Corpo a corpo: Harmony Destiny
Di Linda Conrad
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Linda Conrad
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Anteprima del libro
Corpo a corpo - Linda Conrad
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Laws Of Passion
Silhouette Desire
© 2004 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Elisabetta Elefante
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-789-8
Frontespizio. «Corpo a corpo» di Conrad LindaPrologo
Chi diavolo credeva di essere quel ragazzino imberbe, per dirle come doveva svolgere il suo lavoro?
Dana non aveva alcuna intenzione di dare ascolto a Paul Renuart, il collega fresco di nomina che continuava a insistere perché si cambiasse con qualcosa di più appropriato. Jeans e scarponcini stringati andavano più che bene per quell’incarico.
«Senta, agente speciale Aldrich» riprese il giovane, «il nostro sospetto esce con top model e roba del genere. Per indurlo a parlare, le conviene adeguarsi al suo stile.»
Prima che Dana aprisse bocca per mandarlo a quel paese, la porta dell’ufficio si spalancò per lasciar entrare l’uomo le cui parole, per lei, erano legge: Steve Simon, l’agente speciale dell’FBI mandato da Atlanta per seguire il caso e coordinare le indagini.
Steve era una vecchia conoscenza di Dana, un professionista tutto d’un pezzo con oltre vent’anni di esperienza sulle spalle. «Agente Simon...»
«Qualche problema, agente speciale Aldrich?»
«No, signore» rispose lei. «Mi stavo preparando per il nuovo incarico e questo pivellino pretende di dirmi come...»
«Ci scusi un momento, Renuart.» Steve scoccò a Dana una breve occhiata per invitarla a non continuare mentre il colletto bianco usciva, lasciandoli soli. «Non è da te fare tanto la schizzinosa, Dana» riprese Steve, appena la porta si fu richiusa. «Ti renderai conto che si tratta di un incarico delicato. Il padre di Marcus Danforth è un ricco imprenditore, noto in tutto lo stato, ed è politicamente impegnato nelle prossime elezioni per il Senato.»
«Certo, me ne rendo conto, ma il fatto che Marcus Danforth sia il classico figlio di papà non lo pone al di sopra della legge.»
«Essere accusati di connivenza e associazione a delinquere ed essere dichiarati colpevoli sono due cose diverse.»
Dana lo sapeva bene, ma sapeva altrettanto bene che i figli di genitori ricchi sfondati erano spesso viziati e incontentabili. Forse Marcus voleva dimostrare ai fratelli maggiori di essere capace di guadagnare più soldi di loro. E per farlo, era disposto a tutto.
«Io so solo che stiamo lavorando da mesi a questo caso per incastrare quei narcotrafficanti. Sappiamo dai nostri informatori che si servono di alcuni grossi produttori di caffè colombiani per riciclare denaro sporco e per far entrare nel nostro paese grosse partite di stupefacenti. Non ci resta che dimostrarlo.»
Steve annuì. «Il problema è che, ogni volta che ci avviciniamo alla verità, un informatore ci rimette le penne. Gli altri se la fanno sotto e si convincono a tenere la bocca cucita.»
«Be’, ma se Marcus Danforth sa qualcosa, troverò il modo di farlo parlare.» Era il suo lavoro: cercare nuovi informatori e convincerli a collaborare. «La mia copertura?»
«È tutto pronto. I documenti e una storia dettagliata della tua vita sono già sulla scrivania di Renuart. Ho contattato chi di dovere, che confermerà tutto se qualcuno dovesse insospettirsi.» Steve le mise una mano su una spalla. «Tieni gli occhi aperti, Dana. Non credo che Marcus sia pericoloso, anzi, temo che sia lui a essere in pericolo. La politica e la droga possono essere una combinazione letale.» Le sorrise. «E io non voglio perdere il mio migliore infiltrato.»
«Sta’ tranquillo.» Dana si abbottonò il giubbotto di denim. «Se non sarò costretta a portare i tacchi a spillo, troverò il modo di trasformare Danforth in un mansueto agnellino.»
Quel damerino di Marcus Danforth, laureato con il massimo dei voti ad Harvard, poteva anche essere furbo, rifletté Steve Simon, ma gli conveniva stare in guardia: con l’agente speciale Dana Aldrich c’era davvero poco da scherzare.
1
«Non vedo l’ora di farmi una doccia» sospirò Marc, uscendo assieme a suo fratello dal penitenziario della contea di Chathan. Dopo averlo sottoposto all’ennesimo interrogatorio e non essendo riusciti a cavargli di bocca nemmeno una parola, i poliziotti avevano pensato bene di schiaffarlo in una fetida cella, forse sperando di convincerlo a confessare.
Ma confessare che cosa? Marc aveva tenuto duro e il suo avvocato era riuscito a tirarlo fuori.
«Qualche minuto e siamo a casa.» Adam gli consegnò un giaccone di pelle. «Tieni questo, fa freddo. La macchina è in fondo al parcheggio. Non ho trovato un posto libero più vicino.»
A Marc quell’aria frizzante parve meravigliosa, la migliore che avesse mai respirato. Forse perché era l’aria della libertà, dopo aver rischiato di passare una notte in gattabuia. Se ne riempì i polmoni. «Non importa, avevo giusto bisogno di fare due passi a piedi.» Si infilò il giaccone. «Grazie per essere venuto a prendermi.»
«Fino a pochi minuti fa, c’era anche papà ad aspettare che ti rilasciassero, ma gli ho suggerito di svignarsela quando hanno cominciato ad arrivare i primi reporter. Ha detto di dirti che ci aspetta a Crofthaven.»
«Non per brindare alla mia scarcerazione, scommetto.» Marc immaginava che suo padre fosse molto in collera per l’ombra che quell’arresto avrebbe gettato sulla sua campagna elettorale.
«Nessuno di noi ha dubbi, Marc. Stanno cercando di incastrarti. È tutta opera di quei narcotrafficanti colombiani. In quest’ultimo anno hanno provato in tutti i modi a forzare la mano a Ian. Prima quella bomba... e ora questo. Papà sa benissimo che le nostre battaglie personali non hanno niente a che vedere con la sua corsa al Senato.»
Marc annuì e sospirò. Da un pezzo non dava più importanza a tante delle cose che invece, un tempo, ne avevano avuta. La famiglia era forse una delle poche realtà a cui ancora teneva molto.
La famiglia... Ripensò alla splendida ragazza con cui aveva sorpreso Adam solo il giorno prima, in ufficio. «Hai detto a Selene del mio arresto?»
Suo fratello tossicchiò. «Ero con lei quando papà mi ha chiamato, per avvisarmi.»
«Maledizione!» imprecò Marc. Data l’ora, non era difficile intuire dove potessero essere Adam e Selene: ovviamente in un letto. «Allora ti devo delle scuse, per averti interrotto.»
Adam non negò. «Per stavolta, ti perdono.»
Marc sorrise, poi un pensiero gli si affacciò nella mente. «E se ci fosse il padre di Selene dietro questa storia?»
«No, non credo. Van Gelder ha fatto diversi sgambetti a papà per metterlo in cattiva luce, ma abbassarsi a tanto...»
Dopo averci riflettuto qualche istante, Marc diede ragione al fratello. Anche perché, in quel momento, non era in grado di pensare razionalmente. Nei suoi confronti era appena stata formulata un’accusa formale per connivenza e associazione a delinquere. Un reato per cui rischiava la galera. C’era in ballo la sua carriera, e non solo. Si stava giocando tutta la sua vita!
«E ora che cosa farai, ti rivolgerai a qualche grosso penalista?» riprese Adam. «Voglio dire, il tuo amico andava bene per chiedere al giudice il rilascio su cauzione, ma ho paura che per cavarti da questo pasticcio dovrai farti rappresentare da qualche nome di spicco fra i tuoi colleghi penalisti.»
Marc si passò una mano tra i capelli. «L’unica cosa certa è che non posso difendermi da solo, visto che io mi occupo perlopiù di diritto commerciale e societario. All’università ho dato un esame di penale, ma non è mai stato il mio forte, mi ci vorrebbe qualcuno che abbia una grossa esperienza in questo campo.»
«Papà può sicuramente suggerirti qualche nome. Tu, però, prenditi qualche giorno di pausa per rimetterti in sesto, prima di cominciare a cercare.»
«Qualche giorno un corno!» esclamò Marc, bloccandosi sui suoi passi. «Io sono innocente e intendo mettermi subito al lavoro per trovare tutte le prove necessarie per dimostrarlo. Non c’è tempo da perdere. Chi mi ha incastrato farà in modo di occultare le informazioni che potrebbero scagionarmi.»
Aveva parlato con una determinazione che sorprese lui per primo. In quell’ultimo anno, era andato avanti per forza di inerzia, votandosi completamente al lavoro e a nient’altro. Era un lusso che ora non poteva più concedersi.
Entrambi i fratelli si voltarono verso una macchina che svoltò all’angolo del parcheggio con uno stridio di gomme e procedette spedita verso il punto in cui si trovavano loro. L’automobile rallentò e si arrestò a pochi passi dai due: era una berlina a quattro porte di un giallino insignificante, di produzione statunitense, proprio il genere di anonimo trabiccolo dato in dotazione ai poliziotti in borghese. Marc sbuffò tra sé e sé, preparandosi a un altro incontro con un rappresentante della legge.
Quando la portiera si aprì, dall’auto uscì una donna alta e snella. Stivaletti di pelle marrone, jeans e giubbotto imbottito di denim, aveva una cascata di riccioli scuri ribelli che incorniciava un volto serio. E molto attraente.
Se quella era una poliziotta, pensò Marcus, forse non gli sarebbe dispiaciuto farsi arrestare di nuovo.
«Marcus Danforth?» si sentì chiedere da una voce vellutata come il buon whisky d’annata.
«Sono io. E questo è mio fratello Adam.»
La donna girò intorno alla macchina. «Molto lieta. Sono Dana Aldrich.» Strinse vigorosamente la mano prima a Marc, poi al fratello.
«Lei è della polizia?» domandò Adam.
«No. Faccio l’investigatore privato e collaboro con Michael Whittaker, la guardia del corpo di suo padre. Mi ha chiamata lui, incaricandomi di controllare che a suo fratello non succeda niente fino al processo.»
«Che cosa?» Marc alzò gli occhi al cielo. «E che diavolo dovrei farmene di una guardia del corpo? A parte che lei, senza offesa, tutto sembra tranne che una guardia del corpo.» A guardarla bene, la ragazza non aveva né il collo taurino, né una faccia da mastino inferocito, né i bicipiti gonfi come prosciutti che lui associava all’idea di un gorilla.
Adam ignorò l’uscita del fratello. «Possiamo vedere le sue referenze?»
Lei tirò fuori dalla borsa una valigetta portadocumenti di pelle marrone. «Modestia a parte, sono una delle migliori» sottolineò a beneficio di Marc.
Marc sbirciò da sopra le spalle del fratello mentre questi studiava le foto sulla licenza da detective della ragazza e sulla sua patente di guida, prima di restituirgliele.
«Ci dia un secondo, signorina Aldrich.» Adam prese il fratello per un gomito e si allontanò di un paio di metri. «Questa faccenda non mi convince. Potrebbe essere una fandonia.»
«E perché dovrebbe mentirci?»
«Per diverse ragioni. Per esempio, potrebbe essere una reporter a caccia di uno scoop.»
Marc valutò quella possibilità. «No. Il mio istinto mi dice che possiamo fidarci. Comunque, possiamo sempre chiamare Michael e chiedergli se è stato davvero lui a mandarla. Non per niente, ma sono curioso di sapere perché pensa che io abbia bisogno di una guardia del corpo. E perché, fra tutti i suoi collaboratori, abbia