Un uomo da domare
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Info su questo ebook
Peggy Moreland
Scrive storie intense ambientate in Texas, che le hanno permesso di vincere numerosi premi letterari.
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Anteprima del libro
Un uomo da domare - Peggy Moreland
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Millionaire Boss
Silhouette Desire
© 2001 Peggy Bozeman Morse
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-898-7
Frontespizio. «Un uomo da domare» di Moreland Peggy1
C’erano tutti gli ingredienti di un romanzo d’amore.
Un uomo e una donna si conoscono al college, poi le loro strade si dividono dopo il diploma.
L’uomo dedica la propria vita a costruirsi una carriera, e presto si afferma come personaggio di spicco nel mondo degli affari e come uno degli scapoli più appetibili al mondo.
La donna, segretamente innamorata dell’uomo, si rassegna a restare zitella e dedica la propria esistenza a prendersi cura del fratello e dei suoi figli rimasti orfani di madre.
Dieci anni dopo, la donna legge su un giornale un’inserzione dell’uomo che cerca una segretaria e si candida per il posto, convinta che sia un segno del destino aver trovato quell’annuncio proprio nel momento in cui ha deciso che il fratello e i suoi figli sono diventati dipendenti e che lei ha bisogno di crearsi una vita per conto proprio.
Ha luogo l’incontro, in cui l’uomo dichiara alla donna il suo eterno amore... e vissero felici e contenti.
Penny Rawley avrebbe riso della trama stereotipata e della patetica eroina con il suo caso terminale di amore non corrisposto, se non fosse stata la propria vita a essere riflessa... tranne che per l’ultima scena, quella dell’incontro e del lieto fine.Quella scena doveva ancora essere interpretata.
Ma sarebbe accaduto presto, pensò, mentre gettava nervosamente uno sguardo alla porta dell’ascensore di fronte alla scrivania. L’avrebbe riconosciuta?, si chiese, tutta agitata. Si sarebbe ricordato della compagna di scuola che gli faceva il filo e che aveva scritto con lui la relazione di fine anno, dieci anni prima?
Per quanto singolare sembrasse, anche se lavorava per Eric Thompson da quasi un mese, non lo aveva ancora incontrato... per lo meno non negli ultimi tempi.Era in Giappone per affari quando Eleanor Hilloughby, la segretaria che lei aveva sostituito, aveva assunto Penny per il lavoro. Una dolce e cara signora, Eleanor aveva dichiarato di voler andare in pensione per potersi dedicare a tempo pieno ai suoi nipotini, benché Penny sospettasse che la donna poteva benissimo trovarsi, adesso, a intrecciare cestini di vimini in un ospedale psichiatrico, anziché badare ai nipoti come aveva annunciato.
Dopo meno di un mese al servizio di Eric, Penny si era convinta che chiunque lavorasse direttamente per quell’uomo diventasse un candidato ideale uno per una lobotomia frontale. Era disorganizzato, egocentrico e comunicava con i suoi dipendenti come se questi fossero delle macchine.
Sbuffò al ricordo delle centinaia di e-mail con cui lui le aveva intasato il computer, dall’altro angolo del mondo. Nulla di più che frammenti, per la maggior parte. Agglomerati di parole buttate giù senza rispetto della sintassi, dell’ortografia e della punteggiatura. Interpretare quei messaggi era ostico come decifrare un codice segreto.
Ma ciò che la indispettiva di più era che mai una volta, in nessuna delle e-mail che le aveva inviato, aveva commentato il cambio di personale nel suo ufficio, né si era mai riferito a lei direttamente in qualsiasi modo.Tutta la posta che inviava era indirizzata a lamiasegretaria@cybercowboy.com. Per quel che lo riguardava, Penny poteva benissimo essere una scimmia seduta dietro la scrivania che era stata un tempo della signora Hilloughby, a mangiare felicemente banane mentre si occupava dei suoi affari e faccende personali.
Si ripeteva che non le importava, che il vuoto di memoria non la feriva. Solo perché lei si ricordava di Eric, non significava che anche lui si sarebbe dovuto ricordare di lei. Dopotutto, lei era Penny Rawley, la ragazza che faceva da tappezzeria ai balli, insignificante, invisibile, una che passa inosservata. Mentre lui era nientedimeno che Eric Thompson, genio dei computer, imprenditore fantastico, il più ambito scapolo del Texas, se non di tutto il mondo. Il giustiziere che cavalcava per lo spazio cibernetico su una banda piuttosto che su un destriero, armato di tastiera anziché di una rivoltella a sei colpi mentre dava la caccia ai criminali nella frontiera relativamente nuova di Internet.
Ma quella dimenticanza la feriva, ammise, ricacciandosi dentro lacrime inaspettate. Se non l’avesse riconosciuta una volta rientrato in sede o non avesse mostrato un minimo interesse per i tratti noti del suo volto, temeva che sarebbe morta di crepacuore... o, quanto meno, si sarebbe sentita profondamente umiliata.
Però, aveva un’altra possibilità.Poteva saltare l’appuntamento con il destino, si disse, con la mano già sulla borsetta.
Se ne sarebbe andata. Avrebbe tagliato la corda prima che lui arrivasse. Si sarebbe risparmiata il mal di cuore e l’umiliazione.Poteva trovarsi un altro impiego. Con una compagnia meno nota, magari, e con un capo meno infame. Un impiego in cui non avrebbe avuto nessun legame passato con il suo datore di lavoro.
Proprio mentre si alzava, borsetta in mano, pronta per la fuga, l’ascensore trillò, segnalando il suo arrivo al piano.In trappola, senza più nessuna via di scampo, rimase a fissare, pietrificata, le porte che silenziosamente si aprivano e usciva il singolo occupante maschio dell’abitacolo. L’uomo teneva con una mano una ventiquattrore e con l’altra un plico di fogli contro il viso.
Penny lasciò scorrere lo sguardo sulla sua figura, notando la T-shirt nera con la scritta Cyber cowboy sul davanti, i jeans scoloriti che gli fasciavano i fianchi snelli e le lunghe gambe muscolose, le cui ampie falcate lo portarono ancora più vicino alla sua scrivania.Spostò lo sguardo dalle punte dei massicci stivali da cowboy in una strana pelle esotica al biondo scuro dei capelli umidi tirati indietro dal gel.
Eric Thompson?, si chiese, stralunata. Si aspettava che fosse cambiato, con gli anni, che avesse fatto proprio uno stile un po’ più ricercato, qualcosa che rispecchiasse meglio la sua posizione e la sua ricchezza. Un abito sartoriale tre pezzi, per esempio, di manifattura italiana, o un Rolex al polso. Qualcosa che attestasse il suo successo. Ma non era cambiato affatto! Vestiva sempre come un cowboy, proprio come ai tempi del college.
Senza staccare gli occhi dal rapporto che stava esaminando, le passò accanto vicino alla scrivania, bofonchiando una direttiva bisillabica circa un caffè.
Penny ruotò il capo lentamente, seguendo l’inarrestabile procedere dell’uomo verso la porta aperta del suo ufficio. Il proprio sguardo scese dalle ciocche che si arricciavano contro il collo della maglietta alla schiena ampia che si restringeva in vita, fino alle natiche e a un lieve strappo proprio sotto la tasca. Il fiato le si strozzò in gola allorché notò una fascetta di seta nera far capolino da quella stretta fessura. Oh, mio Dio!, pensò, mentre le guance le si avvampavano. Boxer di seta neri. Indossava boxer di seta neri!La borsetta le scivolò dalle dita tremanti, cadendo con un tonfo sordo sulla moquette ai suoi piedi.
Apparentemente ignaro del rumore della borsetta che cadeva o dello sguardo libidinoso che monitorava i suoi movimenti, lui entrò nel proprio ufficio, agganciò il tacco consumato dello stivale da cowboy attorno alla parte bassa della porta e se la tirò dietro. La porta sbatté, richiudendosi con uno schianto poderoso che fece sobbalzare Penny.
Si appoggiò una mano al cuore e sprofondò sulla sedia. «Oh, mio Dio» mormorò, poi ripeté, più lentamente. «Oh... mio... Dio!»
Non era sicura di quanto tempo rimase lì, a fissare la porta chiusa, con un’immagine dell’uomo nell’altra stanza che le invadeva la mente, il cuore tuonante alla visione erotica che lui aveva suscitato, prima che la sua voce esplodesse dall’altra parte: «Allora, dov’è il mio caffè?».
Lei esitò, ricordando la decisione presa in precedenza di andarsene, poi scattò in piedi. Mi prenderò un altro paio di giorni, promise a se stessa mentre versava del caffè nella spessa tazza di ceramica che la signora Hilloughby aveva indicato come la preferita del capo. Poi, se proprio non lo sopporto, mi licenzio.
Arrivata davanti alla porta, esitò e prese fiato prima di bussare. Non udendo risposta, aprì e si affacciò.
Lui era seduto alla scrivania di fronte alla porta, i polpastrelli premuti contro le tempie, mentre esaminava il rapporto sulla scrivania chiuso tra i suoi gomiti.Il sole filtrava attraverso i vetri della finestra, creandogli attorno alla testa un alone simile all’aureola di un angelo maledetto.
A diciotto anni, Penny aveva ritenuto Eric Thompson il ragazzo più bello e sexy che avesse mai conosciuto, e niente di ciò che vedeva ora cambiava l’opinione di un tempo. Allora, come adesso, proiettava un’immagine di forza, sicurezza, un’intensità intellettuale che solo accennava all’acume di una mente brillante, un’impazienza a conquistare il mondo... e un’innata sensualità che la rendeva dentro miele fuso.
Certo, bisognava guardare oltre il suo aspetto trasandato per scorgere quei tratti e quell’esperienza che davano i brividi. Sembrava che, tuttora, lui nutrisse una certa avversione per il pettine e il rasoio, pensò trasognata, mentre fissava lo sguardo su quelle ciocche scomposte e la patina scura che gli ombreggiava le mascelle.
Mentre lo guardava, lui si passò stancamente una mano sul viso, sfogliò una pagina, poi riportò la mano alla tempia, come se avesse bisogno di sostenere il peso della testa.
È esausto, rifletté lei in un impeto di compassione, poi, altrettanto rapidamente, passò a considerare quale potesse essere la causa di tutta quella stanchezza.
Ricordando la sua richiesta di caffè e sospettando che il suo bisogno di caffeina fosse reale piuttosto che generato dal suo ego, attraversò la stanza e raggiunse la scrivania. «Buongiorno, signor Thompson» disse, optando per il saluto formale come il più appropriato, soprattutto dal momento che lui non sembrava averla riconosciuta. «Come è andato il suo viaggio in Giappone?»
L’attenzione concentrata sulle carte, lui mugugnò qualcosa di incomprensibile e sollevò una mano. La sua risposta assomigliava tanto alla maniera che suo fratello usava per bofonchiarle il buongiorno, la mattina, quando si alzava. Gli uomini erano