Rimpianto argentino: Harmony Collezione
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Susan Stephens
Autrice di origine inglese, è un ex cantante professionista oltre che un'esperta pianista.
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Anteprima del libro
Rimpianto argentino - Susan Stephens
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Argentinian’s Solace
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2012 Susan Stephens
Traduzione di Laura Premarini
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-798-8
1
Doveva chiudere la propria mente e non considerare l’uomo sulla spiaggia. Ora la priorità era portare in salvo quella vecchia barca e ormeggiarla, ma lui era una forza primordiale con quello sguardo così fiero e sicuro e il fisico più eccezionale che Maxie avesse mai visto. Alto, abbronzato, con una massa di capelli neri e occhi inquietanti. Un orecchino d’oro scintillava nella luce plumbea e quei jeans a vita bassa sul ventre muscoloso e piatto avrebbero mandato chiunque fuori rotta... Pensa a quell’espressione furiosa che fermerebbe un rinoceronte nella sua traiettoria, e ritroverai la concentrazione. Aveva condotto la barca fino a lì e ora non l’avrebbe certo riportata indietro. Riuscire a governare il motopeschereccio da sola tra quelle onde enormi era stato un puro miracolo. Erano appena usciti dal porto, quando lo skipper, dopo essersi scolato una bottiglia di whisky scozzese, era risultato del tutto fuori gioco. Maxie si rendeva conto di non essere certo all’altezza di navigare con una barca di quelle dimensioni. Una volta aveva fatto parte dell’equipaggio di un sessantotto piedi, ma quella vecchia bagnarola arrugginita si stava dimostrando decisamente più capricciosa. Inoltre, lei era decisamente arrugginita ammise, mentre il ponte rollava sotto ai suoi piedi. Guardando l’uomo sulla riva, immaginò che stesse solo aspettando di vederla sbagliare. I suoi massicci avambracci erano incrociati sopra il petto e gli occhi neri ardevano di scherno e sdegno.
«Benvenuta a Isla del Fuego» mormorò Maxie tra sé, ma per quanto ostile si mostrasse il comitato di accoglienza, avrebbe portato al molo quel mostro che procedeva a scossoni, anche se fosse stata la sua ultima azione! Probabilmente sarebbe stato proprio così, si rese conto in preda al panico, mentre il vecchio peschereccio si schiantava contro la darsena. Con sollievo, Maxie vide che il vecchio skipper era uscito dalla sua cuccetta in tempo per prendere il timone. Minacciosi nuvoloni neri suggerivano che il tempo non sarebbe cambiato molto presto, il che non era certo il massimo per una wedding planner in viaggio di perlustrazione per conto di una sposa impaziente. Se l’uomo lì sulla riva lavorava per la famiglia Acosta, unica proprietaria dell’isola, avrebbe avuto bisogno di un corso accelerato nell’arte di ricevere gli ospiti, concluse Maxie, cercando di ignorare il suo viso truce. Poteva sempre dire a Holly che l’isola era inadeguata... L’idea le passò per la mente, ma non era un’opzione. Lei aveva visitato castelli scozzesi in scenari ben peggiori ed era sempre riuscita a trasformarli in palazzi da favola, come pure umidi manieri francesi che, alla fine, aveva svelato in tutta la loro antica gloria. In più, aveva grande fiducia in Holly. La sposa era una ragazza intelligente e giugno era un mese favoloso in cui sposarsi. Conclusione? Se Holly voleva sposarsi sull’Isla del Fuego, allora stava a Maxie renderlo possibile e l’uomo sulla riva avrebbe soltanto dovuto accettarlo.
Dios! Cos’aveva trascinato lì la tempesta? Una specie di esile mammoletta con... ma il suo pensiero fu subito smentito da un lancio molto preciso e sorprendentemente potente, ammise Diego, afferrando la corda lanciata dalla ragazza. Tuttavia, non toccava a lei portare il peschereccio di Fernando e tantomeno andare a sbattere contro la darsena, a causa della sua evidente inesperienza. Era fortunata a essere viva dopo aver navigato verso l’isola con una tempesta simile.
«Pronto?» gridò lei, preparandosi a lanciare una seconda corda.
Con la gamba irrigidita, Diego riusciva a muoversi solo alla metà della propria usuale velocità. Quando la ragazza gli voltò le spalle, zoppicò il più in fretta possibile per mettersi in posizione, prima che lei potesse vederlo barcollare come un ubriaco.
«Eccola» lo avvertì, con una voce musicale, ma che in qualche modo superò l’ululato del vento. Afferrata la corda, lui l’assicurò. Sembrava che il destino avesse un certo senso dell’umorismo, mandando sull’isola una ragazza così attraente, quando lui riusciva a stento a gestire ogni sua azione. Mentre la osservava guizzare agilmente sul ponte di coperta, si sentì travolgere dal risentimento. Quando la fidanzata di suo fratello aveva chiamato per avvertirlo che la propria wedding planner sarebbe arrivata sull’isola, lui si era rassegnato alla fine dell’esilio che si era autoimposto, ma trovava offensivo avere lì quella specie di agile ragazzetta a fargli perdere tempo. Diego era sceso giù alla darsena per ricevere il direttore di una società di eventi, qualcuno di stile, più grande e sofisticato e non una ragazzina in jeans e felpa, con lunghi capelli scuri che le pendevano in ciocche fradice sulla schiena. Il matrimonio di suo fratello era così poco importante da mandare un subalterno qualunque?
«Bella presa!» gridò lei, dopo avergli lanciato un’altra corda. Bella presa? C’era stato un tempo in cui fisicamente nulla era impossibile per lui, ma poi, durante una partita di polo, era finito sotto gli zoccoli del proprio cavallo e la sua gamba si era fratturata in circa sei punti. Era tornato a cavalcare e si era allenato rigorosamente, ma era passato più di un anno dall’incidente e doveva ancora riacquistare quella sottile sensibilità che il gioco ad alti livelli richiedeva. Il suo futuro nella squadra di polo era ancora incerto.
«Niente di serio» urlò la ragazza, mentre si sporgeva dalla ringhiera per controllare lo scafo, in cerca di danni.
«Avrebbe potuto essere un errore molto costoso» tuonò lui di rimando. «Questa volta è stata fortunata.»
«Fortunata?» Lei rise.
Lui avvertì un moto di interesse, ma nelle sue attuali condizioni fu subito soffocato. Quella ragazza poteva dare un’occhiata all’isola e riferire a Holly, ma, calato il vento, sarebbe stata solo storia.
Nessuno aveva mai preteso di dire che organizzare un matrimonio su un’isola deserta sarebbe stato facile, ragionò Maxie, asciugandosi gli spruzzi dagli occhi. La sposa aveva insistito sull’estrema importanza della tempistica e, vedendo una foto dello sposo, Maxie aveva pensato non ci fosse da meravigliarsi. Aveva previsto che l’organizzazione di un evento di così alto profilo su una piccola isola sarebbe stato irto di difficoltà, ma non aveva messo in conto che sarebbe stata accolta da un uomo che le faceva battere il cuore a mille. Maxie aveva sempre amato le sfide. Come allieva con una borsa di studio in un collegio esclusivo e una vita privata a dir poco caotica, aveva fatto ben presto la scelta precisa di rimanersene al sicuro in disparte, a guardare altra gente godere di ciò che lei preparava loro.
Al sicuro? Ritraendosi dalla ringhiera, fece alcuni profondi respiri per calmarsi, prima di prepararsi a sbarcare. Nulla era sicuro lì, specialmente l’uomo dagli occhi truci sulla riva.
«Guardi dove mette i piedi» sbraitò lui, mentre Maxie iniziava l’attraversata della passerella.
«D’accordo» rispose lei, nervosa, chiedendosi perché non andasse ad aiutarla se era così preoccupato.
Oh, smettila di agitarti! Poteva farcela, era pronta. Quell’incarico era il sogno di ogni wedding planner e lei non aveva intenzione di iniziarlo cadendo in mare. Un fastoso matrimonio dell’alta società tra Ruiz Acosta, un giocatore argentino di polo favolosamente ricco, e Holly Valiant, famosa per la sua rubrica sui problemi personali e scrittrice affermata, grazie ai racconti autobiografici sulla sua vita con Ruiz. Holly era entrata nel cuore del pubblico che si affidava trepidante a ogni sua parola. Domato l’impenitente playboy Ruiz, ora Holly stava per sposarlo e il mondo aspettava con il fiato sospeso quello che sarebbe stato il matrimonio dell’anno. Tra tutti era stata scelta proprio Maxie per organizzarlo. Era un incarico che avrebbe portato il suo lavoro a un livello più alto, e dato che solo le sue entrate sostenevano tutto quanto era di vitale importanza per lei, quel viaggio doveva essere un successo. L’uomo sulla riva aveva rivolto la propria attenzione allo skipper. Maxie aveva dei rudimenti di spagnolo, ma faticava con le espressioni della lingua parlata. «Si sta offrendo di aiutarci?» chiese al vecchio.
«Qualcosa del genere» ammise lui, imbarazzato.
Ci scommetto, pensò, sperando che il Señor Acosta avesse una formula magica. Lo guardò di nuovo e velocemente voltò la testa. C’era qualcosa nei suoi occhi che faceva chiaramente intuire di non avvicinarsi, se si apparteneva al genere femminile e si aveva un po’ di buonsenso. Maxie riteneva di avere molto buonsenso e, sebbene fosse contraria alle relazioni in genere, il suo appuntamento ideale era un’innocua chiacchierata in un normale ristorante con un uomo civile. Non certo una passeggiata in una landa selvaggia con un barbaro dotato di orecchino e tatuaggi. Tuttavia, non poteva negare che l’aspetto inquietante dell’uomo e la sua innegabile bellezza le avessero rimescolato qualcosa dentro, ma era cibo per le sue fantasie e niente di più.
«È dell’agenzia che si occupa del matrimonio?» chiese lui con una profonda voce roca.
«Esatto» confermò Maxie, a metà strada sull’asse inclinata. «Potrebbe darmi una mano?» Si era fermata nel mezzo, spiacevolmente consapevole dell’acqua tumultuosa che ribolliva violenta sotto ai suoi piedi. Se l’uomo le avesse preso la valigia, lei avrebbe potuto afferrarsi alle corde con entrambe le mani.
«Cerchi di camminare dritta» suggerì lui. «Guardi dove sta andando, invece di guardare giù...»
Grazie mille. Avrebbe corso i propri rischi con i pesci, ma quando lui rivolse la propria irritazione contro lo skipper, ne ebbe abbastanza. «Se ha qualcosa da dire, può dirlo a me» insistette in spagnolo. «Ho noleggiato io la barca e io ho preso la decisione di navigare fino all’isola.»
«Lei parla la nostra lingua?» chiese lui, rabbuiandosi.
«Avrei riconosciuto il suo tono di voce anche se avesse parlato in Ket... una lingua parlata solo nella Siberia centrale» mormorò a se stessa, ma lui la sentì.
«Se è tanto intelligente, avrebbe dovuto avere più buonsenso, invece di persuadere un uomo anziano a portarla qui all’isola con una tempesta simile.»
Poi si rivolse a Fernando in un tono molto diverso. «Sei intirizzito fino alle ossa, Fernando. Rimani a casa finché non cala il vento. Dirò a Maria di portarti cibo caldo e biancheria asciutta.»
«Sí, Señor Acosta, y muchas gracias.»
Acosta?, gemette Maxie. «Lei è Diego Acosta?»
«Esatto» confermò lui.
La sua bocca sexy poteva anche accenderle i sensi, ma quello non era certo il migliore degli inizi. Acosta sembrava più un pirata pericoloso, che un giocatore internazionale di polo, ma la sua collaborazione come comproprietario dell’isola era fondamentale. «Mi fa molto piacere conoscerla» disse Maxie, arrivando sollevata sulla riva. Ignorando la mano che lei gli aveva teso per salutarlo, lui si voltò. Diego Acosta non era né sofisticato, né affascinante. Certamente non era il suo abituale genere di contatto per un matrimonio, colui che avrebbe dovuto farle da guida. L’idea di quell’uomo che dava indicazioni a qualcuno era semplicemente assurda.
«Dammi le tue borse, Fernando» gridò in spagnolo, fissando la barca sopra la sua testa.
La diplomazia era parte essenziale del suo mestiere, si disse Maxie. In passato aveva avuto a che fare con un sacco di personaggi difficili, a partire da suo padre, un bullo di prima categoria da giovane, prima che la malattia lo riducesse a uno scheletro. Lei aveva imparato come gestirlo, quindi avrebbe imparato anche come cavarsela con Diego Acosta. Non poteva rischiare di offenderlo, la famiglia Acosta era così potente, da poterle distruggere di colpo la reputazione che si era così duramente conquistata. «Sono Maxie Parrish» si presentò, portandosi di fronte a lui, in modo che non potesse ignorarla. «La wedding planner di Holly.»
Lo sguardo scuro si rabbuiò. Cosa diavolo aveva detto ora? Parrish? I ricordi si inasprirono dentro di lui, sebbene il buonsenso gli dicesse che Parrish non era un nome insolito.
«Ho parlato con Holly prima di partire...» stava spiegando la ragazza.
«Parrish?» la interruppe lui, trasalendo.
«Sì, Maxie Parrish» ripeté la ragazza. «Della società Dream Weddings. Holly ha detto che avrebbe chiamato per avvisarla che sarei arrivata oggi.»
«Lo ha fatto» convenne lui, «ma ha dimenticato di dirmi il suo nome.»
«Ed è un problema?» chiese lei sorridendo.
«Non direi» le assicurò in tono distaccato. «Solo mi sarei aspettato qualcuno più vecchio.»
«Non avrei mandato nessun altro a valutare un lavoro» gli assicurò lei. «Faccio sempre io la prima e l’ultima visita Señor Acosta, come pure ogni altra nel mezzo.» Maxie parlò come se stesse lanciando un attacco, ma amabilmente. Lui non si lasciò ingannare e avvertì un’indole di acciaio sotto quelle maniere accomodanti. Subito si irritò, nonostante avvertisse il proprio istinto primordiale risvegliarsi in risposta a quell’intrigante combinazione di