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È facile fare la spesa se sai leggere l'etichetta
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E-book323 pagine3 ore

È facile fare la spesa se sai leggere l'etichetta

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Info su questo ebook

Tutto quello che devi sapere per evitare inutili rischi e tutelare la tua salute

Non dimenticare di leggere l’etichetta

Consigli preziosi per capire meglio cosa mettere nel carrello della spesa

Tutti noi siamo abituati a mangiare cibi industriali, preparati e confezionati secondo precise norme. Ma siamo certi che sia sempre così? Purtroppo le recenti e sempre più numerose inchieste su contraffazioni e truffe nel settore dell’industria agroalimentare dimostrano che non tutte le aziende sono trasparenti e seguono le leggi sulla tutela della salute dei consumatori. E allora come possiamo essere più consapevoli su quello che portiamo in tavola e su ciò che va evitato per scongiurare inutili rischi? Quali sono i prodotti più sicuri, e soprattutto come sceglierli al supermercato? Imparare a leggere le etichette sulle confezioni è un primo passo per diventare consumatori consapevoli. L’etichetta informa sul contenuto del prodotto in modo chiaro, semplice, leggibile e veritiero. Grazie a questo libro diventeremo dei veri e propri esperti di termini di scadenza e modalità di conservazione, potremo capire da dove provengono gli alimenti e conoscere la tipologia dei diversi allergeni, comprendere le differenze tra un prodotto fresco e uno surgelato, scoprire l’esatta natura degli additivi e i loro effetti sulla nostra salute. Una guida utile a tutti, che fa riflettere su stili di vita e consumi alimentari e aiuta a scegliere senza essere scelti.
Enrico Cinotti
vicedirettore del mensile «il Salvagente», segue il mondo dei consumatori da oltre vent’anni. Sui temi della sicurezza alimentare ha firmato diverse inchieste importanti, come quella sul falso olio extravergine, e collaborato con trasmissioni televisive. Vive e lavora a Roma.
LinguaItaliano
Data di uscita7 feb 2017
ISBN9788822703422
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    Anteprima del libro

    È facile fare la spesa se sai leggere l'etichetta - Enrico Cinotti

    PARTE PRIMA

    Le informazioni obbligatorie

    L’etichetta è la carta di identità di un prodotto. Deve essere chiara e facilmente comprensibile e le informazioni fornite al consumatore devono permettere un acquisto consapevole dell’alimento e non indurre l’acquirente in errore come prevede la normativa europea in materia. Questo significa ad esempio che non possono essere dichiarate delle qualità particolari quando sono comuni a tutti gli alimenti simili. Questa pasta all’uovo contiene il 20% di uova è un’affermazione inammissibile per legge oltre che scorretta verso il consumatore visto che quella percentuale (il 20%) è il quantitativo minimo che tutte le paste all’uovo devono avere. Sulla confezione poi non possono essere stampate immagini di ingredienti che non ritroviamo nell’alimento stesso: se le merendine sono farcite con crema al cacao, il produttore non può illustrare il prodotto con una tavoletta di cioccolato.

    A vigilare su cosa e come dobbiamo essere informati ci sono diverse normative europee e nazionali e in particolare il Regolamento ue 1169/11 Informazioni sugli alimenti ai consumatori, entrato in vigore il 13 dicembre 2014, che ha in gran parte aggiornato (e sostituito) il decreto legislativo 109/92, che a sua volta dava attuazione a due precedenti direttive comunitarie. Non vorremmo subito abusare della pazienza del lettore, ma vale la pena spendere qualche riga per spiegare l’importanza del Regolamento 1169/11. Questa norma ha consentito di alzare il velo, e quindi di aumentare la trasparenza verso il consumatore, su tutta una serie di segreti degli alimenti.

    Innanzitutto ha reso obbligatorio specificare quale olio o grasso vegetale viene impiegato nelle ricette industriali e così abbiamo potuto conoscere – ed evitare – il famigerato olio di palma così amato dall’industria, perché molto economico e versatile, ma anche potenzialmente tossico come accertato recentemente dall’efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Tra le novità introdotte dal Regolamento 1169/11 c’è poi l’obbligo di indicare gli allergeni, ovvero quegli ingredienti o additivi fonti di allergie o intolleranze per alcune categorie di consumatori. Non solo. Dal 13 dicembre 2016 è diventata obbligatoria la cosiddetta dichiarazione nutrizionale, la tabella attraverso la quale possiamo sapere quanto sale, zucchero o quanti grassi saturi ingeriamo. Inoltre oggi possiamo conoscere il paese di origine della carne di maiale, di quella ovina e caprina e dei volatili, indicazioni preziose presenti dai tempi di mucca pazza solo per le carni bovine. In questo caso quindi non abbiamo dovuto aspettare uno scandalo alimentare per avere maggiori informazioni. Una volta tanto quello che ci chiede l’Europa viene a nostro giovamento.

    Siccome però non è tutto oro quello che luccica, il famoso Regolamento ha cancellato dalle indicazioni obbligatorie lo stabilimento di produzione, previsto invece dal d.l. 109/92. Un dato da non sottovalutare perché in caso di allerta alimentare o di ritiro dal mercato può risultare un’informazione molto utile per chi magari ha acquistato il prodotto e lo conserva ancora in casa. Subito dopo l’entrata in vigore del Regolamento, l’indicazione della sede dove il cibo è stato prodotto è rimasta una scelta volontaria dei produttori. Va detto che molte aziende anche della grande distribuzione per i cibi private label, cioè quelli confezionati con il marchio del supermercato, hanno deciso di continuare a inserirla sulle confezioni e il governo italiano si è impegnato a proseguire sulla strada di quella che a tutti gli effetti era una buona prassi. Così, sulla spinta anche dei consumatori, il 16 settembre 2016 è entrata in vigore una nuova legge (che dovrà essere ratificata dalla ue nel momento in cui scriviamo questo libro) che reintroduce l’obbligatorietà dello stabilimento di produzione o di confezionamento: su tutti i cibi prodotti in Italia tornerà obbligatoria questa importante indicazione.

    Per una ferita sanata, altre sono rimaste aperte. È il caso ad esempio degli affettati o dei formaggi preincartati nei punti vendita. Dall’ambito di applicazione delle nuove disposizioni comunitarie infatti restano esclusi gli alimenti preincartati dai supermercati per la libera vendita. Sulle confezioni di prosciutto, formaggio ma anche carni tagliate e imbustate nel cellophane, non dovranno essere indicate tutte le informazioni (ad eccezione degli allergeni) previste obbligatoriamente per il prosciutto di marca che troviamo nel bancone frigo. Un’asimmetria incomprensibile e di sicuro a svantaggio del consumatore.

    Fatte queste precisazioni sulle novità introdotte dal Regolamento ue 1169/11, vediamo quali sono le indicazioni obbligatorie da riportare in etichetta:

    • la denominazione dell’alimento (ad esempio: olio extravergine di oliva, straccetti di bovino adulto, pasta di semola di grano duro);

    • l’elenco degli ingredienti (tutte le sostanze, elencate in ordine decrescente di peso, da quello prevalente a quello presente in minore quantità, impiegate per la preparazione, a patto che siano presenti nel prodotto finito);

    • gli allergeni (ad esempio crostacei, uova, latte, soia, grano, arachidi, ovvero quelle sostanze allergizzanti che devono essere indicate in rilievo, in neretto, in corsivo o sottolineate, nella lista degli ingredienti);

    • la quantità di alcuni ingredienti (ad esempio la percentuale dell’ingrediente caratterizzante che è associato alla denominazione di vendita o propagandato dall’immagine sulla confezione) o di certe categorie;

    • la quantità netta dell’alimento (utile in alcuni casi, come nel tonno, dove va indicato il peso netto sgocciolato, o nei cibi congelati dove va indicata la percentuale di glassatura perché considerata tara);

    • il termine minimo di conservazione (Da consumare preferibilmente entro il…) o la data di scadenza (Da consumare entro…);

    • le condizioni particolari di conservazione e/o d’impiego (Tenere lontano da fonti di calore; Conservare in un luogo fresco e asciutto; Conservare in frigo una volta aperta la confezione; Consumare previa cottura);

    • il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare;

    • la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento (almeno per gli alimenti destinati al mercato nazionale se Bruxelles darà il via libera alla normativa italiana del settembre 2016);

    • il paese di origine o il luogo di provenienza ove previsto (come vedremo sono pochi gli alimenti per cui vale questo obbligo);

    • le istruzioni d’uso per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento (Da consumarsi previa cottura);

    • il tasso alcolometrico (per le bevande che contengono più dell’1,2% di alcol in volume);

    • la dichiarazione nutrizionale (obbligatoria dal 13 dicembre scorso ma non per tutti gli alimenti. Ne sono esentati ad esempio gli integratori alimentari e le acque minerali);

    • il lotto di produzione (il codice alfanumerico necessario a rintracciare il prodotto);

    • indicazioni complementari per alcune tipologie di alimenti (Contiene edulcoranti, ad esempio nel caso dei gelati confezionati; Confezionato in atmosfera protettiva, per la carne o gli affettati preconfezionati; oppure Elevato tenore di caffeina. Non raccomandato per i bambini e durante la gravidanza e l’allattamento qualora la caffeina, come in certi energy drink, superi i 150 mg/l).

    Il nome dell’alimento

    Ogni alimento deve presentare la sua denominazione di vendita e lo stato fisico in cui si presenta (in polvere, congelato, scongelato, affumicato e via elencando).

    Il nome commerciale – informazione volontaria – non può sostituire la denominazione legale (obbligatoria) quando viene disciplinata dalla legge: possiamo ad esempio leggere Rosetta, ma accanto deve esserci scritto pane di tipo 00. Il termine pizza invece non è disciplinato da nessuna norma ed essendo la denominazione usuale con la quale ci si riferisce a questo alimento sulla confezione si può scrivere anche solo Pizza surgelata. Quando non esiste né una denominazione legale, né una usuale – pensiamo ai tanti prodotti tipici del territorio regionale italiano – si può scrivere semplicemente il nome comune dell’alimento (Taralli pugliesi).

    Esistono poi delle indicazioni specifiche che devono accompagnare il nome dell’alimento. Lo stato fisico innanzitutto: succo concentrato, brodo liofilizzato, trancio di spada congelato, gamberetti scongelati (qualora prima della vendita erano congelati o surgelati).

    Se un ingrediente normalmente utilizzato nella preparazione (ad esempio l’uovo per la maionese) è stato sostituito da un’altra sostanza (ad esempio dalle proteine di soia), questa deve essere indicata accanto alla denominazione di vendita.

    Qualora invece sia stata aggiunta dell’acqua superiore al 5% del prodotto finito di carne o pesce (pensiamo alla glassatura nei tranci congelati) deve essere indicata accanto al nome dell’alimento.

    I prodotti e le preparazioni a base di carne o di pesce (come il Surimi) che possono sembrare costituiti da un unico pezzo di carne o di pesce ma che in realtà sono il risultato di un assemblaggio di più parti tramite additivi devono riportare la dicitura Carne ricomposta o Pesce ricomposto.

    La lista degli ingredienti

    È la ricetta dell’alimento, l’elenco delle sostanze (compresi aromi, additivi ed enzimi) ancora presenti nel prodotto finito utilizzate per la preparazione del cibo confezionato.

    È consentito non indicare nella lista degli ingredienti gli additivi che non svolgono più una funzione nel prodotto finito o che sono stati utilizzati come coadiuvanti alimentari. I coadiuvanti sono sostanze usate per la trasformazione della materia prima che non ritroviamo nel prodotto finito se non in tracce impercettibili. Solo qualora questi residui possano rappresentare una minaccia alla salute umana (ad esempio far insorgere un’allergia) scatta l’obbligo di riportarli in etichetta.

    L’ordine con il quale vengono presentati gli ingredienti non è affatto casuale: devono essere elencati in ordine decrescente di peso, per cui il primo della lista è quello usato in maggiore quantità nel prodotto finito, il cosiddetto ingrediente principale (ad esempio per la pasta Semola di grano duro), mentre l’ultimo è quello impiegato in minore quantità (Acqua, nell’esempio della pasta, qualora presente nel prodotto finito).

    Ricordiamo che il Regolamento 1169/11 ha reso obbligatorio nel caso di oli e grassi vegetali di indicare il tipo specifico: olio di palma, olio di girasole, olio di oliva, olio di cocco ecc… Quando poi acquistiamo ad esempio una confezione di insalata mista o di funghi di diversa specie dove nessuna qualità prevale sulle altre deve essere specificato Funghi in proporzione variabile, una dicitura seguita poi dalle tipologie presenti nella confezione.

    Se per la preparazione del prodotto, pensiamo ad alcuni würstel a base di pollo o suino, sono stati utilizzati residui di carne dalle ossa o dalle carcasse mediante mezzi fisici, l’ingrediente dovrà riportare ad esempio la dicitura Carne di pollo separata meccanicamente.

    Nella lista degli ingredienti, qualora impiegati, vanno indicati anche i nanomateriali ingegnerizzati con il nome dell’ingrediente seguito dalla dicitura nano tra parentesi. Ad esempio il biossido di titanio è un colorante (E171) usato nelle gomme da masticare, le caramelle e in altri dolciumi che se viene utilizzato nella versione nano dovrà essere seguito dalla specificazione (nano).

    Quando bisogna specificare la quantità dell’ingrediente

    Quando un ingrediente è associato alla denominazione di vendita dell’alimento (Yogurt alla banana) deve essere riportata anche la sua quantità percentuale rispetto al prodotto finito (Banana 12%). Analogo obbligo quando l’ingrediente è evidenziato mediante parole, immagini o rappresentazione grafica (ad esempio in Tortelli al prosciutto, ritroveremo la percentuale dell’insaccato).

    Come vedremo nei punti successivi la possibilità di vantare sulle confezioni una quantità apprezzabile di un ingrediente salutistico (le fibre nei cereali da colazione o il contenuto di calcio nel latte) è legata al rispetto di una serie di condizioni regolamentate dalla normativa nazionale e comunitaria.

    Aiuto! Non trovo gli ingredienti

    Esiste un elenco (articolo 19 Reg. ue 1169/11) di prodotti per i quali non è obbligatorio indicare la lista degli ingredienti:

    immagine

    Non dimentichiamoci poi del caso specifico del vino per cui non c’è nessun obbligo di indicare gli ingredienti.

    Gli allergeni

    Da due anni a questa parte la vita dei consumatori intolleranti o addirittura allergici ad alcuni ingredienti è decisamente migliorata visto che è obbligatorio evidenziare le sostanze allergeniche.

    Questi composti devono essere distinti tra la lista degli ingredienti per dimensione, stile o colore per renderne immediata l’identificazione. Gli intolleranti al glutine quindi troveranno ad esempio in grassetto, sottolineato o evidenziato con uno sfondo diverso l’ingrediente Grano o Orzo. Gli intolleranti al lattosio saranno aiutati con le evidenziazioni Latte, Latte o latte qualora l’alimento contenga il latte.

    Le sostanze che provocano allergie o intolleranze e che devono essere evidenziate tra gli ingredienti sono le seguenti:

    • cereali contenenti glutine ovvero il grano (compresi farro e grano khorasan), segale, orzo, avena e prodotti derivati;

    • crostacei e prodotti a base di crostacei;

    • uova e prodotti a base di uova;

    • pesce e prodotti a base di pesce;

    • arachidi e prodotti a base di arachidi;

    • soia e prodotti a base di soia;

    • latte e prodotti a base di soia compreso il lattosio;

    • frutta a guscio ovvero mandorle, nocciole, noci, noci di acagiù, noci di pecan, noci del Brasile, pistacchi, noci di Macadamia, e i loro prodotti derivati;

    • sedano e prodotti a base di sedano;

    • senape e prodotti a base di senape;

    • semi di sesamo e prodotti a base di sesamo;

    • lupini e prodotti a base di lupini;

    • molluschi e prodotti a base di molluschi.

    Questo elenco prevede delle eccezioni contenute nell’Allegato ii del Regolamento ue 1169/11. Inoltre la ue è impegnata a rivedere periodicamente l’elenco delle sostanze allergeniche.

    L’ingrediente allergenico può non essere indicato quando la denominazione dell’alimento (ad esempio Latte, Pasta di semola di grano duro, Farina di grano tenero tipo 00, Trancio di pesce spada o Uova) fa chiaramente riferimento alla sostanza o al prodotto in questione.

    Se invece un alimento non presenta allergeni tra i suoi componenti oppure ne contiene solo alcuni ma è prodotto in uno stabilimento dove vengono impiegati altri allergeni potremmo trovare scritto dopo la lista degli ingredienti diciture del tipo: Può contenere tracce di arachidi e frutta a guscio. Un’informazione importante eppure facoltativa.

    E quando un alimento non ha la lista degli ingredienti? Caso evidente è quello del vino dove in etichetta in genere figura solo un allergene, Contiene solfiti, qualora siano superiori a 10 mg/l.

    Le avvertenze al ristorante

    Gli allergeni devono essere evidenziati anche nei menu di ristoranti, mense collettive, servizi di catering e dagli ambulanti che somministrano cibo su supporto fisso o mobile. Una nota del ministero della Salute del 6 febbraio 2015 ha chiarito gli obblighi informativi per il consumatore. Fermo restando che l’informazione sulla presenza degli allergeni deve essere fornita sempre su richiesta (anche verbale) del consumatore, l’elenco delle sostanze allergizzanti può essere riportato sui menu, su un apposito registro – tenuto bene in vista – oppure su un sistema equivalente, anche tecnologico, come il qr Code o un’apposita app.

    Nella vendita a distanza, ad esempio quando si ordina un pranzo via web o una Margherita presso una pizzeria che consegna a domicilio, la legge prevede che al consumatore venga messa a disposizione almeno la lista degli allergeni, anche attraverso un sistema tecnologico.

    Data di scadenza o termine minimo di conservazione

    Come è noto a tutti il cibo deve essere consumato entro un certo periodo che viene indicato nella data di scadenza o nel termine minimo di conservazione (tmc).

    Per alcuni alimenti è sufficiente specificare un termine minimo di conservazione, cioè la data entro la quale l’alimento mantiene integre le sue qualità organolettiche: gusto, fragranza e proprietà nutrizionali. Superato quel limite non ci sono problemi di sicurezza ma a risentirne può essere il palato.

    Il tmc in etichetta è riportato con le diciture Da consumarsi preferibilmente entro il… o Da consumarsi preferibilmente entro fine… seguite dalla data che può essere espressa in modo diverso a seconda della conservabilità degli alimenti. Se l’alimento è conservabile per meno di 3 mesi, la data è espressa con il giorno e il mese. Per gli alimenti conservabili da 3 a 18 mesi il tmc può contenere solo il mese e l’anno. Infine per i cibi conservabili per più di 18 mesi si può riportare anche solo l’anno.

    Quando è necessario, dopo questa informazione, vengono riportate le modalità di conservazione (ad esempio, per l’olio, Tenere lontano dalle fonti di calore), utili a preservare le proprietà specifiche per tutto il periodo indicato.

    Ci sono invece cibi molto deperibili che nel tempo possono essere esposti a proliferazioni batteriche dannose per la salute del consumatore e che devono essere consumati tassativamente entro un certo giorno e per questo hanno la data di scadenza. Sulle confezioni del latte, dell’insalata in busta o

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