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Il dottore e la principessa: Harmony Bianca
Il dottore e la principessa: Harmony Bianca
Il dottore e la principessa: Harmony Bianca
E-book159 pagine2 ore

Il dottore e la principessa: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Gabrielle Cartier ha sempre preferito la qualifica di dottoressa a quella di principessa, soprattutto adesso che sta partecipando a una missione umanitaria insieme all'affascinante chirurgo Sullivan Darcy. Purtroppo, però, l'improvvisa notizia dell'abdicazione di suo fratello la obbliga a tornare a casa per fare esattamente quello che aveva giurato non avrebbe mai fatto: governare.

Sullivan desidera ardentemente offrire a Gabrielle il supporto e l'aiuto di cui ha bisogno, ma un dolore antico lo ossessiona, forzandolo a prendere le distanze dalla donna che vorrebbe avere invece accanto a sé per sempre. Gabrielle risveglia in lui sentimenti a lungo sopiti, sentimenti che alla fine gli danno la forza di confrontarsi con i propri demoni e la determinazione necessaria a reclamare la sua principessa.
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2018
ISBN9788858990698
Il dottore e la principessa: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Il dottore e la principessa - Scarlet Wilson

    successivo.

    1

    «È un'emergenza, Sullivan. Te lo giuro.»

    Sullivan fece una risatina ironica mentre si passava una mano fra i capelli umidi. «È sempre un'emergenza, Gibbs.» Fissò l'interno della tenda color cachi.

    Anche Gibbs rise. «Ma questa volta è una cosa davvero seria. Asfar Modarres si è sentito male. Credo si tratti di un problema intestinale. È stato fortunato che siamo riusciti a intervenire in tempo.»

    Sullivan si mise a camminare avanti e indietro. «E adesso come sta? Si riprenderà?» Il medico iraniano gli era simpatico. Si era unito a Medici senza Frontiere più o meno nel suo stesso periodo. Non avevano mai lavorato insieme, ma lui lo conosceva abbastanza da ammirarne la dedizione per il lavoro e la comprensione verso i pazienti.

    «Dovrebbe. È stato operato solo qualche ora fa.» Gibbs fece un gran sospiro e Sullivan sorrise. Sapeva già cosa il Generale stava per dirgli.

    «Mancano due settimane alla fine della missione e abbiamo un solo medico sul posto. In Nambura i casi di TBC resistente ai farmaci hanno raggiunto un livello veramente preoccupante. Abbiamo bisogno di un altro paio di mani.»

    Sullivan scosse la testa. «Io sono un chirurgo, Gibbs, non un medico generico. Della tubercolosi ho sentito parlare solo all'università. Non ne so praticamente nulla, figuriamoci poi di quella multi-resistente ai farmaci.»

    Non stava scherzando. Se gli avessero chiesto di usare un bisturi bendato non avrebbe esitato. Come chirurgo militare aveva operato nelle condizioni più difficili e nessuno aveva mai avuto niente da ridire sulle sue capacità. Era orgoglioso di questo, ma come avrebbe potuto essere utile in una situazione che non conosceva?

    «Tu sei medico, Sullivan, e questo è quello che conta. Comunque, non c'è nessun altro che posso mandare.» Gibbs esitò. «E c'è un altro problema.»

    «Cosa?»

    «Nambura può essere un posto... difficile.»

    Sullivan aggrottò la fronte. «Sputa il rospo, Gibbs.»

    «Il medico responsabile è Gabrielle Cartier. Poi ci sono due infermiere, Lucy Provan e Estelle Duschanel, e la farmacista Gretchen Koch.»

    Sullivan si lasciò sfuggire un lamento. Quattro donne da sole! Le tribù di Nambura erano molto tradizionaliste, ed era assai probabile che alcuni dei capitribù si rifiutassero persino di parlare con quattro donne occidentali.

    Qualche mese prima una collega aveva definito un po' ostile il clima di quel luogo, mentre vi si trovava in missione. Non era pensabile lasciare quattro donne sole per due settimane senza un rinforzo. Suo padre non avrebbe mai permesso che qualcuno della sua squadra fosse lasciato in pericolo e questo era diventato uno dei principi che Sullivan non avrebbe mai tradito.

    «Va bene, andrò. Quando puoi mandarmi un mezzo di trasporto?»

    Gibbs si mise a parlare in fretta. «Ti invierò anche tutta la documentazione sulla TBC farmaco-resistente così potrai leggertela in viaggio. L'elicottero verrà a prenderti fra cinquanta minuti.»

    La linea cadde e Sullivan si mise a fissare il telefono da campo. Cinquanta minuti. Era chiaro che Gibbs aveva prenotato l'elicottero prima di chiamarlo. Sembrava che sapesse che non avrebbe rifiutato.

    Suo padre, un pilota top-gun, era morto mentre Sullivan era in servizio nella provincia di Helmand, in Afghanistan. Lui era volato a casa, aveva assistito al funerale con tutti gli onori militari, aveva terminato il suo servizio e poi si era unito ai Medici Senza Frontiere.

    Tre anni dopo era tornato a casa solo per una ventina di giorni, e non aveva toccato nulla di quello che il padre aveva lasciato.

    Mise giù il telefono e prese lo zaino dal ripiano superiore del suo armadietto. Era abituato a viaggiare leggero.

    Sentì la musica non appena l'elicottero si allontanò nel cielo notturno piegando le chiome degli alberi. Girò la testa per capire da dove provenisse poi si incamminò per l'unico sentiero che si apriva fra gli alberi.

    La musica sempre più forte lo guidò a uno spiazzo occupato da un gruppo di tende simile a quello che aveva lasciato a qualche centinaio di chilometri tre ore prima.

    Si guardò intorno. La vista raramente variava, indipendentemente da dove si trovasse nel mondo. Una tenda malmessa con bagni e docce. Un centro operativo e le tende del personale.

    Quella da cui sembrava provenire il rumore aveva un telo sollevato. Sullivan vi si affacciò incuriosito.

    Una donna gli dava la schiena e gli occhi di Sullivan furono immediatamente catturati dalle sue gambe nude e abbronzate. Indossava una maglietta rosa stretta in vita da un nodo che le rivelava le curve dei fianchi e i capelli scuri erano raccolti in una coda di cavallo che saltellava su e giù seguendo i suoi movimenti. Ma quello che attirò la sua attenzione furono i pantaloncini cachi. A giudicare dai bordi sfrangiati che le celavano a malapena i glutei, dovevano essere stati ricavati da un paio di calzoni militari, e lui avrebbe voluto stringere la mano a chi lo aveva fatto.

    Ai piedi aveva un paio di pesanti scarponi militari sopra un paio di calzettoni dall'orlo ripiegato. E poi c'erano quelle gambe che si muovevano avanti e indietro.

    Stava saltellando, ma non si limitava a ballare sulle note della canzone di Justin Timberlake. No. Cantava a gola spiegata e diamine se sapeva muoversi.

    Lui posò il suo zaino per terra e strinse le braccia al petto seguendo divertito la ragazza che danzava. Aveva ritmo e stile.

    E aveva tutta la sua attenzione. Gli sembrava che il sangue si fosse messo a scorrere più in fretta. Quella missione d'emergenza stava dimostrandosi più interessante del previsto.

    Lei chi era? Cercò di ricordare cosa gli aveva detto Gibbs. Gabrielle qualcosa? Anche se era con Medici senza Frontiere da tre anni era impossibile poter conoscere tutti. C'erano trentamila persone che operavano in settanta Paesi. Salvavano vite umane fornendo aiuti medici nei posti dove conflitti, epidemie, disastri naturali creavano situazioni di crisi. Ogni giorno era diverso. Lui aveva appena passato tre mesi a lavorare in un'unità che si occupava di ustionati. Durante la missione precedente era stato a Haiti per offrire interventi chirurgici gratuiti. E prima ancora era stato in Siria in un ospedale che si occupava soprattutto di bambini.

    Lei sollevò le mani sopra la testa offrendogli una visione migliore della curva dei fianchi e delle anche. Lui non riusciva a smettere di sorridere. Quella ragazza si muoveva davvero bene.

    Ma quando cercò di fare una completa giravolta inciampò negli scarponi troppo pesanti e perse l'equilibrio.

    Lui reagì in modo automatico. Si slanciò in avanti e la prese per un gomito prima che rovinasse a terra e la trascinò verso di sé.

    Lei aveva gli occhi grandi, i più scuri che avesse mai visto, e la pelle morbida. Effondeva un profumo di rose. E aveva appoggiato una mano sul suo petto per mantenersi in equilibrio.

    Per un istante rimasero immobili come due statue mentre la musica li avvolgeva. Poi lui inspirò a fondo e fece un passo indietro.

    «Gabrielle?»

    Come se non fosse abbastanza avere davanti quello sconosciuto che sembrava un attore, il tono profondo della sua voce le suscitò un lungo brivido che dal palmo della mano che aveva posato sul suo petto si propagò lungo tutto il corpo.

    Le ci volle un secondo per riprendere a respirare.

    No, più di un secondo.

    Maledizione. Lui le stava sorridendo. E aveva un sorriso perfetto, bianco e abbagliante.

    Aveva i capelli tagliati molto corti, alla militare. E in realtà era pronta a scommettere che avesse fatto parte dell'esercito. Era evidente anche dal suo contegno, dalla sicurezza che mostrava.

    Allungò di nuovo la mano verso di lei. «Posso avere questo ballo?» le domandò scherzosamente.

    Lei rabbrividì mentre il suo cervello riprendeva a funzionare. Si girò per abbassare la musica e intanto si chiedeva che razza di prima impressione doveva avergli fatto.

    In quella zona era costretta a passare dodici ore al giorno con vestiti accollati e lunghi abbastanza da non mostrare nemmeno le caviglie. Quando tornava al campo aveva assolutamente bisogno di farsi una doccia, di mettere qualcosa sotto i denti e di spogliarsi.

    Respirò a fondo e si ricompose, riprendendo la sua espressione formale.

    Strinse la mano che lui le aveva porto sorridendo. «Sì, sono Gabrielle. Ma tu mi cogli in svantaggio, perché non conosco il tuo nome.»

    «Non hai sentito Gibbs?»

    Lei annuì e si mise le mani sui fianchi. «Certo che l'ho sentito.» Sollevò le mani e fece il gesto delle virgolette. «Voi ragazze non potete stare là da sole. Vi manderò qualcuno.» Lo scrutò di sottecchi. «Penso che tu sia quel qualcuno.»

    Lui girò gli occhi attorno come se stesse valutando la dimensione del posto. Poi con un gesto che non fece altro che rinforzare quello che lei aveva pensato di lui guardò fuori studiando i dintorni. Una volta soddisfatto rivolse di nuovo lo sguardo verso la donna. «Credo di sì. Sono Sullivan Darcy.»

    Lei non riuscì a nascondere un sorriso. «Gibbs mi ha mandato un Mr. Darcy personale, anche se io non sono affatto una Elizabeth Bennett. Esercito degli Stati Uniti?» gli domandò, anche se l'accento di Sullivan era inequivocabile.

    Lui annuì. «Una volta. Adesso come vedi faccio parte di Medici senza Frontiere.»

    Lei si avvicinò a un tavolo e prese una cartella con dei fogli. «Qual è la tua specialità? Medicina Generale? Malattie infettive?»

    Lui fece una smorfia. «Non ti farà piacere.»

    «Perché?»

    «Sono un chirurgo.»

    «Oh!» esclamò lei delusa. In altre circostanze un chirurgo sarebbe andato benissimo, ma non era esattamente quello di cui aveva bisogno in quel momento. Si morse il labbro inferiore cercando di trovare le parole giuste.

    Lui fece un passo avanti. «Ma durante il viaggio per venire qui ho letto tutto quello che Gibbs mi ha mandato su questa epidemia. Basta che tu mi dia qualche istruzione e il tipo di terapia e sarò tutto tuo.»

    Spalancò le braccia come se volesse invitarla a stringersi a lui. E per un attimo quel pensiero le attraversò davvero la mente, tentandola.

    Le missioni erano estenuanti e le pause fra una e l'altra brevi e concitate. Lei non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui, incontrando qualcuno, aveva provato un certo fermento e voglia di scherzare e di flirtare.

    In quel momento il suo Mr. Darcy sembrava una manna caduta dal cielo.

    Era stata fortunata. Non aveva mai dovuto subire le pressioni di suo fratello – trovare la compagna perfetta, sistemarsi, sposarsi ed essere pronto in ogni momento a governare un paese.

    Vivere sedici anni interpretando la parte della perfetta Principessa di Mirinez erano stati più che sufficienti. Per fortuna, Medicina era stata considerata un percorso di studi onorevole e lei, con un grande sospiro di sollievo, compiuta la maggiore età aveva potuto salire su un aereo per andare a studiare all'università di Cambridge. Da allora era tornata solo per i matrimoni, i funerali e qualche evento di Stato. Mirinez aveva perso interesse per lei e da anni Gabrielle non compariva più sui giornali. Ed era esattamente quello che voleva.

    Gli occhi verdi di Sullivan incontrarono di nuovo i suoi. «Il tuo accento? Francese?»

    Lei scrollò le spalle. «Abbastanza vicino.»

    Si andò a sedere al tavolo e lo invitò con un gesto a fare altrettanto. Lui le si sistemò vicino e la guardò in modo interrogativo. «Concentriamoci su quello che bisogna fare le prossime due settimane» spiegò Gabrielle.

    Gli sorrise. Erano vicini. Il torace di Sullivan era a pochi centimetri dal suo naso e lei sentì un'ondata di puri ferormoni. Se glielo avessero chiesto, avrebbe detto che quello che

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