Uno scandalo per la principessa: Harmony Destiny
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Scoprire di essere il padre di una bambina di cui non sapeva nulla è uno shock per il ricercatore botanico Liam Hawke. Per fortuna può contare sulla presenza e sull'aiuto di Jenna Peters. A sua volta madre single, viene assunta come babysitter e si rivela preziosissima nell'insegnare al neo papà come affrontare la vita con un neonato. Ma Jenna non è solo utile, è bellissima e sensuale e Liam non può impedirsi di essere fortemente attratto da lei. La fragile intesa che entrambi stanno costruendo tuttavia potrebbe spezzarsi da un momento all'altro. Jenna infatti nasconde un segreto scottante: non è una semplice babysitter, ma una principessa europea fuggita in America per evitare che lo scandalo della sua gravidanza travolgesse la famiglia reale.
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Anteprima del libro
Uno scandalo per la principessa - Rachel Bailey
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Nanny Proposition
Harlequin Desire
© 2014 Rachel Robinson
Traduzione di Giada Fattoretto
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-236-9
www.harlequinmondadori.it
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1
Liam Hawke teneva il cellulare premuto all’orecchio, ma non serviva a molto. Quello che gli stava dicendo la persona all’altro capo del telefono non aveva alcun senso.
«Signor Hawke? È ancora lì?»
«Attenda un attimo» disse e fermò la jeep sul ciglio della strada. Quando il fratello lo guardò con aria interrogativa Liam disse sottovoce: «Ascolta», e inserì il vivavoce. «Può ripetere, per favore?»
«Sono un’ostetrica dell’ospedale Sacro Cuore e volevo informarla che è appena diventato padre. Congratulazioni.» Liam era perplesso, Dylan sgranò gli occhi e la donna continuò: «Bonnie, sua figlia, ha due giorni ed è ancora qui con la madre. Sfortunatamente la signora ha avuto delle complicazioni dopo il parto e mi ha chiesto di contattarla. Sarebbe meglio se potesse venire subito».
Una bambina?, sillabò Dylan mentre Liam si allentava la cravatta e sbottonava il colletto della camicia, che all’improvviso sembrava troppo stretto. Dovevano essersi sbagliati. I bambini non comparivano magicamente dal nulla. Tanto per cominciare di solito lo si sapeva con nove mesi d’anticipo.
Il sole di Los Angeles picchiava su di loro attraverso il tettuccio apribile mentre Liam deglutiva e cercava di riprendere l’uso della parola. «È sicura di aver chiamato la persona giusta?»
«Lei è Liam John Hawke?» chiese.
«Sì.»
«Ha una relazione con Rebecca Clancy?»
«Sì.» Se la loro si poteva definire una relazione... «Ma non era incinta quando ci siamo lasciati.» Il che era successo un bel po’ di tempo fa. Si sforzò di ricordare l’ultima volta che l’aveva vista però non gli venivano in mente né un luogo né una data.
Quanto tempo era trascorso? Forse otto mesi... Una spiacevole sensazione iniziò a farsi largo. Poi ripensò all’altra informazione che gli era stata fornita. «Ha detto che Rebecca ha avuto delle complicazioni. Sta bene?»
L’ostetrica fece un respiro controllato. «Credo che sarebbe meglio se parlassimo di persona.»
«Arrivo il prima possibile» disse e riagganciò. Riportò la jeep nel flusso del traffico e fece un’inversione a U.
Dylan estrasse il cellulare. «Disdico la riunione.»
Quando Dylan finì di telefonare Liam gli rivolse un sorriso teso. «Grazie.»
«Non lo sapevi?» chiese il fratello.
«Non me ne rendo ancora conto.» Si passò una mano tra i capelli, poi afferrò nuovamente il volante. «Frequentavo Rebecca all’epoca, ma questo non significa che sia io il padre della bambina.» Aveva sentito dire che poco dopo che si erano lasciati lei aveva iniziato a vedere un altro. La prima cosa da fare era chiedere un test del DNA.
Dopo essere stati imbottigliati nel traffico arrivarono all’ospedale. Si diressero verso il reparto di pediatria neonatale, dove li accolse una donna con un camice azzurro per accompagnarli. «La signora Clancy si è aggravata dopo che le ho telefonato, ed è stata riportata in chirurgia. Ci sono i suoi genitori con lei, Bonnie invece è rimasta qui.» Si sporse e prese in braccio un fagotto avvolto in una soffice coperta rosa da cui spuntava un piccolo faccino.
«Ciao, tesoro» le sussurrò. «Il tuo papà è venuto a conoscerti.»
Prima che Liam potesse fermare l’infermiera spiegandole che voleva richiedere un test di paternità lei gli aveva piazzato la bambina tra le braccia. Due occhioni incorniciati da lunghe ciglia nere lo fissarono. Quel visino rosa sembrava così fragile eppure in un certo qual modo più reale di tutto ciò che lo circondava in quel momento.
«Vi lascio soli per qualche minuto, così potete conoscervi» disse l’ostetrica. «C’è una sedia nell’angolo.»
Dylan si schiarì la voce. «Io vado... un secondo di là... a prendere un paio di caffè.»
Ma Liam non li stava ad ascoltare. Aveva occhi solo per Bonnie. Non ricordava l’ultima volta che aveva tenuto in braccio un bambino e non era sicuro di farlo nel modo giusto, tuttavia la tenne stretta e ne inalò il dolce profumo. Sentiva il calore del suo corpo attraverso la coperta e sorrise.
I tre fratelli Hawke avevano ereditato dalla madre quello strano colore di capelli castano ramato, e Bonnie presentava già un folto ciuffo della stessa identica tonalità. Liam avrebbe comunque richiesto il test, non c’erano dubbi, e avrebbe parlato a lungo con Rebecca, di una cosa, però, era sicuro: Bonnie era sua figlia.
Era una Hawke.
Non appena si sedette e guardò la figlia negli occhi, il mondo sembrò fermarsi.
Sua figlia.
Gli si strinse il cuore, poi lo sentì espandersi fino a colmargli il petto, l’intero corpo. E per la prima volta in vita sua Liam Hawke sentì di essersi perdutamente innamorato.
Perse la cognizione del tempo lì seduto con in braccio la figlia, raccontandole storie sulla sua nuova famiglia, sui due zii e sui nonni, che avrebbero adorato e viziato la prima nipotina. Solo un’ora prima stava andando con Dylan a una riunione di lavoro per l’azienda di famiglia, la Hawke’s Blooms. Com’era successo che in un solo giorno fosse passato dal pensare alla compravendita di fiori al rendersi conto di essere diventato padre?
Con la coda dell’occhio percepì un movimento, alzò lo sguardo e vide una coppia di mezza età entrare nel reparto. Si fermarono appena superata la soglia.
«Chi è lei?» chiese la donna dal trucco pesante.
Liam strinse istintivamente Bonnie al petto. Dovevano essere i genitori di Rebecca. Non li aveva mai incontrati quando usciva con lei; non se n’era mai presentata l’opportunità visto che la loro relazione era durata appena tre mesi. Immaginò che da quel momento in poi li avrebbe visti parecchio.
«Liam Hawke» disse con calma, gentilmente. «Il padre di Bonnie.»
L’uomo avanzò con sguardo truce, ai piedi un paio di costose scarpe italiane. «Come ha fatto a sapere di Bonnie?»
«Rebecca ha chiesto all’infermiera di telefonarmi.» Rimase seduto per non agitare la piccola, e continuò a parlare a voce bassa. «La domanda è: perché non dovrei sapere della nascita di mia figlia?»
«Rebecca non avrebbe voluto» dichiarò la donna, gli occhi ridotti a due fessure. «Quando la dimetteranno lei e la bambina verranno a vivere con noi, si è trasferita due mesi fa. Cresceremo Bonnie insieme. Anzi, adesso può darcela e poi può andarsene prima che Rebecca esca dalla sala operatoria. Se avesse voluto vederla ce l’avrebbe detto.»
Liam fece un bel respiro, pronto a non prendersela con loro visto che avevano una figlia sotto i ferri. Tuttavia si sbagliavano di grosso se pensavano che se ne sarebbe andato.
«Quindi pensavate di non farmi sapere che avevo una figlia?» chiese sostenendo il loro sguardo.
«L’ha deciso Rebecca» lo corresse l’uomo.
La loro arroganza era inaudita. Celare di proposito la nascita di un bambino, di un essere umano, era inconcepibile. «Non pensava che volessi saperlo? Che Bonnie avrebbe avuto bisogno di un padre?»
La donna fece una smorfia di disappunto. «Non potrebbe darle nulla che già non ha. Siamo molto più ricchi di lei. E sarà circondata da persone in grado di amarla.»
Liam comprese la critica velata diretta alle capacità economiche della sua famiglia: gli Hawke non avevano meno denaro, se l’erano sudato. Si stava innervosendo. Si era scontrato spesso con il pregiudizio di persone che non avevano mai lavorato in vita loro, persone ricche per nascita, il cui unico scopo era spendere e badare agli investimenti. Non era mai riuscito a provare rispetto per chi aveva ereditato soldi e prestigio.
Stava per controbattere ma si trattenne. Quella frecciata era stata molto specifica. Cosa aveva raccontato Rebecca di lui ai genitori? Non si erano lasciati nel migliore dei modi, questo era certo, ma non credeva che Rebecca lo odiasse così tanto. Eppure, adesso che ci pensava, non gli aveva raccontato di avere dei genitori freddi e manipolatori? Era farina del loro sacco o di Rebecca?
Un medico apparve sulla soglia. Con espressione tesa si tolse la mascherina che gli copriva i capelli. «Signori Clancy?»
«Sì?» La madre di Rebecca afferrò la mano del marito. «È terminata l’operazione? Come sta?»
«Purtroppo ho delle cattive notizie. Rebecca ha combattuto con tutte le sue forze ma...»
«È morta?» chiese il signor Clancy, con voce roca.
Il medico annuì. «Mi spiace.»
La signora Clancy scoppiò a piangere e si accasciò contro il marito, che la strinse. Bonnie iniziò a piangere per il trambusto. Liam la guardò, allibito. La madre della piccola era appena morta. Era orfana. La sua vita sarebbe sempre stata segnata da questo tragico evento.
E non sapeva cosa fare.
L’ostetrica si precipitò nella sala, facendosi largo tra il dottore e i genitori di Rebecca che stavano ancora parlando, e prese Bonnie. Liam la guardò cullare la piccola come se si trovasse in un’altra dimensione. Come se non stesse succedendo realmente.
«Mi dispiace molto, signor Hawke» gli disse.
«Cosa?» Liam si schiarì la gola. «Cosa ne sarà adesso di Bonnie?»
«Rebecca aveva compilato il certificato di nascita e l’ha nominata come padre. Quindi ne ha la piena custodia. Se non la vuole, so che i genitori di Rebecca si erano offerti di allevarla. Vuole che chiami l’assistente sociale perché la aiuti a decidere?»
Bonnie si era calmata, e adesso singhiozzava a malapena. Bonnie. Sua figlia. Aveva scoperto il braccino dalla coperta e lo stava agitando. Liam allungò una mano per toccarne il pugno minuscolo, chiudendolo nel suo.
«Non ce n’è bisogno» dichiarò, incrociando lo sguardo dell’infermiera. «Bonnie vivrà con me. Crescerò mia figlia.»
La donna sorrise felice. «Le insegneremo alcune cose di base, come per esempio darle da mangiare, poi potrà fare da solo. L’abbiamo già visitata, è sanissima.»
Liam batté le palpebre. Adesso? Così su due piedi? Non sapeva nulla di bambini...
La madre di Rebecca gli si parò davanti all’improvviso, afferrando la piccola.
«La prendo io» disse, lanciando a Liam uno sguardo di sfida. «Andiamo a casa.»
Senza scomporsi, l’infermiera consegnò Bonnie a Liam. «Mi scusi, ma il signor Hawke è il padre. L’ha sottoscritto sua figlia nel certificato di nascita. Ha lui la custodia.»
Il signor Clancy si avvicinò alla moglie e guardò Liam con occhi arrossati dal pianto. «Lo vedremo. Non è in grado di crescere un bambino e lo