Nell'harem dello sceicco: Harmony Collezione
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Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
Nell'harem dello sceicco - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Banished to the Harem
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2012 Carol Marinelli
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-857-1
Prologo
«Tornerò lunedì.» Il principe ereditario, sceicco Rakhal Alzirz, era irremovibile. «Passiamo ad altro.»
«Ma il re esige che lasci immediatamente Londra.»
All’insistenza di Abdul, Rakhal irrigidì la mascella. In effetti era raro che Abdul insistesse dopo che il principe aveva espresso la propria opinione in merito a un certo argomento, perché difficilmente cambiava idea e, soprattutto, non prendeva ordini dall’assistente. Ma in questo caso l’insistenza poteva essere giustificata perché Abdul riferiva ordini che provenivano direttamente dal re.
«Il re vuole assolutamente che tu sia ad Alzirz domani. Non accetta obiezioni.»
«Parlerò io con mio padre» s’impegnò Rakhal. «Non sono disposto ad accettare alla cieca il suo volere.»
«Ma il re è malato...» Abdul chiuse gli occhi, il dolore e la preoccupazione evidenti sul viso.
«E proprio per questo mi sposerò entro la fine del mese» lo interruppe Rakhal. «Capisco che è importante per il mio popolo sapere che il principe ereditario è sposato, soprattutto quando il re è malato, ma...» Rakhal non concluse la frase. Non sentiva la necessità di dare spiegazioni ad Abdul, quindi cambiò argomento, lo sguardo che lo sfidava a interromperlo. «Perciò...» Non attese il cenno di assenso dell’assistente, «discutiamo invece di un regalo appropriato per celebrare la notizia giunta questa mattina da Alzan. Voglio esprimere le mie congratulazioni allo sceicco Emir di Alzan.»
Un sorriso soddisfatto gli increspò le labbra perché, nonostante le notizie sulle condizioni di salute del padre, nonostante l’imposizione di tornare subito ad Alzirz e scegliersi una moglie, quella settimana gli aveva portato almeno una buona notizia.
Anzi, due piccole meravigliose notizie!
«Qualcosa di rosa» disse Rakhal e, per la prima volta quella mattina, anche Abdul sorrise, perché era davvero una buona notizia.
La nascita di due gemelle alla corte di Alzan dava un periodo di respiro al regno di Alzirz. Non lungo perché, senza dubbio, lo sceicco Emir e sua moglie avrebbero presto avuto un erede maschio, ma per il momento c’era un buon motivo per sorridere.
Molto tempo prima Alzirz e Alzan erano stati un paese solo – Alzanirz – ma in seguito a lotte interne il sultano dell’epoca aveva cercato una soluzione. La nascita dei suoi figli, due gemelli identici, e l’impossibilità di individuare con certezza il primo nato, gliene aveva fornito una, e alla sua morte il regno di Alzanirz era stato suddiviso tra i suoi figli.
Doveva essere una soluzione temporanea, o almeno temporanea nell’accezione del deserto – perché i matematici e gli indovini del tempo avevano predetto che nel corso degli anni, sia pure centinaia di anni, i due paesi sarebbero stati riuniti. E non poteva essere altrimenti, perché in ognuno dei due paesi era stata promulgata una legge sulla successione che, a lungo termine, avrebbe portato a una riunificazione. Una legge che solo il regnante dell’altro paese avrebbe potuto revocare.
Ad Alzirz, il paese in cui Rakhal sarebbe stato presto re, la legge imponeva che il sovrano potesse prendere una sola moglie, e il primogenito, maschio o femmina, sarebbe stato l’erede.
Sua madre, Layla, cagionevole di salute, era morta mettendo alla luce Rakhal, l’unico figlio e il paese era rimasto con il fiato sospeso mentre il piccino, nato prematuro, lottava per sopravvivere.
Per un certo periodo parve che le predizioni degli anziani assumessero una certa consistenza e che il regno di Alzirz sarebbe passato ad Alzan, perché come avrebbe potuto sopravvivere un bimbo così piccino?
Ma Rakhal non solo era sopravvissuto ma, fuori dal ventre materno, si era irrobustito.
Ad Alzan la legge era diversa: alla morte della moglie, il re poteva sposarsi di nuovo, ma l’erede doveva essere maschio. Per ora Emir era padre di due femmine. C’era da festeggiare ad Alzirz... il loro paese era salvo.
Per adesso.
Avendo compiuto i trent’anni, Rakhal non poteva più rimandare. Aveva discusso in proposito con il padre, tuttavia ora era costretto a scegliersi una moglie. Una moglie che avrebbe portato a letto soltanto nel periodo fertile, che avrebbe visto soltanto per il rapporto fisico e in occasioni formali. Lei sarebbe vissuta nel lusso, viziata e coccolata, in un’ala speciale del palazzo; si sarebbe occupata dell’educazione dei figli che lui avrebbe visto raramente.
Emir, invece, avrebbe visto i suoi figli...
Rakhal provò un certo astio al pensiero del rivale, ma non lo riconobbe per ciò che era: invidia... perché sapeva di avere tutto.
«Hai qualche idea per il regalo?» Abdul s’insinuò nei pensieri di Rakhal.
«Forse due diamanti rosa?» buttò là Rakhal. «No, devo pensarci. Voglio qualcosa di più particolare... qualcosa che quando Emir lo riceve si senta ribollire.» Ovviamente lui ed Emir, quando s’incontravano erano estremamente cortesi, ma sussisteva una profonda rivalità, una rivalità che risaliva a prima della loro nascita e che sarebbe stata trasmessa per generazioni a venire. «Una volta tanto mi divertirò a scegliere un regalo.»
«Molto bene.» Abdul raccolse le proprie carte e si accinse a lasciare lo studio di Rakhal nella lussuosa suite d’albergo. Ma arrivato alla porta non poté fare a meno di accertarsi: «Parlerai con il re, vero?».
Rakhal lo congedò con un cenno della mano. Non era necessario rispondere. Aveva detto che avrebbe telefonato e questo era sufficiente.
In effetti telefonò a suo padre. Era l’unica persona che non si lasciava intimidire dal re.
«Devi ritornare immediatamente» esordì il re. «Il popolo comincia a preoccuparsi e deve avere la certezza che hai scelto una moglie. Mi auguro di andare nella tomba sapendo che hai avuto un erede. Devi tornare e sposarti.»
«Certo» rispose calmo Rakhal, perché su questo punto non c’erano discussioni. Ma rifiutava di assecondare il padre... avevano due personalità forti e orgogliose che spesso si scontravano. Entrambi erano nati con l’attitudine al comando e non sopportavano che si dicesse loro cosa fare.
In realtà c’era un altro motivo che imponeva a Rakhal di mantenere la propria posizione e non tornare fino a lunedì.
Se fosse salito subito su un aereo, se avesse obbedito senza protestare, suo padre avrebbe capito che stava realmente per morire.
E stava morendo.
Conclusa la conversazione, Rakhal chiuse gli occhi e si prese il capo tra le mani. Il giorno precedente aveva parlato a lungo con il medico di corte e sapeva che suo padre aveva pochi mesi di vita.
Le conversazioni con suo padre erano sempre difficili.
Da bambino Rakhal era stato allevato dalle bambinaie e aveva visto il padre solo in occasioni speciali. Una volta, da adolescente, aveva raggiunto il padre nel deserto per apprendere la saggezza degli anziani. Adesso, invece, quando il comando stava per passare a lui, pareva che suo padre volesse discutere con lui di ogni cosa.
Era uno dei motivi per cui Rakhal amava Londra. Gli piaceva la libertà di quella terra straniera in cui le donne parlavano liberamente di far l’amore e chiedevano al partner cose che ad Alzirz non era possibile chiedere.
Voleva godersela ancora qualche giorno.
Aveva un profondo legame con quella città, un legame di cui mai si parlava.
Solo per caso aveva scoperto di essere stato concepito proprio in quell’albergo in cui risiedeva... un’infrazione alle leggi del deserto che non solo era costata a sua madre la vita, ma che minacciava seriamente il paese che presto avrebbe governato.
Si accostò alla finestra che dava su un parco e su una strada del centro e osservò il panorama grigio, la pioggerellina fitta e le strade trafficate e piene di vita.
Non poteva capire in pieno il fascino di quel paese, perché lui apparteneva al deserto, e al deserto sarebbe ritornato.
Il deserto che gli stava intimando di tornare a casa.
1
L’agente di polizia non poteva avere un’aria più annoiata mentre intimava a Natasha di compilare il modulo.
Sì, nello schema generale delle cose non era piacevole che le avessero rubato la macchina e non era neppure una tragedia, ma era stata l’ultima goccia, e Natasha avrebbe appoggiato il capo sulla scrivania e sarebbe scoppiata a piangere.
Ovviamente non lo fece. Doveva semplicemente venire a patti con tutto ciò che le capitava... quell’anno era così.
I lunghi capelli rossi erano fradici per la pioggia e gocciolarono sul bancone quando chinò il capo. Li scostò dagli occhi con dita gelate. Se proprio dovevano rubarle la macchina, avrebbero dovuto farlo tra un paio di giorni, quando lei non ne avrebbe saputo niente.
Avrebbe dovuto trascorrere quella triste giornata organizzando una vacanza. Era l’anniversario della morte dei suoi genitori e, in qualche modo, doveva accettare la situazione. La sua intenzione era di proseguire con la solita vita, ma alla fine aveva ascoltato il suggerimento degli amici di prendersi una pausa – una vera pausa – non necessariamente costosa.
Come supplente, non era stato difficile farsi sostituire per un paio di settimane e, proprio quel giorno, dopo la visita al cimitero, aveva stabilito di prenotare una vacanza nel luogo più caldo e più a buon mercato del pianeta. Invece si trovava in un commissariato, evitando educatamente di ascoltare la donna al suo fianco che lamentava un incidente domestico.
La voce dell’agente donna s’interruppe all’improvviso. Anzi l’attività nell’intera stanza parve fermarsi e Natasha alzò gli occhi mentre una porta si apriva.
Notò che la donna poliziotto arrossiva e, seguendo il suo sguardo, ne capì il motivo. Stava entrando l’uomo più affascinante che avesse mai visto.
Decisamente il più affascinante, si corresse mentre l’uomo superava il bancone. Era alto, dall’aspetto esotico, dotato di un’eleganza innata anche con una camicia strappata e un occhio tumefatto.
Aveva i capelli scompigliati e la barba lunga, e lo strappo alla camicia permetteva la visione di una spalla ampia e muscolosa. Mentre cercava di abbottonarsi la camicia, Natasha distolse lo sguardo non prima di aver scorto un petto poderoso con una leggera peluria scura. A quel punto dovette sforzarsi per ricordare il numero di targa della macchina che possedeva da più di cinque anni.
«Forse le conviene andare a sedersi per