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Una nuova vita per la lady
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Una nuova vita per la lady
E-book276 pagine3 ore

Una nuova vita per la lady

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1805.
In seguito alla morte del marito, Lady Emma Lacy ha cercato di provvedere ai suoi due figli come meglio ha potuto.
La proposta di matrimonio che le viene fatta da Lord Huntercombe, un amico del padre deciso a rifarsi una famiglia dopo alcuni sfortunati eventi, sarebbe anche allettante, ma Emma non vuole macchiare la reputazione del marchese a causa delle menzogne in circolazione che la riguardano.
Le cose cambiano repentinamente quando lei viene minacciata dal suocero di perdere la custodia dei due figli. A questo punto il matrimonio rappresenta l'unica soluzione e Hunt non si tira indietro. Una volta celebrate le nozze, la famiglia di Emma sembra essere al sicuro, mentre la vita col marchese rivela inattese e piacevoli sorprese.
Ma qualcuno, a loro insaputa, trama ancora nell'ombra.
LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2018
ISBN9788858984918
Una nuova vita per la lady

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    Anteprima del libro

    Una nuova vita per la lady - Elizabeth Rolls

    successivo.

    1

    Fine ottobre, 1803

    Il quinto Marchese di Huntercombe esaminò, con un sentimento prossimo al panico, la lista che reggeva nella mano. Aveva letto solo i primi nomi, ma era stato sufficiente. Si schiarì la gola. «Letty, questo non è...»

    «Huntercombe.» La sorella maggiore, Letitia, Lady Fortescue, lo mise a tacere con uno sguardo glaciale. «Hai ammesso anche tu che ti devi risposare.»

    Lo chiamava sempre Huntercombe con quel tono, quando voleva rammentargli il proprio dovere. Come se lui ne avesse bisogno.

    «E che si tratta di una faccenda di una certa urgenza» rincarò lei. «La morte di Gerald è stata un disastro.»

    Hunt serrò le mascelle. «Sì, davvero, ma...»

    «Caroline e io abbiamo segnato tutte le ragazze adatte sul mercato.»

    Mercato era decisamente la parola giusta. E ragazze. Rivolse alla lista un'altra occhiata. Letty e la loro sorella Caroline avevano incluso il lignaggio di ciascuna di loro, le relazioni importanti, l'aspetto, i talenti e la dote. Si costrinse a leggere tutti i nomi... «Per l'amor di Dio, Letty!» sbottò a un tratto.

    Fergus, lo spaniel seduto accanto al fuoco, sollevò la testa e girò le orecchie.

    «Cosa?»

    «Chloe Highfield?» Hunt fece segno a Fergus di stare giù, e il cane tornò ad abbassarsi con un sospiro.

    «Bene, certo. Lei è...»

    «La mia figlioccia!»

    Letty ebbe la buona grazia di apparire imbarazzata. «L'avevo dimenticato. Elimina Chloe, allora. Non si può evitare.»

    Eliminare Chloe... Con un'imprecazione strozzata, Hunt raggiunse il camino a grandi passi e consegnò l'intera lista alle fiamme.

    «Giles!» strillò la sorella. «È il frutto di ore di lavoro!»

    «Non ne dubito» replicò lui tra i denti serrati. «Letty, il mese passato mi hai scritto per augurarmi un felice compleanno. Ricordi quanti anni ho?»

    Lei gli rivolse un'occhiataccia. «Io ne ho fatti cinquantasei a marzo, perciò quello era il tuo cinquantesimo compleanno. Anche se non capisco cosa c'entri con tutto il resto.»

    Lui la fissò, incredulo. Cosa pensava potesse farsene, un uomo di cinquant'anni, di una diciottenne?

    Abbandonando il tè, andò accanto alla scrivania e si versò una dose abbondante di brandy dal decanter. Il pensiero di sposare – e portare a letto – una ragazzina che avrebbe avuto solo un paio d'anni più di sua figlia, se lei fosse vissuta, lo faceva sentire vagamente nauseato. Oh, succedeva. Molto spesso. Ma non sarebbe successo a lui. La sola idea lo faceva sentire un vecchio satiro.

    «Giles, le signore in età da marito non languiscono sullo scaffale per anni nell'eventualità che un vedovo di mezza età eserciti un po' di buonsenso» gli fece notare Letty. «Se una donna arriva a trent'anni senza sposarsi dev'esserci una ragione molto buona! Riconosco che sia difficile, ma...»

    «Una vedova.»

    «Cosa?»

    Hunt posò il bicchiere. «Una vedova sarebbe più appropriata» spiegò. «Una donna un po' matura andrebbe molto meglio, per me.»

    «Bene, suppongo sia così, ma è necessario che sia abbastanza giovane da poter avere dei figli!» ribatté la sorella.

    «Trent'anni» suggerì Hunt. «Sarebbe ancora abbastanza giovane.»

    Era ragionevole. Una donna più matura non avrebbe avuto aspettative che lui non era in grado di soddisfare.

    Letty accantonò il suo tè. «Puoi versarmi del brandy.»

    Hunt obbedì, e la sorella ne prese una generosa sorsata.

    «Probabilmente con una vedova non ci sarebbe dote. E potrebbe anche avere dei figli suoi.»

    «Non importa.» La dote di una vedova di solito finiva nelle casse del primo marito, o veniva assegnata ai suoi figli. Ogni appannaggio, nella maggior parte dei casi, terminava in occasione del nuovo matrimonio.

    «Molto bene.» Letty mandò giù un altro sorso di brandy. «Dovrò stendere un'altra lista.»

    Hunt si schiarì la gola. «Penso di riuscire a trovarmi una moglie da solo.»

    Lei buttò giù il resto del liquore. «Ne dubito. Molte vedove non frequentano la società.»

    «Va bene, allora. Ma, per l'amor di Dio, sii discreta.»

    La sorella lo fissò con uno sguardo che avrebbe affondato una nave da guerra. «Vogliamo fingere che tu non l'abbia detto?»

    Tornato in biblioteca, dopo aver accompagnato Letty alla carrozza, Hunt si versò dell'altro brandy e sedette alla scrivania. Schioccò le dita a Fergus, che andò da lui dimenando la coda.

    Quella stanza piena di libri era il suo santuario. Lì poteva starsene da solo, contento per quanto gli era possibile.

    Accanto al calamaio, dove poteva vederla ogni volta che intingeva la penna nell'inchiostro, c'era la miniatura della sua prima moglie, Anne, e dei loro figli – Simon, Lionel e Marianne – e di Gerald, il suo fratellastro. Con un respiro controllato, allungò la mano, la prese e con molta gentilezza la infilò nel cassetto in cui teneva la carta. Quale moglie avrebbe voluto vedere il ritratto di quella precedente sulla scrivania del marito?

    Il ritratto di Gerald a diciannove anni poteva restare, invece, a memento del suo terribile fallimento.

    «Potremmo comprare un vero aquilone invece di pagare la sottoscrizione, mamma» suggerì Harry in tono suadente, forse per la cinquantesima volta. «Non deve essere proprio il mio aquilone, prometto di dividerlo con Georgie, e anche tu puoi usarlo e noi...»

    «No, Harry.» Lady Emma Lacy lasciò la mano di sua figlia Georgie e spinse la porta della libreria Hatchard a Piccadilly. Fece segno a Harry di entrare. «Il tempo per far volare aquiloni è passato.»

    Ottobre era quasi finito, e il tempo si era volto al freddo. Almeno in quel periodo dell'anno la possibilità di incappare in qualcuno che conosceva era scarsa. Alla fine della Stagione Londra si era svuotata del ton. Alcuni sarebbero tornati brevemente per la seduta autunnale del parlamento, ma per ora la città era vuota. Eccetto per – lanciò uno sguardo tagliente sopra una spalla – l'uomo che aveva camminato dietro di loro per tutta la strada da Chelsea. Adesso non era in vista, e lei emise un sospiro di sollievo.

    Si stava comportando da sciocca. Altre persone vivevano a Chelsea. Persone perfettamente rispettabili, perlopiù. Emma aveva incontrato quell'uomo piuttosto spesso, nelle settimane passate, ma conosceva la maggior parte dei suoi vicini, e prima di allora non l'aveva mai visto. Né lui sembrava aver niente da fare, a parte stare semplicemente lì... dove stava lei. Era sciocco, ma non poteva liberarsi della sensazione di essere spiata.

    «Per favore, mamma?»

    Riportò l'attenzione su Harry, facendo appello a tutta la pazienza che le era rimasta. «Alla prossima scadenza metteremo da parte i soldi per un aquilone» promise. «Per Natale.» Sempre che nessun conto inaspettato le ricadesse sulla testa. Aveva considerato di disdire l'iscrizione alla biblioteca, ma i bambini dovevano seguire le loro lezioni, perciò lei aveva bisogno dei libri.

    «Io odio le scadenze.» Scuro in volto, Harry trascinò i piedi oltre la soglia della biblioteca.

    Emma aprì la bocca per dirgli di non consumare le scarpe nuove, poi cambiò idea. Anche lei odiava le scadenze. Odiava doversi sedere e far previsioni per i tre mesi a venire, perché sembrava non esserci mai denaro sufficiente per delle scarpe nuove e un semplice piacere come un aquilone per un bambino di dieci anni. Odiava doversi preoccupare del costo, quando uno dei bambini si ammalava, e più di tutto detestava l'idea che perfino Harry sapesse cos'era una scadenza.

    La lotta per arrivare alla fine di ogni trimestre non era stata così dura quando Peter era vivo. C'era stato più denaro e i bambini erano più piccoli. Georgie si accontentava ancora delle bambole che lei tentava di costruire, ma l'aquilone era fuori della sua portata. Il suo tentativo era finito nel Serpentine.

    Harry aveva bisogno di frequentare ragazzi della sua età, ma al momento la scuola era oltre le loro possibilità. Ancora di più, aveva bisogno dell'influenza di un uomo. Non, come si era espresso suo padre quattro anni prima, per metterlo in riga, ma per essere lì per lui. In qualche modo lei doveva provvedere alla sua educazione e...

    «Quale libro sceglierò, mamma?»

    Emma sorrise a Georgie. «Vediamo cosa c'è, va bene?»

    Hunt ordinò a Fergus di sedere. Lasciò lo spaniel fuori della soglia di Hatchard e poi entrò nel negozio, respirando con piacere l'odore misto di rilegature in pelle, inchiostro e carta. Una delle poche cose che gli mancavano di Londra, quando era in campagna, erano le librerie, e in particolare quella. John Hatchard aveva aperto il negozio solo pochi anni prima ma era presto diventato uno dei suoi preferiti.

    Il giovanotto dai capelli scuri si avvicinò per accoglierlo. «Buongiorno, milord.» Eseguì un leggero inchino. «Ben tornato a Londra. Allora ci avete trovato.»

    «Buongiorno, Hatchard. Sì.» Hunt si guardò attorno. Quando aveva lasciato Londra, alla fine della seduta primaverile del parlamento, il negozio era stato più in là, lungo Piccadilly. «La vostra nuova sede è soddisfacente?»

    Il libraio sorrise a sua volta. «Oh, sì. Mi azzardo a dire che resteremo qui per molto tempo, milord. Posso aiutarvi in qualcosa di particolare?»

    «No, no. Farò giusto un giro nella sala degli abbonati. A meno che non abbiate qualcosa di speciale per me?» Hatchard conosceva la sua collezione bene quasi quanto lui.

    Il sorriso dell'altro si allargò. «A dire il vero, ho una edizione di Milton del 1674. Stavo per scrivervi.»

    Hunt sperò che la sua espressione non lo tradisse. «Paradiso perduto? Sembra interessante.»

    «Ve la porterò. La sala degli abbonati è da quella parte.»

    Hunt tentò di non comportarsi come se il Natale fosse arrivato in anticipo. «Grazie, Hatchard. Non c'è fretta. Chiamatemi quando sarete pronto.»

    Si aggirò per il negozio lanciando un'occhiata a un libro o l'altro. Non conosceva nessuno degli altri clienti.

    Si fermò sulla soglia della sala degli abbonati, dominando un irragionevole fastidio nel trovarla occupata. Una donna vestita di grigio e due bambini erano seduti su un'ampia poltrona di pelle. La bambina stava accoccolata in grembo alla donna, e il maschietto più grande era appollaiato su un bracciolo, occupato a dar calci al fianco della poltrona.

    Un'istitutrice e i suoi alunni, suppose Hunt. Il ragazzo sollevò lo sguardo, esaminandolo con sfrontati occhi blu. Leggermente sconcertato, lui chinò il capo. «Buongiorno.» Una fitta di dolore l'attraversò. Simon aveva avuto quello stesso sguardo diretto e sicuro.

    Gli occhi del ragazzo si spalancarono. «Oh. Uhm... Buongiorno, signore.»

    La donna sollevò di scatto lo sguardo dal libro, e Hunt dimenticò il ragazzo. Due profondi occhi blu incontrarono i suoi. Il suo respiro si bloccò e lui si tese, sconcertato dall'inaspettato e indesiderato calore nelle sue vene. Le labbra della donna si schiusero, e per un istante Hunt pensò che avrebbe parlato, ma poi, con un semplice cenno, lei riportò l'attenzione sul libro.

    Hunt si costrinse a girarsi verso le scaffalature. Tutto quello che vide fu un paio di occhi color cielo notturno in un volto pallido. Digrignò i denti, lottando contro la sconvolgente sensazione di calore. Per l'amor del cielo! Aveva cinquant'anni, non era un adolescente che si emozionava per un'attrazione inaspettata. E non corteggiava le istitutrici, dannazione!

    Sebbene... no. La somiglianza con il ragazzo era evidente. Era la loro madre, il che significava che era sposata. Rispettabilmente, anche, a giudicare dall'abito e dal fatto che teneva i bambini con sé invece di affidarli a un'istitutrice. La sua memoria si agitò. Aveva già visto quegli occhi. Non si trattava solo di un'indesiderata fiammata di attrazione. L'aveva già conosciuta?

    Iniziò a girarsi, poi si fermò. Lei non aveva sorriso, né dato alcun segno di incoraggiamento. Quando una signora mostrava chiaramente che non desiderava manifestare di conoscere qualcuno, un gentiluomo l'assecondava. Il Marchese di Huntercombe non abbordava strane femmine nelle librerie.

    «Harry?» La donna parlò con fermezza. «Vogliamo prendere Mr. Swift, questa settimana?»

    Al suono della voce musicale, di nuovo la sua memoria si agitò.

    «Non mi importa.»

    Hunt pensò che le parole suonassero molto come: Non mi interessa. Sorrise. Comprensibile che un ragazzo preferisse stare fuori con gli amici a giocare a cricket piuttosto che scegliere libri con la madre e la sorella. I suoi ragazzi erano stati uguali.

    «Georgie, hai preso quello stupido libro il mese scorso!»

    «Harry.» La voce della madre restò tranquilla, ma conteneva abbastanza acciaio da far tremare un uomo adulto, per non parlare di un ragazzino.

    «Be', l'ha preso, mamma. Perché non può scegliere un libro giusto, se proprio dobbiamo venire qui? Le favole sono per i bambini piccoli.»

    «Io non sono una...»

    «Georgie!» la redarguì la madre, prima di ammonire il figlio: «Non ho notato che tu abbia scelto un libro, Harry».

    Il tono secco zittì la bambina e fece trasalire Hunt. Il ragazzo stava scherzando col fuoco.

    «Io ho scelto Mr... Mr. Swift.»

    «No. Io l'ho suggerito e tu hai detto che non ti importava. Non è come scegliere.»

    Un attimo di silenzio imbronciato. «Be', io preferirei avere un aquilone» dichiarò il bambino, «non uno stupido abbonamento a una libreria.»

    «Harry...»

    «Lo so! Perché lei è stata malata e ha avuto bisogno del dottore e di un mucchio di medicine, io non posso avere un aquilone.»

    «Non è stata colpa mia!» insorse la bambina. «Tu mi hai attaccato quell'orribile raffreddore.»

    «Sì, ma io non ho avuto il dottore, perché non sono una stupida ragazza! Ahi!»

    «Georgie! Non colpire tuo fratello. Sai che non può reagire.»

    «Non mi importa! Lui mi ha attaccato il raffreddore, e io non sono stupida.»

    «Perfetto.»

    Al rumore di tafferugli, Hunt si girò e vide la donna sollevarsi dalla poltrona, mettendo a terra la bambina con gentilezza, nonostante l'evidente collera. Nell'incontrare il suo sorriso divertito lei arrossì, poi radunò i libri e andò verso gli scaffali. Lo sguardo di Hunt si concentrò sulla figura snella, colpito dall'inconsapevole grazia della sua camminata.

    «Mamma?»

    «Mentre rimetto a posto i libri, voi potete scusarvi con Sua Signoria per averlo disturbato.»

    Il che lo distrasse dalle sue fantasie. Se sapeva che lui era un nobile, allora non si era sbagliato, la conosceva.

    «Posso avere il mio libro di favole?»

    Nella voce della bambina c'era una traccia di pianto. Il ragazzo si girò verso di lui, la faccia rossa, e spinse avanti la sorella.

    «Cosa? È tutta colpa... Oh.» La piccola tacque e guardò Hunt. «Sono molto spiacente, signore.»

    Aveva ancora una pronuncia leggermente blesa, incantevole. Lucenti occhi marroni, con un residuo di lacrime di rabbia, lo fissarono da un volto incorniciato da riccioli castani. Per un momento lui vide un'altra bambina furiosa con il fratello più grande.

    «Molte scuse, signore.» Il ragazzo era rigido dall'imbarazzo.

    Hunt guardò la coppia e annuì. «Accettate. Ma...» Trattenendo lo sguardo del ragazzo, con volto severo indicò la schiena della donna, che stava mettendo in ordine i libri. «Nessun gentiluomo si comporta male con sua madre.»

    Il ragazzino si morse il labbro, ma squadrò le spalle e si fece avanti. «Mamma? Mi dispiace di essere stato brusco. Per piacere, lascia che almeno Georgie abbia il suo libro di favole. È stata colpa mia. Non avrei dovuto provocarla.»

    La donna si girò, e Hunt vide una profonda stanchezza nel suo volto. E qualcos'altro che riconobbe: amore, incrollabile amore per il figlio. «No, non avresti dovuto.»

    «Io... io posso fare a meno del pudding.»

    Il sorriso della donna parve sul punto di frantumarsi, e Hunt fu acutamente consapevole del desiderio di fare qualcosa, al riguardo, di alleggerire qualsiasi peso la gravasse.

    «Preferirei che scegliessi un libro e promettessi di leggerlo.»

    «Sì, mamma. Sono davvero spiacente.»

    Lei gli arruffò i capelli, e il suo sorriso fece dolere il cuore di Hunt. «Lo so. Vai adesso. Scegli il tuo libro.»

    «Forse potrei essere di aiuto?» L'offerta venne pronunciata prima che Hunt se ne rendesse conto.

    La donna si irrigidì. «È molto gentile da parte vostra, signore, ma non è necessario.»

    Lui decise di smettere di lambiccarsi il cervello. «È molto imbarazzante, ma non riesco a rammentare il vostro nome, ma'am. Ci siamo già incontrati, vero? Io sono Huntercombe, lo sapete.»

    «Sì, lo so. Mi sorprende che vi ricordiate di me, milord. È stato anni fa. Grazie per aver accettato le loro scuse.»

    Lui sorrise. «Penso che foste più infastidita voi di me. Non pensateci.» Così la conosceva, anche se dai suoi vestiti era chiaro che non frequentava la società. Aveva evitato di ricordargli il suo nome. Forse un tempo era stata davvero un'istitutrice.

    La bambina, Georgie, avanzò e fece scivolare la mano in quella della madre. «Eravate un amico di papà, signore?»

    Hunt sorrise. «Non ne sono certo. Vostra madre e io stavamo...»

    «Lui era Lord Peter Lacy» lo interruppe la bambina. «Io sono Georgiana Mary, e lui è Harry.»

    «Georgie, dolcezza.» La madre prese di nuovo il libro di favole e glielo tese. «Prendi il tuo libro e siediti a leggere.»

    «Sì, mamma.»

    Lord Peter Lacy. Il figlio minore del Duca di Keswick. Non era sicuro di quale figlio minore: Keswick e la sua duchessa erano stati prolifici, benché un paio dei loro figli fossero morti di recente. Lord Peter si era sposato con la disapprovazione di suo padre ed era stato bandito dalla società. Ricordò di aver sentito qualcosa, ma all'epoca era stato immerso nel dolore e non ci aveva badato molto. Chi aveva sposato? La memoria finalmente lo aiutò.

    «Lady Emma Lacy» affermò. «Certo. La figlia di Dersingham.» I ricordi affiorarono, vaghi. Lei era stata Lady Emma Brandon-Smythe. Anche Dersingham era stato furioso. L'unione non era stata brillante per nessuna delle due parti, ma del tutto rispettabile. Keswick e il Conte di Dersingham avevano obiettato solo per il loro odio reciproco.

    «Sì.»

    «Lui sta bene? Non lo vedo dalla seduta di primavera.» Non che avesse tentato. Il conte non gli piaceva affatto.

    «Credo di sì, milord.» Il sorriso educato non alleviò granché la stanchezza nello sguardo della donna. «Se ora volete scusarmi, devo finire di scegliere i nostri libri.»

    «Certo, ma'am.» Con un cenno del capo, Hunt arretrò. La bambina si era riferita a suo padre al tempo passato e, dato che Lady Emma era vestita di grigio, ciò significava... Trasse un profondo respiro e fece un balzo nell'ignoto. «Sono stato molto spiacente di sentire della morte di Lord Peter, Lady Emma.» Dopo il matrimonio Lord Peter aveva abbandonato del tutto la società, e lui non aveva neppure saputo della sua morte, ma ricordava che era stato un uomo perbene, con ben poco dell'arroganza di Keswick.

    «Grazie, milord.» L'inconfondibile ombra negli occhi di lei gli era familiare. L'aveva vista nel proprio specchio abbastanza a lungo.

    «Mamma? Ho preso questo» annunciò Harry brandendo tre volumi.

    Hunt abbassò lo sguardo sul ragazzo e quasi si strozzò alla vista di questo. «Mmh... Piuttosto noioso, penso» osservò, liquidando le selvagge stravaganze de Il monaco. Neppure l'autore poteva considerare la sua storia, in cui un monaco stuprava e uccideva la propria sorella, appropriata a un ragazzo di dieci anni.

    «Noioso?» La faccia di Harry si allungò.

    «Sì. Terribilmente.» Con gentilezza rimosse i volumi dalle sue mani. «Posso consigliarti I viaggi di Gulliver di Swift? Molto eccitante. Ti piaceranno i cavalli parlanti.»

    «Cavalli parlanti? Grazie, signore.» Harry guardò la madre. «Prenderò quello, allora.»

    «Bene.» La voce di Lady Emma suonò un po' tesa. «Grazie» aggiunse a voce bassa, in cui si avvertiva un riso soffocato, mentre il ragazzo tornava presso gli scaffali. «Non glielo avrei lasciato leggere, ma...»

    «Forse era più accettabile, venendo da me?» suggerì lui. Com'era graziosa quando i suoi occhi danzavano in quel modo. Come il mare vicino alla sua casa in Cornovaglia. Un uomo sarebbe potuto annegare in occhi simili...

    La bocca della donna tremò.

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