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Vento di passioni
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E-book209 pagine3 ore

Vento di passioni

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Info su questo ebook

Marcus, conte di Rutherford, deve evitare di cedere il proprio titolo nobiliare all'odiato cugino, per questo ha bisogno di sposarsi e avere un erede. Sta meditando di prendere in moglie la sua amante, donna dalle abitudini chiacchierate, quando il destino da una svolta imprevedibile alla sua vita. Marcus, infatti, eredita una proprietà da un parente e, quando si reca a esaminarla, conosce Meg, che gli viene presentata come la governante. Nonostante l'apparenza, però...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2021
ISBN9788830526792
Vento di passioni

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    Vento di passioni - Elizabeth Rolls

    Copertina. «Vento di passioni» di Rolls Elizabeth

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Dutiful Rake

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2002 Elizabeth Rolls

    Traduzione di Anna Sibilia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-679-2

    Frontespizio. «Vento di passioni» di Rolls Elizabeth

    1

    I magnifici occhi verdi di lady Hartleigh scintillavano mentre volteggiava nella sala affollata tra le braccia possenti di Marcus Langley, conte di Rutheford. L’uomo, alto e atletico, pareva del tutto indifferente alle forme voluttuose e aggraziate avvolte in seta color oro. Nemmeno la più inflessibile delle patronesse di Almack avrebbe potuto trovare da eccepire per il modo in cui ballavano. Milord teneva una distanza appropriata, le gambe che non sfioravano mai la gonna di milady, la mano posata appena al di sopra della sua vita. I due chiacchieravano tranquilli, senza guardarsi appassionatamente negli occhi.

    In compenso, parecchie dame altezzose lanciavano nella loro direzione sguardi indignati, anche se furtivi. Dopotutto, se le voci che circolavano erano vere e Marcus stava pensando di sposarsi, non era proprio il caso di offenderlo in qualche modo. Lui era uno dei migliori partiti sulla piazza e non solo per la sua immensa ricchezza. C’erano il titolo - il conte apparteneva a una delle famiglie più antiche e illustri del paese - e l’aspetto, visto che era un uomo molto bello ed elegante.

    Dacché era tornato in patria, dopo aver servito Wellington nella campagna di Spagna del 1812, avevano tentato in molte di accasarlo, ma senza successo. Marcus aveva sempre bellamente ignorato tutte le giovani di buona famiglia che gli erano state sbandierate sotto il naso. Fino a quel momento.

    A trentacinque anni il conte era considerato ormai uno scapolo incallito. Nessuno ricordava di averlo mai visto mostrare il benché minimo segno di interesse per una giovane in età da marito. Quando era nella capitale, in primavera, preferiva darsi a una vita di edonistico piacere. Il resto dell’anno si accontentava di passarlo in giro per le varie proprietà che aveva disseminate per il paese.

    Erano arrivate voci in città sulle feste che dava in quelle tenute. Feste a cui nessuna donna rispettabile avrebbe partecipato. Perché non era che al conte non piacessero le donne. Al contrario. Era un pericoloso libertino. I mariti dovevano stare attenti alle loro mogli quando lui era nei paraggi, anche se si diceva che Marcus non avesse interesse a sedurre giovani innocenti e donne impegnate. Le vedove, ovviamente, erano considerate prede libere.

    Quelli più cinici, o che lo conoscevano meglio, sostenevano che non si curasse delle giovani innocenti per semplice istinto di conservazione. Marcus non voleva assolutamente ritrovarsi intrappolato in un matrimonio con una delle belle vergini che ogni primavera debuttavano in società.

    Ciononostante, a dispetto della sua fama, avvenenza, titolo, fascino e ricchezza facevano di lui uno degli scapoli più appetibili del mercato. Quindi vederlo danzare con lady Hartleigh, una vedova di dubbia reputazione e ben nota ambizione, aveva scatenato ogni genere di congetture tra i presenti in sala.

    La sorella maggiore di lord Rutheford, lady Diana Carlton, seguiva con disapprovazione il volteggiare dei due nel salone.

    «Oh, per amor del cielo!» proruppe seccata e, voltandosi verso Jack Hamilton, seduto di fianco a lei, bisbigliò: «Adesso cosa si propone di fare? Non vorrà sposarla!».

    Hamilton non fece commenti, ma lady Diana conosceva troppo bene il miglior amico di suo fratello per lasciarsi smontare dal suo silenzio.

    «Jack, voi dovete avere idea di quali sono le sue intenzioni. Avete anche una certa influenza su di lui. Dite qualcosa!»

    Hamilton la guardò divertito e ribatté: «Non dite che sono l’unico a influenzarlo, Diana. Dopotutto, voi e lady Grafton siete riuscite a mettergli in testa che è tempo che si sposi. Non è certo un risultato da poco».

    I begli occhi grigi di Diana, così simili a quelli del fratello, mandavano lampi. «Sapete bene che io e zia Regina non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di indurlo a considerare lady Althea Hartleigh come una possibile moglie.»

    «Esatto. Ed è per questo che intendo tenere la bocca chiusa. A meno che Marcus non sollevi l’argomento con me, ovviamente. Se verrà a chiedermi cosa ne penso, gli darò la mia opinione. In caso contrario, baderò ai fatti miei.»

    Erano poche le persone da cui Diana avrebbe accettato una risposta del genere. Jack Hamilton era uno dei privilegiati. «Immagino lo faccia per provocarci. Sapete sino a che punto intende spingersi?» domandò posandogli una mano sul braccio. «Jack, il titolo non deve passare a nostro cugino Aubrey. È una cara persona, ma non è adatto a questa responsabilità. E non la desidera. Marc deve sposarsi. Lo sapete che deve.»

    Hamilton annuì. «Lo sa anche lui. Ma si sposerà solo per avere un erede. Presumo sperasse che Aubrey si sarebbe rivelato all’altezza. Dio solo sa se quel ragazzo è posato, ma tutto quello che vuole è rimanere a Oxford coi suoi libri e i suoi amici. Francamente, se fossi in voi, Diana, lascerei in pace Marc.» Ebbe un attimo di esitazione e proseguì: «La ragione per cui ho una certa influenza su di lui è che... non gli sto col fiato sul collo».

    Lady Diana lo guardò. «Ma...»

    «Lasciatelo in pace, Di. Lo sa che deve sposarsi. Anche senza che voi e lady Grafton gli balziate addosso pretendendo che assicuri subito un erede alla casata.»

    Diana fece una smorfia. «Quelli sono i metodi di zia Regina. Lei preferisce sempre l’approccio diretto.»

    «Mhm. Quello tipo carica di un toro» concordò Hamilton.

    Diana gli rivolse un’occhiataccia, poi sorrise. «Grazie, Jack. I vostri commenti hanno sempre il fascino dell’originalità.»

    «È per questo che sono ancora scapolo» replicò lui con un sorrisetto.

    In quella lord Toby Carlton, il marito di Diana, si unì a loro.

    «Toby, come mai qui? Ballare è troppo faticoso per te?»

    Lord Toby si strinse nelle spalle. «È già un dispendio di energie guardare Marc volteggiare con lady Hartleigh. Per non parlare dei commenti salaci di mia moglie al riguardo.» Rivolse a Diana uno sguardo carico di affetto. Quell’atteggiamento indolente e affettato era solo una posa. Una posa che divertiva tutti, lui incluso.

    Il valzer era finito e Marcus stava scortando la sua compagna alla sala del rinfresco. Osservando la coppia, Jack aggrottò la fronte. Al pari di Diana, non voleva vedere il suo migliore amico gettarsi via con una donna come Althea Hartleigh.

    Era già la sua amante, ne era certo. Se avesse pensato che Marcus l’amava, non avrebbe interferito. Ma desiderava che l’amico trovasse qualcuna che raggiungesse il suo cuore, che penetrasse quel muro di riserbo che lo estraniava dal mondo. Il matrimonio con una donna che lo avrebbe tradito alla prima occasione non era certo auspicabile. L’esatto contrario, semmai.

    Jack si augurò che Marcus venisse a chiedere il suo consiglio. Soltanto in quel caso avrebbe potuto esprimergli le sue riserve e i suoi dubbi.

    L’occasione si presentò la mattina seguente.

    Lord Rutheford, in un elegante abito grigio che metteva in risalto il suo corpo atletico, lasciò il suo palazzo di Mount Street alle nove. Una mezz’ora più tardi Finchman, il maggiordomo di Jack, gli apriva la porta e lo scortava nel salottino privato del suo padrone.

    Jack stava facendo colazione. Gli fece cenno di accomodarsi, quindi terminò il suo tè. «Buongiorno, Marc. Che cosa ti porta qui così presto? Il tuo squadrone di servitori non riesce a prepararti una colazione decente?» Gli occhi che scintillavano, gli versò una tazza di tè e gli mise davanti un piatto di prosciutto.

    Marc allungò le gambe davanti a sé e sorseggiando la bevanda studiò l’amico. «Forza, Jack. Dimmi tutto. Quali sono i commenti?»

    «Commenti? Riguardo a cosa?» ribatté l’altro, cercando di prendere tempo. Poi di fronte all’espressione sconcertata di Marc, esclamò: «Oh, i tuoi progetti matrimoniali! Be’, l’idea generale è che era tempo ti rendessi conto che il tuo studiosissimo cugino non è adatto al titolo né lo desidera».

    «E lady Hartleigh?» chiese Marc, intento. «Che cos’ha detto la mia cara sorella in merito?»

    «Non è esattamente entusiasta dell’idea.»

    «Forse ora avrà capito che deve farsi gli affari suoi. Per non parlare di zia Regina!»

    «Mhm. Può darsi» replicò Jack, dando l’impressione di non condividere affatto il suo ottimismo.

    Marcus sospirò. «Coraggio, parla. Non risparmiarmi nulla.»

    «Vuoi davvero conoscere la mia opinione?» gli domandò, serio. «Penserai che sono pazzo.»

    «Non sarebbe una novità» commentò Marc con un sorrisetto.

    «D’accordo, allora.» Jack trasse un gran respiro e seguitò: «Secondo me, Althea Hartleigh sarebbe la scelta peggiore per te. Non te l’avrei detto, se non me l’avessi chiesto. Ma dal momento che vuoi saperlo... Marc, desideri veramente come moglie una donna che andrebbe a letto con metà degli uomini di Londra, se ne avesse l’opportunità?».

    Marcus si strinse nelle spalle. «Non sono un ipocrita. Per anni me la sono spassata con donne come lei. Per me è sufficiente che abbia il buonsenso di darmi un erede o due prima di divertirsi in giro. Dopotutto ci sono parecchie mogli che tradiscono il marito. E io stesso non ho alcuna intenzione di diventare un monaco solo perché mi sono sposato. Mi sembrerebbe poco carino non accordare anche a mia moglie lo stesso privilegio.»

    Jack sbuffò. «Per amor del cielo, Marc! Pensa al futuro. Vuoi davvero legarti ad Althea per il resto dei tuoi giorni? Non credi che potresti trovare una brava ragazza da amare?» Si accorse della luce divertita che si era accesa negli occhi dell’amico e sorrise con riluttanza. «Ecco, lo sapevo che mi avresti preso per pazzo!»

    «Proprio così» assentì Marcus. «Dimmi, perché dovrei cercare una donna da amare, quando so benissimo che qualunque donna amerebbe solo i miei soldi e il mio titolo?»

    Jack rilevò l’amarezza dell’amico. «Sei ingiusto con te stesso. Perché una donna non dovrebbe amarti per quello che sei?» Fece una pausa e aggiunse: «Come tua madre amava tuo padre».

    Il tono sconfortato divenne ancor più evidente. «Perché sinceramente dubito che si possa ripetere qualcosa del genere. Jack, tutte le donne che ho avuto sinora erano interessate soprattutto al mio portafoglio!»

    Jack rimase in silenzio. In effetti era vero. Ma forse perché Marcus non aveva mai permesso a nessuna di avvicinarsi quanto bastava per vedere al di là delle sue ricchezze. Vedevano solo il conte di Rutheford, cinico e libertino. Poche persone conoscevano Marc Langley, e di certo tra queste non c’era nessuna delle sue amanti. «Devo riconoscere che hai ragione» convenne dunque. «Ma anche se ritieni improbabile un matrimonio fondato sull’amore, potresti mirare a un’unione basata sul rispetto reciproco anziché sul sesso.» Guardò l’amico, poi scosse il capo. «Scusami, non intendevo farti la predica. Serviti dell’altro prosciutto.»

    Marcus si riempì nuovamente il piatto. L’ultimo commento di Jack aveva colpito nel segno. Forse il suo amico aveva ragione. E comunque, sposare Althea solo per far dispetto a Di sarebbe stato assurdo. Mentre mangiava assorto, un altro pensiero si affacciò alla sua mente. Althea era stata sposata per sei anni e non aveva avuto figli. Sarebbe stata pura follia prenderla in moglie con l’idea di mettere al mondo degli eredi, sapendo che poteva essere sterile.

    «Starò fuori città per qualche tempo» annunciò bruscamente. «Diana sa tutto. Il nostro prozio Samuel è morto senza fare testamento, e dato che non ha figli la sua tenuta torna a me. Da quello che ho sentito è in uno stato disastroso, quindi è probabile che io stia via per diverse settimane.»

    Jack annuì. «Lo zio di tuo padre, vero? Quello dello Yorkshire?»

    «Lui, sì. Pare che una parente della prozia Euphemia gli abbia fatto da governante per anni e che lui l’abbia lasciata senza un centesimo; così dovrò provvedere io a sistemarla. Samuel era molto ricco; non capisco proprio perché non abbia pensato lui a garantirle un’adeguata sopravvivenza.» Marcus terminò di bere e si alzò. «Sono passato solo per avvertirti che sarò via per un po’. Parto stamattina.»

    Un sorriso amichevole incurvò le labbra di Jack. «Sono onorato, milord, che vi siate degnato di sedere alla mia povera tavola.»

    «Oh, va’ al diavolo!» Marcus tornò serio. «Jack, terrò in considerazione quello che mi hai detto. Non quelle stupidaggini sul matrimonio d’amore; anche se fosse possibile... non è... non è ciò che voglio. Potresti avere ragione su tutto il resto, però. Grazie. Non credo sia il caso di riferire a Di questa conversazione.»

    «Hai fatto bene a dirmelo. Riferisco sempre le confidenze dei miei amici più cari alle loro sorelle!» ribatté Jack sardonico.

    «Scusami» sorrise Marcus. «Non volevo essere offensivo.»

    Dopodiché si congedò, lasciando l’amico preoccupato e sollevato al tempo stesso. Marcus avrebbe riflettuto sull’opportunità di sposare Althea Hartleigh, pensò Jack, ma il cinismo e il disprezzo per l’altro sesso che aveva lasciato trapelare coi suoi commenti non erano certo premesse per un’unione felice con una donna. Anche se qualcuna si fosse veramente innamorata di Marcus, lui avrebbe trovato il modo di ferirla e farla pentire di averlo avvicinato.

    Con una certa tristezza Jack si chiese se, tutto sommato, Althea non sarebbe stata la scelta migliore per l’amico. Perlomeno con lei Marcus sapeva cosa aspettarsi. Quanto ad Althea, non era tipo che si lasciasse ferire da un uomo.

    C’erano seri motivi alla base del cinismo di Marcus. Ancora adesso, a distanza di vent’anni, non era in grado di parlare della sua adorata madre. Jack scosse mestamente il capo rammentando che donna deliziosa era stata. Poi sospirò. Senza dubbio Marcus avrebbe preso le sue decisioni senza tener conto dei consigli altrui e nessuno avrebbe potuto farci nulla. A meno che, naturalmente, Blaise Winterbourne, l’altro spasimante di Althea, non l’avesse chiesta in moglie prima che lei potesse diventare contessa di Rutheford.

    Ben poche persone erano consapevoli del disprezzo che Marcus nutriva nei confronti di Blaise. Di certo solo una, Jack, era al corrente delle ragioni per cui quell’uomo non piaceva all’amico... e per cui era così deciso a sedurre l’amante di Marcus.

    Tre giorni più tardi Marcus era seduto nella biblioteca di Fenby Hall e si domandava se anche il resto della casa fosse in pessime condizioni come quella sala. I rivestimenti delle poltroncine erano logori, i tendaggi sbiaditi, i vetri delle finestre sporchi e opachi. Quando aveva preso in mano un libro, si era sollevata una nuvola di polvere e gli era rimasta in mano una ragnatela.

    L’unico aspetto positivo di quella stanza era che non aveva l’odore di muffa e di umido che imperversava nel resto della casa. Probabilmente perché era quella in cui lo zio passava le sue giornate; lì il caminetto era sempre stato acceso, mentre le altre sale non erano mai state riscaldate.

    La casa era in condizioni pietose. Tappeti consumati e strappati, tende rammendate, arredi logori. Anche se i mobili erano ben spolverati e i pavimenti tirati a lucido, c’erano ovunque pesanti tracce di decadimento e abbandono.

    Ovviamente il suo prozio per anni si era disinteressato della tenuta. Non erano state apportate migliorie di alcun genere e i salari erano quelli di vent’anni prima. Samuel si era accontentato di vivere di rendita, lasciando che la sua casa e i suoi dipendenti decadessero attorno a lui.

    Marcus era arrivato in tarda serata, quindi non aveva potuto fare il giro della proprietà, tuttavia aveva notato che i dipendenti alloggiavano in dimore che lui si sarebbe vergognato di vedere sulle sue terre. Come diavolo aveva potuto il vecchio lasciare che le cose arrivassero a quel punto? E la signorina Fellowes, la governante, perché aveva permesso che la villa si riducesse in quello stato?

    Marcus non aveva ancora avuto il piacere di incontrarla. Quando aveva fatto domande su di lei, la sera prima, il vecchio maggiordomo, Barlow, gli aveva detto che era a letto con l’influenza,

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