Eccitante finzione: Harmony Bianca
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Info su questo ebook
Adesso il dottor Hugh Linton è tornato e ha bisogno del suo aiuto. Emily dovrà fingere di essere la sua fidanzata in modo che lui possa ottenere il posto a cui aspira da sempre. Lei accetta ma la finzione piano piano si trasforma in una dolcissima realtà, fino a quando diventerà impossibile ignorare le conseguenze di quel gioco proibito.
Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Eccitante finzione - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Playing the Playboy’s Sweetheart
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2014 Carol Marinelli
Traduzione di Silvia Calandra
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-113-1
Prologo
L’avevano avvertita di stare alla larga da Hugh Linton.
Emily non aveva ancora indossato la divisa per il suo primo turno di lavoro in sala operatoria al Royal, uno degli ospedali più affollati di Londra, quando Louise, una sua collega, le riferì che il chirurgo tirocinante che operava quel lunedì mattina era un rubacuori.
«Candy è molto arrabbiata?» chiese Louise a una collega mentre s’infilava i lunghi capelli biondi sotto la cuffia.
«Tu cosa dici?» le rispose lei. «L’ho appena vista in mensa che piangeva circondata da un capannello di gente.» Sorrise a Emily. «Piacere, io sono Annie.»
«Ciao, Annie» rispose Emily, ma lei aveva già ripreso a parlare con Louise.
«Comunque» continuò Annie, «non capisco perché se la prenda tanto. È chiaro che se decidi di metterti con uno come Hugh, devi prendere in considerazione che rischia di essere una relazione passeggera.»
«Attenta, mi raccomando» insistette Louise, strizzando l’occhio a Emily.
«Non c’è pericolo» precisò Emily, «il mio cuore è d’acciaio!» Ma anche se aveva riso pronunciando quelle parole, non stava affatto scherzando.
Emily detestava tutto ciò che era passeggero e non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarla e spezzarle il cuore. Era una decisione che aveva preso molti anni prima.
Tuttavia, non era rimasta indifferente all’aspetto attraente di Hugh Linton perché, vedendolo entrare in sala operatoria, si era resa conto di cos’era in un uomo la bella presenza.
Era alto, biondo, con gli occhi più verdi che Emily avesse mai visto e la voce profonda e chiara. Il suo sorriso, mentre chiacchierava con Louise e guardava di traverso Emily, la fece arrossire lievemente e le confermò ciò che già sapeva... Hugh Linton era ben lontano da essere il suo uomo ideale.
«Buongiorno a tutti!» salutò Alex, il primario, dopo essere stato dal paziente per scambiare ancora due chiacchiere con lui prima dell’intervento. «Sarà lungo» avvertì, prima di iniziare a lavarsi.
Sarebbero intervenuti per rimuovere un tumore addominale a un giovane di ventisei anni. Era maligno e, prima d’iniziare e di portare il paziente in sala operatoria, Alex spiegò il motivo per cui non avrebbe operato in laparoscopia, e cioè con la tecnica in cui era specializzato, ma incidendo l’addome.
«Ho già saputo del tuo finesettimana, Hugh» osservò Alex, mentre lo aiutavano a indossare il camice e i guanti. «In effetti, me ne hanno parlato in molti perciò non devi aggiungere altro.»
Hugh sorrise con aria sorniona.
Ma, dopo che ebbero aperto il paziente e scoperto che il tumore era peggiore del previsto, nessuno aveva più voglia di scherzare.
Quella mattina Emily era assistente di sala operatoria e perciò aveva dovuto assicurarsi che il campo fosse sterile e le apparecchiature fossero in ordine, ma era rimasta fuori dal campo sterile. A Emily piaceva lavorare in sala operatoria e i ruoli che preferiva erano sicuramente quelli di strumentista e di assistente di sala.
«Non mi piace» osservò Alex, non appena ebbe aperto il paziente e gli ebbe dato un’occhiata. «Ci vorranno ore» disse, rivolgendosi all’anestesista.
Fu un intervento lungo e complicato, ma si svolse senza intoppi, anche se con un colpo di scena, non per il paziente, ma per il chirurgo.
«Alex, c’è Jennifer al telefono» gli comunicò Louise ed Emily vide Alex interrompersi e aggrottare la fronte.
«Passamela.»
Louise gli avvicinò il telefono all’orecchio ed Emily lanciò un’occhiata a Hugh che stava fissando il suo capo mentre parlava con la moglie la quale, evidentemente, non avrebbe voluto che glielo passassero.
«Ho chiesto io che mi passassero la tua telefonata se avessi chiamato» le spiegò Alex e poi l’ascoltò un istante. «Ne avrò ancora almeno per un paio d’ore. Tienimi informato. Ti amo.»
Quando Louise chiuse la telefonata, Alex rimase in silenzio per un istante prima di svelare la notizia. «Jennifer è stata ricoverata in Maternità.»
«Quando sarebbe la data presunta del parto?» chiese Hugh.
«Non prima di sei settimane» replicò lui e riprese a lavorare. «Quanto ci si mette a partorire il quarto figlio, Louise? Prematuro.»
«Se tutto va bene, più di due ore» rispose lei con sarcasmo. «Sono anche ostetrica» spiegò a Emily.
Quello della sala operatoria, era un mondo intricato e complesso.
Ogni tampone veniva contato, ogni pausa notata, ogni data di sterilizzazione degli strumenti controllata, non una sola lama o un solo ago passava inosservato... Poteva sembrare facile, ma era la scatola nera della sala operatoria e tutti coloro che vi lavoravano dovevano compiere lo sforzo di prestare molta attenzione.
Una breve pausa permise ad Alex e Hugh di bere un sorso d’acqua e, dopo essersi rimessi i guanti, ripresero il lavoro e Alex tornò a concentrarsi sul paziente.
Non c’era fretta.
Tutte le speranze di vita del giovane disteso sul tavolo erano riposte nel lavoro di Alex Hadfield. Alex spiegava ogni cosa a Hugh mentre eseguiva meticolosamente l’intervento, come se sua moglie non fosse in travaglio.
«Adesso posso continuare io» gli propose Hugh, mentre Louise prendeva una telefonata.
«Sua moglie, dottore» disse Louise e Alex si sfilò i guanti e rispose a Jennifer per dirle che la stava raggiungendo.
«Ohi» gridò Hugh mentre Alex si allontanava. «Non dici niente?»
Ma Alex era già uscito.
Hugh, come da procedura, chiese che si facesse la conta dello strumentario prima di chiudere.
Poi chiese di farla una seconda volta.
Emily non se la prese.
L’intervento aveva subito un’interruzione e anche lei era nuova.
Così contò di nuovo tutti gli strumenti e i tamponi.
Era il suo lavoro.
«Grazie» replicò Hugh, soddisfatto che non mancasse nulla e iniziò a richiudere.
Finalmente poterono andare a pranzo, ma Emily si rese conto di non pensare più solo a mangiare quando Hugh le si sedette accanto.
Lui aveva un odore fantastico, di fresco, anche dopo diverse ore di sala operatoria, e le sue lunghe gambe distese non passavano inosservate.
Eppure era ben lontano dal suo ideale!
L’uomo ideale di Emily, infatti, doveva avere alcuni requisiti specifici. L’aspetto non era così importante e avrebbe preferito che fosse serio e non la facesse ridere troppo.
Inoltre, l’uomo perfetto per Emily non avrebbe dovuto indurla a desiderare subito di spogliarsi.
No, il suo uomo perfetto era serio e compassato.
Nel suo mondo ideale avrebbero fatto sesso il sabato sera, più per dovere che per necessità, di tanto in tanto anche il martedì, se Emily il giorno dopo faceva il secondo turno e non c’era niente d’interessante in televisione.
«Sei nuova?» le chiese Hugh.
«Emily lavora qui da un anno ormai!» intervenne Louise, l’infermiera che l’aveva messa in guardia da lui nello spogliatoio. «Come hai fatto a non accorgertene?»
Era stato solo un breve scambio di battute, ma Emily si sentì lievemente a disagio quando si rese conto che i suoi occhi verdi erano puntati su di lei e, sicuramente, non per la prima volta.
«Emily Jackson» si presentò lei.
Hugh aveva notato i suoi chiari occhi azzurri e l’incarnato delicato. Avrebbe voluto sapere se il ricciolo di capelli scuri che le spuntava da sotto la cuffia apparteneva a una chioma lunga o corta, e lo incuriosiva anche il suo accento scozzese.
«Da quanto tempo sei a Londra?» le chiese Hugh. «All’inizio questa città può fare un po’ paura.» Stava per proporle di portarla un po’ in giro quando lei lo interruppe con un timido sorriso.
«Abito qui da diversi anni e non mi fa più paura.»
«Davvero?» replicò lui con un sorriso, iniziando a flirtare.
Ma Emily non era sulla sua stessa lunghezza d’onda.
Lui, decisamente, la importunava.
Hugh rispose a una telefonata e il suo volto s’illuminò. Si congratulò e poi diede a tutti la buona notizia. «È una bambina, si chiama Josie e sta bene.»
«Quanto pesa?» chiese Louise.
«Non gliel’ho chiesto» ammise Hugh e poi si alzò. «Meglio che vada. Mi aspetta un intervento di ernia.» Si voltò verso Emily e le sorrise. «È stato un piacere conoscerti.»
«Anche per me» replicò lei e sorrise, ma c’era qualcosa nel suo sorriso che sfuggì a Hugh... Era cordiale, aperto, eppure... non trovava la parola.
La lista degli interventi del pomeriggio scorse velocemente e quando Hugh salì in reparto a controllare i suoi pazienti scoprì com’erano i suoi capelli sotto la cuffia.
Emily aveva i capelli lunghi, folti, scuri e ricci. Senza indosso gli indumenti informi della sala operatoria notò anche che con i jeans aderenti, la giacca e gli stivali aveva un corpo formoso.
«Ci vediamo» la salutò.
«Buona serata.» Di nuovo gli sorrise e Hugh trovò finalmente l’aggettivo che gli sfuggiva.
Misurato.
Era un sorriso incredibilmente conveniente... Faceva il suo lavoro, niente di più.
E lui voleva già di più.
Sicuramente qualcuno doveva averla messa in guardia da lui, rifletté Hugh, perché aveva percepito la freddezza del suo secco rifiuto. Oppure era già impegnata sentimentalmente?
Eppure, anche se Emily si rifiutava di ammettere che lui non le era del tutto indifferente, tra loro scoppiavano scintille ogni volta che erano insieme in sala operatoria. Al punto che, alcune settimane dopo, a una festa di Natale dell’ospedale, Emily si sentì sollevata quando Gina, un medico anestesista, si offrì di accompagnarla a casa, anche se però le disse che sarebbero uscite un quarto d’ora dopo.
A quel punto, sapendo che comunque sarebbe rimasta ancora pochi minuti, quando Hugh le offrì un drink, lei non rifiutò.
«Qualcosa di leggero» precisò, porgendogli il suo bicchiere. «Vado via tra poco e non voglio perdere il passaggio che mi hanno offerto.»
Hugh tornò un istante dopo con il bicchiere pieno e la sua offerta. «Posso riaccompagnarti io se vuoi restare ancora un po’.»
Lei scrollò il capo. «Domani devo alzarmi presto... Vado in Scozia.»
«C’è la tua famiglia lì?»
«La mia mamma» annuì lei. «E una numerosa famiglia allargata.»
«Hai qualche parente a Londra?»
Emily annuì di nuovo. «Quando i miei si sono separati, mio padre si è trasferito in Inghilterra...» Emily esitò; non aveva voglia di ricordare quei tempi, la convivenza con Katrina, la nuova compagna di suo padre, e con sua figlia Jessica. E così tagliò corto. «Venivo spesso a trovarlo.»
«Quanto spesso?»
«Trascorrevo con lui la metà delle vacanze scolastiche e quando ho finito la scuola mi sono trasferita qui per studiare infermieristica.»
«Capisco.»
«No, non puoi capire!» Emily alzò gli occhi al cielo. «E se solo cominciassi a spiegarti, la prossima settimana saremmo ancora qui.»
«Non avrei problemi.»
Emily avvertì un improvviso tuffo al cuore, fissando i suoi profondi occhi verdi.
«Perciò andrai in Scozia a