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Il circolo dei misteri
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E-book230 pagine3 ore

Il circolo dei misteri

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1816 - Troppo bella e ricca per non diventare preda di cacciatori di dote senza scrupoli, Lady Arabella ha già collezionato diverse di proposte di matrimonio, pur avendole rifiutate tutte. Dopo aver tanto amato il marito, scomparso prematuramente, è sicura infatti che non proverà mai più un sentimento simile. L'incontro con il tormentato Charles Hunter mette però in crisi tale convinzione. Il gentiluomo, da parte sua, ha giurato a se stesso di ritrovare la sorella, scomparsa senza lasciare traccia, ed è convinto di non avere tempo per l'amore. Non sa che i destini di Arabella e Sarah sono già strettamente intrecciati. Il circolo dei misteri è il secondo capitolo di un'emozionante trilogia ispirata a fatti realmente accaduti.
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2016
ISBN9788858951002
Il circolo dei misteri
Autore

Anne Herries

Autrice inglese vincitrice di numerosi riconoscimenti letterari, ha iniziato a scrivere nel 1976 e ha ottenuto il suo primo successo appena tre anni dopo. Attualmente vive nel Cambridgeshire con il marito.

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    Il circolo dei misteri - Anne Herries

    significativi.

    1

    Charles Hunter fissava con aria cupa il boccale di birra davanti a sé. La notte precedente aveva bevuto parecchio, nella speranza di smorzare l'impatto della notizia datagli dal suo amico Daniel, Conte di Cavendish, riguardo alla sorte della sorella. La notizia era riuscita a sconvolgerlo proprio quando aveva creduto di essersi rassegnato. Charles cercava sua sorella da più di un anno, in uno straziante alternarsi di dubbi e speranze. Dapprima non aveva avuto idea di che cosa potesse esserle accaduto. Sarah era come sparita nel nulla e il sospetto principale era che fosse stata rapita. Daniel e altri amici avevano giurato a Charles di aiutarlo a ritrovare la sorella. Dopo accurate indagini e grazie alle informazioni carpite a un certo Mr. Palmer, si erano convinti di essere giunti al termine delle ricerche. Charles era stato sul punto di prelevare da una tomba anonima il corpo di una giovane morta annegata per seppellirlo nella cappella di famiglia, certo che si trattasse di Sarah. Invece, le recenti rivelazioni di Daniel avevano suscitato in lui nuovi dubbi.

    «Parlate voi stesso con Fred» l'aveva esortato Daniel appena prima di partire per il viaggio di nozze con Elizabeth, la sua novella sposa. «Fred era un valletto di Sir Montague Forsythe e sostiene di aver trovato una giovane che vagava per i boschi, più o meno nei giorni successivi al rapimento di Sarah. Palmer ci aveva detto che poteva essere finita nel lago e annegata, ma ciò che Fred mi ha rivelato mi ha fatto ricredere. Ho offerto all'uomo un lavoro come guardacaccia e pertanto lo ritengo onesto. Secondo lui la giovane affogata non era Sarah, ma una giovane del villaggio suicidatasi perché era stata cacciata dalla sua famiglia quando si era scoperto che aspettava un figlio illegittimo.»

    «E allora dov'è Sarah?» Da quel momento in poi Charles non aveva fatto altro che ripetersi la stessa domanda.

    Quella mattina in particolare si sentiva come se mille magli gli stessero percotendo le tempie. Era tutta colpa sua, fu pronto ad ammettere, per aver ecceduto con il vino. Piangersi addosso non l'avrebbe aiutato a ritrovare Sarah, ammesso che ve ne fosse la pur minima possibilità! Sarah era scomparsa da così tanto tempo, ormai, e ogni sforzo compiuto per rintracciarla era fallito. Sua madre la credeva morta, se ne era convinta quasi subito, ancor prima che si venisse a sapere della fanciulla annegata nel lago. Daniel invece aveva continuato a indagare, infondendo una tenue speranza anche in lui. Il suo peggior terrore era che Sarah fosse sì viva, ma prigioniera in un postribolo, alla mercé di uomini lascivi e privi di scrupoli.

    «Oh, Dio, no!» gemette ad alta voce, sopraffatto da un misto di rabbia e angoscia. Abbatté il pugno sul tavolo con tale forza da far volare fuori dal piatto i resti del pasto appena consumato. «Non posso sopportarlo, non può essere!»

    «Vi chiedo perdono, signore. L'oste mi aveva detto che potevo dividere il salotto con un gentiluomo. Ma voi chiaramente risentite della mia intrusione.»

    Charles sbatté le palpebre, confuso, e sollevò gli occhi. Fino a quel momento non si era nemmeno accorto di non essere più da solo nella stanza. Rimase a fissare la giovane donna che aveva davanti più di quanto fosse conveniente, stentando a metterne a fuoco l'immagine. Vestita all'ultima moda, era chiaramente una dama d'alto rango... ed era anche, si rese conto Charles spostando lo sguardo sul suo viso, di una bellezza fulgida, seppure inconsueta. I capelli che sbucavano da sotto il suo elegante cappellino da viaggio erano di un nero intenso e luminoso e i suoi occhi erano altrettanto scuri anche se, notò nel continuare a fissarla, sembravano quasi avere un che di argenteo...

    «Se vi disturbo, posso andare via» proseguì lei.

    «No, certo che no!» esclamò Charles, scattando in piedi. «Perdonatemi, stavo per andare. Vi prego, disponete della sala a vostro piacimento, signora.» Parlò in un tono brusco, duro, che rifletteva appieno il suo stato d'animo tormentato. «Ho molte cose da fare...»

    Solo quando fu uscito dalla stanza si accorse di doverle essere parso oltremodo scortese. Non era certo così che si sarebbe comportato con una bella signora ai vecchi tempi, quando la tragedia non l'aveva ancora travolto e trasformato, facendogli perdere ogni interesse nelle schermaglie con il gentil sesso.

    Del frivolo, galante Charles Hunter di quei giorni non restava traccia nell'uomo che era diventato, un individuo ossessionato da un solo e unico pensiero: ritrovare Sarah o perlomeno scoprire che cosa ne fosse stato di lei. Oltre che con Fred, Daniel lo aveva messo in contatto anche con Jesiah Tobbold, un personaggio dalle mille risorse che aveva aiutato Daniel a proteggere i propri cari da Sir Montague Forsythe, mesi addietro. Perlomeno adesso Sir Montague non rappresentava più un pericolo: Charles stesso lo aveva ucciso quando quella canaglia aveva cercato di sfuggire alla cattura, dopo aver rapito Elizabeth e ammazzato Lady Roxborough.

    Per l'ennesima volta, si rammaricò di essere stato costretto a uccidere Forsythe, perché forse questi avrebbe potuto rivelare loro altri dettagli sulla sorte di Sarah... sempre che ne fosse davvero a conoscenza. Pareva che Sarah fosse riuscita a fuggire dai suoi rapitori, quella notte, ma restava il dubbio che Forsythe fosse riuscito a riacciuffarla e l'avesse spedita in una delle case di malaffare di cui era proprietario. Era soprattutto quella possibilità a perseguitare Charles senza posa, e non si sarebbe dato pace finché non avesse scoperto la verità. Dunque era tutto deciso: avrebbe parlato prima con Fred, poi con Tobbold, a cui avrebbe affidato il compito di proseguire le indagini.

    Rimasta sola nel salottino, Arabella fissò a lungo la porta da cui quel giovanotto irruente era uscito con insolita fretta. Era rimasta turbata dal suo comportamento, non tanto perché scortese, quanto piuttosto per l'espressione di pura disperazione che gli aveva letto sul volto... e anche perché lui non sembrava averla affatto riconosciuta. Erano trascorsi anni dal loro precedente incontro, eppure Arabella non aveva stentato a riconoscere in quel tormentato sconosciuto uno degli invitati al suo matrimonio con Benjamin. Era quasi sicura che si chiamasse Charles Hunter e che fosse uno dei molti ufficiali che Ben le aveva presentato durante il ricevimento nuziale. Ricordava un giovane baldanzoso e galante, particolarmente incline al complimento. Aveva addirittura osato esortarla a ricordarsi di lui, qualora si fosse stancata del suo novello sposo!

    Arabella aveva accolto quella battuta scherzosa con una risata, sicura in cuor suo di non potersi mai stancare dell'amato Ben. Che cosa poteva essere capitato, nel corso di quegli anni, per trasformare il giovanotto spensierato di allora nell'essere smarrito, quasi spettrale, che si era trovata davanti poco prima? Doveva aver sofferto molto, intuì lei, anzi, stava soffrendo ancora.

    «Oh, Arabella, pare che ci vorranno parecchie ore per riparare la ruota della carrozza.» La sua dama di compagnia era entrata nella saletta senza che Belle se ne accorgesse. «L'oste ci ha offerto delle stanze per la notte, se volete.»

    «Se necessario, pernotteremo qui» decretò Arabella. Si guardò attorno nella stanza e la trovò linda e decorosa, per quanto non all'altezza degli ambienti lussuosi a cui era abituata. «Ma, se fosse possibile, preferirei arrivare almeno fino al White Hart di Richmond» aggiunse. «Mia zia ci aspetta per domani e da lì potremo mandarle un messaggio per avvertirla del nostro ritardo.»

    «Che cosa debbo dire all'oste?»

    «Me ne occupo io, Tilda» decise Arabella, sorridendo alla dama di compagnia. Tilda Redmond era una lontana cugina di sua madre, una zitella di mezz'età che aveva preso servizio presso Arabella poco dopo la morte di Ben. In origine sarebbe dovuta restare con lei solo per qualche settimana, per assisterla nelle prime fasi del lutto, ma in seguito Tilda non aveva mai dato segno di volersi congedare e Arabella non aveva avuto cuore di mandarla via. «Ho ordinato il pranzo, dopodiché potremo verificare a che punto sia la riparazione della ruota, prima di decidere.»

    «Come volete» rispose Tilda, avvicinandosi al camino per scaldarsi le mani. Sebbene fossero a metà agosto, pativa sempre il freddo. «Pensavo che dovessimo dividere il salotto con un gentiluomo.»

    «Oh, se ne è andato» disse Arabella, scrollando le spalle. «Sembrava ansioso di proseguire il suo viaggio.»

    «Deve essere il gentiluomo che ho appena visto uscire, chiedendo a gran voce che gli portassero il cavallo» commentò Tilda. «Era molto attraente, con capelli scuri e occhi azzurri...»

    «Sì, immagino che sia lui» confermò Arabella, corrugando la fronte con fare pensieroso. Poi però si impose di smettere di pensare a Mr. Hunter. Qualunque fosse il problema che lo affliggeva, non erano comunque affari suoi. Passò quindi a rivolgersi alla moglie dell'oste, appena entrata con il vassoio del pranzo.

    «C'è dell'ottima minestra, milady, e il pane è appena stato sfornato.»

    «Grazie» replicò Arabella. «Portateci anche un bicchiere del vostro vino migliore.» Annuì compiaciuta, perché la minestra emanava un profumo davvero invitante. «E potete avvertirci non appena la carrozza sarà pronta?»

    «Certo» le promise la donna prima di lasciarle a gustare la minestra, il cui sapore si rivelò all'altezza del profumo.

    Era ormai tardo pomeriggio quando Arabella uscì dalla locanda e trovò ad aspettarla la carrozza riparata e pronta a ripartire. Indugiò un istante, poi rivolse un cenno alla sua cameriera. «Siamo quasi pronti, Iris. Assicurati che in carrozza ci sia il mio baule piccolo, con il necessario per la notte. Se dovessimo avere altri problemi, potrei averne bisogno.»

    «Sì, milady.»

    Quindi Arabella andò a parlare con il cocchiere per definire il tragitto. Dato il ritardo subito, era probabile che non ce l'avrebbero fatta ad arrivare a Richmond entro sera. Proprio in quel mentre, nel cortile della locanda arrivò un calesse da cui scese un uomo. Era il tipico dandy di città: il suo mantello da viaggio era fin troppo voluminoso e la sua cravatta appariscente e arzigogolata era del tutto fuori luogo in campagna.

    Nel riconoscerlo Arabella si irrigidì e per un attimo desiderò di poterlo evitare, ma presto l'orgoglio ebbe la meglio sulla repulsione. Non aveva alcun motivo di provare imbarazzo, si disse. Sir Courtney Welch le aveva chiesto di sposarlo un anno dopo la morte di Ben. Lei l'aveva respinto con il maggior tatto possibile, ciononostante lui si era offeso e pochi giorni dopo aveva osato avvicinarla in un vergognoso stato di ubriachezza. La screanzata condotta di cui Sir Courtney aveva dato mostra in quell'occasione era stato uno dei motivi che avevano spinto Arabella a decidere di non maritarsi mai più. Preferiva di gran lunga restare da sola, piuttosto che rischiare di ritrovarsi sposata a un uomo che non le ispirava la benché minima fiducia.

    «Signora» la salutò lui chinando il capo in modo talmente plateale da risultare derisorio. «Ahimè, è destino che io arrivi proprio quando voi ve ne state andando.»

    Di certo non gli era sfuggito, durante i passati incontri, che Arabella aveva sempre fatto di tutto per evitare la sua compagnia. Così fu molto sollevata quando l'arrivo di Tilda le evitò di rispondere a quel falso dispiego di galanteria.

    «Hanno riparato la ruota più in fretta del previsto» annunciò la dama, sfiorando il braccio di Arabella. «Ma ora dobbiamo andare, mia cara, altrimenti calerà la notte ancora prima del nostro arrivo a Richmond.»

    «Sì, avete ragione» convenne Arabella, permettendo all'amica di condurla verso la carrozza. Non rivolse nemmeno un'occhiata d'addio all'uomo che tanto la disgustava, ma se l'avesse fatto avrebbe notato che lui stava continuando a fissarla con malcelata ostilità. «In effetti temo che non riusciremo ad arrivare a destinazione entro sera» aggiunse, notando come il cielo si stesse già oscurando. «Ma non vi preoccupate, Tilda, viaggeremo ben protette. I servitori che ci scortano sono armati e nessun bandito oserebbe attaccare un convoglio tanto numeroso.»

    «Non ne dubito» assentì Tilda, pur senza sembrarne convinta. Trascorse infatti i primi minuti del viaggio a guardare fuori dal finestrino con aria preoccupata, come se si aspettasse un'imboscata da un momento all'altro. «Sarò ben lieta di arrivare a Londra e a casa di vostra zia» disse a un tratto.

    Arabella sorrise, ben sapendo quanto Tilda fosse di disposizione nervosa. Lei, invece, era pronta a fronteggiare qualsiasi bandito avesse osato sbarrarle il cammino, e a tal fine portava una piccola rivoltella nascosta nel manicotto. Tuttavia non ne fece menzione alla sua accompagnatrice, sapendo che quel dettaglio sarebbe soltanto servito ad allarmarla ancora di più.

    Viaggiavano da più di un'ora e mezzo quando udirono un grido levarsi da cassetta. Poco dopo la carrozza si arrestò bruscamente, tanto che le due occupanti vennero sbalzate in avanti. Tilda emise un gridolino spaventato e guardò Arabella con terrore. «Che cosa sarà? Pensate che un bandito...?»

    Arabella scosse la testa per rassicurarla, ma al contempo strinse le dita attorno all'impugnatura della pistola. Era pronta a usarla, se necessario! In quel mentre uno stalliere andò ad aprire lo sportello. «Che cosa succede, Williams?» gli chiese.

    «C'è un uomo a terra, in mezzo alla strada» le spiegò il giovane. «Credo che abbia avuto un incidente. Il suo cavallo è qui vicino e sembra azzoppato.»

    «E l'uomo? È ferito gravemente?» si informò subito Arabella, accingendosi a scendere dalla carrozza.

    «State attenta!» l'ammonì Tilda. «Potrebbe essere una trappola...»

    «Non credo.»

    Ora poteva vedere il corpo accasciato. Non si muoveva e le conseguenze dell'incidente parevano serie. La causa, d'altra parte, era evidente: qualcuno aveva legato una fune tra due alberi ai lati della via in modo da farlo cadere da cavallo. Data la luce assai scarsa della sera, sarebbe stato impossibile per chiunque accorgersi del tranello in tempo per evitarlo.

    «Che cosa è successo, qui?» domandò al cocchiere. «L'incidente deve essere stato causato a bella posta!»

    «Credo che qualcuno volesse derubare questo gentiluomo, milady» dichiarò il cocchiere. «Abbiamo visto una figura fuggire nel bosco, proprio mentre ci avvicinavamo. Se non fossimo arrivati noi, la rapina avrebbe potuto concludersi con un omicidio.»

    «Che canaglia!» Arabella rabbrividì e si guardò attorno. Si trovavano in un punto isolato, circondato da una fitta boscaglia su ogni lato. In pratica, il luogo perfetto per tendere un'imboscata a un ignaro viaggiatore solitario. Si avvicinò al malcapitato, che giaceva ancora inerte ai suoi piedi, ed emise un gemito di sgomento nel vederlo per la prima volta in volto.

    Era Charles Hunter. «È... è morto?» chiese allo stalliere con voce tremante.

    Williams si inginocchiò per esaminare la vittima, poi scosse il capo. «È svenuto, milady. Ha una brutta ferita alla tempia, ma respira ancora.»

    «Dobbiamo caricarlo in carrozza» decretò Arabella, senza esitare. «Se lo lasciamo qui morirà di certo. Per la ferita, se non per una seconda aggressione. Sollevatelo piano, Williams. Andremo alla locanda più vicina e manderemo a chiamare un dottore. Deve essere visitato e medicato prima possibile.»

    Rimase a guardare mentre tre servitori trasportavano il corpo privo di sensi nella carrozza. Dopo essere a sua volta salita a bordo senza nemmeno farsi aiutare, Arabella ordinò di mettere il ferito sdraiato e con la testa appoggiata sul suo grembo, in modo da potergliela sostenere durante il tragitto.

    «Vi sembra saggio accogliere così uno sconosciuto?» le chiese Tilda, rivolgendole uno sguardo dubbioso. «Non sapete nemmeno chi sia. Potrebbe essere un ladro... o un assassino.»

    Arabella si morse la lingua per non risponderle a tono. Per qualche strano motivo che non comprendeva nemmeno lei, era restia a rivelare alla cugina di conoscere l'identità del ferito.

    «Che pericolo può rappresentare un uomo tra la vita e la morte?» si limitò ad argomentare. «È nostro dovere di cristiane aiutarlo, Tilda.»

    «Questo è vero» ammise la dama di compagnia, accogliendo il velato rimprovero con un certo imbarazzo. «Siete sempre così buona e caritatevole, Arabella. Mi fate vergognare di me.»

    «So che vi preoccupate per la mia sicurezza» la tranquillizzò Arabella. «Ma questo gentiluomo ha bisogno di noi, quindi dobbiamo aiutarlo. Invece di cercare di raggiungere Richmond, ci fermeremo alla prima locanda sulla via e pernotteremo lì.»

    «Avete ragione, come sempre» sospirò Tilda, senza però apparire davvero rassicurata. Dal canto suo, non approvava certo l'atteggiamento sbrigativo, e a suo giudizio troppo avventato, della cugina. Arabella era ancora giovane, oltre che bella ed estremamente ricca: una combinazione che la rendeva una preda ambita per i molti cacciatori di dote in circolazione, che avrebbero potuto approfittarsi di lei.

    «Non abbiate paura» la esortò Arabella, intuendo i suoi timori. La cugina era di carattere riservato, diffidente e pauroso, ossia l'esatto opposto del suo. A volte lo stato d'ansia perpetua che caratterizzava Tilda la irritava non poco, ma si sforzava di nasconderlo per non ferirla. «Ben mi ha insegnato a occuparmi del prossimo» aggiunse. «So che in simili circostanze anche lui avrebbe fatto quello che sto facendo io.»

    «Caro Ben» mormorò Tilda, estraendo un fazzoletto dalla borsetta. «Che uomo dolce e gentile! È un vero peccato che...» S'interruppe nello scorgere l'espressione calata sul volto di Arabella nel sentir parlare del marito defunto. Si accorse di essersi addentrata in un terreno insidioso. «Perdonatemi, non volevo turbarvi, mia cara.»

    «Non lo avete fatto. Ben era forte e coraggioso ma, sì, sapeva anche essere gentile e dolce.» Arabella si lasciò sfuggire un sorriso mesto. A distanza di anni, era finalmente capace di pensare al marito senza sentirsi annientare dal dolore che per mesi e mesi l'aveva straziata dopo aver appreso della sua morte. In quel terribile momento aveva desiderato di morire anche lei. Ricordava bene di essere rimasta

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