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Un amorevole furfante
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E-book218 pagine2 ore

Un amorevole furfante

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1819 - Lady Hannah Steers ha ben tre motivi per disprezzare Ross Jameson. È un libertino irriverente, le ha sottratto la casa in maniera disonesta e, oltretutto, è responsabile della morte di suo fratello. Determinata a smascherare Ross per il ladro che è, Hannah veste i panni della nuova governante e si introduce in casa dell'uomo. Purtroppo, però, Ross si dimostra l'epitome della tentazione più che lo spregevole furfante che lei era convita di trovare. Invece di farlo cadere nella trappola che aveva organizzato per smascherarlo, lei si ritrova in una situazione delicata che non aveva previsto: se ne innamora perdutamente.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2017
ISBN9788858960561
Un amorevole furfante

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    Anteprima del libro

    Un amorevole furfante - Virginia Heath

    successivo.

    Prologo

    White's, maggio 1818

    Quel gruppo di gentiluomini curiosi, intorno a un tavolo di White's dove si giocava una partita a carte, poteva significare solo due cose: qualcuno stava per vincere una grossa somma oppure stava per perdere anche la camicia. Ross Jameson si avvicinò, come una falena attirata dalla fiamma di una candela.

    Al tavolo era seduto il Conte di Runcorn, che fissava disperato il Visconte Denham, intento a raccogliere con studiata lentezza il mucchio di banconote che gli aveva appena vinto al gioco.

    Ross andò dal suo amico Carstairs per farsi raccontare i particolari. «Che cosa è successo?» gli domandò a bassa voce bevendo un sorso dal bicchiere che aveva in mano.

    John Carstairs fece altrettanto, senza distogliere nemmeno per un attimo gli occhi dal dramma che si stava svolgendo davanti a loro. «Denham ha appena spennato Runcorn» rispose. «Ci sono più di mille sterline su quel tavolo.»

    Ross non si meravigliò.

    Era da anni che Runcorn stava cercando di rovinarsi e il Visconte Denham, un individuo che Ross detestava, godeva particolarmente ad approfittare degli sciocchi come lui.

    «È stato un piacere, Runcorn» disse infatti alla sua vittima, alzandosi sorridente dal tavolo per andarsene.

    Runcorn era fuori di sé. Mise una mano in tasca e tirò fuori un documento, che gettò in mezzo al tavolo. «L'atto di proprietà di Barchester Hall» dichiarò in tono disperato. «La casa è circondata da un magnifico parco e da grandi pascoli. Mi gioco la tenuta contro tutto quello che ho perso finora.»

    I presenti trattennero il fiato.

    «Ma chi mai verrebbe a giocare a carte con l'atto di proprietà della sua casa in tasca?» sibilò Carstairs fra i denti.

    «Qualcuno abbastanza idiota da giocarsela e perderla» rispose Ross con calma.

    Runcorn non sarebbe stato il primo gentiluomo a perdere tutto quello che possedeva al tavolo da gioco, e nemmeno l'ultimo.

    Tutti guardarono Denham, aspettando la sua risposta. La serata stava diventando eccitante, avrebbero avuto qualcosa da raccontare, nei giorni successivi.

    Denham si era fermato, ma non era tornato a sedersi. Fissava Runcorn in un modo strano, e Ross era certo che si stesse godendo ogni istante. Non era comunque il tipo da accettare subito nemmeno un'offerta simile, gli piaceva tenere sulla corda le sue vittime. «Dubito che la vostra proprietà valga più di tremila sterline» obiettò. «Tuttavia sono un uomo ragionevole e, viste le circostanze...»

    Ross lo interruppe prima che potesse finire. «Accetto io la vostra proposta, Runcorn» dichiarò, prendendo il rotolo di banconote che aveva in tasca e gettandolo sul tavolo. «Cinquemila sterline contro la vostra proprietà.»

    I presenti non riuscivano a credere alla loro fortuna, la serata si prospettava davvero indimenticabile. Tuttavia alcuni guastafeste, che tenevano un po' troppo alle formalità, fecero notare che la sfida era stata lanciata a Denham, non a Ross.

    Spettava al visconte accettare o rifiutare, soltanto dopo un suo rifiuto Ross si sarebbe potuto fare avanti e prendere il suo posto al tavolo da gioco.

    Qualcuno mormorò che un parvenue come Ross Jameson non avrebbe mai capito le regole del vivere in società, qualcun altro osservò che cinquemila sterline erano un'enormità, contro un rudere come Barchester Hall.

    Ross li ignorò tutti.

    Notò soltanto l'avidità con cui Runcorn stava fissando il rotolo di banconote che aveva gettato sul tavolo, come se stesse pensando che con quel denaro sarebbe potuto rientrare delle sue perdite e anche pagare qualcuno dei suoi molti debiti. Disperati come lui non smettevano mai di illudersi che prima o poi la fortuna sarebbe cambiata.

    «Accetto!» esclamò eccitato il conte, senza mai distogliere gli occhi dai soldi.

    Denham ci rimase male. Sembrò riluttante a spostarsi per permettere a Ross di sedersi al posto che aveva appena lasciato.

    «A che cosa giochiamo?» domandò Ross, anche se conosceva già la risposta.

    Il povero Runcorn giocava sempre a piquet, considerandolo meno pericoloso di altri giochi, senza rendersi conto che era molto più facile farsi imbrogliare, se si aveva a che fare con un giocatore disonesto. Ross bevve un altro sorso dal suo bicchiere prima di prendere le carte.

    Le guardò, erano buone, perciò giocò le peggiori per dare a Runcorn una possibilità.

    Runcorn vinse facilmente la prima mano e sul suo viso comparve un evidente sollievo. Era un giocatore terribile, considerò Ross tra sé. Non c'era da meravigliarsi che Denham lo avesse spennato. Aveva anche il difetto di non saper nascondere le proprie emozioni. Si capiva all'istante quali carte avesse in mano, il che non rendeva di certo eccitante giocare con lui.

    Ross ce la mise tutta per fare peggio di Runcorn, e ci riuscì. Perse la seconda mano, ma, per non suscitare sospetti, vinse la terza. Perse poi la quarta, per non innervosire troppo Runcorn, che sembrava più confuso che mai.

    Quando faceva un punto il conte si tratteneva a stento dal gridare di gioia, ma non si rendeva bene conto di che cosa stava succedendo. Un bene, per Ross, che così avrebbe potuto fare di lui quello che voleva.

    Alla penultima mano lanciò un'occhiata a Carstairs e il suo amico tirò fuori l'orologio dal taschino, come per ricordargli che erano attesi altrove e che non potevano perdere altro tempo.

    Ross mise fine alla commedia. Giocò come doveva e vinse quella mano con la massima facilità.

    Runcorn venne colto dal panico.

    Sudava così tanto che il colletto a punte alte della sua camicia alla moda era bagnato. Era noto a tutti che il Conte di Runcorn aveva debiti con quasi ogni mercante di Londra, eppure ci teneva moltissimo a vestire con stile e a condurre una vita dispendiosa. Non aveva mai fatto nulla per combattere le proprie debolezze e adesso avrebbe avuto ciò che si meritava.

    Nell'ultima mano, giocata in un silenzio assoluto nonostante i molti gentiluomini intorno al tavolo che seguivano la partita con il fiato sospeso, Ross gli lasciò fare i primi due punti, con il risultato che Runcorn si sentì fiducioso e giocò troppo presto la sua carta migliore. Non gli rimaneva che un fante, mentre Ross aveva in mano due re e una regina.

    Quando l'ultima carta, il re di cuori, venne gettata sul tavolo da Ross e consacrò la sua vittoria, Runcorn nascose il volto pallido tra le mani mentre scoppiava un applauso per il vincitore.

    Così Ross prese anche l'atto di proprietà, oltre alle sue cinquemila sterline, e se li mise in tasca. Era più prudente allontanarsi con una ragionevole fretta, prima che Runcorn trovasse la forza di reagire.

    «Vedo che avete sempre la solita fortuna, Jameson» mormorò il Visconte Denham, alle sue spalle.

    Ross si limitò a un cenno del capo.

    Detestava anche solo rivolgere la parola a Denham, benché in quel momento molti lo avrebbero giudicato migliore di lui, che aveva appena rovinato un uomo.

    Il Conte di Runcorn trovò la forza di alzarsi in piedi. «Avete... avete giocato bene» balbettò, più per educazione che per autentico rispetto. Poi si voltò verso gli spettatori. «Se voi signori volete scusarmi...» Con passo incerto si avviò all'uscita.

    Ross lanciò un'occhiata al suo amico e Carstairs seguì subito il conte. Sapeva cosa doveva fare.

    «Mi chiedo, Jameson» proseguì Denham in tono mellifluo, «se giocate per il piacere di farlo, oppure per privarmi delle mie giuste vittorie.»

    Lo sparo, dal corridoio in cui si trovava Runcorn, evitò a Ross il fastidio di rispondergli. Tutti corsero alla porta, anche Ross, sebbene sapesse già cosa avrebbero trovato.

    Appena arrivati nel corridoio videro che le pareti di alabastro di White's erano schizzate di sangue. Il sangue di Runcorn, che giaceva sul pavimento di marmo, dopo essersi sparato un colpo alla testa con la pistola fumante che stringeva ancora in mano.

    Carstairs, immobile, guardava impotente la tragedia che non era riuscito a evitare.

    «Domani i giornali avranno qualcosa da raccontare» commentò Denham prima di andarsene.

    1

    Poco più di un anno dopo...

    Lady Hannah Steers lesse ancora una volta la lettera, con crescente eccitazione. Se doveva credere alla sua vecchia cuoca, forse aveva finalmente la possibilità di sistemare le cose.

    «Che cos'è, mia cara?» domandò la zia Violet, curiosa di sapere le novità.

    «È una lettera della cuoca di Barchester Hall, zia. Pare che quel furfante adesso voglia andarci ad abitare. Non ti sembra incredibile?»

    «Oh, tesoro!» La zia sospirò. «Vorrei tanto che ti dimenticassi di Barchester Hall e di tutto il resto. La vita va avanti.»

    Le anziane zie la guardarono con la stessa compassione di sempre, e Hannah provò la consueta irritazione nel constatare che non riuscivano a capire. La vita continuava? Come poteva continuare, se le avevano portato via tutto, compreso Barchester Hall? «Zia Beatrice, non potrò andare avanti con la mia vita fino a quando non vedrò Ross Jameson penzolare da una forca. Qualcuno deve rivelare al mondo la meschinità di quel ribaldo.»

    «Che assurdità!» proruppe Beatrice. «Avrà quello che si merita, ma non sarai tu a fare giustizia. Hai ancora le cinquemila sterline di tuo padre, in banca, e sei abbastanza giovane per trovare un buon partito.»

    Come se fosse davvero possibile trovare qualcuno che la sposasse, pensò amaramente Hannah. Dopo lo scandalo che l'aveva coinvolta nessun gentiluomo avrebbe mai voluto toccarla con un dito, figurarsi prenderla in moglie. La fiducia nel futuro delle zie era del tutto fuori luogo.

    E poi non si sognava nemmeno di affidarsi di nuovo a un uomo, chiunque fosse. Gli ultimi anni le avevano insegnato che poteva cavarsela benissimo da sola.

    «Tutto questo risentimento verso Mr. Jameson non ti fa bene, Hannah» proseguì zia Beatrice. «Non siamo nemmeno sicure di come siano andate veramente le cose. Sei davvero certa che sia un uomo malvagio? Nessuno lo ha mai accusato di niente.»

    Hannah cominciò a perdere la pazienza. «Non concedergli il beneficio del dubbio, non se lo merita. Mi sono informata su di lui e quello che ho saputo porta sempre alle stesse conclusioni. È un uomo privo di coscienza, che ricorrerebbe a qualunque espediente pur di farsi strada. Uno come lui, di bassi natali, non sarebbe arrivato alla posizione che ha senza ingannare gli altri, senza approfittarsi dei più deboli. Dicono che abbia fascino e talento, il che gli ha permesso di frequentare le migliori famiglie di Londra, ma c'è ancora una buona parte dell'aristocrazia che gli gira le spalle e non vuole aver niente a che fare con lui. Sanno che tipo è, circolano molti pettegolezzi sul suo conto e sul suo modo di vivere.»

    «Devo ricordarti che si parlava molto anche di tuo fratello, e di certo non in maniera edificante?» le fece notare zia Violet. «Sappiamo tutti che George non era un angelo e che buona parte dell'aristocrazia londinese ti ignora anche per colpa sua. Perciò non sarei incline a dar troppa importanza alle chiacchiere della gente.»

    Le zie la guardarono severamente e Hannah sbuffò, seccata. Anche lei era stata bersaglio di molti pettegolezzi, e di uno scandalo che l'aveva rovinata. Senza alcuna colpa, come poteva essere capitato a Jameson, anche se non era un motivo che l'avrebbe indotta a modificare la sua opinione su di lui.

    Del resto nemmeno il Visconte Eldridge le aveva concesso un alibi quando aveva rotto il loro fidanzamento, e non era stato di certo tenero con lei.

    «So che non condividete il mio desiderio di fare giustizia, ma non posso permettere che Jameson si installi a Barchester Hall. È stata casa mia durante la mia infanzia, ci sono affezionata e farò tutto il possibile per riaverla. Ammetto che non sempre i pettegolezzi sono fondati, soprattutto nell'alta società, ma ho sentito e letto troppo su di lui sui giornali per potere pensare che sia tutto falso. Almeno una volta alla settimana c'è un trafiletto che parla di Mr. Jameson, e di solito riguarda le sue donne o il modo discutibile in cui conduce i suoi affari. Non ha mai smentito queste illazioni. Perché, se non sono vere? Avrebbe potuto querelare i giornali, portarli in tribunale. Eppure non ha mai fatto niente, perfino quando un articolo è arrivato al punto da insinuare che avesse causato la morte di suo padre.»

    «Ma è impossibile!» esclamò inorridita zia Violet.

    «Be', forse non direttamente, ma per incassare la taglia che c'era sulla sua testa lo ha fatto arrestare e poi ha testimoniato contro di lui, facendolo deportare nelle colonie. Il padre morì durante il viaggio in mare.»

    «Questo non significa che l'abbia ucciso lui» sottolineò zia Beatrice con un certo sollievo.

    «Però fa capire che carattere abbia quell'uomo. Ha tradito il padre, lo ha consegnato alla giustizia. Che razza di individuo può essere?»

    Nessuna delle zie trovò qualcosa da ribattere, così Hannah si illuse di averle finalmente convinte.

    «Comunque ora è lui il proprietario legittimo di Barchester Hall» si limitò a osservare zia Beatrice. «Devi rassegnarti, Hannah, quella casa non appartiene più alla nostra famiglia e non potrai mai riaverla indietro.»

    «Non è detto. Se riuscissi a provare che l'ha avuta con l'inganno, forse ci sarebbe una possibilità. Se Jameson finisse in prigione per le sue malefatte, le proprietà gli verrebbero confiscate e la casa andrebbe all'asta, con tutto il resto. Con le mie cinquemila sterline potrei ricomprarla, se si presentasse l'occasione.»

    Avrebbe fatto di tutto per riaverla e tornare a vivere là. Moriva di noia insieme alle zie, c'erano mattine in cui non trovava la forza necessaria per alzarsi dal letto e affrontare un'altra giornata.

    Solo pochi anni prima era stata una giovane vivace, piena di speranza, amante dei divertimenti. Dov'era finita l'Hannah di un tempo, spigliata ed esuberante? Lontana da Barchester Hall si era sentita come in prigione, come se tutta la gioia le fosse stata portata via.

    Se fosse tornata a Barchester Hall, forse avrebbe riavuto anche la felicità di un tempo. Non si meritava di condurre una vita così grigia e noiosa.

    Zia Violet scosse lentamente il capo. «Qui siamo nello Yorkshire, mia cara. Barchester Hall è lontana duecento miglia, che cosa pensi di poter fare, da questa distanza?»

    Continuavano a considerarla una bambina. Di certo non si aspettava di poter fare qualcosa da quel piccolo cottage sperduto nella brughiera. Non poteva rivelare tutte le sue intenzioni alle zie, avrebbero cercato di ostacolarla in ogni modo, ma non si sarebbe fermata davanti a niente per riavere quello che le apparteneva.

    La lettera della cuoca era arrivata per darle la sveglia, per dirle che era venuto il momento di agire. E avrebbe agito.

    «La cuoca mi ha scritto anche che Jane Barton mi ha invitato a farle visita per l'estate» mentì quindi.

    Non aveva notizie di Jane dall'ultimo ballo a cui erano andate insieme, prima che Hannah fosse esiliata dal fratello nello Yorkshire per sfuggire allo scandalo, ma le zie lo ignoravano. Non aveva avuto modo di incontrare nessuno dei suoi amici londinesi, da quell'ultimo ballo.

    Non sapeva che cosa pensassero di lei, ma poteva facilmente immaginarlo. Non ci voleva molta fantasia, a dir la verità.

    La bugia dell'invito di Jane Barton le avrebbe dato la scusa per andarsene via da sola, per un mese o anche due.

    «Che gentile è stata a invitarti, tesoro!» fu il commento entusiasta di zia Violet, mentre prendeva in mano il suo ricamo. «Devi assolutamente accettare e andare a trovarla. Così potrai stare finalmente con persone della tua età e divertirti, com'è giusto. Non ti fa bene rimanere qui da sola, con noi, senza vedere mai nessuno.»

    Anche zia Beatrice si

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