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La lista dei desideri: Harmony Collezione
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E-book161 pagine2 ore

La lista dei desideri: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Entro la fine dell'anno la mia vita cambierà. Tutto cambierà. E io non sarò più la stessa donna...
Timida e prudente, Violet ha vissuto fino a quel momento una vita tranquilla, senza sorprese o forti emozioni. Ma ora ha deciso che è giunto il momento di mettere da parte ogni titubanza. I suoi propositi per il futuro?
1) Accettare ogni invito per un intero anno.
2) Trovare un uomo che la faccia sentire una vera donna. Per la prima volta.

E se c'è qualcuno al mondo in grado di esaudire questo desiderio, quello è di certo Leo Wolfe.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2020
ISBN9788830507074
La lista dei desideri: Harmony Collezione
Autore

Miranda Lee

Scrittrice romantica, e moglie fortunata di un uomo molto, generoso!

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    Anteprima del libro

    La lista dei desideri - Miranda Lee

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Master of her Virtue

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2013 Miranda Lee

    Traduzione di Cristina Proto

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-707-4

    1

    «Sei pronta con i bagagli, Violet?» la chiamò il padre dalla cucina.

    «Arrivo» rispose lei, sollevata che anche quel Natale fosse passato e di poter tornare alla sua vita a Sydney.

    Una volta aveva amato il Natale, pensò, dando un’ultima occhiata alla sua camera. Ma a quel tempo aveva dodici anni, l’anno prima che la pubertà esplodesse e il mondo di quella ragazzina spensierata cambiasse per sempre.

    Subito dopo, quella stanza era diventata la sua prigione. Una bella prigione, certo: pareti rosa, copriletto e tendine rosa, per non parlare del televisore e del lettore DVD. Ma comunque una prigione.

    «È ora di andare, Violet» disse il padre, questa volta dalla soglia della stanza. «Non vorrai perdere l’aereo.»

    Cielo, no, pensò lei, sistemandosi il borsone in spalla e afferrando la maniglia della valigia. Quattro giorni a casa erano più che sufficienti. Non erano solo i ricordi, ma anche le domande infinite della famiglia il giorno di Natale a tavola, dopo che i figli della sorella avevano abbandonato i grandi per nuotare in piscina. Come andava il lavoro? La scrittura? L’amore?

    Si finiva sempre a parlare di amore. O della sua assenza.

    Quando aveva detto, come ogni anno, che non usciva con nessuno di speciale al momento, Gavin, il fratello meravigliosamente garbato, le aveva chiesto se era omosessuale. Fortunatamente era stato sgridato dagli altri, soprattutto dal cognato Steve, il marito di sua sorella Vanessa: tutti avevano riso quando questi aveva affermato che se Violet era omosessuale lo era anche lui. Ipotesi molto improbabile, dato che a parlare era un piastrellista muscoloso con una moglie, due figli e una Harley-Davidson.

    Poi l’argomento era stato abbandonato. Ma il giorno seguente, quando lei e Vanessa erano sole in cucina a ripulire dopo il tradizionale barbecue di Santo Stefano, sua sorella le aveva rivolto una lunga occhiata obliqua e aveva detto: «So che non sei omosessuale, Vi. Ma non sarai ancora vergine, vero?».

    Violet aveva mentito, naturalmente, dichiarando di aver perso la verginità all’università. Vanessa non era sembrata del tutto convinta, ma aveva lasciato cadere l’argomento. Non erano mai state molto vicine: non si erano mai confidate come a volte succede tra sorelle. Vanessa aveva otto anni di più e non era mai stata sulla lunghezza d’onda di Violet.

    Eppure sembrava incredibile che qualcuno nella sua famiglia anche solo pensasse che trovasse facili le relazioni con l’altro sesso. Anni di sofferenza per una grave forma di acne cistica le avevano rovinato l’adolescenza, trasformandola in una persona timida e introversa. Andare al liceo era stata una vera tortura. Non si trattava solo del fratello che la chiamava faccia da pizza. Era stata presa in giro e tormentata al punto da arrivare spesso a casa in lacrime.

    La madre le aveva comprato ogni prodotto disponibile per risolvere il problema, ma niente aveva funzionato. Non l’aveva però mai portata da un dottore, perché il padre aveva insistito che col tempo ne sarebbe uscita. Tuttavia non era successo, non finché una consulente scolastica meravigliosamente saggia non aveva portato Violet dal proprio medico qualche mese prima del diploma.

    La dottoressa, molto solidale e ben informata, le aveva prescritto una lozione antibiotica e un particolare contraccettivo che le avrebbe corretto lo squilibrio ormonale, causa dell’acne. Quegli orribili foruncoli rossi erano gradualmente scomparsi, ma sfortunatamente il conforto che aveva cercato nel cibo e il costante sfregamento avevano lasciato a Violet due problemi ugualmente deprimenti: cicatrici e obesità.

    No, magari non era obesa, ma sicuramente sovrappeso.

    D’accordo, ormai aveva sistemato quei due problemi con una dieta sana, esercizio regolare e infinite sessioni con un laser miracoloso che era costato ogni centesimo dei diecimila dollari ereditati da una prozia. Ma le cicatrici emotive di quegli anni di bassa autostima non potevano essere curate con altrettanta facilità: non aveva fiducia nel proprio aspetto e le risultava ancora difficile credere che gli uomini la trovassero attraente. Lo specchio le diceva una cosa, ma la mente gliene diceva un’altra. Nell’ultimo anno le avevano chiesto un paio di volte di uscire, però aveva sempre rifiutato.

    Era anche vero che nessuno dei due uomini che l’avevano invitata aveva avuto le qualità che lei desiderava: non erano maliziosamente belli, peccaminosamente sensuali o anche solo affascinanti. Uno prendeva il suo stesso autobus ogni giorno ed era noioso da morire. L’altro lavorava nel supermercato dove lei faceva la spesa. Anche se non era privo di attrattive, non era il tipo di ragazzo destinato a diventare il direttore del negozio.

    Nessuno dei due era simile agli eroi irresistibili dei romanzi romantici che una volta divorava durante le lunghe ore solitarie nella sua prigione rosa.

    Lo sguardo andò alla libreria che conteneva ancora molti di quei romanzi, tutti storici: i suoi favoriti. Non li leggeva da secoli, però: le sue abitudini di lettura erano cambiate negli anni.

    All’università era stata costretta a leggere Shakespeare e i classici, come anche molte opere letterarie moderne: si era specializzata in letteratura inglese. Tutto il tempo che le rimaneva lo aveva passato a leggere i romanzi inediti che le spediva via e-mail Henry, un agente letterario per il quale aveva lavorato come lettrice. Molti di quei libri erano stati dei thriller.

    Ora che era l’assistente full-time di Henry, Violet era costretta a leggere anche molti dei bestseller pubblicati nel mondo in modo da tenersi aggiornata sul mercato attuale. E anche se alcuni di quei libri presentavano degli elementi di romanticismo, nessuno le ricordava le storie d’amore eccitanti alle quali si era appassionata.

    Improvvisamente ebbe il bisogno di vedere se avevano ancora lo stesso fascino di una volta, se riuscivano a farle ancora battere il cuore. Lasciando la maniglia della valigia, raggiunse la libreria dove iniziò a cercare un libro particolare, la storia di un pirata che aveva rapito una nobile inglese di cui poi si era innamorato, ricambiato. Era pura invenzione. Ma Violet lo aveva adorato.

    «Violet, per amor del cielo, andiamo» ripeté impaziente il padre.

    «Un secondo.» Eccolo lì, con le orecchie alle pagine ingiallite e la copertina vistosa come sempre, con i vestiti dell’eroina scompigliati e l’affascinante pirata che incombeva su di lei con intenzioni libertine. «Volevo solo qualcosa da leggere in aereo» rispose, infilando rapida il libro nel borsone.

    Congedarsi dalla madre era l’unica parte difficile. La madre piangeva sempre,

    «Non aspettare il prossimo Natale per venire a casa, tesoro.»

    «D’accordo, mamma» rispose Violet, mordendosi il labbro inferiore.

    «Promettimi che tornerai per Pasqua.»

    «Ci proverò, mamma. Te lo prometto.»

    Il padre non parlò durante il tragitto verso l’aeroporto. Non era molto loquace. Idraulico di mestiere, era un uomo buono ma semplice che amava la moglie e la famiglia, anche se era chiaro sia a Vanessa sia a Violet che il preferito era Gavin. Dovevano ammettere che erano due gocce d’acqua: Gavin era anche diventato idraulico. Vanessa era più simile alla madre, sia nell’aspetto che nella personalità, mentre Violet... Be’, Violet era sempre stata quella strana della famiglia, sotto tutti gli aspetti.

    A parte essere stata l’unica tormentata dall’acne, aveva anche un aspetto del tutto diverso. Mentre Vanessa e la madre erano bionde dagli occhi azzurri, l’ossatura minuta e un’altezza inferiore alla media, Violet era più alta e formosa, e aveva capelli e occhi scuri. Padre e fratello avevano occhi e capelli scuri, ma erano entrambi molto al di sotto del metro e ottanta e avevano una struttura snella e flessibile.

    Quando aveva fatto domande sui suoi geni, le avevano detto che somigliava alla prozia Mirabella, quella dell’eredità. Non che non l’avesse mai incontrata: a quanto sembrava, era morta zitella. Forse nessun uomo l’aveva sposata perché aveva avuto il volto coperto di foruncoli e cicatrici in un’epoca in cui non esistevano pillole miracolose o laser...

    Ma Violet non differiva dal resto della famiglia solo nell’aspetto. Anche il cervello era diverso. Con un quoziente intellettivo pari a centoquaranta, aveva una memoria fantastica, come anche una mente analitica e un talento per la scrittura – anche se non creativa, cominciava a sospettare. L’anno precedente aveva abbandonato il suo primo romanzo quando non era riuscita ad andare oltre il terzo capitolo.

    La sua abilità nella scrittura, aveva concluso, stava più nel fatto di esprimere a parole i propri pensieri e opinioni, che erano originali e facevano riflettere. I suoi saggi al liceo erano stati così buoni da sorprendere gli insegnanti, che l’avevano incoraggiata a partecipare a una gara sui libri di Jane Austen, il cui primo premio era una borsa di studio per una laurea in lettere all’Università di Sydney, dove le avrebbero pagato tasse e testi.

    L’aveva vinta ancor prima di notare che la borsa di studio includeva duemila dollari a semestre per le spese di mantenimento. Non era sufficiente per viverci, ma aveva avuto la fortuna di trovare alloggio da una vedova di nome Joy che le aveva chiesto solo un affitto simbolico, a patto che Violet svolgesse parte dei lavori pesanti e l’aiutasse con la spesa.

    Un altro vantaggio era stata la posizione della villetta a schiera di Joy. Era a Newtown, un sobborgo centrale a poca distanza dall’università. Anche così, suo padre aveva comunque dovuto darle del denaro per farla arrivare a fine mese, almeno finché non aveva trovato il lavoro di lettrice per Henry, con il quale era riuscita a sopravvivere senza altro aiuto.

    Violet aveva presto scoperto che non le piaceva sentirsi in debito con qualcuno: voleva sentirsi responsabile per se stessa. Come non aveva ancora fiducia nel proprio aspetto, così non ne aveva in altri settori della propria vita.

    Sapeva di essere brava nel suo lavoro, come in molte altre cose. Aveva imparato a cucinare bene, grazie all’aiuto dato a Joy in cucina. Era una buona guidatrice, sempre grazie a Joy, che le aveva prestato un’auto e coraggiosamente l’aveva accompagnata per accumulare le ore di guida necessarie per la patente. Si sarebbe anche comprata un’auto da sola, se necessario, ma Henry lavorava in un appartamento in centro ed era molto più facile prendere un autobus che guidare fino in città e trovare parcheggio.

    Se avesse avuto una vita sociale e molti amici sparsi per Sydney, avrebbe sicuramente dovuto comprarsi un’auto. Ma non l’aveva. A volte le dava fastidio, ma era cresciuta abituandosi a non avere amici, a stare da sola. Non che rimanesse a casa da sola tutto il tempo. Usciva spesso con Joy, che era ancora molto attiva, nonostante i suoi settantacinque anni e l’artrite che in inverno le provocava forti dolori. Ogni sabato sera uscivano a mangiare un boccone, di solito a un ristorante asiatico, prima di andare al cinema.

    Violet poteva sinceramente dire di essere contenta tutto sommato della sua vita. Non era infelice o depressa come un tempo. Era positivo riuscire a guardarsi ogni mattina allo specchio senza rabbrividire di repulsione. Era però anche vero che nell’intimo desiderava trovare il coraggio di avere un appuntamento e finalmente affrontare la propria verginità. Odiava pensare che sarebbe

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