Scintille in corsia: Harmony Bianca
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Un bacio indimenticabile. L'attrazione che prova per il dottor Flynn è così intensa che Katsuko per la prima volta è tentata di infrangere la rigida regola zero appuntamenti. Ma i baci che lui le ruba le fanno letteralmente mancare la terra sotto i piedi, costringendola a rivedere le sue priorità. E in cima alla lista, adesso, è comparsa la voce: convincere Avery a restare.
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Scintille in corsia - Scarlet Wilson
successivo.
1
Il rumore era cambiato. Il ronzio dei motori era diventato più stridulo. Avery si tolse il cappello dagli occhi e si raddrizzò un poco. Gli dolevano le ossa, protestavano perfino i muscoli che non aveva mai saputo di avere. La conseguenza di tre viaggi aerei in dodici ore. E prima di partire aveva lavorato per un giorno intero!
Aveva sperato di avere qualche giorno di riposo prima di lasciare l'Utah per l'Italia. Ma spesso i progetti dell'aviazione americana erano imprevedibili.
I suoi ordini erano cambiati da un giorno all'altro. Una misteriosa malattia aveva colpito il suo collega medico in lista per andare in Giappone. Così, invece di volare sopra la costa italiana, ora si ritrovava a guardare la frastagliata costa nipponica. Il cambiamento del rumore era dovuto al movimento dei flap e all'uscita del carrello di atterraggio. Il suo stomaco emise un brontolio e il militare di passaggio sorrise mentre gli allungava un sacchetto di chips. Non era un aereo commerciale, non c'erano hostess, bar e servizio di ristoro. Volavano a bordo di un jet militare, un velivolo non molto accogliente. Avery non vedeva l'ora di trovarsi nel suo alloggio e posare la testa su un cuscino per qualche ora. Per il momento gli occorreva una sola cosa: il sonno.
L'aereo atterrò con un sussulto. Avery aprì il sacchetto di chips e cominciò a sgranocchiarne una dopo l'altra. Prima mangiava, prima avrebbe potuto dormire. Il jet rullò sulla pista per qualche minuto prima di fermarsi. Gli altri militari stavano prendendo gli zaini, pronti a sbarcare.
Avery continuò a guardare fuori, cercando di farsi un'idea della base. Okatu alloggiava diciannovemila persone e conteneva uno dei più grandi ospedali militari. Situata nei sobborghi di Tokyo, si sarebbe potuta chiamare una piccola America. Lo staff vi trovava tutto quello che poteva desiderare: negozi, bar, ristoranti, scuole per i figli, chiese e perfino un campo da golf. La base esisteva dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Avery aspettò che gli altri militari fossero sbarcati, poi prese il proprio zaino e scese i gradini della scala accostata all'aereo.
Fu subito investito da una raffica di vento. La base si trovava sulla costa, così l'aria era umida e calda. Vide l'immensa conurbazione di Tokyo stendersi a perdita d'occhio e sorrise. Un nuovo mondo lo stava aspettando.
Fu assalito dall'eccitazione. Aveva lavorato in ogni parte del mondo – Europa, Medio Oriente, numerosi luoghi negli Stati Uniti – e di solito prima della partenza si documentava sul posto in cui doveva andare. Stavolta gli era mancato il tempo. Ignorava che cos'avrebbe trovato a Okatu.
Seguì gli altri militari nell'hangar principale. Il trasferimento da una base all'altra richiedeva sempre un po' di burocrazia. Qualche fortunato si stava già dirigendo verso gli alloggi.
Avery trasse un sospiro e compilò i moduli, poi prese la mappa della base. La sua pancia brontolò di nuovo. Non poteva dormire senza mettere qualcosa nello stomaco. Gli conveniva mangiare un boccone, poi parlare con l'ufficiale degli alloggi per sapere dove fosse il suo.
Lasciò l'edificio, sbirciò la piantina e girò a sinistra. Camminò lentamente, cercando d'ignorare le proteste dei muscoli. La base era enorme. Durante la passeggiata passò di fronte a una scuola elementare, una scuola media, una palestra, il club degli ufficiali, un'agenzia di viaggi, alcuni negozi e una biblioteca. Dopo un quarto d'ora di marcia giunse in vista dell'ospedale.
Si accorse di provare l'eccitazione, il fremito, la sensazione che lo pervadeva di fronte a una novità. Il William Bates Memorial Hospital portava il nome di un eroe dell'aviazione della Seconda Guerra Mondiale. Aveva centocinquanta letti, quattro sale operatorie, un reparto di terapia intensiva, uno di maternità, un'unità di terapia intensiva neonatale, una corsia medica, una corsia chirurgica e un reparto per la salute mentale. Avery amava quel tipo di ospedale. Di solito i chirurghi volevano specializzarsi in una sola disciplina, ma Avery non aveva mai voluto operare in un solo settore. Amava diversificare il suo lavoro e in quel luogo avrebbe potuto farlo.
Si diresse verso l'ingresso principale, poi cambiò idea, svoltò a destra e si recò verso il Pronto Soccorso. Tanto valeva che desse un'occhiata.
Le porte di cristallo si aprirono mentre l'allarme cominciava a suonare. Avery si guardò intorno. L'atrio era deserto. Dov'era lo staff?
Lo scoprì un attimo dopo. Qualcuno sbucò dalle porte scorrevoli in fondo al corridoio. Avery continuò a camminare.
Il Pronto Soccorso era simile a tutti quelli in cui aveva già lavorato: cubicoli schermati da tende, qualche stanza laterale, una sala di cura e una d'attesa. Rianimazione, la parte più importante del Pronto Soccorso.
Un infermiere giapponese lo incrociò spingendo un lettino a rotelle e gli gettò un'occhiata, squadrandolo dalla testa ai piedi. «Lavora qui?»
Lui annuì e mostrò il proprio documento d'identità. «Da domani. Capitano Avery Flynn. Sono medico.»
Per fortuna l'uomo aveva parlato in inglese. Avery non conosceva una parola di giapponese e temeva che quella lacuna potesse rivelarsi un problema. Molte basi militari ospitavano anche personale che non era in forza all'esercito. Ignorare la lingua del posto poteva dimostrarsi un grave handicap.
L'infermiere annuì. «Non c'è tempo per le presentazioni. Ne stiamo aspettando sette.» Poi proseguì la corsa.
Sette che cosa?, si domandò Avery.
Proprio in quel momento qualcosa lo investì alle spalle, facendolo cadere sul pavimento. Ebbe appena il tempo di allungare le mani per attutire la caduta.
«Si tolga di mezzo!» gli ordinò una voce imperiosa.
Avery non vide altro che piedi. Una quantità di piedi. Si rialzò e si tolse lo zaino. Se c'era bisogno di lui, avrebbe dato una mano.
Qualcuno gli toccò la schiena e un uomo in camice verde gli sorrise. «Ehi, devi essere nuovo, qui. Le infermiere ti hanno già steso secco?»
Avery sbatté le palpebre mentre mostrava il suo documento. «Che cosa...? Chi era?»
L'altro continuò a sorridere. «Faiyakuraka.»
«Come?» domandò Avery confuso.
L'uomo gli batté la mano sulla spalla. «In giapponese significa fuoco d'artificio. Ma puoi chiamarla così solamente quando diventi suo amico. Per te si chiama Katsuko.» Poi scosse la testa. «Per non correre rischi, chiamala tenente Williams.» Riprese a camminare. «Be', vediamo quello che sai fare.»
Così dicendo, sparì nel viavai di persone.
Era difficile capire i ruoli. Quella gente non portava uniformi regolari. La maggior parte indossava il tipico camice verde da Pronto Soccorso e Avery ignorava chi fosse infermiere, medico o tecnico sanitario aerospaziale.
«Liberategli le vie respiratorie! Fatelo respirare!» gridò una voce. Avery si fece largo nel gruppo e alzò una mano. «Ci penso io.»
Qualcuno si voltò a guardarlo. La donna che poco prima lo aveva urtato adesso era china sul paziente. Alzò bruscamente la testa e socchiuse le palpebre. Aveva gli occhi più neri che Avery avesse mai visto. «Chi è lei?»
Sangue sul petto di un bimbo. Avery reagì all'istante. Ora capiva la ragione del subbuglio intorno al lettino. Numerose mani comprimevano il piccolo petto, cercando di arrestare l'emorragia.
La donna aveva ragione. Il paziente aveva bisogno urgente di respirare.
La profonda ferita al torace, prodotta da un oggetto penetrante, gli disse tutto quello che occorreva sapere.
Avery si accostò al lettino e la spinse da parte. O almeno, tentò di farlo.
La donna mantenne saldamente la posizione. «Glielo chiedo di nuovo: chi è lei?»
Stava praticamente ringhiando.
Lui lanciò uno sguardo al carrello vicino, poi allungò una mano e aprì i cassetti fino a trovare quello che cercava. «C'è bisogno di un tubo endotracheale e di una flebo» disse a un'infermiera alla sua sinistra.
«Subito.»
Una piccola mano si chiuse sulla sua. Avery si girò. La donna che lo aveva urtato lo stava fissando. I suoi occhi color cioccolato amaro sembravano inghiottirlo. Parlò con voce così sommessa che nessun altro dovette sentirla. «Glielo domando per l'ultima volta: chi è lei?» Gli strinse di nuovo le dita e stavolta la stretta fu ferrea. «La prossima, le stritolo la mano.»
Avery le mostrò il proprio documento. «Mi lasci lavorare in pace. Avremo sei mesi per litigare.»
Non era molto alta di statura, e chiaramente era di origine giapponese, ma aveva la pelle insolitamente scura per una figlia del Sol Levante.
La sua persona sembrava irradiare un particolare carisma. Non poteva trovarsi alla sommità della gerarchia, ma la gente sembrava pendere dalle sue labbra. Quanti anni poteva avere? Non più di venticinque.
Fuoco d'artificio? Avery non ricordava la parola giapponese, ma in qualche modo il soprannome le si addiceva. Esprimeva perfettamente la sua personalità... esplosiva.
La donna osservò velocemente il documento, poi si voltò senza dire una parola e cominciò a impartire ordini alle altre persone. «Inserite subito una flebo.» Poi lanciò uno sguardo al tubo endotracheale nella mano del suo collega. «Ne occorre uno più piccolo.»
Perfetto. Un'infermiera con la quale poteva lavorare. Efficiente, autoritaria. Tutte le infermiere militari erano efficienti, ma Avery si trovava meglio con quelle che prevedevano le necessità e non avevano paura di manifestare la loro opinione. Tutto lasciava pensare che Katsuko... o come si chiamava... non avesse peli sulla lingua.
Avery cercò d'ignorare la confusione che lo circondava. Nella sala di rianimazione c'erano due lettini e un team si stava occupando di un altro piccolo paziente. Gli uomini attorno al bambino si muovevano come gli ingranaggi di un orologio, praticandogli un massaggio cardiaco.
Ritornò a concentrarsi. «Ci sono altri medici qui?»
«Due sono all'eliporto. Non sono ancora riusciti a scaricare il terzo ferito.» La donna strinse le labbra. «Blake non rinuncerà all'altro bambino. Non prima di avere fatto tutto il possibile.»
Blake Anderson, il medico che stava operando a poca distanza da lui. Era l'uomo al quale Avery si sarebbe dovuto presentare il giorno seguente. La scena era straziante e lui non osava presentarsi in quel momento. Fra l'altro doveva concentrarsi su quello che stava facendo.
Trasse un profondo respiro e tese la mano. La zona intorno al collo e al petto di bimbo si stava gonfiando, una reazione alla grave ferita che poteva avere compromesso le vie respiratorie. La pelle stava perdendo rapidamente il suo colore naturale. Un'infermiera presidiava la flebo, aspettando istruzioni. Avery si affrettò a impartirle. Un farmaco contro il dolore. Un sedativo, steroidi per ridurre il gonfiore