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Il cavaliere d'argento
Il cavaliere d'argento
Il cavaliere d'argento
E-book200 pagine3 ore

Il cavaliere d'argento

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Info su questo ebook

Perché dovrebbe accettare un matrimonio senza amore? Perché, a ventisette anni, è considerata una zitella? Emma è una donna piena di spirito, che non teme di guadagnarsi da vivere. Per evitare un fidanzamento non

desiderato, fugge di casa. Sfortuna vuole che incontri sir Richard Du Quesne, deciso a salvarla da se stessa. Ma come sfuggire a un uomo chiamato "Il cavaliere d'argento"?

Sembra proprio impossibile...
LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2016
ISBN9788858958414
Il cavaliere d'argento
Autore

Mary Brendan

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il cavaliere d'argento - Mary Brendan

    successivo.

    1

    «Niente storie! Tu parlerai con il signor Dashwood e, soprattutto, mostrerai gratitudine e un po' di grazia nell'accettare la sua proposta!»

    Le dita sottili di Margaret Worthington s'erano strette con sorprendente forza attorno a un gomito della figlia.

    «Perdi il tuo tempo, mamma, e quello del nostro ospite.» Il termine fu pronunciato a denti stretti. «Non sposerò mai quello spregevole vizioso!» Detto questo, Emma cercò di liberare il braccio. «Per favore, lasciami.»

    «Non ci penso nemmeno! Se non entri in salotto di tua spontanea volontà, ci entrerai con la mia, o con quella di tuo padre! Il signor Dashwood vuole una moglie docile e dalla indiscutibile virtù. Pura lo sei, ma per quanto riguardo la docilità... Ebbene, dovrà domarti lui, a questo punto! E lo farà di certo, adesso che ha versato duemila sterline sul conto di tuo padre.»

    «Duemila sterline?» esclamò Emma oltraggiata. «Mi avete venduta a quell'uomo disgustoso per duemila delle sue insanguinate sterline?»

    «Non essere così melodrammatica, Emma» sbuffò Margaret. «Una volta che voi due sarete sposati, per noi ci saranno altre sedicimila di quelle sterline insanguinate che tu disprezzi tanto. Una cifra più che sufficiente a coprire i debiti di tuo padre. Come puoi essere tanto testarda ed egoista? Perché sei così decisa a negare una modesta agiatezza ai tuoi poveri genitori nei loro anni del tramonto?»

    Approfittando del momentaneo sbalordimento della figlia, Margaret riuscì ad aprire la porta del salotto con una mano, buttò dentro Emma con l'altra, poi richiuse l'uscio con fermezza e vi si appoggiò contro languidamente, bloccando alla figlia ogni via di fuga.

    A Emma non rimase altro da fare che sollevare il mento e avviarsi verso il gentiluomo, che si era affrettato ad alzarsi in piedi al suo poco aggraziato ingresso.

    «Sono desolata di avervi fatto attendere, signor Dashwood. Purtroppo, temo ci sia stato un malinteso tra i miei genitori e la sottoscritta riguardo alla vostra proposta di matrimonio. Posso solo scusarmene con voi.»

    Emma udì l'ansito inorridito della madre, ma tenne i bellissimi occhi color ambra fissi sul gentiluomo. Represse un brivido notando le palpebre appesantite di lui e i peli scuri che gli spuntavano dalle narici. Ritirò in fretta la mano che lui le stava trattenendo.

    Jarrett Dashwood abbozzò una risatina poco divertita. Un'occhiata tagliente passò da Emma al viso impietrito della madre. «C'è una cosa che ovviamente mi sfugge, signora Worthington. In occasione dell'incontro avuto con voi e vostro marito all'inizio della settimana, mi avete dato a intendere che vostra figlia non solo era disposta ad accettare la mia offerta, ma ne sarebbe stata anche felice e onorata... Questa, credo, sia stata la frase da voi usata. Avete forse un'altra figlia? Una che più si avvicini alla vostra descrizione di una timida zitella avanti con gli anni, con indole mite e... Ah sì, un debole per i frivoli romanzi scritti da Jane Austen?» Storse la bocca in un sorriso. «Ebbene, per parafrasare una celebre frase di quell'autrice, è una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di una buona fortuna debba essere in cerca di moglie. Soprattutto se una parte di detta fortuna è già stata trasferita agli indebitati futuri suoceri.» Il suo volto si indurì. «Dov'è vostro marito, signora? Andate a chiamarlo, per favore.»

    «Mio marito è indisposto, oggi.» La voce di Margaret era un po' ansante. «Vi prego di scusarlo. Vi prego anche di concedermi alcuni istanti sola con mia figlia. Pure lei soffre probabilmente dello stesso malessere. Confusione mentale, forti capogiri...»

    «Davvero, signora Worthington? La cosa mi pare a dir poco bizzarra. Vostra figlia, a differenza del padre, mi sembra eccezionalmente sobria.» Dopo aver fatto arrossire Margaret col suo malcelato sarcasmo, il signor Jarrett Dashwood spostò gli occhi su Emma.

    Istintivamente lei alzò il mento, rifiutandosi di lasciarsi intimidire. Che la squadrasse pure con aria ironica! Che si congratulasse con se stesso per lo scampato pericolo!

    Sapeva bene di non essere mai stata una gran bellezza, neanche quando aveva fatto il suo debutto in società, nove anni prima. Con i suoi insoliti occhi ambrati, i lisci capelli color miele e l'appuntito viso da gatta, non rientrava decisamente nei canoni della bellezza di moda in quegli anni. Sua madre non mancava mai di farglielo notare. Se solo fosse stata rosea e bionda come Rosalie Travis, che era stata corteggiata da molti gentiluomini prima di far cadere la sua scelta su un marchese, o una rossa dalla pelle di luna come Jane Sweetman... Da parte sua, Emma preferiva la perfezione dei capelli corvini e degli occhi grigi della sua più cara amica, Victoria Hardinge.

    Victoria era ora la viscontessa Courtenay, sposata con un uomo che amava, un uomo che la ricambiava con tutto il cuore. Ed era questo che Emma voleva. Con arrogante idealismo, era determinata a non accontentarsi di soluzioni meno favorevoli. E dato che l'unico uomo per cui avesse mai provato un sentimento era povero e ancora legato al ricordo di una moglie morta, lei s'era accontentata della propria vita tranquilla e della compagnia di poche amiche sincere. E aveva sperato che i suoi genitori si fossero rassegnati ad avere in casa una figlia zitella. Invece...

    Accorgendosi del rigido inchino di Jarrett Dashwood, accennò una riverenza di riflesso. Lui si fermò a parlare in toni sommessi con sua madre sulla porta e il rossore imbarazzato della donna si trasformò in un pallore grigiastro. Margaret era ovviamente prossima alle lacrime ed Emma chiuse gli occhi, costernata.

    Capiva ora perché sua madre, negli anni passati, l'avesse incessantemente tormentata affinché lei cercasse sicurezza economica e status sociale nel matrimonio. Era per proteggerla da una situazione drammatica come quella, quando l'unica cosa di valore rimasta al suo irresponsabile marito sarebbe stata la figlia.

    Ma lei meritava qualcosa di meglio di Jarrett Dashwood!, pensò Emma disperata. Le nozze con uno come lui l'avrebbero distrutta. Oh, Dashwood era un bell'uomo, a suo modo. Era tarchiato, sì, ma più muscoloso che grasso. Il suo naso era un po' aquilino e la sua bocca troppo carnosa, ma tutto sommato aveva l'aspetto di un dignitoso gentiluomo sulla trentina. Nessuno, vedendolo, avrebbe immaginato che la sua ricchezza derivasse da estese piantagioni coloniali coltivate da schiavi tenuti in condizioni barbare, né che, in patria, avesse la reputazione di essere un libertino con appetiti sessuali insaziabili e di uomo che picchiava le amanti che lo deludevano.

    Lo scatto della porta che si chiudeva alle spalle di Jarrett Dashwood fece trasalire Emma.

    «Ebbene, signorina, complimenti...» sibilò sua madre. «Sai cosa ci aspetta, ora? Il tuo tanto disprezzato ammiratore ha giurato a tuo padre un soggiorno a tempo indeterminato in prigione per debiti. E per noi due c'è un soggiorno a tempo indeterminato sotto il ponte più vicino. Siamo finiti. Rovinati! Capito?»

    «Mamma, come hai potuto pensare di darmi in moglie a un individuo così odioso?» sussurrò Emma, un tremito nella voce. «Un matrimonio lo accetterei di buon grado, ma con un uomo di mia scelta. Qualcuno che possa quanto meno rispettare, se non proprio amare. Conosci bene la triste reputazione di Dashwood... È uno schiavista, un depravato.»

    «Alcune delle più nobili famiglie del paese hanno fatto la loro fortuna in Giamaica e hanno dei libertini per capostipiti» sbottò sua madre impaziente. «Tu fai troppe storie, Emma!» Margaret sospirò sconsolata, poi il suo tono si fece più dolce, persuasivo. «Come moglie, ti assicureresti una vita dorata. Ti tratterebbe bene. Sappiamo tutti quanto ci tenga alle apparenze. Perché pensi che un uomo come lui abbia deciso di cercarsi una tranquilla zitella? Vuole una moglie virtuosa, di buona famiglia, che non lo imbarazzi cercando distrazioni al di fuori del matrimonio. Una volta che gli avrai dato un erede, ti lascerà in pace. Uno ricco come lui può avere le più belle cortigiane del paese.» Lanciò alla figlia un'occhiata sprezzante. «Dovresti ritenerti fortunata ad avere avuto un'offerta. Sei troppo magra, troppo vecchia. Anche se sembri una goffa adolescente col tuo viso acqua e sapone e i tuoi vestiti abbottonati fino al collo. Suoni bene, certo...»

    «Non credo proprio che Jarrett Dashwood sarebbe invogliato a restare a casa per sentire i miei virtuosismi al piano, mamma.» Emma fece una risatina amara.

    «Meglio! In sua assenza te ne staresti tranquilla a casa con un bambino sulle ginocchia, a leggerti uno di quei romanzi d'amore che ti piacciono tanto.»

    Fu il turno di Emma di lasciarsi sfuggire un sospiro impaziente. «Forse la nostra situazione non è disperata come pensi, mamma. Hai ragione dicendo che il signor Dashwood ci tiene alla sua immagine. Non citerà mai papà per frode. Lo sanno tutti che non è in buone condizioni di salute. Dashwood non vorrà fare la parte di un uomo tanto vendicativo da mandare in prigione un malato senza dargli la possibilità di fare ammenda. Ci concederà un po' di tempo per restituirgli il denaro, vedrai.» Emma si accalorò. «Posso andare a lavorare. Ho studiato abbastanza da poter diventare istitutrice. O trovare un posto come dama di compagnia. O come governante...»

    «Governante?» strillò sua madre, oltraggiata. «Sei stata educata come una gentildonna! Il ballo del tuo ventiquattresimo compleanno ha fatto parlare per mesi e mesi la buona società! Se ti fossi comportata in modo più... più adeguato con i gentiluomini presenti quella sera, saresti sposata da tre anni, e non peseresti più su di noi per il tuo mantenimento.»

    Incapace di contenere oltre la furia o l'amarezza, Margaret strinse le labbra esasperata. Si avvicinò alla figlia rigidamente, come un giocattolo meccanico.

    Mentre passava accanto a un tavolino, qualcosa attirò la sua attenzione. Afferrò il volume rilegato in cuoio e lo guardò con intenso disprezzo. «Tutti questi ridicoli sogni a occhi aperti sull'amore! Non sono più disposta a tollerarli, Emma!» Si concesse una pausa, poi aggiunse: «È una verità universalmente riconosciuta che una figlia testarda ed egoista di ventisette anni si dimostri un peso insopportabile per i suoi genitori. Cara mia, la tua presenza in questa casa non sarà più tollerata!». Il volume di Jane Austen venne scagliato e, con casuale accuratezza, colpì Emma a una spalla.

    Con un gemito di dolore, Emma Worthington si tirò su a sedere sul letto e si portò una mano al grosso livido che aveva sulla clavicola. Chinando la testa, aspettò che il martellare del suo cuore si calmasse e che il ricordo del sogno si facesse meno vivido.

    Cercò la candela sul non familiare comodino e la sollevò, scrutando tra le ombre di quella camera da locanda in cerca di intrusi. Ma erano solo demoni interni quelli che l'avevano svegliata di soprassalto.

    Il sogno le aveva fatto rivivere in modo tanto preciso, tanto reale gli eventi di due giorni prima che aveva avuto l'impressione di trovarsi ancora nel salotto di Rosemary House, ad affrontare il disprezzo di sua madre e la presenza minacciosa di Dashwood.

    Posò la candela e si lasciò cadere contro i cuscini con un sospiro stanco. Pensò a Matthew e sorrise chiedendosi come avrebbe reagito al suo inaspettato arrivo. Dopotutto, loro due non si vedevano da un paio d'anni e lei attendeva ancora una risposta all'ultima lettera che gli aveva spedito sei mesi prima.

    Forse era andata perduta... «Ti prego, mio Dio, fa' che non si sia trasferito...» sussurrò. Dubbi e sensi di colpa serpeggiarono in lei al pensiero dei genitori che aveva appena abbandonato. Erano in ansia? Furibondi? In preda al rimorso? Avrebbe dovuto lasciar loro una lunga lettera, non solo due righe con le quali li pregava di non preoccuparsi... E di non tentare di cercarla.

    Si girò sul materasso troppo cedevole e pensò a un uomo che aveva sepolto il suo cuore con la prima moglie.

    «Ho riposato bene, grazie» rispose Emma alla domanda del locandiere. «C'è movimento, oggi.» Indicò la finestra, da cui si vedeva il cortile affollato.

    L'uomo grassoccio abbassò la voce. «È arrivato un gentiluomo dallo strano nome francese, ieri sera. È in viaggio per Bath con la famiglia. Vi serve altro dalla cucina?» chiese poi giovialmente, impilando i piatti e la tazza di Emma.

    Lei rispose al suo sorriso, scuotendo la testa in segno di diniego. Appena il sole s'era alzato sopra l'orizzonte, aveva rinunciato a ogni tentativo di riaddormentarsi e si era vestita. La padrona della locanda le aveva servito tè e cialde imburrate, aveva rifiutato i suoi soldi e le aveva stretto una mano con fare comprensivo. Emma aveva ingoiato l'orgoglio e s'era rimessa in tasca le preziose monete. E ora, guardando il paesaggio attraverso i vetri impolverati della stazione di posta di Fallow Buck, si chiese il motivo della generosità della donna. Era così ovvio che si trovava in difficoltà? C'era qualcosa in lei che la marchiava come una zitella senza soldi che stava fuggendo da genitori mercenari e da un pretendente inaccettabile?

    Prese la valigia dalla panca di quercia e uscì nella fresca aria di settembre ad aspettare l'arrivo della diligenza col cambio dei cavalli. Era ansiosa di riprendere il viaggio. A quell'ora, sua madre doveva aver trovato già da un pezzo il biglietto che aveva lasciato sul comò.

    Emma dubitava che i suoi genitori l'avrebbero cercata. Non avevano i mezzi né erano tipi da farla seguire da un investigatore. Lei, dopotutto, era una zitella di ventisette anni, non una bambina bisognosa di protezione. Inoltre, sua madre le aveva detto senza mezzi termini che non tollerava più la sua presenza. Forse, per loro, il suo allontanamento da Rosemary House era più un sollievo che altro. Come avrebbero sistemato le cose con l'odioso signor Dashwood era affar loro. Lei non voleva pensarci, tanto meno sentirsi in colpa. Non era stata lei a cacciarsi in quel pasticcio.

    I suoi occhi dorati si fissarono, oltre il polveroso cortile, sui campi di granturco appena raccolto. Anche così spogli, avevano una strana bellezza ai suoi occhi di cittadina. Emma si riempì i polmoni con la fresca aria del mattino, sentendosi stranamente ottimista. Con un sospiro felice, tornò a voltarsi verso la locanda. E il suo passo sicuro si inceppò.

    Qualcosa, nella statura dell'uomo, nella larghezza delle sue spalle, nel suo portamento, le era familiare in un modo inquietante. Eppure, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare perché...

    Una strana sensazione le aveva annodato lo stomaco facendole battere forte il cuore. I suoi occhi passarono dagli impeccabili abiti scuri di lui a una testa di un biondo argenteo, un colore tanto insolito che avrebbe dovuto, da solo, risolvere il mistero.

    Era un ricco, influente gentiluomo. Questo, almeno, era ovvio dal suo aspetto. Emma lo stava fissando con tale assorta intensità che non notò immediatamente

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