Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'enigma del Graal
L'enigma del Graal
L'enigma del Graal
E-book591 pagine7 ore

L'enigma del Graal

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Gli eredi segreti di Gesù e Maria Maddalena

Dopo La linea di sangue del Santo Graal continua l'affascinante indagine di Laurence Gardner sulla storia segreta dei discendenti di Gesù Cristo

Tanto è stato scritto sul matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena, sulla figura del Cristo, sui figli che lui e Maria Maddalena avrebbero avuto. Ma qual è la verità?
L’enigma del Graal è il primo libro che risponde a questa domanda con straordinaria precisione, utilizzando nuove carte genealogiche e ricostruendo 600 anni di una stirpe che da loro discende. La chiave dei misteri che avvolgono Gesù e la sua dinastia è custodita negli archivi segreti del Vaticano, in alcuni manoscritti risalenti al II secolo, che parlano di una donna di nome Maria Maddalena, sposa di Gesù. Secondo questi stessi documenti gli eredi di Gesù avrebbero avuto un ruolo di grande rilievo sotto l’Impero romano e sarebbero stati perseguitati dopo la sua crocifissione. Ma quattro secoli dopo, dai Vangeli sarebbero stati rimossi tutti i riferimenti al matrimonio con la Maddalena, e qualsiasi informazione relativa all’importanza delle donne, di fatto “espulse” dai ruoli fondamentali della Chiesa. Come è potuto accadere?
Scritto da uno dei maggiori esperti sull’argomento, L’enigma del Graal esplora il mistero sugli eredi di Gesù e su come sia stata portata avanti la loro discendenza. Un enigma affascinante su cui la Chiesa non ha mai voluto far luce.


Laurence Gardner

membro della Società degli Antiquari della Scozia, è uno storico del diritto che ha scritto libri per le autorità governative britanniche, russe e canadesi. Ha ricoperto la carica di priore della Sacred Kindred di St Columba, e dei Cavalieri Templari di St Anthony. È attivo in campo sia artistico che musicale, è un genealogista di famiglie reali e di cavalieri di fama internazionale e Storiografo Reale Giacobita. Di Gardner la Newton Compton ha pubblicato I segreti dell’arca perduta, I segreti della massoneria, La linea di sangue del Santo Graal e L'enigma del Graal.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854132610
L'enigma del Graal

Correlato a L'enigma del Graal

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Storia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su L'enigma del Graal

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'enigma del Graal - Laurence Gardner

    Parte prima

    Gli scritti proibiti

    e gli eredi di Gesù

    1

    La creazione

    del Nuovo Testamento

    Il Gesù storico

    Dicono che la storia sia scritta dai vincitori e in parte è vero. Spesso gli invasori riscrivono quella delle nazioni conquistate e molte dinastie reali hanno riveduto le vicende dei loro predecessori, escludendo testimonianze precedenti. Vi sono, tuttavia, molti esempi in cui coesistono storie parallele, in particolare quelle che registrano episodi di conflitti e battaglie. Esiste una versione inglese della battaglia di Bannockburn, del 1314, e una versione scozzese alternativa della medesima battaglia; c’è una storia inglese della battaglia di Agincourt, del 1415, e una francese diversa. Opposte fazioni hanno fatto descrivere il proprio punto di vista di un particolare avvenimento.

    In gran parte, i racconti storici dipendono dall’identità dei loro autori, che possono aver partecipato o essere stati testimoni oculari, o, in alternativa, del tutto lontani dagli eventi, e forse vissuti in epoca successiva. A ogni modo, la storia non rappresenta gli eventi del passato; essa rappresenta le testimonianze di quegli eventi ed esse variano a seconda della prospettiva, dell’interesse e dell’interpretazione individuale¹.

    Non sempre la storia scritta può considerarsi un fatto dimostrabile e più tempo trascorre dall’evento in questione più esso diventa difficile da provare. Spesso la storia deriva da singola documentazione testuale e, se essa è parte della cultura accademica, l’accettiamo senza metterla in dubbio. Ma grazie a nuove scoperte il quadro può cambiare: anche i resti archeologici sono la testimonianza di eventi passati e spesso negli archivi si possono trovare testi e artefatti mai catalogati prima e fino ad allora sconosciuti. A volte la tradizione storica viene sovvertita da queste scoperte rivelatrici, ma molto spesso esse vengono ignorate perché in conflitto con verità dogmatiche ormai consolidate.

    In questo contesto, le scritture bibliche sono testimonianze di eventi passati, come qualsiasi altro documento e sono quindi considerate storia. Tutt’altra questione è se siano corrette o del tutto reali. Il Nuovo Testamento, di cui tratta L’enigma del Graal, è una raccolta di documenti cristiani e gli studiosi concordano nell’affermare che questi Vangeli canonici vennero scritti qualche decennio dopo gli avvenimenti narrati.

    Se i Vangeli sono di origine specificatamente cristiana è evidente invece che i Romani non si siano riferiti a Gesù e ai suoi apostoli in termini necessariamente positivi, come infatti dimostrano gli Annali di Tacito, in cui la missione di Gesù viene definita una «pratica vergognosa». Gli Annali collocano Gesù nella storia al di fuori del ritratto cristiano e in questo stesso modo l’esistenza reale di Cristo in quell’epoca viene confermata da un documento parallelo dei suoi nemici, la cui percezione del personaggio era completamente diversa da quella degli autori dei Vangeli. Negli annali romani i suoi seguaci sono definiti «notoriamente depravati» e la sua fede «micidiale superstizione». La sua condanna a morte da parte del governatore della Giudea, Ponzio Pilato, è documentata nella storia romana del I secolo oltre che nei Vangeli².

    Nei testi ebraici, Gesù è anche menzionato due volte nelle Antichità giudaiche. Redatta intorno al 92 d.C., questa cronaca riferisce che Gesù iniziò la sua predicazione durante il regno di Tiberio Cesare, tra il 26 e il 35 d.C. quando Governatore romano a Gerusalemme era Pilato. Essa colloca quindi fermamente Gesù nel tessuto storico dell’epoca, senza però fare alcuna menzione della sua divinità. Raccontando della nascita del movimento cristiano, il testo ebraico fa riferimento a «Giacomo, il fratello di Gesù che era chiamato Cristo». Questo conferma gli Annali romani che identificano ugualmente Gesù con il Cristo (dal termine greco christos, re)³.

    In un altro passaggio delle Antichità, Gesù è definito «un uomo saggio e un maestro [...] che attirò a sé numerosi ebrei oltre a molti gentili». La cronaca afferma inoltre che «quando Pilato, su consiglio dei nostri capi, lo condannò alla crocifissione, coloro che lo avevano amato sin dal primo momento non lo abbandonarono»⁴.

    Riassumendo, c’è una documentazione testuale certa, sia romana che ebraica che cristiana, che attesta che Gesù era presente in Giudea durante il regno dell’imperatore Tiberio, che era un maestro con un cospicuo seguito, che era considerato il Cristo e che fu condannato a morte da Ponzio Pilato.

    Un canone ibrido

    Dal IV secolo in poi, il cristianesimo divenne la religione ufficiale di Roma e venne fondata la Chiesa cattolica (la Chiesa di Roma). Furono apportati molti cambiamenti per adeguare la «micidiale superstizione» alle esigenze dell’impero, ma a questo punto è utile considerare le opinioni divergenti che gli stessi cristiani avevano sulla loro fede. Dall’epoca in cui gli apostoli e i discepoli originari avevano iniziato le loro missioni al di fuori della Giudea, il cristianesimo si era evoluto in modi spiccatamente diversi nei vari Paesi. Dal punto di vista geografico si spaziava dalla Siria, l’Asia Minore (sostanzialmente l’odierna Turchia), la Grecia, il Nordafrica alla Gran Bretagna, la Francia e, naturalmente, Roma. Vi erano così tanti gruppi e movimenti regionali che è difficile definire l’esatta natura del cristianesimo dell’epoca, se non dicendo che, in un modo o nell’altro, era incentrato sulla predicazione di Gesù.

    Vi erano capi della missione in ogni paese, ma gli sforzi non erano molto ben coordinati e quando si riunivano, non sempre si trovavano d’accordo su tutti gli aspetti della loro religione. Ciò accadeva perché in ogni regione venivano esibiti, o preferiti, documenti diversi e le varie strutture della fede si incentravano su aspetti differenti. Ad esempio, alcuni vedevano in Gesù il figlio di Dio, altri lo consideravano un messia terreno, mentre altri ancora lo credevano un profeta intuitivo. Alcune fazioni difendevano l’idea della nascita verginale, mentre altri la negavano assolutamente, e vi erano costanti dissensi sulla misura in cui il giudaismo di Gesù avesse influenzato il cristianesimo. Alla fine la Chiesa di Roma raggiunse un’unanimità, che nacque dal confronto di questi contrasti per creare un canone dottrinale e un insieme di regole comuni della fede. I vescovi e i capi che non concordavano con le decisioni prese vennero messi in riga o esclusi dal sedicente movimento ortodosso.

    In sostanza, ciò che emerse fu una religione basata sulle opinioni dei più importanti Padri della Chiesa e su un minimo di compromesso. A essa si amalgamarono vari aspetti di credo pagani per facilitare la conversione dei non cristiani dell’impero. Difficile dire se il nuovo cristianesimo che ne risultò fosse buono o cattivo. Ma in ogni caso, per molti aspetti, lo stesso Gesù avrebbe stentato a riconoscerlo.

    I primi anni

    Secondo il Nuovo Testamento, Gesù iniziò la sua predicazione nell’anno 29 d.C. – «nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare» (Lc 3, 1) – e venne condannato alla crocifissione nel 33. Il movimento religioso che scaturì dai suoi insegnamenti assunse il nome di cristianesimo undici anni dopo ad Antiochia, in Siria⁵. Per diverse generazioni i cristiani furono perseguitati in tutto l’Impero Romano. Poi, nel 313, l’imperatore Costantino allentò la pressione e successivamente proclamò il cristianesimo nuova religione di Stato di Roma. In seguito, nel 397, i libri selezionati per il canone neotestamentario vennero confermati dai vescovi della Chiesa emergente, che aveva assunto il nome di cattolica (il cui significato è universale).

    Il lasso di tempo fra la crocifissione di Gesù e la scelta definitiva dei testi canonici fu di 364 anni. Come se dal 2006 si risalisse indietro nel tempo al 1642, quando in Inghilterra regnava Carlo I Stuart. In quell’anno Galileo moriva in Italia e Georgeana (odierna York, nel Maine) diventava la prima città regolarmente costituita d’America, 133 anni prima della guerra d’indipendenza. Se Gesù fosse stato crocifisso nel 1642, il 2006 sarebbe l’anno equivalente alla conferma del Nuovo Testamento.

    Durante i primi secoli del cristianesimo si produssero innumerevoli opere letterarie per promuovere e sostenere la nuova fede, ma alla fine vennero approvati dai vescovi cattolici solo ventisette documenti, che peraltro, prima di essere considerati del tutto idonei, furono sottoposti a un’opera di revisione e correzione. Questi testi, ormai a noi familiari, servivano a presentare un’immagine divina e ambigua di Gesù che corrispondeva alle esigenze della nuova Chiesa di Roma, ma così facendo i vescovi riuscirono a sovvertire e sconvolgere molte convinzioni dei primi cristiani. In questa nuova versione della fede, l’umanità di Gesù e l’elemento femminile della sua missione vennero inglobati da un settore ecclesiastico del regime imperiale.

    Per fortuna sono ancora accessibili numerosi documenti cristiani redatti tra il tempo di Gesù e l’epoca di Costantino. Grazie a essi è possibile stabilire l’aspetto originario del cristianesimo. L’opinione ufficiale della Chiesa è che la maggioranza di questi testi non può considerarsi autentica perché non approvata dal concilio del 397⁶. Il fatto che i primi cristiani considerassero idonei i loro documenti fu ignorato: poiché Gesù era un ebreo nazareno e non aveva seguito le leggi di Roma anche la sua originaria religione non era autentica!

    Si creò quindi una situazione in cui il nuovo cristianesimo rivisto e corretto non si fondò grazie a Gesù, ma quasi suo malgrado. Il nuovo regime annullò di fatto il fine stesso del cristianesimo, che era di una comunità sparpagliata in varie regioni. Per lungo tempo gli imperatori erano stati venerati alla stregua di divinità in terra e, in questo senso, la figura di Gesù aveva costituito un’importante sfida per Costantino (312-337). Egli sottolineò ai cristiani come fosse stato lui ad assicurarne la libertà nell’impero, e come quindi lui, e non Gesù, dovesse considerarsi il vero salvatore della fede. I cristiani delle scuole originali si trovarono perciò a dover scegliere tra la libertà e la persecuzione. Di conseguenza, i loro antichi ideali vennero in gran parte abbandonati, offerti su un piatto d’argento per essere divorati dagli avversari romani di Gesù. Il cristianesimo non fu più un modus vivendi basato sugli insegnamenti di Gesù; era diventato una religione istituzionalizzata governata dalle dottrine della Chiesa.

    Questione di date

    Nonostante i pareri divergenti, in linea di massima i teologi ritengono che il primo Vangelo del Nuovo Testamento a essere redatto fu quello di Marco. Si suppone sia stato scritto circa nel 66 e dovrebbe quindi contenere i più antichi riferimenti cristiani a Gesù.

    Più della metà dei libri del Nuovo Testamento è costituita da lettere attribuite a san Paolo. Altri due sono lettere di san Pietro, mentre altri sono lettere ascritte a Giacomo, Giovanni e Giuda. In tutto, ammontano a ventuno libri su ventisette del canone. Tuttavia, a prescindere da Giacomo, Giovanni e Giuda, sappiamo dagli Annali che alcuni esponenti di punta dei cristiani furono giustiziati a Roma dall’imperatore Nerone nel 64⁷. È in quel momento che la tradizione cattolica colloca le esecuzioni di Pietro e Paolo: due anni prima della presunta stesura del Vangelo di Marco. Le conclusioni possibili sono che: a) su questo punto la tradizione cattolica non sia corretta; b) Marco è stato datato erroneamente; c) le lettere di Paolo e Pietro sono più antiche del Vangelo di Marco, oppure d) queste lettere sono spurie o erroneamente attribuite. L’elemento più sconcertante è che in realtà non sappiamo chi scrisse le lettere, né i quattro Vangeli canonici. Conosciamo solo i nomi di coloro a cui sono stati attribuiti.

    L’attribuzione più autentica sembra quella del Vangelo di Luca. Ma Luca non è menzionato né come apostolo di Gesù né come ebreo della sua cerchia più stretta. Luca era un medico siriano di Antiochia che scrisse la sua cronaca della vita di Gesù intorno all’80⁸. È anche ritenuto autore degli Atti degli Apostoli, dove si riscontrano molte similitudini letterarie e linguistiche. Non ultime le prefazioni del Vangelo e degli Atti indirizzate entrambe a un certo Teofilo⁹.

    Nonostante le prove che suggerirebbero una paternità comune di questi due libri neotestamentari, è solo un’ipotesi che l’autore sia Luca perché in nessuno dei due testi vi è una menzione in tal senso. Sappiamo, però, che l’autore non scriveva per esperienza diretta della predicazione di Gesù, ma basandosi sulla tradizione, come egli stesso afferma all’inizio del Vangelo:

    Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io [...] di scriverne un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto¹⁰.

    È chiaro, quindi, che l’autore stava scrivendo un racconto di seconda mano tramandatogli da altri da lui definiti testimoni. Si ritiene comunemente che la fonte di Luca fosse Marco – o almeno il Vangelo di Marco, gran parte del cui contenuto è presente nel Vangelo di Luca –, ma dagli elenchi biblici sappiamo che neanche Marco era stato un apostolo di Gesù, né un testimone della sua predicazione.

    Quanto a Marco, il Vangelo attribuito a Matteo contiene numerosi versetti presenti in Marco. Quindi, o Marco è il testo principale o tutti e tre i Vangeli derivano in modo indipendente dalla medesima fonte originale. Poiché il Vangelo di Matteo è stato verosimilmente scritto qualche decennio dopo la crocifissione di Gesù, si ritiene comunemente che il suo autore non sia stato l’apostolo Matteo di cui porta il nome¹¹.

    In ogni caso, sono tutte ipotesi. Quale che sia il Vangelo più antico, Matteo, Marco e Luca presentano somiglianze tali da essere definiti i tre Vangeli sinottici (dal greco syn-optikos, [visto] con lo stesso occhio). Ed è così anche se per molti versi non coincidono e se ciascuno contiene brani che non sono presenti negli altri. Sulla base dello stile, l’opinione unanime è che Marco (il più breve dei tre) sia stato scritto sicuramente per primo e che Matteo e Luca siano stati in parte copiati da Marco e in parte comprendano ulteriori informazioni ricavate da qualche altra fonte. Discuteremo le analogie e le discrepanze più avanti, quando esamineremo più in dettaglio i Vangeli sinottici e il Vangelo di Giovanni, che ha un’origine chiaramente distinta.

    Testi antichi

    A dispetto della tradizione e di tutte le opinioni degli studiosi sulla paternità e la datazione dei Vangeli canonici, la realtà è che non esiste neanche un manoscritto originale da poter analizzare. I primi testi canonici completi sono datati al IV secolo e sono considerati copie di originali più antichi, ma questo non è dimostrabile se non tramite prove indirette.

    Esistono inoltre vari altri Vangeli e scritti cristiani datati al II e al III secolo e, nonostante questi documenti siano precedenti ai più tradizionali testi canonici ancora esistenti, anch’essi sono storicamente considerati copie di originali molto più antichi. Alla luce di tutto ciò, è difficile comprendere come la Chiesa, in assenza di qualsiasi conferma, si ostini a sostenere che i suoi testi selezionati e approvati siano più autentici degli altri. Forse i Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono davvero più antichi di quelli di Pietro, Tommaso, Filippo e altri, ma potrebbe anche non essere così. Il fatto degno di maggior nota è che tutti questi singoli scritti rientravano nell’uso cristiano prima che fosse redatto il Nuovo Testamento e che, storicamente parlando, essi sono una prova ugualmente valida delle credenze e pratiche cristiane nel periodo precedente l’intervento romano.

    La più antica raccolta biblica conservata nella Biblioteca Vaticana risale a non prima del IV secolo ed è nota col nome di Codice Vaticano (Codex Vaticanus)¹². Questi manoscritti, in greco, sono rilegati in una serie di 759 fogli in papiro che presentano due o tre colonne di scrittura per pagina. Inoltre vi sono trenta fogli dubbi di epoca successiva che vennero aggiunti nel Cinquecento in sostituzione di alcuni andati perduti nella raccolta originale. Si è a lungo discusso sulle origini del Codice Vaticano, ma l’opinione più diffusa è che sia stato realizzato in Egitto¹³.

    Una sorprendente scoperta che emerge da quest’opera riguarda il Vangelo di Marco. Sebbene Marco sia generalmente considerato il modello sinottico di Matteo e Luca, questa versione più antica di Marco è un po’ più breve del testo che ci è ormai familiare. Il Vangelo del Codice Vaticano si conclude al capitolo 16 versetto 8, laddove la versione canonica di Marco prosegue per altri dodici versetti. Questo è il passaggio che si riferisce alla resurrezione e all’ascensione di Gesù dopo la crocifissione. Si ritiene ormai comunemente che questi versetti finali siano delle aggiunte spurie e sappiamo che ciò avvenne prima del 339, poiché il Padre della Chiesa Eusebio di Cesarea (morto in quell’anno) scrisse che non li riteneva autentici¹⁴.

    Un altro testo del IV secolo in cui mancano i versetti aggiunti di Marco è il Codice Sinaitico (Codex Sinaiticus). Contemporanei del Codice Vaticano, questi manoscritti molto frammentari vennero scoperti nel monastero di Santa Caterina sul Sinai, in seguito a una serie di ritrovamenti alla fine dell’Ottocento, e sono ora conservati a Londra al British Museum. Anche questi testi sono scritti in greco, ma diversamente dai fogli del Codice Vaticano, sono su pergamena ed è ignoto il luogo di origine¹⁵.

    Una caratteristica importante del Codice Sinaitico è che in molti casi il testo differisce dalla contemporanea edizione del Codice Vaticano. La Catholic Encyclopedia afferma che «non può derivare dallo stesso antenato diretto»¹⁶, quindi, in entrambi i casi, ci troviamo di fronte a interpretazioni del IV secolo di documenti più antichi, e non a copie esatte. È chiaro che si producevano scritture bibliche con interpretazioni differenti per le diverse regioni culturali e fu solo alla formulazione del canone cattolico che il Nuovo Testamento assunse la forma a noi familiare.

    Nella Prima Lettera di Paolo ai Corinzi c’è un interessante riferimento al «Vangelo» da lui predicato¹⁷ e nella stessa epistola vi sono diversi esempi in cui egli presuppone una conoscenza di eventi contenuti nei Vangeli canonici. Se, secondo la datazione comunemente accettata di questi documenti, Paolo predicò prima che i Vangeli fossero scritti, allora chiaramente esisteva un’altra fonte a cui egli attinse. Il termine Vangelo ha origine dal greco eu-aggelos (buona novella), il che farebbe supporre che Paolo potesse far riferimento a una tradizione orale più che a un Vangelo scritto.

    Molte massime di Gesù – riportate nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca – vengono ripetute parola per parola, fin negli elementi tra parentesi¹⁸. Inoltre, un buon numero di questi detti compare anche nel Vangelo apocrifo di Tommaso, che sommato a essi dà un totale di 114 presunte massime pronunciate da Gesù.

    Nonostante non fosse stato selezionato dai vescovi per il Nuovo Testamento, il Vangelo di Tommaso era fondamentale per i primi cristiani. Vi sono diverse ragioni che probabilmente dettarono la sua esclusione, non per ultimo il fatto che trattava in particolare degli insegnamenti di Gesù e non faceva menzione della nascita, morte e resurrezione che in tempi successivi divennero d’importanza così cruciale per la rappresentazione romana della fede. Inoltre, esso contraddiceva la nuova dottrina cattolica secondo cui Gesù era accessibile solo tramite adesione alla Chiesa. Al contrario, Tommaso sottolineava che lo spirito di Gesù era ovunque; Gesù diceva: «Spaccate un pezzo di legno, e io sarò lì. Sollevate una pietra e mi troverete»¹⁹.

    Oltretutto, il Vangelo di Tommaso conteneva un brano in cui Pietro si lamentava della presenza di Maria Maddalena nella compagnia apostolica maschile. Per tutta risposta, Gesù rivelava che anch’ella sarebbe diventata uno spirito vivente²⁰. Ma nella nuova Chiesa di Roma, dominata dal sesso maschile, non c’era spazio per alcun concetto di eguaglianza femminile. Di conseguenza – anche per l’idea sviluppatasi nel IV secolo che voleva l’accesso a Gesù prerogativa esclusiva dei vescovi – il Vangelo di Tommaso venne ritenuto non idoneo al canone.

    Si è affermato di recente che Tommaso non sarebbe antico quanto i Vangeli canonici, ma è falso. Le sezioni esistenti del manoscritto greco di Tommaso risalgono al 200 a.C. circa (più di un secolo prima di qualsiasi altro manoscritto canonico). Inoltre, si sa che nella seconda metà del I secolo, esisteva una sua versione in siriaco o aramaico²¹. Si tratta della stessa data attribuita al Vangelo di Marco e potrebbe proprio essere una delle fonti originali del testo. Da un confronto delle massime di Tommaso con quelle parallele di Matteo, Marco e Luca, i linguisti sono giunti alla conclusione che i versetti di Tommaso presentano una costruzione più primitiva e che questo Vangelo ha una più stretta somiglianza con la fonte chiave dei Vangeli sinottici: un Vangelo più antico denominato Q (dal termine tedesco per fonte, Quelle)²².

    Il Vangelo e il Graal

    Datato al 50 circa il Vangelo Q non raccontava la vita di Gesù, né suggeriva la nascita di una nuova religione. Era un elenco completo di princìpi di Gesù indirizzati contro l’élite dirigente di Gerusalemme e presentati come una sorta di codice sociale definito la Via²³. Era questo un argomento dottrinale della comunità essena di Qumrân, vicino Gerico, dove, nel 1947, furono rinvenuti i primi manoscritti del Mar Morto.

    Singoli brani tratti da Q compaiono in altri documenti, tra cui Tommaso e i Vangeli sinottici, ma non è ancora stato scoperto alcun manoscritto completo. Dal momento che Matteo e Luca contengono insieme 250 brani di Q che non sono presenti in Marco, è possibile che i singoli autori abbiano indipendentemente utilizzato come fonte Q, e non che abbiano copiato da Marco come si è soliti supporre²⁴.

    Come il Vangelo di Tommaso, Q fornisce un quadro eccezionale del pensiero dei primi cristiani, che non consideravano la morte e la resurrezione di Cristo elementi della loro religione. Poiché originariamente il Vangelo di Marco non comprendeva la resurrezione, vale la pena di indagare in questa direzione esaminando le opere dei cristiani perseguitati a Roma. La resurrezione era importante per la loro fede o fu un elemento imposto successivamente dalla dottrina della Chiesa?

    Sotto le strade di Roma, le catacombe dell’epoca anteriore all’imperatore Costantino conservano i resti di più di sei milioni di cristiani. Le gallerie, disposte su un’unica fila, si estendevano per 880 chilometri. Queste stanze e passaggi sotterranei contengono i più antichi esempi noti di arte cristiana. Persino le camere destinate alla sepoltura nel I e II secolo presentano delle decorazioni. Pesci e colombe erano simboli diffusi della fede e nonostante vi siano numerose rappresentazioni di Gesù e degli apostoli non esistono immagini dirette della resurrezione. Persino nella comunità cristiana di Roma, si può constatare come questo aspetto non abbia l’importanza in seguito attribuitagli dalla nuova Chiesa. Tutte le testimonianze indicherebbero che i precetti del vero cristianesimo erano costituiti dai princìpi della Via insegnati da Gesù, che non prevedevano l’adorazione della sua natura divina.

    È interessante notare come la Catholic Encyclopedia confermi che il soggetto più diffuso nelle immagini delle catacombe sia la vite²⁵. Nell’Antico Testamento, il Salmo 80 descrive la supremazia di Israele come una vite che cresce. Per questa ragione, uva e vite vengono spesso utilizzate nell’iconografia per rappresentare la vita, la crescita e il procedere delle generazioni.

    Monete dell’antica Giudea con immagini di coppa e uva e le monete corrispondenti attuali.

    Dal libro della Genesi in poi si trovano continui riferimenti a vigne e discendenza con la reiterata affermazione: «Crescete e moltiplicatevi». In Isaia 5, 7, Israele e la casa reale di Davide sono descritti come la «piantagione preferita» dal Signore. E in Giovanni 15, 1, riferendosi alla propria origine dal re Davide, Gesù dichiara: «Io sono la vera vite». È per questo motivo che nell’iconografia Gesù è spesso allegoricamente rappresentato insieme a una pigiatrice²⁶.

    La vite non fu solo l’immagine allegorica più rappresentata dai primi cristiani: viti e uva rimasero per secoli i simboli più importanti della chiesa esoterica di Gesù che resistette nonostante il predominio cattolico. Un altro simbolo rilevante era una coppa o calice, e le due immagini combinate venivano definite il Vaso e la Vite. L’importanza di questo simbolismo verrà esaminata con maggior dettaglio in seguito (vedi p. 185) ma, semplificando, esso alludeva al sangue eterno di Gesù simboleggiato dalla coppa di vino passata agli apostoli nell’Ultima Cena. Gesù sottolineò il fatto che stava offrendo il frutto della vite, dicendo: «Questo è il mio sangue»²⁷. Quest’immagine equivale al ben noto sacramento dell’eucaristia: il rito della comunione del calice e del vino.

    Non è strano che il cristianesimo abbia ereditato il simbolismo delle coppe e dell’uva perché esso si sviluppò dal giudaismo nazareno. Questi simboli compaiono su monete giudaiche del I secolo a.C. e dovevano essere quindi note a Gesù e ai suoi discepoli. Le stesse immagini sono state reintrodotte in alcune monete moderne di Israele. Dal punto di vista ebraico, la coppa rappresentava la cerimonia dell’omer del Tempio (dove omer è un’unità di misura)²⁸.

    Al di fuori della Chiesa cattolica, la coppa e il vino (secondo la visione degli eredi del cristianesimo originale) vennero analogamente associati al sangue eterno di Gesù, ma in termini più espliciti.

    Essi simboleggiavano una vite nata dal re Davide che cresceva fino a Gesù e oltre; una successione della discendenza reale che diffondeva i suoi rami come viene indicato nel libro di Ezechiele 19, 10: «Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigogliosa e frondosa». La medesima terminologia venne utilizzata nella tradizione della ricerca del Santo Graal. Nel romanzo cavalleresco Parzival, composto nel XIII secolo dal cavaliere bavarese Wolfram von Eschenbach, della regina del Graal si dice che «partorì la perfezione del paradiso terreno, sia radici che rami. Era una cosa che gli uomini chiamano il Graal»²⁹.

    Nei Vangeli di Tommaso e Q non è assolutamente menzionato il fatto che Gesù morì per i peccati dell’umanità e risorse, ma i primi cristiani che usarono questi libri evidentemente credevano in una diversa idea della sua esistenza eterna. Così anche i Romani e, come scopriremo (vedi p. 88), sin dai tempi imperiali sono documentati i tentativi più drastici degli imperatori di perseguitare e sterminare questi dinasti messianici da essi definiti gli eredi del Signore.

    ¹ The Concise Oxford Dictionary of Current English, Oxford, Oxford University Press, 1995. Storia: «Registrazione continua, solitamente cronologica, di eventi pubblici o importanti».

    ² P. Cornelio Tacito, Annali, Roma, Newton Compton editori, 1995. Riferimento al 64 d.C.

    ³ Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, Torino, UTET, 2006, libro XX, cap. XI, 1.

    ⁴ Ivi, libro XVIII, cap. III, 3.

    ⁵ Il termine è attestato per la prima volta ad Antiochia, in Siria, nel 44. vedi Establishment of the Antioch Christian movement, in Norman J. Bull, The Rise of the Church, London, Heinemann, 1967, cap. 3, pp. 58, 59.

    ⁶ Nel 397, Costantino era ormai morto da tempo e regnava l’imperatore Onorio, accanto a papa Siricio, sesto vescovo imperiale di Roma.

    ⁷ P. Cornelio Tacito, Annali, cit., riferimento all’anno 64.

    ⁸ Eusebio di Cesarea, Ecclesiastical History (trad. C. F. Crusè), London, George Bell, 1874, l. III, cap. 4, p. 69 (trad. it. Storia ecclesiastica, Roma, Città Nuova, 2001).

    ⁹ Lc 1, 3 e At, 1, 1.

    ¹⁰ Lc 1, 1-4.

    ¹¹ The Catholic Encyclopedia, New York, NY, Robert Appleton, 1910, vol. X, s.v. Gospel of St Matthew.

    ¹² Il codice fu acquisito dal vaticano nel 1209 e comprende sia l’Antico che il Nuovo Testamento.

    ¹³ The Catholic Encyclopedia, cit., vol. IV, s.v. Codex Vaticanus.

    ¹⁴ Ivi, vol. IX, s.v. Gospel of St Mark.

    ¹⁵ Negli ultimi cento anni sono state scoperte diverse migliaia di altri manoscritti greci dei libri del Nuovo Testamento, ma nessuno di essi è antico quanto i codici vaticano e Sinaitico.

    ¹⁶ The Catholic Encyclopedia, cit., vol. IV, s.v. Codex Sinaiticus.

    ¹⁷ 1 Cor 15, 1.

    ¹⁸ Un evidente esempio si trova in Mt, 9, 6, Mc, 2, 9 e Lc, 5, 24 che contengono tutti le parentesi («disse al paralitico»). Se fossero stati scritti indipendentemente si tratterebbe di una coincidenza straordinaria.

    ¹⁹ James M. Robinson (a cura di) – Coptic Gnostic Project, The Nag Hammadi Library, Institute for Antiquity and Christianity, Leiden, E. J. Brill, 1977, The Gospel of Thomas, pf. 77, p. 126.

    ²⁰ Ivi, pf. 114, p. 130.

    ²¹ Ivi, intr., p. 117.

    ²² N. J. Bull, The Rise of the Church, cit., cap. 4, p. 84.

    ²³ Per ulteriori informazioni su Q, vedi Marcus Borg (a cura di), The Lost Gospel Q, Berkeley, CA, Ulysses Press, 1996 (trad. it. Q, il primo Vangelo: i detti originali di Gesù, Torino, Amrita, 2000).

    ²⁴ N. J. Bull, The Rise of the Church, cit., cap. 4, p. 84.

    ²⁵ The Catholic Encyclopedia, cit., vol. V, s.v. Ecclesiastical Art.

    ²⁶ vedi, ad esempio, John Spencer Stanhope, The Wine Press, tav. 12, in Laurence Gardner, Bloodline of the Holy Grail, London, HarperCollins, 2002 (trad. it. La linea di sangue del Santo Graal. La storia segreta dei discendenti del Graal, Roma, Newton Compton, 2010).

    ²⁷ Mt 26, 26-29.

    ²⁸ Nell’antico Israele, l’uva simboleggiava anche la pace. James Hastings (a cura di), Dictionary of the Bible, Edinburgh, T&T Clark, 1909, s.v. Vine e Vineyard. La coppa dell’omer era destinata a contenere frutta, in particolare uva, non liquidi. L’omer è una misura per aridi, ma si ignora l’esatta capacità della coppa originale. Era equivalente a 1/10 di un ephah, che corrisponde approssimativamente a ventidue litri di liquidi. Perciò una coppa di omer doveva contenere circa 2,2 litri.

    ²⁹ La traduzione inglese di quest’opera è pubblicata in Wolfram von Eschenbach, Parzival (trad. A. T. Hatto), London, Penguin, 1980 (per una traduzione italiana, vedi Wolfram von Eschenbach, Parzival, trad. di Giuseppe Bianchessi, Milano, TEA, 1997).

    2

    Dai cenci alle ricchezze

    La zappa sui piedi

    Per tentare di comprendere il repentino cambiamento di atteggiamento da parte di Costantino e dei suoi funzionari nei confronti del cristianesimo, è utile analizzare come gli antichi Romani vedessero i cristiani e la loro «micidiale superstizione».

    Il Senato e i suoi ambasciatori poterono affermare la supremazia religiosa sui cristiani dopo la conquista militare e la distruzione di Gerusalemme da parte delle legioni del generale Tito nel 70 d.C. Due anni dopo l’eccidio di massa dei cristiani voluto da Nerone, nel 66, in Giudea, scoppiò una rivolta ebraica contro i dominatori romani. Dal punto di vista romano, il cristianesimo era una creatura del giudaismo progressista ed era visto come un culto ebraico che con questo condivideva lo stesso Dio. Tale Dio era tradizionalmente ritenuto l’onnipotente protettore di Israele, ma per i Romani i loro dèi erano chiaramente più potenti, visto che, dopo il soffocamento di una rivolta durata quattro anni, il Dio giudeo-cristiano era stato sconfitto.

    Giuseppe ben Mattatia, un dotto fariseo, fu uno dei personaggi di spicco della ribellione ebraica. Meglio noto oggi col nome romanizzato di Flavio Giuseppe, era il comandante militare della Galilea e, negli anni successivi alla rivolta, scrisse La guerra giudaica (78 d.C.) e Antichità giudaiche (92 d.C.). Insieme agli Annali di Tacito la sua opera ci fornisce un punto di vista di prima mano delle due culture antagoniste.

    Qualche tempo dopo, nel 132, gli ebrei si ribellarono nuovamente, stavolta sotto la guida di Simone bar Kochba, un principe ebraico. Egli riunì un vasto esercito di volontari locali e mercenari stranieri e ideò un piano di battaglia che consisteva in numerose operazioni di guerriglia, alcune delle quali sfruttavano gallerie e camere sotterranee presenti nel sottosuolo di Gerusalemme. In capo a un anno Gerusalemme fu riconquistata dai Romani e venne insediata per due anni un’amministrazione ebraica. Fuori dalla città, la lotta continuò e gli ebrei tentarono di ottenere il sostegno militare della Persia. Quando le forze persiane erano sul punto di partire per la Terra Santa, la Persia venne invasa e le sue truppe furono quindi obbligate a restare in patria per difendere il territorio. Di conseguenza, Simone bar Kochba e i suoi seguaci non riuscirono a contenere l’avanzata delle dodici legioni romane, che si erano riunite in Siria sotto il comando dell’imperatore Adriano, e gli uomini di Simone furono sbaragliati a Battin, a ovest di Gerusalemme, nel 135¹. Ancora una volta, era stata dimostrata la superiorità degli dèi romani e il Dio di ebrei e cristiani venne ridicolizzato in tutto l’impero.

    La religione dominante della Roma imperiale era politeistica (con molti dèi) ed era nata in gran parte dal culto di divinità naturali, come quelle di boschi e acque. Non appena Roma era diventata un’entità statale, erano stati inglobati anche gli dèi dei vicini etruschi e sabini. Tra di essi vi erano Giove, dio del cielo, e Marte, dio della guerra. Vennero anche abbracciati alcuni culti greci, come testimoniano i rituali edonistici di Dioniso/Bacco, dio del vino. Inoltre, espandendosi a Oriente, l’Impero Romano aveva adottato il culto persiano di Mitra, dio di luce, verità e giustizia.

    In sostanza, nella Roma del II secolo d.C., la religione era una tale accozzaglia di elementi di culti e credi diversi che non esisteva alcuna uniformità complessiva. Nella capitale arrivavano astrologi, maghi, erboristi, mistici, medici, musicisti e teosofi di ogni tipo, che aggiungevano ognuno le proprie tradizioni culturali a un già complesso sistema di fedi². Il cristianesimo fu uno di questi movimenti, ma, laddove i seguaci di altre religioni ostentavano la loro fede tramite guarigioni e intrattenimenti, i cristiani erano molto riservati e svolgevano i loro incontri in privato. Non cercavano la compagnia di personaggi ricchi e famosi e preferivano accompagnarsi agli strati più poveri e umili della società. Riferisce un documento romano del II secolo: «Essi escludono dalla loro amicizia i saggi e gli onesti e si associano solo agli ignoranti e ai corrotti»³. Tutto questo generò un profondo sospetto, quasi timore, circa i motivi di quell’isolamento e conferì loro la reputazione di elementi minacciosi e sovversivi.

    Infine, per unificare i vari culti, credo onnicomprensivo a Roma divenne la religione solare siriana del Sol Invictus (il Sole invitto). La visione del Sole come supremo dispensatore di vita permise di inglobare tutti gli altri culti (a eccezione del cristianesimo e dell’ebraismo), considerando l’imperatore l’incarnazione terrena della divinità.

    Al tempo della rivolta di Bar Kochba, erano ormai comparse importanti divisioni all’interno del movimento cristiano. Per quanto represso e clandestino a Roma, esso conservava la tradizione di nominare dei vescovi a capo della comunità e, dal 136, vescovo di Roma fu Igino. Egli era in contrasto con alcuni vescovi di altri Paesi e principale motivo di disputa tra le varie fazioni era la questione della divinità di Gesù. Nel dibattito vi erano due correnti principali: i seguaci di Igino, che si erano diffusi in regioni della Gallia (la futura Francia), della Spagna e del Nordafrica, e i nazareni che si trovavano in Asia e Medio Oriente e, in misura minore, in Britannia e Gallia. In sostanza, i cristiani di Igino seguivano gli insegnamenti diffusi da san Paolo, mentre i nazareni preferivano gli insegnamenti più diretti di Gesù e di suo fratello Giacomo, che era stato il primo vescovo nazareno di Gerusalemme.

    Durante questo periodo tra le file cristiane emersero numerose figure importanti, non ultimo Ireneo, vescovo di Lione, in Gallia. Intorno al 177, egli contestò il principio nazareno secondo cui Gesù era di origini umane e non divine, come invece prevedeva la dottrina di Igino. Condannava inoltre i nazareni perché predicavano il Vangelo di Matteo, da lui considerato ebreo e non cristiano. Nel tentativo di imporre la propria opinione, nel suo trattato Adversus Haereses (Contro le eresie), Ireneo arrivò ad affermare che lo stesso Gesù, con le sue convinzioni errate, era stato un eretico che aveva praticato la falsa religione! Inoltre, scrisse dei nazareni, da lui classificati col nome di ebionites (traslitterazione del termine aramaico per povero):

    Essi, come Gesù nonché gli esseni e gli zadochiti di due secoli prima, commentano i libri profetici dell’Antico Testamento. Respingono le epistole paoline e respingono l’apostolo Paolo, che definiscono un apostata della legge⁴.

    I nazareni ritenevano assurdo anteporre gli insegnamenti di Paolo a quelli di Gesù, e per tutta risposta denunciavano Paolo come «rinnegato e falso apostolo», affermando che i suoi scritti idolatri dovevano essere completamente ripudiati. Così, persino 222 anni prima che venisse redatto il Nuovo Testamento, i primi cristiani erano divisi su quali testi fossero da preferire.

    A prescindere dalla natura della disputa, le autorità romane dovettero giungere alla conclusione che i cristiani erano in generale litigiosi, che non riuscivano a mettersi d’accordo nemmeno tra di loro e che perciò rappresentavano una minaccia per una società strutturata e rispettosa della legge. L’argomento venne sollevato in Senato e ai senatori si riferì che una rivolta cristiana aveva portato al grande incendio di Roma del 64. In realtà, di aver provocato l’incendio era stato sospettato lo squilibrato imperatore Nerone in persona, ma dopo così tanto tempo, la verità circa l’evento era stata dimenticata. Ancora una volta i cristiani furono accusati di comportamento antisociale e, grazie anche alla presenza di personaggi chiassosi e litigiosi come Ireneo, fu facile condannarli nuovamente. Dichiarando che lo stesso Gesù era stato in errore, Ireneo aveva messo i cristiani gli uni contro gli altri, creando scompiglio all’interno dell’impero. In realtà, attirando l’attenzione sulla sua religione subito dopo la rivolta di Bar Kochba a Gerusalemme, si era dato la zappa sui piedi. Da questo momento in poi, la persecuzione cristiana da parte dei Romani cominciò sul serio.

    Persecuzione

    In luoghi lontani tra loro come Roma, Lione, Cartagine, i cristiani venivano radunati a migliaia per essere arsi vivi o divorati da bestie feroci negli anfiteatri⁵. Sono di questo periodo le numerose attestazioni di nomi di martiri cristiani, tra cui è interessante notare anche la presenza di molte donne. Successivamente, le donne furono escluse dall’attiva pratica cristiana, ma racconti di testimoni oculari confermano il timore dei Romani nei confronti delle donne cristiane. Nei brutali tentativi di decimare il movimento non si faceva alcuna discriminazione di sesso. Ad esempio, Blandina fu legata in una rete e calpestata da un toro nell’arena di Lione; Perpetua venne uccisa da un gladiatore a Cartagine e Felicita fu dilaniata da una belva feroce e poi giustiziata⁶.

    Ciò che più preoccupava i Romani non erano tanto i dissidi interni o il comportamento dei cristiani, quanto il fatto che il cristianesimo, nelle sue varie forme, stava guadagnando una diffusa popolarità e poteva potenzialmente minare l’ordine dell’impero. In particolare, il concetto della divinità di Gesù, presente nella dottrina paolina, rappresentava una grave minaccia per l’autorità degli imperatori, a loro volta ritenuti dèi.

    Di quest’epoca rimane un certo numero di testi contenenti attacchi contro i cristiani, tra cui il più obiettivo e ragionato è una polemica intitolata Il discorso della verità contro i cristiani scritta dal filosofo Celso. Egli scrisse l’opera intorno al 178 e sembra fosse in rapporti abbastanza buoni con i cristiani di Roma, ma non riusciva a comprendere come potessero sostenere un messia ebraico che aveva fallito nella sua missione finendo tradito e crocifisso. Celso affermava che questo non era certo segno distintivo di un bravo capo né del figlio di un dio. Era anche perplesso dalla natura varia e strana del cristianesimo, privo di coesione nelle sue file. Scriveva: «Vi è mancanza di unità tra di loro. Così tante sette, e tutte così diverse. Non hanno nulla in comune se non il nome di cristiani»⁷.

    Nell’opera di Celso non vi era né animosità né malignità, solo osservazioni meditate. Di tutt’altro genere erano alcuni attacchi estremamente violenti, uno dei quali diffuso intorno al 225. È presente in un’opera dal titolo Ottavio, di Marco Minucio Felice, e fornisce un buon esempio di come la propaganda romana diffamasse i cristiani descrivendoli come creature diaboliche, indegne di vivere all’interno dell’impero. È quasi inconcepibile che, solo un secolo dopo, Costantino ospitasse il primo concilio ecumenico di Nicea (325), dove sarebbe stato egli stesso proclamato capo della Chiesa cristiana. Nel suo attacco al cristianesimo, recita l’Ottavio:

    E ora, con l’avanzare delle malvagità [...] questi abominevoli santuari di un’empia assemblea stanno crescendo in tutto il mondo. Decisamente questa lega dovrebbe essere sradicata e maledetta. Si riconoscono l’un l’altro tramite segni e simboli segreti [...] Ovunque si mescola tra loro anche una certa religione della lussuria [...] adorano la testa di un asino, la più ignobile delle creature [...] Alcuni dicono che adorino gli organi genitali del loro sacerdote.

    L’iniziazione dei giovani novizi è tanto detestabile quanto nota. Un neonato coperto di farina, per ingannare gli ingenui, viene posto dinanzi a colui che deve macchiarsi con i loro riti. Questo neonato viene ucciso dal giovane adepto con ferite nascoste e segrete, incitato a colpire la superficie della farina come se si trattasse di innocui fendenti. Assetati – o orrore! – ne bevono il sangue; eccitati ne dividono le membra. Sono vincolati da questa vittima; con la consapevolezza di questa malvagità sono legati al reciproco silenzio. Sacri riti come questi sono più ignobili di qualsiasi sacrilegio⁸.

    Sulla scia di accuse come queste, il 27 settembre

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1