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I ricordi del greco (eLit): eLit
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E-book168 pagine2 ore

I ricordi del greco (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Leon Carides ha tutto quello che un uomo può desiderare dalla vita: soldi, potere, fama, persino una bellissima e giovane moglie, Rose. Poi, dopo un terribile incidente automobilistico, ogni ricordo della sua vita viene cancellato, e l'unica cosa che rammenta sono gli splendidi occhi di Rose. Mentre il desiderio che prova per lei cresce di giorno in giorno, finendo col riempire i vuoti della sua memoria, Leon rischia però di perdere, dopo il suo passato, anche il suo futuro. Rose, infatti, non è certa di riuscire a perdonare tutti gli errori che lui ha commesso nel corso del loro matrimonio.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2018
ISBN9788858988398
I ricordi del greco (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    I ricordi del greco (eLit) - Maisey Yates

    978-88-5898-839-8

    1

    «Al momento è stabile» dichiarò il dottor Castellano.

    Rose guardò suo marito. Aveva gli occhi chiusi, il braccio, la spalla e il torace bendati, le labbra gonfie ed escoriate, una brutta ecchimosi gli segnava lo zigomo. Sembrava... Bene, non sembrava affatto Leon Carides, ragionò. Leon Carides era un uomo imponente, sempre in movimento, dotato di una forza e di un'energia che non potevano passare inosservate. Un uomo che pretendeva rispetto con la sua sola presenza, anche semplicemente respirando. Un uomo che le donne ammiravano e desideravano... E dal quale lei aveva deciso di divorziare.

    Ma era davvero improbabile consegnargli i dovuti documenti da firmare mentre giaceva in un letto di ospedale, gravemente ferito.

    «È un miracolo che sia ancora vivo» sentenziò il medico.

    «Giusto» confermò Rose. «Un miracolo» ribadì. Una parte di lei, quella la cui voce scelse subito di ignorare, pensò che sarebbe stato tutto più facile se Leon non fosse sopravvissuto all'incidente. In quel caso non sarebbe stata costretta ad affrontare lo stato attuale della loro unione, o meglio, la loro mancanza di unione. Però, se era vero che non voleva più essere sua moglie, era anche vero che sicuramente non lo voleva morto. «È cosciente?»

    «No. Mostra qualche segno di attività cerebrale, il che ci induce a sperare... Ma più a lungo resta privo di conoscenza, maggiori sono i rischi.»

    «Naturalmente» commentò Rose. Aveva impiegato più di venti ore per arrivare in Italia dal Connecticut, e per tutto quel tempo Leon era stato in coma. A volte però le persone si risvegliavano dopo anni, quindi un paio di giorni non rappresentavano un dato significativo.

    «Se ha altre domande non esiti a contattarmi. L'infermiera passerà per controllare le funzioni vitali ogni quindici minuti.» Il medico le porse un bigliettino da visita. «Se ha bisogno di qualcosa, mi mandi un SMS» aggiunse.

    Rose annuì. Immaginava che questo fosse il trattamento che l'ospedale riservava a pazienti speciali, e Leon era un paziente speciale, ricco, ricchissimo, uno degli uomini di affari più influenti del mondo. Il che significava che un incidente, per quanto grave, era un evento meno devastante per lui di come lo sarebbe stato per un comune mortale. «Grazie» replicò.

    Il medico uscì, lasciandola sola nella camera, il silenzio violato solo dal ronzio dei macchinari. Avvertì i primi sintomi del panico mentre fissava il corpo immobile di Leon. Lui non doveva avere quell'aspetto, decise.

    Leon non poteva essere vulnerabile.

    Lo aveva sempre considerato più una divinità che un essere umano. Era stato il protetto di suo padre sin da quando lei aveva avuto solo otto anni, e lui dieci di più. Sinceramente non ricordava un solo periodo della sua vita nel quale Leon non fosse stato coinvolto.

    Allegro, sempre sorridente. Sempre gentile. Le aveva concesso la sua attenzione, e le aveva fatto credere di considerarla importante.

    Ovviamente tutto era cambiato dopo il matrimonio.

    Non avrebbe pensato al loro matrimonio adesso, decise. Non avrebbe pensato e basta. Voleva solo chiudere gli occhi e tornare come per magia nel bel giardino fiorito della residenza della sua famiglia. Voleva essere accarezzata dalla brezza estiva calda e profumata, essere protetta da ciò che stava accadendo. Ma era solo una fantasia. L'ambiente in cui si trovava, bianco, asettico, non favoriva di certo le fantasie.

    Si chiese se ci fossero state altre persone in auto con lui. In quel caso, nessuno ne aveva accennato. Si chiese se Leon avesse bevuto prima di mettersi alla guida. Anche quello era un dettaglio rimasto imprecisato.

    Un ulteriore effetto del denaro. Le persone tendevano a proteggere i ricchi con la prospettiva di trarre benefici dal loro silenzio in un secondo momento.

    Un gemito la indusse a riportare la sua attenzione al letto. Leon si stava muovendo, tirando la flebo e gli innumerevoli cavi che lo collegavano ai monitor.

    «Fai attenzione» lo ammonì con tono dolce. «Sei attaccato a...» Guardò le sacche di antibiotici, i flaconi di soluzione salina e le macchine. «Bene, sei attaccato a tutto. Stai fermo.»

    Non immaginava se lui l'avesse sentita, o capito le sue parole.

    «Hai dolore?» chiese poi.

    «Certo che ho dolore...» rispose Leon, la voce non più di un sussurro.

    Il sollievo la travolse con tanta forza da provocarle un capogiro. Fino a quel momento non si era resa conto di quanto fosse in pena per lui. Un sentimento in drastico contrasto con ciò che aveva pensato poco prima, ammise Rose. O forse no. Forse le due cose erano le facce della stessa medaglia, rifletté.

    Perché fin quando Leon fosse stato fra i vivi, lei lo avrebbe amato troppo. Se invece fosse scomparso, non le sarebbe toccato il duro compito di scegliere di rinunciare a lui.

    «Forse hai bisogno di altri analgesici» ipotizzò, poi guardando i brutti lividi che gli segnavano il volto capì che difficilmente un farmaco avrebbe potuto cancellarli.

    «Allora procurameli.»

    In perfetta assonanza con il suo carattere, impartiva già ordini. Leon non si faceva mai cogliere impreparato. Anche quando lei aveva perso suo padre, rammentò Rose, ed era stata soffocata dal dolore, si era fatto avanti. No, non l'aveva confortata come un marito avrebbe dovuto confortare la moglie. In realtà, non era mai stato un marito nel vero senso della parola. In ogni caso aveva gestito la situazione con efficienza e precisione, accertandosi che tutto, dai funerali alla lettura del testamento, procedesse in modo perfetto.

    Ecco perché, nonostante tutto, le era sembrato giusto restare con lui per gli ultimi due anni. Per lo stesso motivo aveva infine deciso di doverlo lasciare, pur nella consapevolezza di perdere ogni cosa.

    Lasciarlo ora però non le sembrava giusto. Non era stato un vero marito, in compenso non l'aveva mai abbandonata nel momento del bisogno. Come poteva lei comportarsi in modo differente?

    «Chiamerò un'infermiera» replicò, prima di inviare un SMS al medico per informarlo che il paziente era sveglio.

    Leon aprì gli occhi, si guardò intorno. «Non sei un'infermiera?»

    «No. Sono Rose» spiegò lei. Probabilmente era un po' disorientato, ipotizzò. Dopotutto lei avrebbe dovuto essere in Connecticut.

    «Rose?»

    «Esatto. Sono partita per l'Italia non appena ho saputo del tuo incidente.»

    «Siamo in Italia?»

    «Certo. Perché, dove pensavi che fossi?»

    Una ruga solcò la fronte di Leon. «Non saprei» ammise.

    «Ti trovi in Italia per sbrigare delle faccende di lavoro.» E con ogni probabilità di letto, pensò Rose. «Stavi andando via da una festa, un'auto ha invaso la tua carreggiata in senso contrario. C'è stato un terribile scontro frontale.»

    «In effetti, mi sento proprio così. Reduce da uno scontro frontale, ma senza il riparo offerto dall'auto.»

    «Considerata la velocità a cui viaggiavi, è una sensazione comprensibile.»

    «Noi due ci conosciamo?»

    «Ovvio. Sono tua moglie.»

    Sono tua moglie.

    Le parole gli riecheggiarono in testa rifiutandosi di assumere un senso compiuto. Non ricordava di avere una moglie. D'altro canto, non ricordava di essere in Italia. Non ricordava... Nulla. Il suo nome, la sua professione. Nulla. «Sei mia moglie» ripeté Leon. Magari, se l'avesse fatta parlare, in qualche modo avrebbe riempito quel buco nero che aveva in testa.

    «Sì, da due anni.»

    «Davvero?» Leon cercò di figurarsi il matrimonio. Strano, aveva un'idea precisa di cosa fosse un matrimonio ma ignorava il nome di sua moglie. Tuttavia, non riusciva a credere di aver scelto quella donna come sposa. Un topolino dai capelli biondi, fin troppo chiari, lunghi fino alle spalle, un fisico snello, occhi blu e grandi, forse troppo grandi per le dimensioni del suo viso.

    Occhi blu.

    Un'immagine lampeggiò nel buio che gli oscurava la mente. Aveva pensato ai suoi occhi pochi istanti prima dell'impatto. Non rammentava altro, però. «Sì, sei mia moglie» confermò. Sapeva che era la verità, ne aveva la certezza.

    «Oh, bene. Stavi iniziando a spaventarmi» mormorò lei, la voce che tremava.

    «Sono in un letto di ospedale ridotto molto male, e solo adesso ti ho spaventata?»

    Rose si strinse nelle spalle. «Il fatto che non mi riconoscessi era un po' più spaventoso.»

    «Sei mia moglie, e io sono...»

    Il silenzio calò su di loro, pesante e accusatorio. «Non lo sai» dedusse lei. «Non ti ricordi di me, e non ti ricordi di te stesso.»

    Leon chiuse gli occhi e scosse la testa, procurandosi delle fitte dolorose che gli trapassarono le tempie. «Ma devo ricordare. L'alternativa è la follia. I tuoi occhi... Quelli li rammento bene.»

    L'espressione del viso di lei si raddolcì. Schiuse le labbra, e un po' di colore riprese a tingerle le guance. Ora sembrava persino carina, ragionò. Supponeva che la prima impressione che aveva avuto era stata un po' affrettata, considerando che pure lei doveva aver subito un forte shock quando le avevano comunicato che suo marito era rimasto coinvolto in un terribile incidente.

    Aveva detto di essere partita subito per l'Italia, ma aveva omesso di precisare da dove era partita. Probabilmente era stato un lungo viaggio. Ovvio che fosse pallida e scossa. E che fosse vestita in modo un po' trascurato.

    «Ricordi i miei occhi?»

    «Solo quelli, ma è pur sempre un inizio, giusto?» È mia moglie, dannazione, pensò Leon. Perché non riusciva a ricordare sua moglie?

    «Vado a chiamare il medico.»

    «Sto bene...» borbottò lui.

    «Hai perso la memoria, come puoi stare bene?»

    «Non sto per morire.»

    «Dieci minuti fa il dottore era qui, e aveva ventilato la concreta eventualità di un coma irreversibile. Perdonami se sono un po' preoccupata.»

    «Bene, ora sono sveglio. Sono sicuro che presto ricorderò tutto.»

    Lei annuì. «Sì, so che ne sei sicuro.»

    Svelta, Rose uscì dalla camera. Leon aveva perso la memoria. Non ricordava nulla.

    Il dottor Castellano le andò incontro. «Suo marito si è svegliato, signora Carides?»

    «Signora Tanner» precisò lei, più per abitudine che per altro. «Ho conservato il mio cognome da nubile.» Del resto, non era mai andata a letto con suo marito, dunque non avrebbe avuto senso per lei chiamarsi Carides.

    «Signora Tanner» confermò l'uomo. «Allora, come le sembra? Ha parlato?»

    «Non ricorda nulla» spiegò Rose, un forte tremito che la scuoteva.

    «Nulla?»

    «Nulla. E io non sapevo come comportarmi. Non sapevo se trattarlo come un sonnambulo e tacere, o se dovevo raccontargli tutto.»

    «Bene, sarà necessario dirgli chi è, ma voglio consultare uno psichiatra. Non tratto casi di amnesia.»

    «Questa non è una soap opera. Mio marito non ha un'amnesia.»

    «Ha subito un forte trauma alla testa» ragionò il dottor Castellano a quel punto. «La possibilità di un'amnesia esiste. Immagino che lei sia molto preoccupata, ma cerchi di stare tranquilla. Il signor Carides è stabile, ha ripreso conoscenza. Recupererà la memoria molto presto.»

    «Esistono dei dati statistici per sostenere questa sua ipotesi?»

    «Come ho appena detto, non è il mio campo. Accade spesso che una persona perda la memoria a causa di un trauma, anche se in genere si tratta di una memoria selettiva. Alcuni ricordi rimangono.»

    «Bene, mio marito non ricorda assolutamente nulla.»

    «È un fenomeno temporaneo.»

    «Le persone che subiscono traumi alla testa riprendono tutte a ricordare?»

    «Per alcune non succede» ammise il medico.

    «Quindi è anche possibile che Leon sia fra queste» mormorò Rose, avvilita dalla sensazione che il suo futuro le stesse sfuggendo di mano.

    «Io non mi concentrerei su questa ipotesi» la ammonì il dottor Castellano. «Terremo suo marito sotto costante controllo fin quando resterà qui, anche se io consiglio di riportarlo a casa al più presto possibile. L'ambiente familiare gli sarà di giovamento.»

    Rose annuì. Quella era l'unica cosa che avevano in comune. Leon viaggiava spesso per affari, e lei accoglieva con sollievo ogni sua partenza, ma entrambi amavano Tanner House, la loro dimora in Connecticut. Era il cespite che preferiva dell'eredità di suo padre, l'antica residenza circondata da un immenso parco, dove trovava posto il Giardino delle Rose che sua madre aveva progettato in occasione della nascita della sua unica figlia.

    Era il suo rifugio, il suo porto sicuro. E Leon la considerava nello stesso modo.

    Anche se alloggiavano in ali opposte della grande villa. Almeno Leon non aveva mai portato donne lì,

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