Colazione a letto (eLit): eLit
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Anteprima del libro
Colazione a letto (eLit) - Ruth jean Dale
successivo.
1
Oh, Clarence, non potremo mai essere felici...
Brooke si asciugò le lacrime con un fazzolettino e, commossa, continuò a guardare il televisore. Avvolta nella luce bluastra dello schermo era così conquistata dal fascino raffinato della protagonista, Cora Jackson, da non prestare la minima attenzione ai sottotitoli che accompagnavano ogni scena di Forbidden Love, il film muto più bello che avesse mai visto. Lo aveva visto così tante volte da conoscere a memoria il copione.
Brooke rimase incantata per qualche istante a fissare lo schermo, persa nei ricordi.
Sebbene fossero trascorsi due mesi dal funerale di Cora Jackson, la famosa stella del cinema di cui lei era stata dama di compagnia negli ultimi quattro anni, non riusciva ancora ad accettare l'idea che fosse scomparsa. Dal giorno in cui si erano conosciute, Cora era diventata per lei un'insostituibile amica, una confidente, quasi una madre. Aveva ormai più di ottant'anni, ma era ancora una persona estremamente interessante.
All'improvviso un miagolio distolse Brooke dai suoi pensieri. «Fatti coraggio, Gable» mormorò, rivolgendosi al gatto dell'attrice, raggomitolato sulle sue gambe. «Ti mancano molto le carezze di Cora, eh? Non possiamo fare altro che rassegnarci.» Emise un lungo sospiro, e con lo sguardo catturato dallo schermo cominciò a lisciare il pelo fulvo del dolcissimo felino.
Domani dovrai sposare un'altra donna, ma sappi che io ti amerò per sempre. No, ti prego, non guardarmi così, io...
Sull'onda di una struggente melodia, la protagonista, allora solo sedicenne, portò il dorso della mano alle labbra, mentre sulle guance scendevano lacrime luminose come gocce di brillanti.
Cora le aveva spiegato che quelle lacrime erano solo merito dei trucchi del regista, ma a Brooke sembrava tutto così reale che, ogni volta, quella scena la lasciava senza fiato.
«Mi hanno fatto annusare delle cipolle, per farmi piangere in quel modo» le aveva svelato l'attrice in gran segreto. «A sedici anni non ero altro che una ragazzina dell'Illinois arrivata a Hollywood senza un soldo, con la testa piena di sogni e fantasie. Cosa vuoi che ne sapessi di recitazione?»
Eppure proprio Forbidden Love aveva consacrato Cora Jackson a dea dell'olimpo hollywoodiano.
«Certe volte è davvero strano il destino, non trovi?» domandò a Gable.
Quel giorno Brooke si era recata a Glennhaven, la meravigliosa villa in stile vittoriano di Cora, per cominciare a riordinare un po' di cose. Ma appena varcato l'imponente ingresso, si era soffermata per ore a osservare ogni particolare del fastoso arredo, emblema di una gloria ormai tramontata.
Era la prima volta che vi ritornava dal giorno della sua scomparsa e, sopraffatta dalla nostalgia, si era adagiata in una soffice poltrona e aveva infilato nel videoregistratore la cassetta di Forbidden Love, il film che più amava.
Strano, ripensandoci, come Cora avesse presagito il momento della sua morte. Un paio di settimane prima del tragico momento, aveva scritto una lunga, dettagliata lettera in cui illustrava le sue ultime volontà: un funerale semplice, nessun parente all'apertura del testamento. A Brooke lasciava i suoi gatti, un appezzamento di terreno e una casa proprio nel mezzo della immensa tenuta che circondava Glennhaven, più alcune incombenze che riguardavano la gestione della villa e del suo contenuto. Brooke era pronta a esaudire ogni desiderio di Cora.
Voleva assolutamente portare a termine il suo incarico prima che il nuovo proprietario di Glennhaven prendesse possesso della casa. Era così difficile accettare l'idea che qualcun altro potesse abitarvi!
All'improvviso, con un balzo Gable si precipitò di fronte alla porta d'ingresso, rimase in ascolto per un istante poi le ritornò in braccio, affondando gli artigli nei suoi jeans.
«Ehi, che ti prende?» domandò Brooke, mentre cercava di tranquillizzarlo dandogli una grattatina dietro le orecchie. Niente da fare, Gable non voleva saperne di distogliere lo sguardo dalla porta. «Che c'è, micione?» gli chiese ancora. «Hai visto un fantasma?»
La risposta non tardò ad arrivare. Un cane dal pelo bianco e nero, tutto arruffato, fece il suo ingresso nel soggiorno. Brooke ne fu sorpresa. Che cosa diavolo ci faceva un cane nella villa e come aveva fatto a entrare?
Immediata si scatenò la guerra. Gable, innervosito dalla presenza del suo ancestrale nemico, piombò sul pavimento, arruffò il pelo della schiena e della coda, emise un soffio minaccioso poi cominciò a correre per tutta la stanza. E il suo rivale raccolse la sfida e lo inseguì abbaiando.
Brooke era in preda al panico.
«Larry, Larry, dove ti sei cacciato?» si udì chiamare in lontananza. «Larry, vieni fuori! Sei proprio un cane disubbidiente.»
Larry doveva essere il nome di quella belva indemoniata, pensò Brooke, sempre più spaventata. Non aveva mai visto l'adorato gatto di Cora così infuriato. Gable non faceva altro che saltare da un mobile all'altro, inseguito dal cane che, nel tentativo di afferrarlo, mandò in frantumi un prezioso vaso di cristallo posto sul tavolino nel centro del soggiorno.
Doveva assolutamente intervenire per porre fine a quello scempio.
Si precipitò in giardino, in cerca di un bastone o qualunque altro arnese che potesse servire ad allontanare quell'orrenda bestiaccia. I cani erano gli unici animali che non riusciva a sopportare!
«Adesso ci penso io a farti andare via...» borbottò. Ma non ebbe il tempo di terminare la frase che si trovò tra le braccia di uno sconosciuto.
Stretta nel suo energico abbraccio, Brooke percepì un'intensa fragranza speziata, un profumo chiaramente maschile. Subito dopo lo scontro, lui l'aiutò a recuperare l'equilibrio, poi dischiuse le labbra in un sorriso radioso.
Frastornata, Brooke rimase senza parole, letteralmente conquistata dal fascino di quell'uomo. I lineamenti del suo viso erano pressoché perfetti ma furono i suoi occhi, di un caldo color nocciola, a catturarla. Quello sguardo, magnetico e profondo, brillava di intelligenza, mista a curiosità e a un pizzico d'ironia. A farne da cornice, le sopracciglia scure quanto i capelli, folti e lucenti.
Lo stridulo miagolio di Gable la fece tornare di colpo in sé.
«È suo quel cane?» domandò allo sconosciuto, indicandogli l'animale. «Lo faccia smettere immediatamente!» intimò.
«Mi dispiace» si scusò lui, con aria mortificata. «Non si era mai comportato così prima d'ora. Chissà cosa può averlo irritato in quel modo?» Poi diede una rapida occhiata all'interno del soggiorno e intravide Gable accovacciato sulla mensola del camino in atteggiamento minaccioso. «Ora capisco!» esclamò. «È colpa di quel gatto.»
«Non è affatto colpa di quel gatto. È il suo cane che...»
«Ma cosa ci fa qui un gatto?» le domandò lui, senza lasciarle il tempo di concludere la frase. «Anzi, ora che ci penso meglio, cosa ci fa lei qui?» l'apostrofò. Il suo sguardo si era fatto più acuto, più penetrante.
«Ho il compito di occuparmi della casa sino a quando il nuovo proprietario...» S'interruppe per analizzare il viso di quell'uomo. «Santo cielo!» esclamò e un lieve rossore le colorì le guance.
Lui si limitò ad annuire, confermando il suo sospetto. «Giusto! Sono io il nuovo proprietario» dichiarò, poi le allungò una mano. «Mi chiamo Garret Jackson. Può chiamarmi Garret. E se non sbaglio lei è Brooke...»
«Hamilton» precisò in tono secco. «Brooke andrà benissimo.»
Si scambiarono una stretta di mano e a quel fugace contatto un brivido le corse lungo la schiena.
«Non vorrei sembrarle scortese» soggiunse lei, «ma potrebbe essere così gentile da richiamare il suo cane? Sembra che non voglia proprio smettere di tormentare il povero Gable.»
«Gable? Clark Gable, come l'attore?»
Brooke annuì. «Le sarei grata se riuscisse a porre fine a questo chiasso.»
Garret accolse la richiesta. Appoggiò un ginocchio a terra e richiamò il cane con tono pacato. «Su, bello, vieni qui» lo spronò, battendo una mano sulla gamba. Di solito quel sistema funzionava, ma questa volta il cane non gli prestò la minima attenzione. Garret provò di nuovo. Niente. «Strano che non mi ascolti. Larry è un animale dolcissimo» le spiegò.
«Dolcissimo? Chi? Quella belva?» chiese Brooke, incredula.
Lui le rispose con un sorriso. «Non si preoccupi. Conosco il sistema per farlo smettere.»
«Ne dubito!»
«Vogliamo scommettere?»
«Voglio solo che quel cane esca dal soggiorno. E poi io non scommetto mai.»
Garret la guardò con aria maliziosa, ma non disse una parola. Scese dai gradini del portico e si diresse in giardino.
Brooke non poté fare a meno di notare il suo fisico atletico e slanciato. Indossava un paio di calzoncini e una maglietta che mettevano in risalto i muscoli poderosi. Doveva ammetterlo, quell'uomo era maledettamente affascinante.
«Molly!» chiamò lui a gran voce. «Vieni qui, tesoro. Ho bisogno di te.»
A quel nome, Brooke provò un senso di irritazione. «Molly?» ripeté. Dal tono con cui aveva posto la domanda, si sarebbe detto che era gelosa.
Non vi fu bisogno di spiegazioni. In quel preciso istante spuntò dalle siepi una bimba.
Lo sguardo di Garret si intenerì immediatamente. «Molly, pensi di riuscire a richiamare Larry, in modo che lasci in pace il gatto di questa signorina?» le domandò con tono gentile.
La bimba annuì con aria solenne e subito dopo rivolse lo sguardo verso Brooke, chiaramente incuriosita. «Buongiorno» esordì con una vocina sottile. «Io mi chiamo Molly Jackson. E lei?»
«Brooke Hamilton» rispose allungandole una mano. «Sono molto lieta di conoscerti, Molly.»
«Il piacere è tutto mio.»
Strano che una bimba così piccola fosse tanto formale, pensò Brooke. Ma ancora più strana era la sua espressione seria.
«Io ho cinque anni. E tu?»
Probabilmente era ancora troppo piccola per capire che non era educato chiedere l'età a una donna, d'altra parte era così carina che non seppe resisterle. Era il ritratto di suo padre, con gli stessi occhi nocciola, solo coi capelli biondi come il miele. «Ehm... io ne ho venticinque» le rispose, arrossendo un poco in viso.
Molly aggrottò per un istante le sopracciglia, poi con atteggiamento pensieroso disse: «Non preoccuparti, non sono poi così tanti».
Brooke non riuscì a trattenere una risata.
«Pensa che Gart ne ha già trentadue» soggiunse la piccola.
Lo sguardo di Brooke incrociò immediatamente quello di lui. «Gart? È così che ti chiama?» Tutt'a un tratto aveva deciso di dargli del tu.
«Sì» annuì lui con un sorriso colmo di tenerezza. «Molly ha qualche difficoltà nel pronunciare per intero il mio nome.»
Non sarebbe stato più naturale chiamarlo papà?, si chiese