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L ultima scommessa dello sceicco
L ultima scommessa dello sceicco
L ultima scommessa dello sceicco
E-book156 pagine2 ore

L ultima scommessa dello sceicco

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Info su questo ebook

Quando il famigerato Bahir Al-Qadir, ricchissimo giocatore d'azzardo, si ritrova costretto a proteggere la sua ex amante, Marina Peshwah, sembra che la dea bendata l'abbia alla fine abbandonato. Bahir ha provato a dimenticare quella viziata principessa innumerevoli volte, ma nemmeno l'inesorabile arsura del deserto è riuscita a cancellare dalla sua mente l'immagine di lei. Ora, però, Bahir sta per scoprire che la loro irresistibile passione non gli ha lasciato soltanto quei bollenti ricordi...

Marina è ancora una volta alla mercé dell'uomo che ama, e potrebbe anche avere in mano la carta vincente, ma l'appassionato sceicco non si lascerà di certo sfuggire una posta così alta!
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788830513938
L ultima scommessa dello sceicco
Autore

Trish Morey

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    L ultima scommessa dello sceicco - Trish Morey

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Sheikh’s Last Gamble

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2012 Trish Morey

    Traduzione di Anna Vassalli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-393-8

    1

    Bahir Al-Qadir odiava perdere. Per chi era considerato ospite sgradito in più della metà dei casinò del mondo per aver sistematicamente sbancato il banco, perdere era qualcosa di insolito. In quel momento, mentre un’altra pila di fiches era spazzata via dal tavolo della roulette, sentì in bocca il gusto amaro della bile, e una cupa nube di disperazione gli gravò sul capo.

    Da tre notti era perseguitato dalla sfortuna, e pareva che non fosse ancora finita. Non gli era di consolazione neppure la consapevolezza che la roulette fosse un gioco destinato a dare al casinò grandi profitti. Non quando era abituato a vincere. Che ironia che la Dea Bendata l’avesse abbandonato in quel momento, proprio quando aveva contato su una serata per sollevarsi il morale. Avrebbe riso per la presa in giro della sorte, ma non era nello spirito di ridere.

    Eppure riesumò un sorriso mentre sistemava l’ultima pila di fiches su un numero nero, osservando l’atteggiamento del croupier che gli faceva intendere di essere pronto. Che cosa importava se aveva già lasciato sul tavolo della roulette l’equivalente del prodotto nazionale di un piccolo Stato? Era un giocatore incallito. La nuca poteva anche essere bagnata di sudore e lo stomaco contratto, ma che fosse dannato se qualcuno dei giocatori intorno al tavolo, che lo osservavano con curiosità, avrebbe letto in lui la tensione.

    Il croupier attese altre giocate, pur sapendo che non ce ne sarebbero state. Tutti gli altri si erano astenuti, accontentandosi di vedere l’impensabile, di vedere Bahir, il famoso Sceicco della Roulette, perdere; così rimase solo lui contro il banco.

    Il croupier fece girare la pallina.

    Sicuramente questa volta... Sicuramente...

    Mentre la pallina girava, lo stomaco di Bahir si contrasse ancora di più. Un rivolo di sudore gli scese sulla schiena. Ma, a dispetto di questo, esibì un sorriso indifferente, il corpo studiatamente rilassato.

    «Rien ne va plus!» annunciò il croupier inutilmente, perché nessuno era stato disposto a puntare. Tutti osservavano la pallina girare e rimbalzare nelle varie caselle mentre la velocità diminuiva.

    Alla fine, la pallina entrò in una casella, per poi rimbalzare e schizzare nell’altra direzione. Sapeva benissimo cosa si provava in quel momento: la speranza era svanita nello stesso modo per tre sere consecutive. Ma, sicuramente, questa sera, nell’ultima puntata della notte, la fortuna sarebbe cambiata, no?

    Poi la pallina rallentò, si fermò e, con una nauseante consapevolezza, lui vide: rosso, il colore che rendeva il numero irrilevante.

    Aveva perso. Di nuovo.

    Ringraziò il croupier, come se avesse perso non più dell’equivalente del costo di una tazza di caffè, ignorando i mormorii scioccati degli astanti, deciso a uscire a testa alta, anche se se la sarebbe presa tra le mani. Cosa diavolo gli stava succedendo?

    Bahir non perdeva.

    Non in questo modo.

    L’ultima volta che gli era capitato un periodo sfortunato del genere...

    Bloccò il corso dei pensieri. Non avrebbe indugiato in quella direzione. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era pensare in una serata del genere a lei.

    Lei, che era la dannatissima ragione per cui era lì, dopotutto.

    «Monsieur, s’il vous plait» mormorò una voce suadente accanto a lui, e si voltò per vedere la faccia da squalo di Marcel, l’impiegato all’ufficio fidi che il casinò gli aveva assegnato quella sera. Una figura perfetta, fino a quel momento, che aveva mantenuto le dovute distanze, e l’espressione priva di quel compiacimento che indubbiamente provava, Marcel aveva fatto in modo che non gli mancasse niente durante le puntate al tavolo da gioco. «Sceicco Al-Qadir, la serata non deve concludersi qui. Se lo desidera, il casinò sarà più che felice di accordarle un prestito affinché possa continuare a giocare.»

    Bahir lesse il suo viso. L’espressione blanda dell’uomo poteva anche non esprimere nulla, ma fu l’impazienza negli occhi grigi che gli fece accapponare la pelle. Quindi, ritenevano che non avesse perso a sufficienza per quella sera? Un’istintiva sfida gli fece bollire il sangue, finché non ebbe la meglio la consapevolezza che da tre giorni non aveva fatto altro che perdere. E questo era un buon motivo per andarsene.

    Inoltre, non aveva bisogno del loro denaro. Aveva vinto parecchio nel corso degli anni per non doversi preoccupare di perdere uno stupido milione, o anche dieci, se per questo. Non era il denaro che gli interessava. Non sopportava perdere. Sorrise nonostante il pulsare alle tempie. «Grazie, no.»

    Marcel insistette. «Ma la notte è ancora giovane.»

    Bahir si guardò intorno. In quel luogo, una persona poteva anche convincersene. Sotto gli immensi lampadari di cristallo, circondato da un arredamento lussuoso e da donne splendide, e senza una finestra che lasciasse intuire l’ora, era possibile perdere la cognizione del tempo. Controllò l’orologio da polso. Era quasi l’alba.

    «Per qualcuno, forse.»

    Tuttavia Marcel insistette. Indubbiamente avrebbe avuto una gratifica se non si fosse lasciato sfuggire un cliente del genere. «Allora, la rivedremo questa sera, vero, sceicco Al-Qadir?»

    «Forse.» E forse no.

    «Verrà una limousine a prenderla, diciamo alle otto questa sera?»

    A questo punto Bahir si fermò, tormentato dal pulsare alle tempie. Non era la prima volta che ringraziava il cielo di non aver accettato la cosiddetta, generosa offerta del casinò di una sistemazione interna. C’erano dei vantaggi nell’aver declinato un’offerta del genere, come poter andare nelle sale da gioco a piacimento, e solo quando ne aveva voglia, tanto per citarne una.

    Stava per dire a Marcel dove avrebbe potuto infilarsi la sua limousine, quando la vide... una fiammata di colore dall’altro lato del salone, drappeggiata intorno a un corpo dalla pelle color miele, e capelli color ebano raccolti da un fermaglio di diamanti... e per un attimo ricordò un altro tempo, un altro casinò.

    E, dannazione, un’altra donna. Ed era venuto qui con il proposito di dimenticarla. Scosse il capo, sperando di liberarsi dai ricordi, percependo il vuoto in sé espandersi fino al punto di rottura, percependo un’ondata di calore che sgorgava dal cuore impazzito.

    «Sceicco Al-Qadir?»

    «Vai via, Marcel» ringhiò, e questa volta lo squalo senza pinne afferrò la situazione e si eclissò velocemente.

    Non era lei, si rese conto a una seconda occhiata, non le somigliava neppure. Il viso di quella donna era tutto mascelle e folte sopracciglia, le labbra due righe rosse, la pelle color miele somigliava a plastica.

    E come sarebbe potuta essere lei? L’aveva lasciata con sua sorella ad Al-Jirad. Sicuramente, neppure una persona irresponsabile come lei avrebbe abbandonato la propria famiglia subito dopo i problemi che avevano avuto per liberarla da Mustafa.

    Tuttavia, conoscendo Marina...

    Imprecò tra sé mentre si avviava all’uscita. Cosa diavolo non andava in lui quella notte? L’ultima cosa di cui aveva bisogno era pensare a lei.

    No, non era esatto. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di pensare alla sua pelle color miele, a come l’attraeva ancora come un magnete, nonostante il tempo passato e l’abisso di odio che si era creato tra loro.

    Quanto tempo era trascorso? Tre anni? Di più? Eppure lei riusciva ancora a eccitarlo con quegli occhi da sirena, uno sguardo che si era fatto di ghiaccio nell’istante in cui si era resa conto chi era uno dei suoi salvatori.

    Si muoveva ancora come seta liquida, montando a cavallo senza sella, le gambe lunghe, il corpo sottile nonostante il tempo e i due bambini che aveva messo al mondo.

    Avrebbe giurato che la sua pelle fosse ancora morbida come un tempo, sia sotto le sue mani sia all’interno delle gambe avvinghiate al suo corpo.

    Accidenti a lei!

    Non avrebbe più pensato a lei e alla sua pelle di seta! Non c’era motivo. Era una fonte di guai, passati e presenti. Era la peggiore scommessa, la posta persa ancora prima che la roulette cominciasse a girare.

    Mentre passava, un portiere gli augurò la buona sera anche se il cielo notturno si stava stemperando nel grigio. Si augurò che l’aria fresca del mattino fosse un balsamo per la pelle accaldata e i nervi scossi, offrendo la promessa di un altro giorno.

    Invece provò solo frustrazione. Cercò di allentare le spalle rigide per la tensione. Quando mai aveva avuto i muscoli tanto contratti? Quando mai aveva avuto il morale così a terra?

    Ma conosceva già la risposta, e abbandonò il corso di quei pensieri.

    Si raggomitolò in una limousine che aspettava e allentò la cravatta mentre si appoggiava allo schienale, all’improvviso stanco del mondo, della propria vita inquieta.

    Aveva creduto che il casinò gli avrebbe sollevato il morale, invece la fortuna lo aveva abbandonato e affossato ancora di più nell’avvilimento.

    Lasciò scorrere lo sguardo dal finestrino, sul viale fiancheggiato da palme, sul mare azzurro.

    Montecarlo era bellissima, non c’era dubbio, un magnete per i ricchi e i famosi e per coloro che aspiravano a esserlo: ma in quel momento Montecarlo e l’intero sud della Francia gli pareva superato e senza scopo.

    No, non c’era niente per lui in quel luogo.

    Doveva andarsene, ma dove? A Las Vegas? No, non avrebbe avuto senso. I casinò degli Stati Uniti offrivano delle chance ancora migliori per la casa da gioco. Ed era ospite ancora sgradito a Macao, dopo l’ultima vincita astronomica.

    Un’immagine proibita prese forma nella mente, una memoria recente di dune e sole dorato, caldo, e incastonato tra palme mentre scendeva inesorabilmente all’orizzonte.

    Il deserto?

    Si raddrizzò sul sedile, l’interesse risvegliato, anche se continuava a chiedersi se non fosse una pazzia. La sua recente visita ad Al-Jirad era stata l’occasione per riunirsi con i tre vecchi amici, Zoltan, Kadar e Rashid. Aveva anche comportato due scorribande nel deserto. Ma nessuno di loro aveva avuto più di un assaggio del deserto, impegnati com’erano, prima a salvare la principessa Aisha e poi sua sorella, Marina, dalle grinfie di Mustafa.

    Aveva trovato esaltante la prima incursione, impegnato con i tre amici in una corsa contro il tempo attraverso le dune. La seconda un po’ meno, anche se i cavalli erano altrettanto vigorosi, la compagnia sicura e il tramonto e l’alba altrettanto stupendi. Era stato rivedere Marina dopo tutti quegli anni a rovinare l’impresa.

    Con tutte le donne che ci sono al mondo, era stata proprio una sfortuna che Zoltan avesse sposato sua sorella, la sorella della donna che aveva giurato di non vedere mai più. E una sfortuna ben peggiore, che lei riuscisse ancora a eccitarlo con una sola occhiata.

    Forse un’altra visita al deserto l’avrebbe rimesso in sesto. Forse l’aria ardente del giorno avrebbe spazzato via l’immagine di lei dalla mente. E l’aria fresca della notte gli avrebbe chiarito le idee sul suo conto, una volta per tutte.

    E, forse, non aveva neppure bisogno del deserto. Forse era semplicemente ora di tornare a casa.

    A casa.

    Da quando

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