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Caduta tra le braccia: Harmony Destiny
Caduta tra le braccia: Harmony Destiny
Caduta tra le braccia: Harmony Destiny
E-book148 pagine2 ore

Caduta tra le braccia: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Quando si dice un incontro predestinato.
Dal momento in cui l'affascinate biondina Lizzie Matheson è letteralmente precipitata sul suo yacht, la tranquilla solitudine di Jack Dunlap è stata messa a dura prova. Il suo passeggero non convenzionale ha causato dei danni alla radio e ora si trovano in mare aperto in balia di un temporale incombente. Jack dovrebbe essere infuriato con lei, ma il suo visino ammiccante tutto gli stimola fuoché ira. Anzi, vorrebbe che quelle mani delicate e sottili lo sfiorassero in ogni dove e che lei si abbandonasse al desiderio intenso che li unisce.
C'è però un fatto con cui entrambi devono fare i conti: lei è incinta di un altro uomo. Ma forse non tutto è come sembra e dietro alle evidenze si nasconde una realtà inaspettata.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2020
ISBN9788830510104
Caduta tra le braccia: Harmony Destiny
Autore

Kristi Gold

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Caduta tra le braccia - Kristi Gold

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Marooned With a Millionaire

    Silhouette Desire

    © 2003 Kristi Goldberg

    Traduzione di Lucilla Negro

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-010-4

    1

    L’improvviso rollio della barca distolse Jackson Dunlap dalla quiete della sua solitudine e gli fece rovesciare sulla maglietta la tazza di caffè posta in precario equilibrio sul tavolo. Scattò in piedi e si lanciò come un razzo su per la ripida scaletta del boccaporto, che dalla cambusa conduceva alla parte superiore dell’imbarcazione, sporco di caffè e imprecante.

    Per un anno intero aveva veleggiato lungo le coste della Florida quasi del tutto indisturbato. Dietro sua espressa richiesta, non aveva mai ricevuto visite, né telefonate di lavoro, né seccature di alcun genere. A parte, ovviamente, i necessari attracchi nei porti per rifornirsi di viveri e acqua potabile o per fuggire gli occasionali sprazzi di cattivo tempo.

    Almeno fino a quel momento.

    Giunto sul ponte, Jack si schermò istintivamente gli occhi dal sole di mezzogiorno di quella calda mattina di giugno, aspettandosi di scorgere l’imbarcazione di qualche marinaio inesperto, che gli era maldestramente finito addosso, o ancora di avvistare nelle vicinanze qualche grosso cetaceo che lo aveva colpito nella foga dell’accoppiamento. Di certo non avrebbe mai immaginato di vedere uno sgargiante pallone aerostatico giallo e viola scendere dal cielo e afflosciarsi sul mare a qualche centinaio di metri di distanza dalla propria barca.

    Aguzzò la vista, sbalordito. Nel cesto agganciato al pallone, un tale si stava sbracciando come un forsennato. Poi, il cesto rimbalzò sulle onde e si capovolse, rovesciando in acqua il suo contenuto umano.

    Spronato all’azione da un impeto di adrenalina e da un improvviso senso di déjà vu, Jack corse a poppa.

    «Dai, forza! Nuota!» urlò mentre lanciava un salvagente in direzione dello sconosciuto. Per fortuna, aveva ammainato le vele quella mattina, per cui la barca era quasi ferma e la corrente pareva facilitare gli sforzi del naufrago. Sfortunatamente, però, sospingeva pure il pallone e il cesto nella medesima direzione, e cioè verso la sua lussuosa imbarcazione.

    Tirò energicamente verso di sé la corda cui era legato il salvagente, trascinando il poveraccio, che si era aggrappato con tutte le sue forze, attraverso l’acqua.

    All’improvviso, si accorse che non era un lui, bensì una lei. Una donna dagli occhi grandi e i capelli biondi, che le lambivano appena le spalle e che le stavano appiccicati al viso in ciocche bagnate e gocciolanti.

    Da dove diavolo era saltata fuori quella lì? E perché si era spinta così al largo su un pallone aerostatico?

    Senza dubbio, una volta tratta in salvo le avrebbe chiesto spiegazioni.

    Quando fu abbastanza vicina, Jack le afferrò il braccio teso, tirandola sulla piattaforma di poppa, poi la caricò in spalla e cominciò ad avanzare.

    «So camminare da sola» protestò la donna con un filo di fiato. «Mettimi giù.»

    Non prima di essersi accertato che non avesse nulla di rotto, decise lui. La adagiò con cautela sul ponte e si sedette accanto a lei. Entrambi respiravano affannosamente. Il respiro corto di Jack era da attribuirsi più alla tensione che alla fatica, in quanto la donna non pesava granché, mentre quello di lei era di certo dovuto allo sforzo della nuotata e, giustamente, alla paura.

    Ripreso fiato, la prima domanda che le rivolse fu: «Sei ferita?».

    Lei raddrizzò la schiena di scatto e, con velato allarme, sgranò su di lui i suoi occhi verdi. Poi, schiuse la bocca e mugugnò: «Sto bene se sta bene il bambino».

    Il bambino? Quale bambino? «C’era un bambino sulla mongolfiera con te?» le chiese Jack in tono forzatamente pacato, governando a fatica l’improvvisa impennata di panico.

    La donna lo studiò con le sopracciglia bionde inarcate e lo sguardo confuso. Poi si appoggiò una mano sul ventre e sorrise. «È in questa mongolfiera.»

    Rinfrancato e stupito al tempo stesso, l’uomo spostò immediatamente lo sguardo sulla mano sottile posata sull’addome in quel gesto protettivo. «Sei... incinta?»

    Lei si scostò i capelli bagnati dalla fronte e sospirò lentamente. «Sì.»

    Ecco. Ci mancava solo questo!

    «Sei sicura di sentirti bene?» insistette, con sincera preoccupazione. «Non avverti dolore da nessuna parte?»

    La donna allargò le spalle e trasse un ampio respiro. «Sto bene. Un po’ stanca, certo, ma tutto sommato bene.»

    Jack decise che, effettivamente, aveva un aspetto più che florido. Ed era in ottima forma. L’addome ancora piatto, cinto da leggeri pantaloni bianchi, lunghi fin sotto il ginocchio, e il top giallo inzuppato che le aderiva deliziosamente al busto gli rendevano difficile credere che stesse davvero aspettando un bambino.

    Evidentemente, quella donna non doveva essere troppo in là con la gravidanza. Ed evidentemente, non doveva eccedere in buonsenso se aveva deciso di viaggiare con una mongolfiera, portando in grembo una nuova vita. Il che gli fece venire voglia di scuoterle quella testolina vuota per inculcargliene un po’. Solo che gli pareva che l’imprudente e bizzarra ragazza avesse già subito abbastanza scossoni per la giornata, così optò per una strigliata più moderata. «Fammi capire. Hai deciso coscientemente di volare sull’oceano in mongolfiera, correndo il rischio di fare del male al tuo bambino?»

    Tirandosi le ginocchia al petto, lei lo scrutò con piglio risentito. «Per tua informazione, il pallone aerostatico è un mezzo di trasporto molto sicuro. Corro più rischi percorrendo in auto una strada di Miami. Non farei mai nulla, dico nulla, per danneggiare il mio bambino. Quel che è successo è stata solo... una sfortunata casualità.»

    Jack si sentì ghermire da un sottile senso di colpa. In quanto a rischi, non aveva alcun diritto di giudicare nessuno. Dio solo sapeva quanti ne aveva corsi lui, e con conseguenze a volte drammatiche. Ma non riuscì a trattenere la voglia di farle una ramanzina: «Può essere, però, hai messo a repentaglio l’incolumità tua e del bambino».

    Lei distolse lo sguardo, non prima, però, che lui avesse colto una punta di tristezza nei suoi occhi. «In realtà, è stato il mio ultimo viaggio prima della nascita del bambino. Ero a una manifestazione vicino a Miami. Non so bene che cosa sia successo. Credo di aver perso i sensi o qualcosa del genere. So solo che, quando mi sono svegliata, mi sono ritrovata chissà dove.»

    «Siamo a venti miglia dalla costa, nei pressi di Key Largo» la informò lui. «Non sei riuscita a ritornare a riva?»

    «Ci stavo provando, quando il vento è cambiato e io ho cominciato a perdere quota.»

    Jack suppose che la spiegazione fosse plausibile, per quanto potesse esserlo per un uomo che preferiva decisamente l’acqua all’aria. Ma sapeva che, talvolta, diventava impossibile controllare gli elementi naturali. Un concetto che lui stesso aveva sperimentato sulla propria pelle.

    La donna gli rivolse un sorriso imbarazzato, rivelando una dentatura bianchissima e una deliziosa fossetta all’angolo sinistro della bocca. «Per fortuna, ho trovato te, eh?»

    Questo era ancora tutto da vedere, decise Jack. «Hai sbattuto contro il ponte quando hai cercato di atterrare?»

    «Non esattamente.»

    «Mi era parso che avessi colpito qualcosa.»

    Lei alzò gli occhi timidamente, indicando l’albero maestro. «Quel... coso lì. Ho puntato dritto verso quel palo, durante la discesa, per attirare la tua attenzione.»

    E ci era riuscita. Non sapendo quali danni avesse apportato a quel coso lì, lui decise di non allarmarsi anzitempo. Non lo aveva divelto, e questo era già tanto. A ogni modo, l’importante era che lei stesse bene.

    Alzandosi in piedi, le domandò con aria di benevolenza: «Sei sicura che sia tutto a posto?».

    «Certo. Sto bene, davvero.»

    «Vado a vedere dov’è finito il pallone, allora. Torno subito. Tu riposati.»

    L’espressione della donna esprimeva gratitudine. «Grazie mille.»

    Jack decise di non svelarle che, in realtà, era preoccupato per la sua barca e non per il pallone. E sperava proprio che quel dannato telone avesse mutato traiettoria.

    Ma non era così. Se ne accorse l’istante in cui giunse sulla piattaforma di prora. L’enorme tessuto fluttuava lungo la fiancata, il cesto impigliato alla scaletta.

    Reggendosi al corrimano, si distese prono e si spinse all’ingiù poco per volta finché non ebbe raggiunto la stoffa aggrovigliata. Dopo aver disincagliato la gondola, con un paio di tenaglie iniziò a spezzare i cavi che collegavano il pallone all’alloggio del bruciatore. Tutto questo lottando contro la corrente, gli spruzzi d’acqua sul viso, la fatica e il nervosismo. Proseguì praticamente alla cieca, ma capì che stava facendo progressi quando sentì la stoffa allentarsi e scivolare via.

    Alla fine, i cavi furono tagliati. Aveva le dita doloranti, gli occhi gli bruciavano, ma era una fortuna che il pallone non si fosse impigliato sotto la chiglia o attorno all’elica del motore. Allora sì che sarebbero stati guai seri.

    «Che cosa stai facendo?»

    Jack non si era accorto che la donna gli era alle spalle. Senza voltarsi, rispose: «Ho liberato il pallone». Gli aveva appena dato degna sepoltura in mare, pensò, ma le risparmiò il funebre commento.

    «Perché lo hai fatto?»

    «Per evitare che si impigliasse ulteriormente.»

    Alzandosi in piedi, si voltò verso di lei e si scontrò con lo sguardo più malinconico che avesse mai visto sul volto di una donna. Non poteva biasimarla. Si era sentito così anche lui quando aveva perso la sua ultima barca, affondata dalla forza spietata di una tempesta implacabile.

    Perlomeno, in quel caso, la donna era salva. Viva, in salute, nel pieno possesso delle proprie facoltà...

    «Non puoi andare a riprenderlo? Lo arrotoliamo e lo sistemiamo in un angolo qui sul ponte.»

    All’assurda pretesa, l’uomo dovette ricredersi. Quella donna era fuori di testa. «No, a meno che tu non pretenda che io lo insegua a nuoto.»

    Lei incrociò le braccia sul petto, imbronciata, mentre seguiva con lo sguardo il telone che fluttuava sull’acqua e spariva all’orizzonte. «Mi rendo conto che è una richiesta insensata, dopo tutto quello che hai già fatto per me. Ma quel pallone era il mio mezzo di sostentamento.»

    Una volta uscito da quell’incubo, gliene avrebbe comprato un altro, decise Jack. Che diamine, con tutti i soldi che aveva, avrebbe potuto acquistare anche cinquanta mongolfiere! Ma per il momento, preferiva tacere la notizia. Non voleva sbandierare

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