mai a stare tranquilla. «Chi c’è stamattina?»

    «Una persona che ti farà piacere vedere, credo. Ha qualche lettera per te da casa e si definisce un amico.»

    Lei si sentì mancare. «È... Lord Lanchester?» chiese, tentando di mascherare l’emozione. «In effetti aveva promesso di venire.»

    «Lo conosci?»

    «Sì, è il vicino di Justin; un gentiluomo rispettabile...» mormorò lei.

    «Non ne dubito» le rispose l’amica con un sorriso. «Vieni, allora?»

    «Certo.» Mariah sorrise a sua volta. «Concedimi solo un istante per sistemare i capelli.»

    Quando Sylvia si allontanò, lei si guardò allo specchio e riordinò con qualche colpetto i lunghi capelli biondi, raccolti in una crocchia, lasciando ricadere alcuni riccioli attorno al viso. Nonostante le frequenti passeggiate al sole, aveva conservato una carnagione rosea, molto ammirata.

    Col cuore che batteva forte, uscì dalla stanza e discese l’ampio scalone di marmo. La villa, in mezzo agli alberi aggrappati ai pendii attorno al lago, era magnifica ed era stata prestata loro per due mesi dal Conte Paolo, un caro amico di Lord Hubert, al momento in viaggio d’affari a Venezia.

    La tristezza aveva abbandonato Mariah, sostituita da una sorta di eccitazione. Cosa le avrebbe detto Andrew? Pochi mesi prima le era parso sul punto di chiederle la sua mano, ma poi si era ritirato. Perché aveva cambiato idea? Oppure lei lo aveva frainteso? Tanti uomini l’adulavano e la corteggiavano, ma Andrew Lanchester era diverso dagli altri. Per un certo periodo Mariah si era illusa che l’apprezzasse per quello che era: una donna di spirito, coraggiosa e indipendente.

    Entrando nel salone vide Lord e Lady Hubert ridere di una battuta di Andrew e sentì un tuffo al cuore. Quando sorrideva, Andrew Lanchester era così attraente, con i suoi capelli bruni e gli occhi espressivi! Era un uomo d’onore, a volte un po’ rigido, ma di ottima compagnia. Appena si voltò a guardarla, fu percorsa da un lieve tremito.

    «Lady Fanshawe... Mariah» la salutò, andandole incontro. «Come state? Spero che il viaggio in Italia abbia migliorato la vostra salute.»

    Mariah rise. «Non ero malata» gli rispose con un’occhiata di sfida. Andrew non era stato così formale quando l’aveva ospitata, l’anno prima. «Non sono una smidollata che si lascia annientare da una sciocchezza come un rapimento. Avevo solo bisogno di cambiare aria, ecco tutto. E i miei cari amici si prendono cura di me.»

    «Mi fa piacere» le disse lui, ma aggrottò la fronte. «Jane e Lucinda vi salutano con tanto affetto. Ho qualche lettera per voi; una è di Justin e riguarda questioni di affari, credo. Non si fidava a spedirla per posta, quindi l’ha affidata a me.»

    «Grazie per esservi disturbato.» Mariah stava ben attenta a dominare l’emozione. «Mi devo felicitare con Jane, vero? La sua missiva è arrivata con molto ritardo. Prima di partire, ignoravo che avesse in vista le nozze. Andrò a trovarla al mio ritorno in Inghilterra e le porterò un regalo.»

    «Sarà felice di vedervi. Siete contenta del soggiorno? So che eravate già venuta in Italia, ma conoscevate i laghi?»

    «Winston mi portò qui per la luna di miele, poi andammo a Venezia. Proprio durante il viaggio di ritorno da Venezia a Milano la sua malattia si aggravò e io mi resi conto che non sarebbe vissuto a lungo.»

    Al ricordo, Mariah sentì un nodo in gola. La scoperta che il suo gentile marito sarebbe morto presto l’aveva quasi uccisa di dolore. Solo allora aveva capito quanto gli fosse legata. Lo aveva sposato per dispetto, dopo che Justin Avonlea le aveva proposto le nozze per puro senso del dovere, o forse anche perché desiderava diventare ricca e invidiata da tutti. Poi, però, lo aveva amato di cuore, convinta dalla dedizione e dalla generosità che dimostrava.

    «Mio marito non voleva tornare in Inghilterra. Amava il sole ed era felice di trascorrere qui i suoi ultimi giorni» spiegò quindi.

    «Non lo sapevo» ammise lui.

    «In genere non parlo di quel periodo, poiché mi rattrista...» mormorò lei.

    Mariah guardò altrove, trattenendo assurde lacrime. Ormai aveva superato la sofferenza per la perdita di Winston. Allora come mai era tanto emotiva?

    Forse perché rivedeva Andrew dopo aver rinunciato alla speranza?

    «Fa tanto piacere ritrovare vecchi conoscenti» intervenne Sylvia per rompere il silenzio. «Spero che stasera cenerete con noi, Lord Lanchester. Ho invitato alcuni amici e sarei felice se veniste.»

    «Ne sarò onorato» rispose Andrew. «Mariah, ho un messaggio da parte di Lucinda. Era prossima al parto quando sono partito dall’Inghilterra. Mi dedichereste qualche minuto? Magari potremmo passeggiare insieme in giardino.»

    «Sì, perché no?» Gli sorrise prendendolo a braccetto e impose al cuore di stare calmo. «Sono ansiosa di sapere di lei. Se non fosse stata in condizioni delicate, forse ci avrebbe accompagnati in Italia.»

    «Penso proprio di sì. Ha parlato di venirvi a trovare la prossima primavera, se sarete ancora qui. Il bambino sarà abbastanza grande per viaggiare con la tata.»

    «Povero Andrew» sussurrò lei. «Siete molto affezionato a Lucinda, vero?»

    «Voglio bene a tutti e due. Justin è un vecchio amico.» Dopo una breve esitazione, si azzardò a chiederle: «Ditemi, Mariah, avete davvero superato quella brutta faccenda?».

    «Non mi tiene più sveglia di notte. Devo accettare il fatto che il mio patrimonio attrae il genere sbagliato di pretendenti. Speravo di ricevere una proposta da un vero gentiluomo, ma purtroppo non è accaduto.»

    «Com’è ovvio, non desiderate un giocatore d’azzardo. Cosa vorreste?» s’informò pensieroso.

    «Be’, un uomo gentile e degno di fiducia, disposto a prendersi cura di me e dei nostri eventuali figli.»

    «Credevo pretendeste di più. Per esempio il senso dell’umorismo, un bell’aspetto e un patrimonio pari al vostro.»

    «Sarebbe insensato coltivare aspettative troppo elevate. In passato sognavo l’amore, ma adesso mi basterebbero la stima e il rispetto reciproci. Soprattutto non voglio un uomo che miri soltanto ai miei soldi.»

    «Capisco...» Tacque un istante, poi le propose: «Desiderate che indaghi sui vostri corteggiatori? Tanto per scoprire se hanno un bisogno disperato di denaro o se, magari, sono più rispettabili di quanto non supponiate».

    «Lo fareste?» Mariah evitò di guardarlo per non rivelargli i suoi sentimenti, rischiando così di sentirsi umiliata. «Se voleste farmi da cavaliere mentre siete qui, terreste alla larga i cacciatori di dote.» Con uno sforzo di volontà, si voltò e gli sorrise. «Adesso riferitemi cosa desiderava comunicarmi Lucinda.»

    Dopo che gli ospiti se ne furono andati, Mariah si avvolse le spalle in una stola e uscì a passeggiare, diretta alla sommità dell’altura. Aveva bisogno di stare sola per un po’, poiché era animata da una mescolanza di collera e disperazione.

    Come poteva Andrew essere così cieco? L’offerta di aiutarla a selezionare i pretendenti era frustrante da impazzire. Per non infuriarsi, Mariah aveva dovuto fare appello a tutta la sua forza di volontà.

    Quando, da ragazza, abitava ad Avonlea, aveva avuto una cotta per l’affascinante vicino. Andrew, però, non se n’era accorto e l’aveva trattata con indifferenza, oppure con un atteggiamento di superiorità che spesso l’aveva portata alle lacrime. A un certo punto era andato a Londra ed era tornato diverso da prima; poi, all’improvviso, Mariah aveva appreso che si era arruolato nell’esercito. All’inizio si era disperata, ma col passare degli anni lo aveva dimenticato e si era trasformata in una bellissima donna, attorniata da ammiratori, tuttavia non si era mai innamorata.

    «Maledizione!» esclamò ad alta voce. «Winston, perché mi hai abbandonata?» Si sentiva sola da morire. Avrebbe trascorso così il resto della vita, con tanti amici e conoscenti, ma senza nessuno da amare?

    Trattenendo a stento le lacrime, si allontanò dal ciglio del dirupo e cominciò a camminare alla cieca nel bosco. Adirata con la vita e con se stessa, non vide nulla finché non udì un grido d’allarme e due forti mani le afferrarono un braccio.

    «Perdonatemi» si scusò in inglese una voce maschile, «ma, se proseguite in quella direzione, rischiate di precipitare. Appena oltre quegli alberi c’è un sentiero ripido e, in un punto, è caduta una frana. Andrebbe recintato per evitare incidenti.»

    «Oh, grazie.» Mariah guardò in volto un giovanotto piuttosto attraente. «Scusatemi voi, poiché vi ho quasi urtato. Ero distratta.»

    «Mi ha fatto piacere rendermi utile. Mi chiamo Peter Grainger, Tenente Grainger, e sono arrivato da poco. I miei zii hanno preso in affitto una villa sull’altra sponda del lago. Ho scoperto per caso la frana mentre passeggiavo nel bosco. Abitate qui vicino? Perdonatemi, ma io non conosco il vostro nome.»

    «Mariah Fanshawe.» Arrossì un poco, colpita dal suo sguardo intenso. «Soggiorno con Lord e Lady Hubert in una villa più in basso, vicino alla riva. Sono salita fin qui per ammirare il paesaggio, ma non conosco i dintorni. Vi ringrazio per l’avvertimento.»

    Lui si sfiorò la falda del cappello. «Non c’è di che. Vi tratterrete a lungo, Miss Fanshawe?»

    «Lady Fanshawe, e sono vedova» lo corresse Mariah. Si sentiva un po’ a disagio, senza capire bene il perché. «Non abbiamo ancora deciso per quanto tempo rimarremo.»

    «Scusatemi, non sapevo.» Il tenente la scrutò con lo sguardo, studiando l’abito di mussola bianca con rifiniture rosa, i guanti e la stola in tinta e le scarpette di pelle bianca. Purtroppo Mariah non portava il cappello, nonostante le raccomandazioni di Sylvia. «Forse ci rivedremo, Lady Fanshawe.» La salutò con un cenno e si voltò per andarsene.

    Lei lo seguì con lo sguardo, pentita di essere stata sgarbata. Il giovanotto, invece, si era dimostrato corretto e gentile; non poteva sapere

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