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È facile vivere bene in Sardegna se sai cosa fare
È facile vivere bene in Sardegna se sai cosa fare
È facile vivere bene in Sardegna se sai cosa fare
E-book482 pagine5 ore

È facile vivere bene in Sardegna se sai cosa fare

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Info su questo ebook

Come godersi ancora di più la vita sull'isola più bella del mondo

La conoscono tutti, ma per molti è solo l’amica dell’estate, un’isola che emerge coi primi caldi e sprofonda a settembre con le prime piogge. La Sardegna, invece, è molto di più delle spiagge bianche, dei panorami mozzafiato, dei fondali brulicanti di pesci e relitti, del mirto gelato. È un’isola che vive tutto l’anno, carica di fascino e mistero e ricca di tradizioni ed eventi. Proprio ciò di cui questo libro va alla ricerca, per poi presentarlo a chi risiede già lì o al turista a caccia di esperienze: alla descrizione e al “censimento” delle principali e ormai note bellezze dell’isola si unisce un vademecum delle occasioni di svago, cultura e divertimento meno conosciute. Dai festival letterari, musicali e cinematografici agli appuntamenti che ogni paese organizza durante il corso dell’anno. Che siate a piedi, in auto, in camper, in bicicletta o in moto, questo libro vi consiglierà non solo cosa fare ma anche come raggiungere i principali luoghi d’interesse e dove soggiornare.
Cristiano e Davide Peddis
Cristiano e Davide Peddis nascono sotto lo stesso tetto e sotto lo stesso cielo, quello dell’isola di cui parla e racconta questo libro. Il primo si occupa di libri per mestiere e di poco altro, il secondo è scienziato di professione e divulgatore per passione. E se il lavoro li porta a volte lontano dalla Sardegna, è lì che fanno ritorno, perché è l’isola più bella del mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2016
ISBN9788854199538
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    Anteprima del libro

    È facile vivere bene in Sardegna se sai cosa fare - Cristiano Peddis

    364

    Prima edizione ebook: novembre 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9953-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli

    Realizzazione: Alessandro Tiburtini

    Cover: © Oscar Odd Diodoro

    Cristiano Peddis e Davide Peddis

    È facile vivere bene in Sardegna se sai cosa fare

    Come godersi la vita sull’isola più bella del mondo

    Introduzione. Guida alla consultazione

    Il libro che avete tra le mani non è una guida turistica della Sardegna. Lo abbiamo pensato e organizzato secondo criteri simili, dividendo l’isola in quattro quadranti che ricalcano orientativamente le vecchie province, ma l’intento non è quello di fornire un elenco di attrazioni da assemblare e unire per creare un percorso da turisti.

    Al contrario, l’idea di fondo è quella di approntare un serbatoio di suggerimenti per chi, sardo o meno, si trovi a passare una o più giornate libere sull’isola nei diversi periodi dell’anno. Pertanto, ciò che vi proponiamo è una serie di combinazioni a seconda del luogo in cui siete o da cui partite e di quello che avete voglia di fare.

    Veniamo ai contenuti: non essendo una guida, non troverete tutto ciò che compare nei tradizionali volumi turistici né ci sono pretese di completezza ed esaustività. Il titolo di questo libro parla chiaro: vivere in Sardegna è facile, ma occorre sapere cosa fare e dove andare, e i posti da vedere non sempre corrispondono a quelli da cartolina o che compaiono sul depliant dell’agenzia di viaggi. Quindi sì, troverete le indicazioni e le descrizioni di alcune spiagge e, certamente, saranno citati i siti archeologici, le feste principali, le attrazioni note, ma non tutte e non solo quelle. Per noi, l’importante era garantire la possibilità di poter decidere, svegliandosi una mattina in un qualche paesino del Sulcis o in una cittadina dell’Ogliastra, a Sassari centro o nella penisola del Sinis, come organizzare e come riempire una giornata di relax, sport, natura o divertimento.

    Siamo partiti, come crediamo sia giusto, da quello che conosciamo e dal nostro modo di vivere la Sardegna, e abbiamo cercato di far trapelare nelle nostre schede proprio questo lato biografico, che riteniamo incarni al meglio il nostro profondo legame con la terra in cui siamo nati. Insomma, abbiamo un amico caro che ha casa a Torre dei Corsari, ed è andando a trovare lui che abbiamo scoperto le meraviglie della vicina Funtanazza. Oppure un altro amico gioca a calcio nella zona di Oristano e ci porta spesso dell’ottimo prosciutto, così ci è capitato di visitare un paese di quel territorio e le maestose campagne circostanti. Oppure un parente, un’amica, un collega ci ha invitato da qualche parte, e in questo modo abbiamo scoperto luoghi meno noti che qui proviamo a raccontarvi, e che di solito sono quelli che possono darvi più soddisfazione e che non troverete indicati altrove. Una selezione limitata, dato che si potrebbe scrivere all’infinito delle possibilità che questa terra offre al visitatore attento e curioso.

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    Mappa delle regioni storiche della Sardegna.

    Alcune premesse si rendono necessarie, soprattutto per i lettori non sardi, ed è una precisazione che ci sentiamo di fare dopo averne discusso a lungo con amici continentali: i concetti di vicino e lontano, in Sardegna, sono abbastanza relativi, perché in un territorio per larghi tratti spopolato e in cui i trasporti non sono propriamente eccellenti e affidabili, si è abituati a vivere con le chiavi della macchina sempre in tasca. Questo comporta che le vostre decisioni su cosa vedere oggi dovrebbero a nostro avviso tenere conto, se non di tutta, almeno di una buona metà dell’isola. Se partite da Cagliari, insomma, in giornata potete andare a scoprire la basilica di Saccargia, a circa 200 chilometri, e poi tornare indietro. Un sardo lo farebbe, e i sardi vivono spesso la loro terra con questo spirito. Se una persona che abita in una metropoli come Roma o Milano in una serata qualunque considera praticabile la città, la prima periferia e magari anche l’hinterland, per noi la gita fuori porta non è qualcosa di relegato al weekend. Pertanto, utilizzate i nostri consigli con questo spirito: ogni località è a portata di mano anche se con un viaggio piuttosto lungo, che spesso si rivela ancora più emozionante per tutto ciò che sfila oltre il finestrino.

    Due parole sull’organizzazione interna: come già accennato, abbiamo tenuto come suddivisione, per facilità di lettura e consultazione, quattro aree territoriali più o meno corrispondenti alle province di un tempo, ovvero Cagliari (La Sardegna del Sud), Oristano (La Sardegna centro-occidentale), Nuoro (La Sardegna centro-orientale) e Sassari (La Sardegna del Nord). All’interno delle varie macrosezioni troverete una serie di schede, legate a paesi e cittadine, specifiche attrazioni, musei, festival o sagre, o semplicemente sulle varie possibilità che quella fetta di territorio vi offre. Dentro ogni scheda, consigli su come organizzare la vostra permanenza nel luogo in questione, cosa vedere e come vederlo, qualche contatto web o telefonico per eventuali prenotazioni o informazioni aggiornate se necessario. Quando lo abbiamo provato di persona, indichiamo anche un ristorante di riferimento: il cibo è sacro dalle nostre parti, e non ci sentiamo di commettere errori.

    A chiusura di ogni sezione, una lunga scheda sulle spiagge più significative nel quadrante di riferimento. Ci sono quelle famose, ovviamente, ma anche le calette minori o seminascoste, quelle che, per intenderci, sono già frequentate dai sardi prima che parta la stagione estiva e turistica. In ultimo, per ogni zona qualche consiglio per i camperisti, con indicazioni di percorsi possibili e avvertenze tecniche importanti, quali dimensioni del parcheggio, prezzi per la sosta e condizioni delle strade.

    Per la consultazione avete tre opzioni: la lettura da cima a fondo per poi scegliere, magari con dei post-it sulle pagine, cosa fare e quando; sfogliare il libro a caso e lasciarvi guidare dalla sorte; scandagliare l’indice finale per trovare quello che vi interessa di più.

    Ci piace pensare che basti questo, e il nostro racconto, per stuzzicare la vostra curiosità.

    La palla adesso passa al lettore.

    La Sardegna del Sud

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    Cagliari. La torre dell’Elefante in un’incisione di Giuseppe Barberis.

    Destinazioni

    Cagliari. Una giornata pitagorica

    Cagliari non è a forma di triangolo, quindi probabilmente la scuola pitagorica non approverebbe il fatto che a noi, in questa città, sia tornato in mente di continuo il numero tre. E ora proviamo a dimostrarvelo cominciando dai quartieri, che in teoria sono quattro, ma che in pratica, appunto, sono tre. Stampace, infatti, sembra volersene stare in disparte. Si allunga verso il centro, con le sue caratteristiche stradine e i palazzetti, tra le cupole delle tante chiese (Sant’Efisio su tutte, di cui parleremo nella scheda dedicata alla festa) e le scultoree facciate dei vecchi ospedali, ma le perle sono leggermente più lontane: l’anfiteatro romano, l’orto botanico e la villa di Tigellio. Insomma, Stampace è bello e sfilacciato, mentre gli altri tre quartieri, i nostri tre, hanno un tessuto più compatto.

    Saliamo quindi a Castello, che ci tratterrà per ore. Perché è la zona che fu il cuore del potere politico e militare della città (ci sono il Palazzo viceregio e l’ex Palazzo di Città) e del potere religioso (ci sono la cattedrale e il Palazzo arcivescovile); perché è la parte con i musei più importanti (la Cittadella, il Museo archeologico, il museo alloggiato nell’ex Palazzo di Città); perché è da qui che è passata la Storia (dalle torri pisane di San Pancrazio e dell’Elefante al ghetto degli ebrei); perché è qui che i panni stesi sventolano a catturare i pochi raggi di sole che riescono a infilarsi in questi stretti vicoli medievali senza giungere a illuminare le botteghe degli artigiani che si annidano sul livello della strada; perché è qui che le vetrine delle universalmente conosciute sorelle Piredda (www.sorellepiredda.com) intrappolano gli sguardi delle donne di tutto il mondo, con le loro raffinate creazioni così tradizionali e così moderne insieme; perché è qui che nell’atmosfera un po’ rétro del delizioso Muzak (www.mzkbar.com), tra vecchie radio e posateria antica, si può gustare un’originalissima nouvelle cuisine ripensata per i panini.

    C’è poi la Marina, quartiere mediterraneo per antonomasia, vuoi per la vicinanza del porto, vuoi per la quantità dei tavoli all’aperto di ristoranti e trattorie che si susseguono uno dopo l’altro, vuoi per la mescolanza di locali e stranieri che lo popolano fittamente.

    E c’è infine Villanova, un quartiere ritornato a nuova luce negli ultimi anni, tutto strade pedonali, balconcini in ferro battuto, vasi di gerani e ortensie.

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    Veduta di Cagliari in un’incisione dell’Ottocento.

    Ma torniamo al numero tre, perché anche i punti panoramici che vi suggeriamo sono proprio tre. Il primo è viale Buoncammino, un segmento alberato che unisce due punti ben precisi: piazza d’Armi a nord (sotto la quale si spalancano cave di calcare, rifugi antiaerei e cunicoli che gli amanti delle città sotterranee potranno esplorare con guide esperte) e porta Cristina a sud (suggestivo ingresso al quartiere Castello, proprio nei pressi della torre di San Pancrazio e della Cittadella dei musei). Un rettangolo lungo e stretto di verde urbano dove un tempo passeggiavano i Savoia, i quali ci avevano piantato pini, cipressi e olmi (forse perché essendo abituati ad altri climi non ne potevano più del sole africano della città). Ma non temete: ad accompagnare la vista mozzafiato che va, a est, da Villanova al Poetto e dallo stagno di Molentargius fino ai monti dei Sette Fratelli e, a ovest, da monte Arcosu a Santa Gilla e infine all’anfiteatro romano, non troverete un bicerin, bensì una freschissima e biondissima Ichnusa: bevanda d’obbligo d’estate e d’inverno nei chioschi aperti di giorno e di notte. Di aria e (nove volte su dieci) di vento dovrete invece dissetarvi se andrete a godere del panorama lassù in viale Europa: tutta un’altra storia qui, sia per l’atmosfera, sia per la vista. Siete in cima (98 metri sul livello del mare) alla fitta pineta del parco di monte Urpinu (da mons Vulpinus, per via delle volpi che un tempo l’abitavano), e lo sguardo abbraccia il golfo degli Angeli, la Sella del Diavolo, lo stagno di Molentargius con le sue saline, e infine l’interminabile Poetto. Sono circa un terzo, invece, i metri d’altezza dell’altro punto panoramico da non perdere: la trecentesca torre dell’Elefante, che con un po’ di fantasia si può credere d’avorio, sia per via della scultura ubicata in alto, su una mensola (simbolo caro ai pisani, da cui prende il nome il monumento), sia per via del materiale utilizzato per la costruzione (un calcare bianco estratto da cave locali). In cima ai quattro piani (che non senza prendere fiato attraverserete salendo le rampe e i soppalchi di legno) vi attende una piccola e intima terrazza da dove godere di una vista sulla città sottostante e sullo stagno.

    Ma, una volta ritornati con i piedi per terra, è tempo di pensare a dove trascorrere una serata piacevole, e anche in questo caso sono tre i nostri consigli, per l’esattezza tre piazze: la prima è piazza Savoia, alla Marina, dove persino chi non ha voglia né di un bicchiere nel dehors dell’omonimo bar né di una pizza o una bistecca di cavallo all’Ampurias può sedersi sul muretto di pietra che delimita l’area del giardino e osservare il passeggio, e poi magari allungare due passi in via Dettori, sulla quale si apre la piazzetta San Sepolcro, uno slarghetto con un paio di panchine: ecco, se da qui salite su per le scale sulla sinistra dell’omonima chiesa arrivate alla friggitoria Le Patate & Co (proprio davanti all’Hostel Marina), che è nata con le patate, è vero, ma che non è da meno per i calamari o i pescetti; la seconda è piazza San Domenico di Villanova, salita alla ribalta negli ultimi anni e ormai senza rivali, grazie ai vini e ai taglieri di Florio, alla pizza del Fantasma 2 (ancora più buona dell’1), alle panchine sotto alberi frondosi e altissimi; la terza è piazza Yenne, che si irradia tutt’intorno alla statua di Carlo Felice, il fulcro della più instancabile movida cittadina, che da pochi mesi ha pensato bene di allungare un’altrettanto giovane e vivace propaggine lungo il corso Vittorio Emanuele (dove è d’obbligo una birra all’Old Square, www.oldsquare.it).

    Tre sono anche i festival della città da tenere in considerazione per un weekend lungo (appunto, un weekend di tre giorni); in ordine cronologico: Skepto (www.skepto.net), una rassegna internazionale di natura competitiva, dedicata ai cortometraggi, che si svolge in primavera (in genere ad aprile) e il cui epicentro è sempre stato e sempre sarà l’Hostel Marina (che agli ospiti garantisce prezzi ancora più bassi dei soliti); Leggendo Metropolitano (www.leggendometropolitano.it), che all’inizio di giugno riempie le piazze e altri locali di Castello di presentazioni di libri e chiacchierate con gli autori; e infine il Marina Cafè Noir (www.marinacafenoir.it), nella prima metà di settembre, che si propone come un festival di letteratura con una forte impronta politica, e in cui dibattiti, incontri, mostre e iniziative collaterali invadono gli angoli più conosciuti ma anche quelli più inediti del centro storico.

    E tre sono i mercati, dove andare a fare un giro anche senza sporte: uno è quello di San Benedetto, al chiuso, frequentato soprattutto dai fotografi, attratti dagli effetti di luce che rimbalzano tra le vaschette di pesce di ogni forma e dimensione e le finestrelle che rischiarano questo quasi-seminterrato, e dai buongustai, che apprezzano il cartoccio di pesce fritto take-away; un altro è quello di Santa Chiara, di piccole dimensioni, restituito di recente alla città, affacciato sulle omonime scalette ai piedi di Castello; il terzo è il popolare mercato di Sant’Elia, dove potrete sentirvi uno del posto, tra i cagliaritani che la domenica mattina, dopo un caffè e prima dell’aperitivo, fanno un salto qui per procurarsi il necessario per un’improvvisata zuppa di pesce dei pescatori locali e per riempire il frigo di salumi e formaggi speciali.

    Tre sono infine anche i ristoranti dove vale la pena di assaggiare la cucina locale declinata in modi diversi: c’è il vecchio ma sempre valido Flora (www.hotelfloracagliari.it), dove tra splendidi quadri e armadi antichi e altri raffinati arredi si gusta una buona cucina; c’è l’istituzione Lillicu, per chi invece predilige il clima da osteria; e c’è infine Is Fradis (www.isfradisristorante.it) per i palati più sperimentali.

    Infine, non per ingraziarci il favore dei pitagorici (che avrebbero comunque ragione a disapprovare il tre, ma non una specie di perfezione di cui Cagliari evidentemente può farsi vanto), è impossibile non riconoscere tre grandi zone in questa città: una è la zona del porto, dove ormeggiano i traghetti e le navi da crociera e dove comincia la strada per la costa occidentale del golfo (in direzione di Chia, per intenderci), quella che basta attraversare la strada e sei nel cuore della Marina, quella dalla cui stazione marittima parte una pista (per pedoni e per ciclisti) che corre lungo il mare fino a Sant’Elia; poi c’è la zona del Poetto, la grande spiaggia della città che dalla Sella del Diavolo si allunga per 8 chilometri circa fino al Margine Rosso, quella con la rotonda sul mare (oggi inglobata dallo stabilimento del Lido) dove andavano a ballare da giovani i nonni degli amici (dopo una giornata al mare nei casotti di legno), quella con le barche a vela di Marina Piccola, quella che era finita sulle pagine di tutti i giornali per via del ripascimento che l’aveva annerita (da bianca candida che era, anche se oggi le cose vanno meglio), quella dei chioschetti dove in inverno si va a mangiare un panino in pausa pranzo (e i più impavidi a fare un tuffo veloce) e d’estate si va a tutte le ore (per il caffè mattutino, per la birretta pomeridiana o serale, per la musica dal vivo della notte), quella dove da quando è stato pedonalizzato il lungomare tutti vanno a correre, quella che frequenti, anche se sei tra coloro che non vanno al mare per il fatto che hanno in odio la sabbia, perché un pranzo a base di ricci e Vermentino invece tutti lo amano; e c’è infine il centro, che per noi converge in un punto magico, il bastione di Saint Remy: una fortificazione immensa, massiccia e austera di fine Ottocento, con un vero e proprio imponente arco di trionfo, che fa da custode a tutta la città. Così tanto da custode che, chiunque ci vada, cagliaritano e no, a un certo punto, mentre se ne sta lì affacciato sulla terrazza, lo ringrazia, in cuor suo, il custode. Per quel momento magico vissuto lassù.

    Arbus. La lama più lunga del mondo al Museo del coltello sardo

    Il coltello, si dice in certi violenti film d’azione, bisogna saperlo usare. Ecco, se vi trovate a passare per la zona di Arbus, magari mentre andate o tornate da Piscinas o Torre dei Corsari, fermatevi a visitare un museo molto speciale in cui si insegna che i coltelli, prima di tutto, bisogna saperli fare.

    E in questo senso la Sardegna non è seconda a nessuno. Le produzioni dei fabbri, pardon, degli artisti sardi del coltello, sono famose e celebrate in tutto il mondo, ed esistono esemplari che arrivano a costare parecchie migliaia di euro, a seconda ovviamente delle dimensioni, del metallo e degli altri materiali utilizzati, della lavorazione artigianale delle serrature, della qualità artistica nella fattura del manico (di norma un pezzo unico è realizzato con il corno o un osso di animale).

    I paesi che hanno una tradizione nella produzione di coltelli sono tanti (Guspini, Dorgali, Fluminimaggiore, Tempio), ma il primato spetta sicuramente a due in particolare: Pattada, nel Logudoro, patria della pattadese o resolza, e Arbus, appunto, dove nasce l’arburesa, arresoja in lingua locale. La differenza tra i due coltelli può essere chiarita solo in linea generale, perché ovviamente ogni artigiano ha le proprie specifiche e le proprie tecniche di produzione. In linea di massima, e semplificando fin troppo, possiamo dire che se la pattadese è riconoscibile per la lama stretta detta a foglia di mirto, l’arburesa mostra invece una lama più panciuta, a foglia larga.

    Ci fermiamo qui perché tutto il resto potete farvelo spiegare da uno degli artigiani più noti in questo settore, Paolo Pusceddu, che accanto al suo laboratorio in via Roma ad Arbus, dopo un restauro, ha aperto la vecchia casa di famiglia per offrire una panoramica pressoché completa dell’universo del coltello sardo. All’interno, sono conservati e ben esposti alcuni antichi esemplari, tra cui un meraviglioso pugnale in ossidiana del Neolitico. Una sala ospita invece i pezzi più pregiati di mastri coltellai di altre zone della Sardegna, e potrà aiutarvi a capire differenze e specifiche della lavorazione. L’ultima sala è dedicata alla ricostruzione di una bottega da fabbro, con tutti gli strumenti di lavoro di su ferreri, compresa, ovviamente, sua maestà l’incudine. La visita, arricchita da filmati che raccontano come si realizza un coltello, è a ingresso libero, e sarà il padrone di casa ad accompagnarvi (durante la settimana è aperto mattina e pomeriggio, ma telefonate prima, per sicurezza: 070/9759220 oppure 3490537765). Ovviamente potete comprare un’arburesa nella coltelleria adiacente (no, i pezzi della collezione non sono in vendita).

    Un’ultima informazione: Paolo Pusceddu è una di quelle persone che possono raccontare di essere state inserite nel Guinness dei primati, dal momento che è proprio lui l’artefice del coltello più pesante del mondo, quasi 5 metri per circa 300 chili.

    Arcosu. La montagna di sua maestà il cervo

    Se quello che cercate è la natura, questo è il posto che fa per voi. La riserva naturale di monte Arcosu è infatti la più estesa in Italia, con i suoi 3600 ettari di superficie che coprono un’ampia varietà di paesaggi tra i comuni di Uta, Siliqua e Assemini.

    L’area è di proprietà del

    WWF

    , e anche questo è una garanzia per animalisti e appassionati. L’oasi nasce proprio dalla volontà di tutelare l’habitat di uno degli animali più rappresentativi di questa zona, il cervo sardo, che prolifera tra i boschi e le valli all’ombra del monte Arcosu, che con i suoi quasi 1000 metri dà il nome al sito, e le due cime minori di Genna Strinta e del monte Lattias. Con una popolazione censita che supera il migliaio di esemplari, si tratta di certo dell’area più densamente popolata da questo splendido mammifero.

    Il paesaggio, ovviamente, è il vero protagonista di ogni escursione in questa zona: la macchia mediterranea si alterna a fitti boschi e a magnificenti pareti di granito, e al fondo delle valli scorrono i canaloni dei fiumi che raccolgono le acque del complesso montuoso, di solito in secca nei mesi estivi (Gutturu Mannu, rio Guttureddu, rio Sa Canna). Restano spesso in primavera delle splendide pozze d’acqua, bellissime da visitare, e intorno a cui è possibile veder comparire cervi e altri animali venuti a dissetarsi.

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    Il cervo sardo in un’illustrazione tratta da Georges Louis Leclerc, Histoire naturelle, générale et particulière, avec la description du Cabinet du Roy, Tome

    VI

    , Imprimerie royale, Paris 1756.

    L’oasi offre diverse possibilità, soprattutto a scopo didattico. Numerosi sono infatti i recinti faunistici in cui si possono ammirare daini e tartarughe di terra. La fauna selvatica è quella tipica della Sardegna: cinghiali, volpi, gatti selvatici e diverse specie di uccelli anche migratori, dal falco pellegrino al gheppio, all’immancabile pernice sarda.

    La cooperativa Il Caprifoglio organizza un’ampia gamma di attività da svolgere all’interno del parco, legate sia all’educazione ambientale sia alle escursioni per appassionati e turisti. La più suggestiva è quella notturna sulle tracce del cervo. Il trekking occupa ovviamente un posto centrale, con percorsi semplici da circa 2 chilometri fino ai più impegnativi 24. Molto seguito, e consigliato, anche il workshop di fotografia naturalistica.

    L’oasi è aperta tutto l’anno il sabato e la domenica, per i dettagli visitate il sito dedicato del

    WWF

    (www.wwf.it/oasi/sardegna/monte_arcosu) o quello molto curato della cooperativa che si occupa dei servizi (www.ilcaprifoglio.it). Esiste anche un servizio foresteria, per chi proprio non ne vuole sapere di tornare in città.

    Armungia. Citofonare Emilio Lussu

    La gita ad Armungia la consigliamo senza riserve, perché splendida è la zona circostante (la subregione del Gerrei, poco distante dall’area del parco del monte dei Sette Fratelli, www.montesettefratelli.com ) e perché, oltre a esserci personalmente affezionati, il paese è delizioso nella sua sobria semplicità così carica di storia.

    A proposito di storia, proviamo a ripercorrerla a ritroso: sicuramente il più celebre figlio di Armungia è Emilio Lussu, combattente, uomo politico, esponente dell’antifascismo della prima ora, fondatore del Partito Sardo d’Azione e magnifico narratore (il suo Un anno sull’Altipiano è sicuramente il testo più noto, ma se avete tempo vi consigliamo anche Marcia su Roma e dintorni: ci sono pagine splendide anche sulla Sardegna, attraversate dalla caustica ironia dell’autore, che raccontano con tratti a volte anche comici la nascita dei primi fasci sull’isola). A lui e alla moglie Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, meglio nota come Joyce Lussu (scrittrice, traduttrice, partigiana), è dedicato uno dei tre musei che compongono il patrimonio espositivo del paese, appunto il Museo storico Joyce ed Emilio Lussu, allestito nella Casa del Segretario, un palazzetto ristrutturato di recente che nella piazzetta interna ospita diverse attività culturali dell’amministrazione.Il museo, attraverso fotografie, scritti, oggetti e materiale multimediale, offre una panoramica completa dell’esistenza di Emilio Lussu, dall’infanzia e dai legami armungesi fino alla lotta politica e al ruolo di prim’ordine nella scena istituzionale del dopoguerra.

    Se, invece, il vostro interesse storico è rivolto a tempi decisamente più lontani, Armungia vi offre una soluzione all’interno del centro abitato: è infatti uno dei pochi paesi (almeno di nostra conoscenza) che ospita un nuraghe vicinissimo alla piazza principale (meno di cinque minuti). Si tratta di una costruzione monotorre di dimensioni notevoli (oltre 10 metri il perimetro esterno), di cui sono ancora visibili (ma non percorribili) i gradini che conducevano alla terrazza. Al di là del valore storico-archeologico, di per sé significativo (non abbiamo datazione certa, ma si ritiene si tratti di una struttura dell’età del Bronzo), la particolarità di questo nuraghe sta nella sua collocazione per le vie della città. La sera, con l’illuminazione giusta, rende indimenticabile persino una semplice passeggiata.

    Vi segnaliamo anche gli altri due anelli della catena museale di Armungia: la Bottega del fabbro (su ferreri) e il Museo etnografico Sa domu de is ainas (la casa degli attrezzi da lavoro). Il primo, ospitato in una palazzina a due piani sempre all’interno del centro abitato, ricostruisce, attraverso un allestimento degli spazi e un’esposizione delle strumentazioni, una pagina del lavoro artigianale nella zona del Gerrei. Il secondo vanta una collezione di circa seicento pezzi, diviso per aree tematiche (artigianato, agricoltura, lavori femminili eccetera). Insieme sono un tuffo nel passato e nella tradizione.

    Gli orari dei musei osservano, di norma, una pausa pranzo: è possibile fare una verifica attraverso l’ottimo sito (www.armungiamusei.it).

    Insomma, una giornata ad Armungia ha molto senso. Il viaggio da Cagliari durerà circa un’ora, se arrivate invece da Muravera più o meno la metà del tempo.

    Ah, se poi una giornata non vi basta e avete voglia di passeggiare fuori dal paese, siete in una posizione invidiabile: la valle del Flumendosa, tra calcare, boschi, macchia mediterranea e il fiume vero e proprio, è davvero incantevole.

    Barumini. Il nuraghe per eccellenza

    In piena Marmilla, ai piedi della Giara di Gesturi (di cui parleremo più avanti), si trova uno dei siti archeologici più importanti dell’isola, conosciuto a livello internazionale e proclamato nel 1997 patrimonio dell’umanità dall’

    UNESCO

    .

    Si tratta dell’area di Su Nuraxi, sicuramente una delle più indagate e delle meglio fruibili di tutto il ricco panorama di archeologia nuragica dell’isola.

    Il complesso megalitico di cui parliamo si trova all’ingresso del paese di Barumini. In seguito agli scavi iniziati negli anni Cinquanta sotto la guida del padre degli archeologi sardi, Giovanni Lilliu, quello che è venuto alla luce è un monumento tra i più imponenti della cultura nuragica, risalente al

    II

    millennio a.C.

    Tecnicamente, si tratta di un nuraghe quadrilobato, ovvero con quattro corpi periferici posti attorno alla torre centrale. La conformazione attuale è frutto di diverse fasi di lavorazione, mentre la struttura più antica, appunto quella centrale, ha mantenuto le tre camere sovrapposte che arrivavano a sfiorare i 20 metri. Il bastione che circonda il corpo centrale, dotato di pozzo, è forse la parte più incantevole della visita: camminare tra questi immensi blocchi di basalto (il muro arriva a misurare anche 3 metri di spessore) rende giustizia a questa mirabilia dell’architettura, che all’epoca doveva essere, e soprattutto apparire, una fortezza inespugnabile. Ancora oggi vi si accede attraverso scale e cunicoli di non facile percorribilità, e l’unica porticina per raggiungere la fortezza si trova a 7 metri di altezza.

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    Su Nuraxi di Barumini, planimetria del nuraghe e del villaggio di Giovanni Lilliu, in Francesco Floris, La grande enciclopedia della Sardegna.

    Attorno alla struttura che abbiamo descritto, chiamata la reggia, si estendeva il villaggio nuragico, destinato alla popolazione: si trattava di capanne con copertura di frasche di cui oggi, ovviamente, restano le tracce a terra e le sezioni circolari della pianta.

    Ci troviamo in un’area che di certo aveva un’importanza notevole per la civiltà nuragica, e a testimoniarlo è il fatto che il sito di Su Nuraxi si trova inserito in un sistema di altri nuraghi e villaggi. Uno di questi, una struttura polilobata, si trova al centro del paese di Barumini, vicino alla chiesa parrocchiale (e infatti fu lo stesso archeologo Lilliu, baruminese, a denominarlo Nuraxi ’e Cresia, nuraghe della chiesa).

    Come detto in apertura, si tratta di uno dei siti archeologici per eccellenza, e pertanto anche la struttura ricettiva è all’altezza di questo primato. Per ragioni di sicurezza sono permesse solo le visite guidate, che partono ogni trenta minuti e durano più o meno un’ora, e questo è un bene perché le

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