Sensuale amicizia: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Famosissima star dei rodei, Ryan Grant ha deciso di ritirarsi dal circuito professionistico e appendere gli speroni al chiodo, e Royal è il luogo ideale in cui riflettere con calma su cosa fare per il resto della sua vita. Non è certo un caso che abbia scelto l'esclusiva cittadina del Texas. È il cuore che lo chiama laggiù, e il ricordo di Piper Kindred. Lei è stata la sua più cara amica, ma per Ryan rappresenta molto di più: è la donna che vorrebbe avere al suo fianco ogni giorno, e nel suo letto ogni notte. Quando un incidente porta Piper, esperto paramedico, al suo capezzale, Ryan capisce che non può farsi sfuggire l'occasione di sedurre la sensuale rossa. Ma lei sarà d'accordo?
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Anteprima del libro
Sensuale amicizia - Jules Bennett
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
To Tame a Cowboy
Harlequin Desire
© 2013 Harlequin Books, S.A.
Traduzione di Rita Pierangeli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-333-5
www.harlequinmondadori.it
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Prologo
Venti anni prima
Piper Kindred era stanca di essere snobbata dalle ragazze secondo le quali gli unici argomenti di cui valeva la pena parlare erano le diverse sfumature di rossetto e dove avevano comprato il loro ultimo vestito. Era anche stanca della mancanza di rispetto da parte dei ragazzi che, non sapendo da che verso prenderla, si limitavano a ignorarla.
In quale ambiente si sentiva inserita? Dio, odiava la scuola. Anche la terza era una rottura. Aveva cambiato istituto, perciò non aveva ancora fatto amicizie ma se era così che sarebbe andato il resto dell’anno, avrebbe preferito starsene a casa e montare il suo cavallo o imparare a lanciare il lazo. Comunque, la scuola era sopravvalutata.
Soprattutto tenendo conto che, alla ricreazione, negli ultimi due giorni quei teppistelli non avevano fatto altro che prenderla in giro. Quel giorno non era diverso.
«Guarda la fibbia della sua cintura.»
«Che razza di nome è Piper?»
«Amico, hai visto che capelli ridicoli?»
Piper sollevò gli occhi. Quegli scocciatori cercavano di farle saltare i nervi, e ci stavano riuscendo, ma non glielo avrebbe mai fatto capire.
Ne aveva uditi tanti di commenti stupidi da parte di altri ragazzini sul suo nome e sul suo modo di vestire. Cosa c’era di male se le piacevano i pantaloni di flanella e gli stivali da cowgirl; era figlia di Walker Kindred. Loro non sapevano che era una leggenda? Idioti. Non sapevano nemmeno che suo padre era una celebrità.
E i commenti che continuavano a fare sui suoi capelli? Già, non passava giorno che non dovesse ascoltare qualcosa a proposito di pel di carota o Babbeo il clown. D’accordo, erano rossi e ricci. A essere sincera, le piaceva distinguersi da tutti gli altri stupidi ragazzini.
«Non permettere che ti facciano arrabbiare.»
Piper si girò di scatto. Un ragazzo, più alto di lei di almeno una testa, se ne stava con i pollici infilati nei passanti della cintura. Aveva una massa di scarmigliati capelli castani e gli occhi più azzurri che lei avesse mai visto. E indossava una camicia di flanella. Era ovvio che loro erano gli unici due veramente ganzi.
«Non glielo sto permettendo» replicò lei, sollevando il mento. «Me ne infischio di quei ragazzini puzzolenti o di questa stupida scuola.»
Lui scoppiò a ridere. «Io mi chiamo Ryan Grant. Pensavo che ti sarebbe utile un amico se sei stanca di giocare da sola.»
«Già, be’, non lo sono. Quei perdenti non hanno idea di quanto sia fichissima la fibbia di questa cintura. Mio padre me l’ha comprata quando, l’anno scorso, ha vinto il PRCA.»
Il ragazzo inarcò le sopracciglia. «Tuo padre ha vinto il titolo del PRCA?»
«Già.»
«Non occorre che menti per farti degli amici.»
Piper piazzò le mani sui fianchi e lo fulminò con un’occhiataccia.
«Non ho bisogno di mentire perché mio padre è il più in gamba degli uomini. Non c’è un cavallo selvaggio che lui non riesca a domare.»
D’accordo, probabilmente c’era. Ciononostante, suo padre era il migliore e lo pagavano per cavalcare e perché era un cowboy.
Qualcuno di quei ragazzi poteva affermare altrettanto?
«Come si chiama tuo padre?» chiese Ryan, ancora scettico.
«Walker Kindred.»
«Menti» rise Ryan.
«Me ne infischio di quello che pensi. Io mi chiamo Piper Kindred e Walker è mio padre. A ogni modo, come se tu sapessi qualcosa dei rodei. Forse ignori perfino cosa significa PRCA.
«Professionale Rodeo Cowboys Association» ribatté Ryan. «E so chi è Walker Kindred.»
«Allora, perché dici che mento?»
«Perché, be’... sei una ragazza. Non ho mai conosciuto una ragazza che si intenda di rodei.»
Perché i maschi erano così stupidi?
Piper sospirò, pronta a terminare la ricreazione per tornare dove poteva concentrarsi sulla lezione, lasciandosi alle spalle un’altra giornata deprimente.
«Lasciamo perdere» sbuffò. «Me ne infischio di quello che pensi se intendi essere stupido come gli altri.»
Lui incrociò le braccia e sorrise.
«D’accordo, dal momento che tu mi hai fatto una domanda sui rodei, ne spetta una anche a me. Scommetto che non conosci la risposta.»
Piper ne aveva abbastanza. Strinse la mano a pugno e lo colpì al naso. Quando lui atterrò sul sedere, lo sovrastò dall’alto.
«Non ho tempo per gli idioti che pensano che io menta» gli disse. «Sono cresciuta frequentando il circuito. Walker è mio padre e se hai altre sciocchezze da dire, ho in serbo un altro pugno per te.»
Ryan si rialzò, scuotendo la testa. Era strano, ma sorrideva.
«Per essere una ragazza, hai un pugno niente male.»
Piper lo guardò. Si sarebbe detto che quello voleva essere un complimento.
«Ti fermi dopo la scuola?» chiese Ryan, portandosi una mano al naso per poi guardarla e vedere se stava sanguinando.
Piper pensò che avevano appena stabilito una specie di legame, così annuì. «Certo, ma non credere che, solo perché sono una ragazza, non sappia tutto sui rodei.»
Ryan rise. «Non me lo sognerei nemmeno, Rossa.»
Piper sospirò e si diresse alle doppie porte nel momento in cui la campanella squillava, segnalando che dovevano rientrare.
Se Rossa era l’appellativo peggiore con cui chiamarla, tanto valeva che diventasse il suo solo e unico amico.
1
Piper Kindred diede una seconda occhiata alla vettura sportiva nera e il cuore le balzò in gola. No, non poteva essere.
Oh, santo cielo. Era escluso che non ci fossero vittime in un incidente di una tale gravità. C’erano rottami disseminati lungo lo spartitraffico, c’erano frammenti di vetri per un tratto di strada, una BMW nera era finita a ruote all’aria e un grosso camion si era rovesciato di lato, bloccando tutte e due le corsie.
Come paramedico, Piper aveva visto la sua dose di incidenti, di vittime e di scene raccapriccianti, ma niente che le incutesse un terrore viscerale come la vista dell’auto che sostava così spesso nel suo viale, l’auto che apparteneva al suo migliore amico, Ryan Grant.
L’ambulanza non si era ancora fermata del tutto che Piper afferrò la sua borsa, saltò a terra e si mise a correre. Il caldo sole di novembre le picchiava sulla schiena mentre si precipitava verso quello scenario raggelante.
Il medico che c’era in lei voleva raggiungere le vittime al più presto. La donna che c’era in lei temeva quello che avrebbe scoperto una volta raggiunto Ryan.
Quando fu più vicina, si accovacciò nel tentativo di vedere all’interno della vettura. Provò un’ondata di sollievo nell’attimo in cui si rese conto che dentro non c’era nessuno. D’accordo, non era rimasto intrappolato, ma quanto erano gravi le sue ferite?
C’era un concerto di sirene, tra quelle della polizia, delle ambulanze e di un’autopompa dei vigili del fuoco.
Piper aguzzò la vista cercando Ryan, augurandosi di vederlo seduto sul retro di un’ambulanza con niente di più di una borsa del ghiaccio sulla testa. Ma il suo dovere era di assistere chi aveva bisogno... non di cercare chi era più importante nella sua vita.
Mentre si avvicinava al camion, dove sembrava che si trovassero la maggior parte dei poliziotti, notò numerosi ispanici ammassati insieme. Con abiti in disordine, barbe ispide e vari tagli e lividi. Piper non poté fare a meno di chiedersi cosa ci facessero sulla scena di un incidente nel quale erano coinvolti solo un camion e la vettura del suo migliore amico.
Piper si precipitò verso il gruppo di persone evidentemente ferite. C’era chi piangeva, altri con la testa incassata tra le spalle, mentre alcuni urlavano in uno spagnolo, che nemmeno lei capiva perché parlavano troppo in fretta, ma era chiaro che erano furiosi e spaventati.
Mentre passava accanto a due funzionari di polizia in uniforme udì le parole illegale e FBI. Già, quello era molto di più di un disgraziato incidente. A giudicare dalla presenza massiccia della polizia, si sarebbe detto che quelle persone non si trovavano lì legalmente.
Poco dopo, Piper udì altri funzionari discutere come potessero così tanti clandestini nascondersi nello spazio limitato del retro di quel camion. Era una situazione che esulava dalla normale routine.
In quel momento, però, il suo compito era di esaminare e medicare le vittime, non di preoccuparsi dell’aspetto legale di quel disastro.
«Dove hai bisogno di me?» chiese a un altro paramedico che stava esaminando la gamba di un uomo.
«Il conducente del camion era alquanto scosso» le rispose il paramedico. «Al momento è a bordo di un’auto della polizia per essere interrogato. In apparenza, non è ferito, ma le sue pupille erano dilatate e ha detto che gli fa male la schiena. A quanto pare, ignorava che il suo camion trasportasse clandestini.»
Annuendo, Piper si diresse verso l’auto della polizia più vicina al camion rovesciato. Con il braccio appoggiato sul tetto del veicolo un agente stava ascoltando quello che aveva da dire l’uomo seduto sui sedili posteriori.
«Lo giuro, non avevo idea di cosa ci fosse nel retro del mio camion. Per favore, dovete credermi» supplicava l’autista. «Stavo cercando di cambiare corsia e quell’auto è apparsa dal nulla. Non l’ho proprio vista.»
Stando alla sua versione, l’uomo era del tutto innocente. Quello era un incidente di proporzioni epiche e non qualcosa che si poteva risolvere con un pugno di domande. Ma a Piper spettava il compito di valutare se l’uomo andava ricoverato in ospedale o se poteva continuare a essere interrogato.
«Agente, per favore, posso visitarlo?» chiese Piper. «Mi risulta che gli faccia male la schiena.»
Annuendo, l’agente si raddrizzò ma rimase nelle vicinanze. Piper si chinò all’interno della vettura e vide un uomo di mezza età con una pancia che debordava dai jeans, baffi e barba biondi e sporchi e dita macchiate di nicotina.
«Signore, mi chiamo Piper e sono un paramedico. Mi dicono che le fa male la schiena. Riesce ad alzarsi in piedi?»
Annuendo, l’uomo scivolò fuori dall’auto mentre Piper indietreggiava. Quando si raddrizzò in tutta la sua statura, fece una smorfia e si mise una mano sulle reni... vuoi per suscitare la compassione dell’agente o perché il dolore era reale, Piper non avrebbe saputo dirlo.
«Se vuole seguirmi, possiamo sistemarla sul retro di un’ambulanza. Può darsi che voglia andare in ospedale, solo per assicurarsi che sia tutto a posto, ma io posso procedere a un esame preliminare.»
«Le sono grato, signora.»
Mentre lo conduceva verso l’ambulanza più vicina, Piper scrutò la folla cercando Ryan. L’avevano già portato al Pronto Soccorso? Era in pericolo di vita? Non saperlo la stava uccidendo.
Un’altra ambulanza arrivò sulla scena mentre Piper assisteva l’autista del camion nel retro di una libera. Quando una nuova squadra di paramedici saltò giù dalla vettura e si diresse verso il gruppo dei feriti, lei li seguì.
Si arrestò di colpo appena uno sollevò la testa e si scoprì a fissare un paio di familiari occhi scuri. Lui era in mezzo a un gruppo di messicani, ma quell’uomo... Conosceva quell’uomo.
Santo cielo. Come era possibile che...? Cosa diamine...?
«Alex?» bisbigliò tra sé.
Piper si precipitò al fianco di Alex Santiago. Aveva davvero davanti l’uomo che era scomparso mesi prima senza lasciare traccia? Che fosse veramente lui?
L’uomo alzò la testa a guardarla, riparandosi con una mano