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Tentazione irresistibile: Harmony Destiny
Tentazione irresistibile: Harmony Destiny
Tentazione irresistibile: Harmony Destiny
E-book180 pagine2 ore

Tentazione irresistibile: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Scandali a Boston 4/4

Anni prima Tanna Murpy lo ha lasciato all'altare e ora pensa che basti essere tornata per fare ammenda? Niente di quello che potrà dire o fare servirà a ricostruire la fiducia che il milionario Levi Brogan aveva in lei e nel loro amore Eppure, ora che ha bisogno di aiuto per un affare è a Tanna che si rivolge. Dovrà stargli accanto per sei lunghe, impossibili e tentatrici settimane. Perché, nonostante il rancore, la passione tra loro è ancora intensa e bruciante. E forse tentarla e farla cadere ancora tra le sue braccia - e nel suo letto - e proprio ciò che Levi vuole.
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2020
ISBN9788830510555
Tentazione irresistibile: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Tentazione irresistibile - Joss Wood

    successivo.

    1

    Levi Brogan era a pezzi.

    Non c'era parte del corpo che non gli dolesse.

    È quello che accade quando ti lanci con la moto da cross su una strada sterrata fiancheggiata da rocce.

    Ora aveva il sedere incollato a una poltrona, in parte perché aveva una gamba ingessata dal ginocchio alla caviglia, ma soprattutto perché muovere qualsiasi muscolo oltre le palpebre gli procurava un acuto dolore.

    Non si era solo fratturato la rotula, era persino riuscito a stirarsi un muscolo della cuffia dei rotatori. Perciò, usare le stampelle era come pugnalarsi ripetutamente la spalla.

    Avrebbe frignato come un neonato...

    Dio, non ne poteva più, ed era giunto alla conclusione che gli serviva aiuto.

    Qualcuno che non fosse sua madre o la sorella. Le adorava ma, diamine, non smettevano mai di parlare. Mai. E se non discutevano di invitati al matrimonio, di bambini o fiori, lo riempivano di soffocanti attenzioni.

    Quando le aveva cacciate fuori quella mattina, era quasi al limite di un sovradosaggio di estrogeni.

    Levi, adesso, rimpiangeva amaramente la sua dimostrazione di indipendenza, e c'erano altissime probabilità che, entro sera, ingoiasse il suo orgoglio e lanciasse un SOS.

    Si passò una mano fra i capelli, frustratissimo. Il suo mondo era confinato al pianterreno della casa. Allenarsi nella palestra nel seminterrato era, ovviamente, impossibile. Non era in grado di salire le scale che conducevano alla camera da letto, perciò dormiva sul divano della sala della TV e utilizzava il bagno del piano terra per lavarsi. Avrebbe ucciso per una doccia calda, ma aveva bisogno di aiuto per farla. Inoltre, in quel momento, la cucina era a un milione di chilometri di distanza.

    E aveva fame.

    Levi osservò le stampelle, non era certo di possedere le energie necessarie per affrontare quel lungo percorso per cercare del cibo. Controllò il livello di dolore della spalla. La poverina stava ancora gridando dopo avere percorso i dieci metri che lo separavano dal bagno. Mangiare, a meno che non avesse assunto un altro antidolorifico, era fuori discussione. E ogni volta che ne ingeriva uno senza cibo, rimetteva.

    Roccia, ti presento questo mondo crudele.

    Udì bussare alla porta d'ingresso e aggrottò la fronte. I suoi familiari usavano l'entrata posteriore. E annunciavano sempre la loro presenza. La famiglia allargata dei Brogan non era un gruppo silenzioso. Anche i ragazzi Murphy erano assidui visitatori e anche loro utilizzavano la porta sul retro, sapendo che di rado era chiusa. I soci d'affari che avevano bisogno di vederlo avrebbero chiamato per prendere un appuntamento e il resto della sua ristretta cerchia di amici era al lavoro. Se mai avessero avuto un giorno libero, lo avrebbero avvertito inviandogli un messaggio.

    Risultato finale: Levi non aveva idea di chi stesse bussando alla porta. Un giornalista? Un fotografo? La stampa gli aveva teso un'imboscata quando aveva lasciato l'ospedale e i flash delle macchine fotografiche avevano reso la sua emicrania cento volte più straziante. Non aveva risposto a nessuna delle loro domande, così come avevano fatto la madre e le sorelle. Suo padre aveva amato i giornalisti, però Levi e le donne di casa neanche un po'.

    Nonostante i Brogan evitassero le luci della ribalta, la stampa scandalistica dedicava a lui e alle sorelle fin troppa attenzione perché erano figli di uno degli imprenditori di maggiore successo di Boston, Ray Brogan. Inoltre, siccome quegli avvoltoi prediligevano il dramma, erano usciti alcuni articoli riguardanti l'incidente di Levi che rammentavano agli abitanti della città che lui e il padre avevano avuto un rapporto burrascoso.

    I giornalisti si erano scatenati a raccontare al mondo che lui aveva respinto l'offerta di Ray di assumere il comando della Brogan LLC, una società finanziaria che gestiva diverse compagnie in vari settori, e che il riservato e taciturno Levi non possedeva la tempra del padre.

    Non era altrettanto affascinante, né appariscente o volubile. Grazie a Dio.

    Levi non prendeva mai decisioni affrettate né faceva promesse che non poteva mantenere, e non correva grossi rischi per non causare ansia alle persone a cui voleva bene. Ray amava l'azzardo, puntando ogni centesimo su affari dal risultato incerto. Prendeva decisioni impulsive senza le dovute verifiche, definendo prive di fantasia e noiose le persone che gli suggerivano maggiore cautela, soprattutto Levi.

    Il successo di Ray era stato stratosferico, così come i suoi fallimenti erano stati altrettanto spaventosi. La madre aveva vissuto costantemente sulle montagne russe. Levi, dopo essere entrato nell'azienda di famiglia, una volta finito il college, non aveva retto al carattere esplosivo del padre e aveva dato le dimissioni dopo un anno.

    Ray lo aveva accusato di essere un codardo, per nulla tagliato per un mondo ad alto rischio. E Levi non aveva mai compreso la sua faccia tosta. Si comportava in maniera prepotente, indifferente alle critiche, e il mondo sembrava apprezzarlo proprio per quella sicurezza e sfrontatezza.

    Levi era l'esatto opposto. Preferiva essere il capitano della propria nave, evitando le tempeste piuttosto che gettarsi nell'occhio del ciclone.

    Amava avere il controllo. Tuttavia il mondo si aspettava che fosse come il famoso padre perciò, quando mostrava un accenno della paterna natura impulsiva faceva notizia.

    Usò la stampella per sollevare il telo che copriva la finestra dello studio, dalla quale vedeva la strada e il vialetto. Un SUV sconosciuto sostava proprio lì, troppo costoso per appartenere a un reporter.

    Bussarono di nuovo.

    «Arrivo!» tuonò Levi.

    In realtà, se il visitatore gli avesse preparato un sandwich e una tazza di caffè, avrebbe sopportato un'intervista e persino un venditore.

    «Sono nella sala multimediale. In fondo al corridoio, seconda porta a sinistra.»

    Udì la porta d'ingresso chiudersi e, a giudicare dai passi esitanti, intuì che il visitatore non era qualcuno che avesse un costante e familiare accesso a casa sua.

    «Per l'amor di Dio» brontolò, impaziente. «Seconda porta a sinistra.»

    «Ho sentito. Non sono sorda.»

    Quelle parole lo raggiunsero nello stesso momento in cui lei apparve sulla soglia, e Levi la fissò, domandandosi se i potenti antidolorifici che assumeva gli causassero allucinazioni.

    Jeans neri e un maglioncino verde menta le fasciavano le curve sotto una giacca di pelle che le arrivava alla coscia. Una sciarpa multicolore tratteneva i riccioli, e il viso era più sottile, più maturo e incantevole. Levi si aggrappò al bracciolo della poltrona per trattenersi, combattendo l'istinto di precipitarsi ad abbracciarla e nascondere il volto tra i suoi luminosi capelli. Desiderava respirare il profumo della sua pelle, sapere se fosse vellutata e delicata come appariva.

    Fantasticava di spogliarla, percepire la rotondità dei seni nelle proprie mani, scoprire se i capezzoli erano voluttuosi come immaginava, se la sua femminilità calda e provocante, come il resto di lei.

    Era trascorso così tanto tempo e Levi fu sconvolto dalla potenza del desiderio. Incapace di arrestarsi, assorbì ogni suo minimo dettaglio.

    Gli occhi verdi frangiati da lunghe e folte ciglia nere lo affascinavano da sempre, e aveva adorato far scorrere i pollici sugli zigomi alti e sul mento ostinato. Aveva perso la testa per la sua bocca sensuale, le labbra carnose, per non parlare dei riccioli neri come il carbone.

    La carnagione di Tanna, grazie alla nonna bengalese, appariva sempre abbronzata, come se fosse appena tornata da una vacanza sotto l'ardente sole dei Caraibi.

    Era la tiepida brezza delle isole, il calore dei falò sulla spiaggia, con un corpo creato per indossare un bikini o nulla del tutto. Era il sole cocente, una stella cadente, i cieli blu, la felicità. O, almeno, lo era stata. Prima di incasinargli la vita facendolo sembrare un idiota davanti alla famiglia e al mondo. Prima che lei se ne andasse e la sua esistenza finisse fuori controllo.

    Non voleva rivederla, ascoltare qualunque cosa avesse da dire. Aveva faticato per uscirne, creandosi una vita che amava e lo soddisfaceva. Come Ray, lei aveva provocato il caos nella sua esistenza e non intendeva più sentirsi come se stesse precipitando da un aereo senza paracadute. Aveva chiuso con lei.

    «Cosa diavolo ci fai qui, Tanna?» le domandò con un cupo ringhio.

    «Devo parlarti» gli spiegò, avanzando fino alla poltrona gemella a quella su cui lui era seduto. I suoi occhi si abbassarono sulla sua gamba, per poi inarcare un sopracciglio. «Cos'è successo?»

    «Io e la mia moto da cross abbiamo litigato» replicò lui, tagliando corto. Fece un cenno con la testa, augurandosi che lei non notasse che gli tremavano le mani. «Sai dov'è la porta.»

    Tanna ignorò l'invito e si accomodò sulla poltrona, posando a terra la borsa. Le braccia sulle ginocchia, intrecciò le mani.

    «Dobbiamo parlare.»

    Voleva davvero ascoltare cosa avesse da dire? No, perché lo aveva abbandonato prima delle nozze senza una spiegazione e questo lo rendeva riluttante a rivangare quanto accaduto più di dieci anni prima. E sì, perché era Tanna, l'unica donna che gli avesse tolto il fiato, impedito al sangue di raggiungere il cervello, e provocato fibrillazioni.

    Indipendente e solitario, Levi non stringeva amicizia con facilità e, prima di Tanna Murphy, non era mai stato innamorato. Per mesi, dopo che lei era andata via, aveva sofferto a ogni respiro, come lei gli avesse fratturato le costole.

    L'aveva amata, desiderata, avrebbe smosso mari e monti per lei. E, siccome lui era il figlio di Ray Brogan, il suo non-matrimonio aveva destato scalpore su tutti i giornali della costa orientale. E di quella occidentale.

    «Porta il tuo bel culetto fuori di qui, Murphy.»

    Tanna inclinò la testa e Levi scorse la ferrea determinazione nei suoi occhi. Conosceva quello sguardo. Lo aveva visto molte volte quando era rimasta ferita in un incidente, prima del loro fidanzamento. Tanna non accettava un no come risposta. E siccome non poteva buttarla fuori, era costretto ad ascoltarla.

    Lanciò un'occhiataccia alla gamba destra che giaceva su un poggiapiedi. Era un pubblico passivo e questo lo faceva imbestialire. Tuttavia, se era costretto ad ascoltarla, pretendeva qualcosa in cambio.

    Strinse gli occhi. «Ti concedo cinque minuti se mi prepari una tazza di caffè.»

    «Quindici.»

    «Dieci, e voglio anche un sandwich» ribatté Levi.

    Tanna ebbe l'audacia di sorridere.

    «O potrei non fare nessuna delle due cose e rimanere seduta qui a fissarti fino a quando non ti arrendi.»

    Levi afferrò il cellulare e lo agitò.

    «O potrei chiamare il 911 e accusarti di violazione di domicilio.» Lei aprì la bocca per parlare, esitò e la richiuse. «Sapevo che saresti stata ragionevole» commentò lui quando Tanna si alzò. «Troverai tutto l'occorrente in cucina. E non pensare di fregarmi con pane, burro e marmellata. Ci sono salumi, insalate e un'ampia varietà di condimenti. Mettici dentro tutto, principessa.»

    Tanna si irrigidì al vecchio soprannome che le aveva mormorato nei momenti di tenerezza. Ora risuonava di sarcasmo e irritazione.

    Levi la osservò uscire dallo studio e si passò le mani tra i capelli. Desiderava davvero un panino per assumere un analgesico, eppure era disposto a sopportare il dolore se questo comportava che lei uscisse dalla sua casa e dalla sua vita.

    Tanna Murphy aveva il potere di complicare tutto, e lui desiderava solo tranquillità.

    Tanna Murphy trovò la cucina in fondo al corridoio e si diresse verso il frigorifero. Appoggiò la fronte alle fredde doppie porte, cercando di controllare il respiro. L'auto che aveva noleggiato era parcheggiata nel vialetto, e resistette a stento all'impulso di uscire e tornare a Beacon Hill o, ancora meglio, all'aeroporto internazionale di Logan.

    Ti eri ripromessa che lo avresti fatto, Murphy.

    Si era giurata che avrebbe fatto qualsiasi cosa per combattere i sintomi del DPTS, il disturbo post-traumatico da stress che si erano presentati prima che partisse da Londra. Era facile identificarne i fattori scatenanti. Era giunta con i primi soccorsi sul luogo di un incidente in cui una ragazzina aveva causato un tamponamento a catena. L'adolescente l'aveva colpita per la forte somiglianza con Addy, e lei era rimasta impietrita. Un collega l'aveva strappata via dalla paziente e prestato il trattamento medico necessario. Da quel momento, Tanna aveva iniziato a essere colta da attacchi d'ansia e flashback del proprio incidente.

    Messa in congedo per motivi di salute su consiglio della terapeuta di Londra, era tornata a Boston per affrontare il passato.

    Per gli amici e la famiglia si era presa una pausa dal lavoro. I suoi iperprotettivi fratelli non avevano bisogno di sapere che lei stava combattendo contro i suoi demoni.

    Attraversò la cucina e crollò su una sedia del grande tavolo di legno per raccogliere il coraggio.

    Doveva confrontarsi con il passato per potere tornare a svolgere la sua professione. Non sarebbe stata utile come paramedico con crisi di iperventilazione.

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