Lo sceicco e l'infermiera: Harmony Bianca
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Dottori, fratelli... sceicchi!
L'infermiera Adele Jenson ha sempre pensato che lo sceicco Zahir Al Rahal, consulente del Pronto Soccorso per cui lavora, fosse decisamente fuori dalla sua portata. Le cose cambiano però quando le viene offerto di occuparsi della Regina Leila, sua madre, e di trasferirsi nel suo regno da favola. Adele accetta, nonostante le resistenze di Zahir, e lì, sotto il cielo del deserto, scopre che lui la desidera da sempre. Adesso che i suoi sogni sembrano diventati improvvisamente realtà, deve solo sperare che, tra l'amore e la corona, il suo sexy sceicco scelga... lei.
Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Lo sceicco e l'infermiera - Carol Marinelli
successivo.
1
Non che le occasioni fossero mancate. Anzi, ce n'erano state in abbondanza.
E, infatti, eccone un'altra!
I lampi di un temporale primaverile illuminavano il cupo cielo di Londra.
Adele era in piedi alla fermata dell'autobus davanti al Pronto Soccorso dove aveva appena finito il suo turno. La pioggia cadeva di traverso sotto la pensilina e forse avrebbe fatto meglio a mettersi dietro. Il suo abito bianco, che sicuramente non era fatto per bagnarsi, le si era incollato alle gambe e anche i lunghi capelli biondi le si erano appicciati alla testa.
Per fortuna non si era messa il mascara. Così non avrebbe rischiato di salutare Zahir con gli occhi da panda. Erano le dieci di sera quando vide la sua auto sportiva uscire dall'ospedale, svoltare a destra e venire verso di lei.
E adesso?, pensò Adele uscendo da sotto la pensilina affinché la notasse.
Qualsiasi persona perbene vedendo una collega fradicia sotto la pioggia alla fermata dell'autobus si sarebbe fermata per offrirle un passaggio.
Adele avrebbe sorriso e, ringraziandolo, sarebbe salita. Zahir avrebbe visto il suo abito bagnato e si sarebbe chiesto come accidenti aveva fatto a non accorgersi di lei prima.
Lei lo avrebbe perdonato all'istante per averla ignorata per un anno intero, e poi avrebbero chiacchierato davanti a casa sua e...
Adele non aveva ancora riflettuto su quell'ultima parte. Detestava il suo appartamento e i suoi coinquilini e non riusciva a immaginare di portarci Zahir.
Magari lui le avrebbe proposto di bere qualcosa a casa sua, rifletté Adele mentre finalmente, finalmente, arrivava il suo momento e l'auto color argento rallentava.
Iniziò a muoversi per raggiungerlo, sicura ormai che si fosse fermato. Invece un istante dopo accelerò e ripartì.
Non passò velocemente spruzzandole l'acqua addosso, ma lei si sentì per l'ennesima volta respinta.
Probabilmente aveva rallentato solo per accendere la radio o qualcosa di simile, rifletté Adele.
Come faceva a piacerle uno così?, si domandò. Non poteva neanche consolarsi pensando che forse non gli piacevano le donne, perché non era raro vederlo in compagnia femminile. E più di una volta lo aveva sentito rispondere alle telefonate arrabbiate delle sue ultime fiamme.
Arrabbiate perché era sabato sera, sarebbero dovuti uscire e lui era ancora al lavoro. Arrabbiate perché era sabato pomeriggio e lui aveva detto svariate ore prima che faceva solo un salto in ospedale. Zahir pensava solo al lavoro. Era chiaro.
Durante le ultime notti di Adele avevano dovuto chiamarlo diverse volte anche quando non era di turno e in più di un'occasione se l'erano visto arrivare con indosso ancora lo smoking. Aveva un aspetto magnifico. Perfettamente rasato, i folti e lucidi capelli neri tirati all'indietro. Adele aveva provato a spiegargli balbettando qual era il problema del paziente per cui lei e Janet, la caposala, lo avevano cercato.
Ma si era dimostrata un'operazione ardua.
«È già stata qui nel pomeriggio e le hanno prescritto l'antibiotico» gli aveva spiegato Adele. «Ma sua madre è preoccupata e così l'ha riporta. Il pediatra le ha detto che ci vuole un po' di tempo prima che l'antibiotico agisca.»
«Cosa ti preoccupa?» le aveva chiesto Zahir.
Il suo profumo era molto intenso, ma non riusciva comunque ad annullare il suo testosterone e l'energia sessuale che come un'aura lo avvolgeva. La sua voce profonda stava ponendo domande pertinenti. Lei adorava quel suo accento caldo e a ogni vocale che pronunciava avvertiva un brivido di eccitazione.
«È sua madre a essere in ansia» aveva precisato. «Così lo sono anch'io.»
Zahir aveva appena iniziato a visitare la bambina quando era entrata in reparto una donna molto bella e affascinante. I lunghi capelli castani e il trucco erano perfetti nonostante l'ora. Vestita d'argento, si era avvicinata a Janet e con voce autoritaria le aveva chiesto per quanto ancora Zahir sarebbe stato impegnato.
«Bella, ti avevo detto di aspettarmi in auto» era intervenuto lui con voce severa, facendola sobbalzare. Evidentemente la donna usava quel tono solo quando lui non la poteva sentire.
Janet aveva accennato un sorriso mentre Bella si allontanava. «Prima di domani mattina l'avrà già piantata in asso» aveva annunciato a Adele.
Zahir aveva chiesto a Janet di mandargli Helene per assisterlo. Era necessaria un'infermiera con esperienza.
Adele non ne aveva.
Be', forse non ne aveva con gli uomini, ma dopo un anno di lavoro in Pronto Soccorso non sopportava che la trattasse come una tirocinante.
E aveva fatto bene a preoccuparsi per la bambina.
Zahir aveva eseguito una puntura lombare e in seguito era stata confermata la diagnosi di meningite virale. La bambina era stata ricoverata ed era rimasta in ospedale per cinque giorni. Naturalmente Zahir si era ben guardato di complimentarsi con Adele.
Eppure, nonostante fosse così chiuso e brusco, Zahir era il faro delle sue giornate di lavoro. E non solo.
Adesso però basta, decise vedendo l'auto allontanarsi.
Era arrogante e distaccato ed era stato davvero sgarbato a non fermarsi per offrirle un passaggio. Non voleva più saperne di lui.
Il mondo di Adele era piccolo, troppo piccolo, lo sapeva, ed era decisa a fare qualcosa per cambiare.
Finalmente arrivò l'autobus.
In verità ne arrivarono due. Quello che era in ritardo e quello in orario. Lei salì sul secondo, più vuoto, e salutò l'autista.
C'erano i soliti passeggeri oltre ad alcune altre persone. Adele sapeva che per mezz'ora poteva anche appisolarsi. Il bus ripartì e lei appoggiò la testa al finestrino, socchiuse gli occhi e tornò nel suo posto preferito al mondo.
Zahir.
Il suo enigma.
Era inutile cercare di negare la sua attrazione. Ci aveva provato, ma era stato tutto inutile. Doveva imparare a conviverci.
Forse ad attrarla era proprio il suo essere irraggiungibile, considerò mentre qualcuno iniziava a cantare in fondo all'autobus.
Sì, doveva uscire più spesso. Infatti venerdì sera aveva il suo primo appuntamento con Paul, un paramedico che da qualche tempo le faceva il filo.
Tutti le avevano consigliato di accettare il suo invito e alla fine aveva ceduto.
Anche se in verità era con Zahir, e solo con lui, che sarebbe voluta uscire. Non con Paul. E cominciava a pensare che sarebbe stato così per sempre.
Sul suo badge c'era scritto: Zahir, medico di Pronto Soccorso. Non era il caso che i pazienti sapessero che era lo sceicco Zahir Al Rahal, il principe ereditario di Mamlakat Almas.
Neanche il suo cuore aveva avuto bisogno di saperlo e aveva iniziato a batterle forte prima ancora di conoscere il suo nome. Era stato amore a prima vista.
Zahir aveva i capelli corvini e lucidi e l'incarnato color caramello era incantevole. Il camice monouso che indossava era teso sul petto. Aveva avuto la sensazione che la situazione fosse sotto controllo in Rianimazione, anche se era ovvio che le condizioni del paziente erano disperate.
Lui aveva sollevato per un istante lo sguardo dal malato e, quando i suoi occhi argentei avevano incontrato quelli di Adele, lei si era sentita avvampare.
«Accompagno Adele nel giro del reparto» gli aveva spiegato Janet, la caposala che le stava facendo il colloquio.
Lui aveva annuito brevissimamente e subito era tornato a concentrarsi sul paziente.
«Come puoi vedere, la Rianimazione è stata ristrutturata dall'ultima volta che sei stata qui» le aveva illustrato. «Adesso abbiamo cinque letti e due culle.»
Sì, era stata ristrutturata, ma fondamentalmente era sempre la stessa.
Adele era rimasta immobile per un attimo, ricordando quella volta, alcuni anni prima, in cui era arrivata lì in barella e, poiché Janet era stata con lei quel giorno terribile, probabilmente aveva capito il motivo per cui si era fatta taciturna.
Janet non aveva fatto alcun riferimento a quel fatto e, tornando verso l'ufficio, avevano parlato d'altro.
«Lui era Zahir, uno dei medici del Pronto Soccorso» le aveva detto Janet. «L'avrai conosciuto quando hai fatto l'inserimento.»
«No.» Adele aveva scrollato il capo. «Non era qui. Penso fosse in ferie.»
«Lavora con noi da un paio d'anni, ma in effetti va via spesso. Ha diversi impegni famigliari, perciò lavora con contratti a tempo determinato» aveva aggiunto Janet. «Quando gli scadono, speriamo sempre che li rinnovi perché è un ottimo medico e una colonna portante del reparto.»
«Ho lavorato con suo fratello Dakan» aveva spiegato Adele ed entrambe avevano sorriso.
Dakan aveva appena completato l'internato ed era un ragazzo vivace e spensierato, mentre si diceva che Zahir fosse molto più serio del fratello. Le avevano parlato anche degli sguardi ammalianti di Zahir, ma non si aspettava che fosse così attraente.
Adele non aveva mai conosciuto nessuno di così affascinante. Ma poco importava. Nella sua vita non c'era mai stato spazio per queste cose e poi Zahir non l'avrebbe mai degnata di uno sguardo.
«Allora» aveva ripreso Janet, «sei sempre del parere di lavorare per noi?»
«Certamente» aveva annuito Adele. «Non credevo che avrei voluto lavorare in Pronto Soccorso, ma durante il tirocinio ho scoperto che mi piace...»
«E sei molto brava. Certo, dovrai lavorare anche in Rianimazione...»
«Capisco.»
Da studentessa di infermieristica, non era stato facile per Adele evitare il Pronto Soccorso, il reparto dove sua madre, anche se non era morta, l'aveva lasciata.
Janet, conoscendo i fatti, era stata comprensiva e le aveva assegnato la Rianimazione solo quando era indispensabile e senza mai perderla di vista. Ora, però, se davvero Adele voleva diventare infermiera specialista di medicina d'urgenza, non avrebbe più potuto riservarle un trattamento preferenziale.
«Sei sicura di sentirtela?» aveva insistito Janet.
«Mia madre è stata operata qui e sono stati momenti molto difficili, ma non ho dubbi» aveva annuito Adele, che aveva riflettuto a lungo ed era giunta a quella conclusione durante il tirocinio.
«Come sta adesso Lorna?»
«Sempre uguale.» Adele aveva abbozzato un sorriso. «È in una bella casa di riposo, il personale è squisito e vado a trovarla tutti i giorni.»
«Dev'essere pesante.»
«Non più di tanto.» Adele aveva scosso il capo. «Non so se si rende conto della mia presenza, ma non sopporto che pensi che l'abbia abbandonata.»
Janet avrebbe voluto dire qualcosa. Sapeva che non era facile andare per anni a trovare la propria madre almeno una volta al giorno. Ma Janet capiva anche che non sarebbe stato facile per Adele non farlo. Lei ricordava tutto di quel giorno.
Era di turno quando li avevano avvertiti che c'era stato un incidente automobilistico con cinque feriti.
Lorna Jenson viaggiava sul sedile anteriore accanto all'autista. Le sue condizioni erano critiche perché aveva riportato gravi ferite alla testa e al petto.
Anche l'automobilista dell'altra auto era grave, con lesioni all'addome e alla testa. Avevano portato entrambi in Rianimazione. La moglie e la figlia dell'uomo se l'erano cavata con ferite superficiali, ma erano arrivate in preda a una crisi isterica, e il loro pianto e le loro grida si erano sparse in tutto il reparto.
Alla fine, quando Lorna era stata portata in sala operatoria, dove il chirurgo sarebbe intervenuto per cercare di alleviare la pressione sul cervello, Janet era andata a parlare con la figlia diciottenne che se ne stava immobile a fissare il soffitto.
I capelli biondi di Adele erano impiastricciati di sangue ed era pallida come un lenzuolo. Gli occhi azzurri erano sbarrati, le labbra esangui.
«Adele?» Janet le si era avvicinata e Adele aveva provato ad annuire, ma indossava già il collare cervicale. «Mi puoi dire come ti chiami esattamente?» le aveva