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Sensuale duello: Harmony Destiny
Sensuale duello: Harmony Destiny
Sensuale duello: Harmony Destiny
E-book165 pagine2 ore

Sensuale duello: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Matthew Kincaid non ha mai dovuto chiedere aiuto a nessuno. È un uomo ricco e potente e gli basta schioccare le dita per ottenere tutto ciò che desidera. Ma ci sono sfide che non possono essere affrontate in solitudine, e ora che si trova davanti un imprevisto è costretto a lasciare il bastone del comando e a far rientrare nella sua vita Susannah Parrish, la donna che con una sola parola potrebbe distruggere il suo impero. Quando il nemico è troppo forte da affrontare, basta convincerlo a passare dalla propria parte, con astuzia e la giusta dose di fascino.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2018
ISBN9788858979822
Sensuale duello: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Sensuale duello - Rachel Bailey

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    What Happens in Charleston...

    Harlequin Desire

    © 2012 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Rita Pierangeli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-982-2

    1

    Stringendo con forza spasmodica il cellulare, Matthew Kincaid osservava suo figlio attraverso il pannello di vetro della stanza d’ospedale.

    Flynn, tre anni, era poggiato contro un’alta pila di cuscini, il faccino incorniciato da una massa disordinata di capelli scuri. Sedute ai lati del letto, due delle sue zie, Lily e Laurel, sorelle di Matthew, chiacchieravano e scherzavano con lui. Dalla morte di sua moglie, avvenuta un anno prima, la sua famiglia si era comportata in modo ammirevole, offrendo a lui e al figlio il sostegno di cui avevano bisogno.

    Quella volta non sarebbe stato sufficiente.

    E tutta la ricchezza che tre generazioni di Kincaid avevano accumulato con la loro società di spedizioni, serviva a ben poco nella stanza dove era confinato suo figlio.

    Malgrado il colorito pallido di Flynn e le ombre di stanchezza sotto gli occhi, non tutti avrebbero intuito fino a che punto era compromessa la sua salute. E nessuno avrebbe potuto immaginare che le zie avevano dovuto sottoporsi a un processo di decontaminazione prima di entrare nella sua stanza, per impedire che qualche germe violasse il suo indebolito sistema immunitario.

    Mentre osservava il figlio che si sforzava di imparare un gioco che Lily gli stava insegnando, Matt inghiottì il groppo emotivo che gli chiudeva la gola. Era reduce da un colloquio con i medici, che gli avevano esposto alcuni fatti raggelanti: il corpicino di Flynn stava lottando per riprendersi dall’anemia aplastica. Se la funzione del sangue non migliorava con le cure, avrebbero dovuto ricorrere a opzioni più drastiche.

    Compreso un trapianto di midollo spinale.

    Gli si gelò la pelle, come quando aveva udito quelle parole per la prima volta. Flynn era così piccolo, troppo piccolo per affrontare un intervento simile. Sempre che fossero riusciti a trovare un donatore compatibile. L’opzione migliore sarebbe stata un fratello, ma Flynn non ne aveva. La seconda era un genitore ma, essendo allergico alla penicillina, Matthew era stato relegato come ultima risorsa. I medici non volevano correre il rischio di trasmettere a un bambino di tre anni un’allergia che era una potenziale minaccia per la vita. In caso di infezione, gli antibiotici erano la sua unica speranza.

    A rigor di logica, Matt capiva perché i medici non volevano accantonare l’idea una cura così invasiva – gli avevano illustrato nei dettagli casi di allergie trasmesse con il trapianto di midollo – ma non per questo si sentiva meglio. Voleva essere in grado di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per aiutare il suo ragazzino.

    Strinse la mano a pugno e la premette sul plesso solare, nel futile tentativo di alleviare il dolore. Nel momento in cui suo figlio aveva maggiormente bisogno del padre, lui non gli era di nessuna utilità, e quel pensiero era quasi insopportabile.

    Sapeva che i suoi fratelli e le sue sorelle avrebbero insistito per sottoporsi alla prova per verificare se erano compatibili, ma i medici si erano dimostrati pessimisti circa le probabilità di un esito positivo.

    Perciò restava un’unica opzione. L’unica altra persona che aveva quel legame basilare con Flynn. La sua madre biologica.

    Matthew strinse con più forza il telefono, diede un’ultima occhiata al suo piccolo che giocava con le zie e si allontanò lungo il corridoio in cerca di privacy.

    Controllando l’orologio, Susannah prese i fogli che stavano uscendo dalla stampante. Mancavano dodici minuti alla riunione con i direttori della banca e altri membri chiave ma, dal momento che si teneva in un ufficio lungo il corridoio, ce l’avrebbe fatta senza difficoltà. Per tutta la settimana aveva lavorato fino a tardi alla stesura del nuovo programma di relazioni pubbliche per rinnovare l’immagine della banca, ed era sicura che ne sarebbero rimasti entusiasti. Per la banca era un imperativo cambiare logo, e l’aspetto PR era il progetto più importante che fosse stato assegnato a Susannah e alla sua squadra. Avevano elaborato strategie che, secondo loro, avrebbero sicuramente suscitato un notevole interesse.

    Il suo cellulare ronzò e lei lo afferrò mentre infilava l’altro braccio nella manica della giacca.

    «Susannah Parrish» disse, esaminando la scrivania per essere sicura di avere preso tutto il materiale per la presentazione.

    «Buongiorno, Susannah.» Il tono della voce maschile, a lei sconosciuta, era teso. «Sono Matthew Kincaid.»

    A quel nome lei si impietrì, e un senso di oppressione le serrò il petto in una morsa. Matthew Kincaid. Marito di Grace Kincaid, la donna alla quale lei aveva consegnato il suo figlioletto appena nato. Superando la barriera che aveva eretto per tenerli lontani, i ricordi di quel giorno le si affollarono alla mente, ricordi di quel momento speciale della sua vita, di quelle poche ore che aveva passato con il suo piccolo, stringendone il prezioso corpicino, così caldo e morbido. Una scheggia di tempo, prima di consegnarlo ai suoi nuovi genitori, facendo loro il dono di un bambino e salvando la propria madre dalla rovina finanziaria.

    Subito dopo, il suo cervello riprese a funzionare a pieno ritmo.

    «Il bambino» bisbigliò, con il cuore stretto. «È successo qualcosa al bambino.» Non c’erano altri motivi per cui lui avrebbe dovuto chiamarla.

    Lungo la linea le giunse un respiro a singhiozzo. «È malato.»

    Malato? Le si rivoltò lo stomaco. Aveva compiuto tre anni soltanto da un mese. Susannah lasciò cadere la cartelletta sulla scrivania e crollò sulla poltrona.

    «Che cos’ha?» Anche se si augurava che non fosse niente di serio, la logica suggeriva che lui non l’avrebbe chiamata per un semplice raffreddore.

    «Ha contratto un virus» rispose Matthew, con una voce stranamente roca, «e il suo organismo non si è ripreso del tutto.»

    Quel minuscolo bebè, che lei aveva cresciuto nel suo grembo, stava soffrendo. Era un pensiero quasi intollerabile. «Che cosa posso fare?»

    «Speravo che me l’avresti chiesto. C’è la remota possibilità che abbia bisogno di un trapianto di midollo. Le persone più compatibili sono un fratello o un genitore, ma io non sono un donatore ideale.» Matt fece una pausa e si schiarì la gola prima di continuare. «Mio fratello e le mie sorelle saranno disposti a offrirsi, ma...»

    «Quando devo essere lì?» lo interruppe lei, senza aver bisogno di riflettere.

    «Tu verrai.» Matthew lo disse come per confermarlo a voce alta. E in quelle due parole lei avvertì l’enorme sollievo che doveva provare.

    «Certo che verrò. Quando?»

    «Il trapianto non è ancora deciso... I medici vogliono fare prima tutti gli esami, per essere pronti se diventasse necessario.» Matthew esitò un attimo prima di aggiungere: «Ma lo apprezzerei, se tu venissi il più presto possibile».

    Con il cuore che le martellava nel petto, Susannah guardò di nuovo l’orologio. Le spettavano dei giorni di ferie, e la sua assistente era in grado di sostituirla. Assentarsi senza preavviso poteva costarle qualche punto nella carriera, ma se quel prezioso bambino aveva bisogno di lei, tutto il resto passava in secondo piano. Poteva fare la presentazione e partire quel pomeriggio stesso.

    Aprì il cassetto in basso e ne prese un modulo per la richiesta di ferie. «Abiti ancora a Charleston?»

    «Sì. Tu no?»

    «Adesso vivo in Georgia. Chiederò un permesso e prenderò un volo nel pomeriggio.»

    «Potremmo organizzarci per farti fare gli esami in Georgia.» Matt aveva pronunciato le parole lentamente e lei avvertì la sua riluttanza prima che ammettesse: «Ma preferirei che tu fossi qui, nel caso che dovesse insorgere un’emergenza».

    «Lo voglio anch’io.» Inoltre, anche se fosse rimasta, Susannah non sarebbe riuscita a concentrarsi su niente. «Qual è l’ospedale?»

    «Il St. Andrew, ma mandami gli estremi del volo e verrò a prenderti all’aeroporto.»

    Con il modulo in mano, lei era già in piedi, diretta all’ufficio del suo capo per farsi firmare la richiesta prima della presentazione. «Mi assicurerò di arrivare entro oggi.»

    «A presto, allora. E, Susannah» la voce di Matthew era di nuovo carica di emozione, «grazie.»

    «Non occorre ringraziarmi» replicò lei, bussando alla porta dell’ufficio del suo capo e chiudendo la comunicazione.

    Diverse ore più tardi, trascinando il trolley, Susannah varcava la porta degli arrivi e scorgeva Matthew Kincaid. Alto poco più di un metro e ottantadue, con capelli scuri tagliati corti e un corpo da nuotatore in un completo blu, era difficile ignorarlo. Ne aveva un ricordo chiaro da un incontro che aveva avuto con lui e Grace prima che firmassero il contratto perché lei facesse da madre surrogata, e adesso, come allora, lasciava senza fiato.

    Tuttavia, liquidò quella reazione, poiché era irrilevante ai fini del motivo per cui si trovava lì.

    Il figlio di lui.

    Matt la scorse e le rivolse un breve cenno di saluto, quindi si appropriò della sua valigia. «Apprezzo che tu sia venuta subito.»

    «Sono felice di farlo» ribatté lei con sincerità.

    Il tragitto fino all’auto si svolse in silenzio... Lei aveva troppe domande per sapere da dove iniziare, e Matt sembrava perso in un mondo tutto suo. Durante la gravidanza, Susannah aveva avuto molti più contatti con sua moglie e l’eccitazione di Grace per il bambino aveva reso facile parlare con lei. Forse era meglio conservare le domande per Grace.

    Susannah guardò il cielo azzurro di Charleston. Erano passati quasi tre anni dall’ultima volta che vi era tornata. La Georgia era dove aveva scelto di vivere, ma Charleston era il luogo dove era nata, dove era cresciuta e sarebbe stata sempre casa sua.

    Una volta in auto e agganciata la cintura, chiese: «C’è Grace con lui adesso?».

    Sembrò che un brivido gli percorresse tutto il corpo, poi Matthew sollevò e abbassò il torace continuando a tenere lo sguardo fisso fuori dal parabrezza, con gli occhi nascosti dagli occhiali da sole. Quando parlò, lo fece senza voltarsi verso di lei. «C’è mia madre con lui, ha dato il cambio alle mie sorelle all’ora di pranzo.» Gli si contrasse un muscolo nella mascella, segno di una grande tensione. Quindi aggiunse: «Grace è morta un anno fa».

    D’istinto, Susannah si coprì la bocca con la mano. «Come?» chiese, per pentirsene subito dopo. Il come era irrilevante quando un uomo aveva perso la moglie, e un bambino la madre.

    «Una sciagura con un piccolo aereo.» Matthew continuava a non guardarla, senza accennare ad avviare il motore, limitandosi a restare immobile nella luce fioca dell’abitacolo.

    «Oh, Matthew, come mi dispiace.» Lei aveva sempre pensato a loro come alla coppia perfetta, con il mondo ai loro piedi... belli, ricchi, di successo e innamorati. Sembrava contro le leggi di natura essere così crudelmente separati dalla morte.

    «Non ti dispiacere. Non è colpa tua.» Le sue parole erano cariche di significato... Era evidente che incolpava qualcun altro per la morte della moglie. Susannah era tentata di chiederglielo, ma non aveva nessun diritto di ficcare il naso in un argomento che doveva causargli un dolore insopportabile. Aver portato in grembo un figlio per quell’uomo non modificava il fatto che lei era un’estranea. Un’estranea che doveva tenere a mente i propri limiti, e non cullarsi in un falso senso di intimità perché avevano una cosa in comune. Matthew Kincaid meritava di piangere in privato la perdita della moglie.

    Facendo mentalmente un passo indietro, si raddrizzò sul sedile e spostò la conversazione sul problema più urgente. «Dimmi che cosa sta succedendo a Flynn.»

    Con dita nervose, lui tamburellava sul volante. «Ha preso un virus. All’inizio sembrava che avesse i sintomi di una leggera influenza. Niente di fuori dalla norma.»

    «Ma...?» lo sollecitò lei.

    Matt si strofinò con il pollice le rughe che gli solcavano la fronte. «Ma non è mai guarito completamente. Era apatico e stanco, insomma, non era se stesso. Quando l’ho fatto visitare, i dottori hanno eseguito

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