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Una spia venuta dal lontano
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E-book224 pagine2 ore

Una spia venuta dal lontano

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1820
Lord Millcroft è un uomo ricco e senza scrupoli appena arrivato dall'Australia. Lady Clarissa Beaumont, bellissima e altrettanto superficiale, è il fiore all'occhiello dell'alta società londinese. Fra loro sembra essere scoccata la scintilla, ma le cose non sono esattamente come sembrano. In realtà dietro la maschera di Lord Millcroft si nasconde Sebastian Leatham, un'abile spia al servizio della Corona a cui è stata affidata la missione di fare luce su alcuni traffici clandestini che sembrano ricondurre all'ambiguo Visconte Penhurst. Clarissa, che è a conoscenza della vera identità di Sebastian, lo sostiene nell'indagine fingendosi la sua fidanzata. In cambio, lui la aiuta a far ingelosire il vanesio Duca di Westbridge alla cui mano la giovane aspira da sempre. Ma i sentimenti che entrambi fingono di provare presto prenderanno il sopravvento.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2019
ISBN9788858995266
Una spia venuta dal lontano

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    Anteprima del libro

    Una spia venuta dal lontano - Virginia Heath

    successivo.

    1

    Una notte buia nel Nottinghamshire

    Marzo 1820

    La ferita da arma da fuoco gli faceva ancora un male del diavolo, ma, a peggiorare la situazione, quella mattina Seb sentiva anche un dannato prurito su tutta la pelle circostante.

    Moriva dalla voglia di grattarsi, ma al primo tentativo aveva ricevuto una botta sulle dita da parte della solerte infermiera che stava auscultando il suo petto con un arnese simile a una trombetta di legno.

    «Non toccate la ferita, Seb. Ho appena tolto i punti, la pelle è irritata e molto sensibile» gli raccomandò infatti la donna.

    Con un sospiro di insofferenza Seb obbedì. «Mi sembra di impazzire, Bella» si lamentò. «Sono quasi tre settimane che non esco da questa stanza.»

    Per fortuna non aveva alcun ricordo dei primi dieci giorni, dopo che era stato ferito. Troppo occupato a lottare per sopravvivere, non aveva badato a quanto gli accadeva intorno. Ora che stava meglio, però, non sopportava più di rimanere tutto il giorno a letto, voleva tornare al suo lavoro, tornare a vivere.

    Il suo capo aveva bisogno di lui per combattere gli ultimi fedelissimi di Napoleone, responsabili della morte di due suoi compagni e di quella pallottola che gli era entrata nel petto e che aveva quasi ucciso anche lui.

    «Per quanto tempo ancora vostro marito mi terrà prigioniero?» le domandò.

    Non che non fosse grato al dottor Joe Warriner, che gli aveva salvato la vita. Un altro medico, vista una ferita così profonda e tutto il sangue che aveva versato, avrebbe chiamato il prete invece di ostinarsi a curarlo. Il dottor Joe, però, era nello stesso tempo un genio della medicina e un tiranno, Seb ormai lo aveva capito. Pur essendogli grato, aveva finito per odiarlo. Tre settimane di segregazione forzata stavano tirando fuori il peggio di lui.

    «Dopo le vostre proteste risentite di ieri, mio marito vi concede di scendere al piano di sotto» annunciò Bella. «Soltanto per poche ore, sia chiaro, e a patto che restiate sempre seduto. Manderò qualcuno per lavarvi e portarvi giù. Nel frattempo andrò a cercare qualcosa che potrete mettervi... Credo che Joe abbia più o meno la vostra corporatura.»

    La prospettiva di rimanere seduto per ore non era particolarmente eccitante, ma dopo settimane a letto bastò per far tornare a Seb il buonumore.

    Non che potesse lamentarsi del letto soffice, delle coperte calde e delle lenzuola sempre pulite. E nemmeno del vitto eccellente. Solo che per lui l'inattività era la peggiore delle punizioni, un vero purgatorio.

    L'inferno era stata la morte che lo aveva sfiorato e che per poco non se l'era portato via.

    Bella uscì dalla stanza e subito dopo arrivò un cameriere con acqua calda e sapone, rasoio e asciugamani per renderlo presentabile.

    Seb lo mandò via, deciso a lavarsi e a radersi da solo. Non era un bambino, e nemmeno un invalido, non aveva bisogno di nessuno.

    Purtroppo, dopo poco, si rese conto di aver preteso troppo da se stesso. L'impresa era molto più ardua di quanto avesse immaginato.

    La pallottola era entrata a poca distanza dal cuore e lui, sfortunatamente, era mancino. Muovere la mano e il braccio sinistro gli procurava un dolore lancinante, e non riusciva a controllare la lama del rasoio.

    Radersi rischiava di diventare molto pericoloso.

    Un goffo tentativo di usare la mano destra lo lasciò quasi senza naso, ma voleva eliminare quella barba a cui non era abituato.

    Con una forbice cercò di liberare il viso dall'eccesso di peli cresciuti in tre settimane e, via via che vedeva riapparire i suoi lineamenti, si rese conto di quanto fosse pallido, emaciato, sofferente. Nello specchio vedeva il viso di un malato, di un uomo scampato per miracolo alla morte, segnato da profonde occhiaie scure.

    Dopotutto, che differenza faceva, per uno come lui?

    Gettò lo specchio sul letto, l'espressione contrariata. Era un agente segreto, abituato a vivere nell'ombra, a non farsi notare, a sfuggire ai nemici. Forse al momento non era molto attraente, ma l'aspetto fisico non era mai stato molto importante, per lui. La sua necessità era potersi mischiare facilmente alla feccia che era spesso costretto a frequentare, nei sordidi bassifondi e nelle taverne in cui cercava informazioni.

    La barba nascondeva la cicatrice sulla guancia destra, perché non tenerla?, si chiese.

    Aveva perso peso, ma i muscoli ereditati dalla famiglia della madre sembravano ancora forti e saldi. Sua madre era figlia di contadini, abituati a faticare tutto il giorno, mentre il padre era stato un aristocratico indolente.

    Il sudore della famiglia materna aveva reso fertile la terra, non era gente inutile e presuntuosa. Un Leatham si alzava all'alba e lavorava tutto il giorno, a letto restavano soltanto i vecchi e i malati. Lui non era vecchio e non voleva più essere malato. Perciò si girò sul materasso, si mise a sedere sul bordo del letto e piantò a terra i piedi per alzarsi.

    Però, quando cercò di farlo, le gambe lo tradirono, e fu costretto ad aggrapparsi alla testiera del letto per non cadere sul pavimento. Così finì per richiamare il cameriere che gli aveva portato l'acqua e assoggettarsi all'umiliazione di essere vestito da qualcun altro.

    Con l'aiuto dell'uomo scese le scale con molta difficoltà e si lasciò cadere esausto sulla prima poltrona che riuscì a trovare.

    Si sentiva debole come un gattino appena nato, era spaventato dalle proprie condizioni di salute. Aveva pensato di tornare a essere quello di prima in una settimana, ma adesso si rendeva conto che sarebbe stato un sogno irrealizzabile. Perfino la sua camera da letto, che prima gli era sembrata una prigione, adesso gli pareva desiderabile come un piccolo paradiso in cui sarebbe stato curato e nutrito.

    Anche perché la poltrona era davvero scomoda. Non riusciva a trovare una posizione in cui non gli facesse male qualche parte del corpo e, non potendo restare dritto, si piegava ora da una parte e ora dall'altra, soffocando a stento gemiti assai poco virili.

    Per fortuna non era caduto a terra, mentre scendeva le scale, sarebbe stata un'umiliazione troppo grande. Si grattò la cicatrice sulla guancia, sotto la sua nuova barba, e pensò mortificato che per tutta la vita aveva saputo badare a se stesso e agli altri, mentre adesso era costretto a dipendere da tutti.

    In quel momento una giovane cameriera entrò nella stanza con il vassoio del tè. «Buongiorno, Mr. Leatham» lo salutò. «Come preferite il tè?»

    «Con un po' di latte. E niente zucchero» rispose Seb. «Grazie» aggiunse sperando di non essere sembrato scortese.

    Era sempre stato impacciato con le donne, specialmente se giovani e graziose. Era privo dell'abilità dei consumati bellimbusti, di sorridere e di essere affascinante con l'altro sesso.

    Seb era così timido che parlava poco con le donne e dava spesso l'impressione di essere burbero e scortese.

    Perfino con le signore sposate si trovava a disagio. Con Bella aveva impiegato dieci giorni per riuscire a comportarsi con naturalezza, e il successo si doveva più alla gentilezza di lei che ai suoi sforzi.

    Anche quella doveva essere un'eredità della famiglia materna. Il nonno e il bisnonno non si erano mai preoccupati di piacere alle donne, non vivevano nel ton. Suo padre, invece, era stato un uomo affascinante, un dongiovanni impenitente, l'idolo delle gentildonne aristocratiche.

    Mentre lui non riusciva nemmeno a rendersi simpatico a una cameriera, pensò lanciando un'occhiata alla ragazza che gli aveva servito il tè. Il suo sorriso radioso era svanito, e non c'era da meravigliarsene, dato che l'aveva degnata appena di poche parole scorbutiche.

    Solo gli amici più cari erano al corrente del suo problema. Seb tentò di sorridere e mormorò di nuovo un ringraziamento impacciato, mentre la ragazza lasciava la stanza.

    Forse era per quello che gli piaceva il suo lavoro, che consisteva nel vivere nell'ombra. Poteva guardare le donne senza essere notato. Preferiva lasciare la stanza, piuttosto che restare da solo con una di loro.

    Bella arrivò subito dopo. «Vi ho portato alcuni libri» annunciò. «Li ho scelti a caso, non conoscendo i vostri gusti. Spero vi aiutino a trascorrere il tempo.»

    Li posò su un tavolino lì accanto e poi si versò una tazza di tè. Sorrise a Seb, nel modo dolce e comprensivo che aveva anche suo marito Joe, quando si rivolgeva a lui.

    «So che cosa significa annoiarsi» aggiunse. «Joe pretende che non mi stanchi e che resti a casa a riposarmi per più di tre ore al giorno. Almeno adesso ci siete voi che mi fate compagnia.»

    Bella era incinta, anche se non si notava ancora molto.

    «Siete fortunata» ironizzò Seb. «Sono noto per la mia vivace conversazione.»

    Lei sorrise e bevve un sorso di tè. «Ho ordinato che il pranzo ci venga servito qui. Sarete più comodo, seduto in poltrona, invece che su una delle sedie della sala da pranzo. Vi dispiace se pranziamo prima del solito? Ho sempre appetito, in questo periodo.»

    «Anch'io ho appetito» ribatté Seb.

    Un buon segno, si stava riprendendo.

    «Ne sono lieta.» Bella suonò il campanello sulla tavola. «Ordinerò che ci servano in anticipo il pranzo, userò voi come scusa.»

    Cinque minuti più tardi, la stessa giovane cameriera che aveva portato il tè arrivò con un altro vassoio. C'erano delicati tramezzini, dolci vari e, con orrore di Seb, il brodo che gli avevano servito per tre settimane.

    «Non mi vorrete dire che dovrò berlo anche oggi!» esclamò, disgustato, ma Bella fu pronta ad assicurargli che era per il suo bene.

    «È un brodo studiato per ridarvi forza e vitalità, con tutte le sostanze che servono per la vostra salute. Volete guarire, non è vero?»

    «D'accordo, ma non lo berrò in quella scodella da malato. Non potreste versarmelo in una tazza da tè? Non mi sentirei un invalido.»

    «Avete ragione, chiederò che...»

    Bella si interruppe, perché si sentì il rumore di una carrozza che si fermava sul vialetto di ghiaia. «Non aspetto visite. Chi può essere?» si domandò ad alta voce.

    Si alzò e andò a indagare, lasciando Seb al suo detestato brodo. Dopo cinque minuti, visto che lei non tornava, decise di berselo tutto in un fiato per non pensarci più. Era insipido e tiepido, cioè come al solito disgustoso.

    «Ordino subito che ci portino il tè.»

    La voce di Bella lo fece sobbalzare, e le ultime gocce del brodo gli caddero sul mento. Seb sollevò lo sguardo e si accorse che nella stanza era entrata la donna più bella che avesse mai visto in vita sua.

    Con un gesto disperato cercò un tovagliolo per pulirsi il mento e cercò di fare sparire la scodella.

    «Abbiamo una visita a sorpresa, Seb» annunciò Bella. «Mia sorella ha abbandonato la spumeggiante vita del ton per stare con noi per alcuni giorni. Mr. Sebastian Leatham, vi presento Lady Clarissa Beaumont.»

    Era un'apparizione, non c'era altro modo per descrivere l'angelica perfezione della creatura che era appena entrata e che lo fissava sorpresa almeno quanto lui.

    Non solo sorpresa, ma intimorita. Gli parve di vedere un improvviso lampo di paura nei suoi meravigliosi occhi azzurri, prima che la buona educazione avesse il sopravvento e gli sorridesse, con un cenno del capo che fece dondolare i suoi bellissimi riccioli biondi. «Mr. Leatham...»

    Anche la voce era degna di un angelo. Dolce, suadente, una carezza per le sue orecchie. Fu il colpo di grazia, per Seb, totalmente sedotto da tanta bellezza. «Milady...»

    Era goffo con tutte le donne, non aveva speranza di far colpo su quella meraviglia, pensò sconsolato. Un vero gentiluomo si sarebbe alzato, e Seb cercò di farlo, con il solo risultato di ricadere pesantemente sulla poltrona.

    «No, no...» lo dissuase lei. «Vi prego, non alzatevi per me... Poverino...»

    Poverino?

    Mai nessuno, in tutta la sua vita, si era riferito a lui in modo più umiliante.

    «Non sapevo avessi ospiti, Bella» si scusò Clarissa voltandosi verso la sorella. «Forse ho scelto il momento sbagliato per farti visita.»

    «Niente affatto, c'è posto per tutti. Non ricordi? Ti avevo scritto di Seb» replicò Bella con un sorriso.

    «È vero... Che sciocca sono stata a dimenticarmene...»

    Si voltò verso di lui, e Seb poté contemplare di nuovo il suo viso perfetto. Nei suoi occhi vide riflesso lo spettacolo che le stava offrendo, quello di un uomo malato che non indossava nemmeno la giacca e il panciotto, con una barba troppo lunga e rozzamente tagliata con la forbice.

    Per tutta la vita si era sforzato di nascondere il proprio lato meno nobile, ma adesso doveva sembrare davvero rozzo.

    «Voi siete l'eroe che ha difeso con il proprio corpo quella maestra, prendendosi una pallottola nel petto» riprese Clarissa, ammirata.

    Seb non trovò il coraggio di rispondere, fece solo un lievissimo cenno con il capo, imbarazzato e confuso. Non era poi stato un così grande eroe, si era limitato a fare il proprio lavoro. Si era spostato davanti alla maestra non solo per proteggerla, ma per distrarre l'assalitore, che poi era stato ucciso da un altro agente.

    Era stato un atto istintivo e necessario per portare a termine la loro missione senza che una donna innocente ci rimettesse la vita.

    Solo adesso si rendeva conto di essere quasi morto per compiere il proprio dovere. Se non si fosse lasciato guidare dall'istinto, ma del buonsenso, invece di gettarsi davanti alla maestra avrebbe sparato direttamente all'aggressore. Sarebbe stata la soluzione più semplice, peccato che non gli fosse venuta in mente.

    «Bella mi ha scritto che siete stato fortunato a uscirne vivo, Mr. Leatham» riprese lei.

    «Così dicono» si limitò a rispondere Seb, e temette di esserle sembrato brusco, come al solito.

    «Capisco che non ne parliate volentieri» lo giustificò Clarissa.

    «Seb è un uomo di poche parole» le spiegò Bella.

    Lui alzò lo sguardo pieno di gratitudine verso Bella, ma ancora una volta vide il volto meraviglioso di Clarissa e ne rimase incantato.

    Una donna come lei doveva essere abituata all'ammirazione maschile, un pensiero che lo intimidì ulteriormente. Chinò di nuovo lo sguardo e fece il possibile per assumere un'espressione severa e distaccata.

    Perché le aveva lasciato capire di essere affascinato da lei? Una donna come Lady Clarissa Beaumont non era per lui, come nessuna esponente del ton, del resto.

    «O forse Mr. Leatham fa il misterioso per accrescere il mio interesse?» suggerì quella dea.

    Adesso lo stava prendendo in giro.

    Seb la guardò dritta negli occhi, come a sfidarla, cercando di nascondere la propria, patetica timidezza. «Non c'è molto da raccontare, milady. È avvenuto tutto in un attimo.»

    «Un attimo molto particolare, direi.»

    «Non ne sono stato nemmeno consapevole.»

    Bugia immensa, perché, quando era caduto a terra con un dolore lancinante al petto e il sangue sparso dappertutto, si era reso perfettamente conto che potevano essere gli ultimi istanti della sua vita.

    «Non mi ricordo quasi niente, perciò non vi posso raccontare niente di interessante» tagliò corto.

    Il tono della voce era di nuovo brusco.

    Seb sperò che si disinteressasse di lui, come facevano tutte le donne dopo averlo conosciuto. Lei andò a sedersi sul divano accanto alla sorella, e passando accanto a Seb lasciò la scia di un profumo così squisitamente femminile da alterare completamente i sensi dell'unico uomo presente nella stanza. Evitò di guardarla, nel timore

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