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101 cose da fare in Veneto almeno una volta nella vita
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E-book463 pagine3 ore

101 cose da fare in Veneto almeno una volta nella vita

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Info su questo ebook

Il Veneto è una delle regioni più belle d’Italia, a partire dal fascino inarrivabile di Venezia, tra le mete preferite dai turisti – e dalle coppie – di tutto il mondo. Non bisogna però dimenticare che esiste un territorio più ampio che vale la pena di scoprire, a partire dalle tante meraviglie naturali: dal corso del Brenta alle vette delle Dolomiti, dall’altopiano di Asiago al celebre Delta del Po. E ancora parchi, aree fluviali, orti botanici inseriti nel patrimonio dell’Unesco. Tanti sono gli stimoli per gli amanti degli sport, così come per coloro che preferiscono visitare luoghi importanti sotto il profilo storico e architettonico. Venezia, Padova, Verona, Vicenza custodiscono i tesori più grandi, ma questa guida ne presenta anche altri meno conosciuti e altrettanto affascinanti. In Veneto poi non mancano le occasioni per rilassarsi, per abbandonarsi ai piaceri della tavola, per venire a contatto con le tante tradizioni di cui questa terra è ricca… 101 percorsi per una vacanza originale e piena di sorprese.

Il Veneto come non l’avete mai visto!

Ecco alcune delle 101 esperienze:

Assistere a uno spettacolo nel più antico teatro coperto del mondo
Toccare con mano la poesia nel paese di Petrarca
Sentirsi dama o cavaliere passeggiando nel parco di Villa Pisani
Ritrovarsi sul set di Romeo & Juliet a Montagnana
Coccolarsi nel centro termale più grande d’Europa
Cavalcare insieme ai templari nel misterioso Tempio di Ormelle
Diventare esperti di Prosecco, uno dei vini più amati al mondo
Mettersi alla prova con mille sport estremi in scenari favolosi
Chiara Giacobelli
è nata nel 1983. Specializzata in editoria e comunicazione multimediale, è scrittrice e giornalista. Con la Newton Compton ha pubblicato quattro guide insolite. Come giornalista si occupa invece di cultura, lusso e turismo per varie testate, tra cui l’«Huffington Post Italia», «Affari Italiani», «Bell’Italia» e «Luxgallery».
LinguaItaliano
Data di uscita2 nov 2016
ISBN9788854198524
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    101 cose da fare in Veneto almeno una volta nella vita - Chiara Giacobelli

    352

    Published by arrangement

    with Walkabout Literary Agency

    Prima edizione ebook: novembre 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9852-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    In copertina: Veduta di Venezia

    Immagini: © Fabio Piacentini

    Un particolare ringraziamento a:

    Chiara Giacobelli

    101 cose da fare in Veneto

    almeno una volta nella vita

    Illustrazioni di Fabio Piacentini

    Questa era Venezia, la bella lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà trappola, nella cui atmosfera corrotta l’arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che suggerì ai musicisti melodie che cullano in sonni voluttuosi.

    THOMAS MANN, La morte a Venezia

    A Venezia,

    custode dei miei sogni,

    della mia immaginazione, del mio cuore.

    INTRODUZIONE

    Sono tantissime le guide che ci raccontano nel dettaglio – in maniera più o meno classica – le città di Venezia, Padova e Verona, il lago di Garda, le Dolomiti, l’altopiano di Asiago e il delta del Po. Tuttavia, non esiste in commercio quasi nessun libro che descriva l’intero Veneto con piglio narrativo e con una visione d’insieme.

    Il lavoro che si è cercato di fare qui è quindi originale, non semplice – speriamo di essere riusciti sufficientemente bene nell’intento –, diverso rispetto a quanto già prodotto dall’editoria italiana, poiché fonde informazioni turistiche, nozioni storiche, culturali e artistiche, fantasia, leggende, noto e ignoto, per narrare con un taglio quasi romanzesco una terra talmente ricca che sarebbe impossibile racchiuderla persino in un’enciclopedia.

    Eppure, durante questo viaggio in Veneto ci siamo resi conto di quanto in realtà le distanze siano brevi: soggiornando in una cittadina in posizione centrale, con poche ore di auto si arriva da un confine all’altro della regione, riuscendo così – con un po’ di attenzione e preavviso – a organizzare una vacanza in grado di spaziare dalle passeggiate in alta quota ai relax termali, dalle immersioni nei luoghi più intatti che la natura possa offrire allo sfrenato shopping cittadino (spesso mirato a prodotti artigianali e di antica tradizione), dalle biciclettate lungo il corso dei fiumi alle avventure estreme appesi solo a dei cavi, in modo da vivere di tutto un po’ nell’arco di tempo a disposizione.

    In alternativa, questa guida permette anche di scegliere percorsi, weekend, pause e gite fuori porta dedicati a un tema specifico, come la montagna, l’arte, la storia, gli eventi mondani, il relax, il divertimento con i bambini. È allora normale pensare che non sia affatto un caso se il Veneto costituisce la prima regione italiana per numero di turisti in tutto il Bel Paese, ben oltre la Toscana, la Lombardia e le isole o il Sud, presi dall’assalto durante i mesi estivi. Al Veneto italiani e stranieri dedicano visite più o meno lunghe in qualunque periodo dell’anno, perché le attività qui non cessano mai, anzi ogni stagione presenta le proprie peculiarità: con un bicchiere di Prosecco in mano, non si dovrà far altro se non lasciarsi incantare da questa parte d’Italia che conta innumerevoli beni Patrimonio dell’UNESCO, dalle celebri Dolomiti fino alle ville palladiane, senza dimenticare mete non altrettanto note come l’Orto botanico di Padova o i siti palafitticoli.

    Bassano del Grappa, Belluno, Rovigo, Laghi (il più piccolo comune del Veneto), Giazza, il Tempio di Ormelle, l’isola di Burano, Oderzo, Cibiana di Cadore, la Fabbrica Pedavena, il Rifugio Scoiattoli e la Strada delle 52 gallerie sono solo alcune delle proposte meno inflazionate – sebbene estremamente interessanti – che troverete all’interno di questa guida, accanto all’intramontabile richiamo di Venezia, qui osservata da un punto di vista alternativo: quello delle dame e dei dogi, delle cortigiane, di chi fece la storia del Bellini o dell’appassionata relazione tra Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse. La laguna è trattata in lungo e in largo come pochi altri libri hanno fatto finora, per poi lasciare il mare aperto e inoltrarsi nell’entroterra, sempre in compagnia di ottimo cibo da gustare, feste, eventi, percorsi turistici, eccellenze che tutto il mondo ci invidia.

    Non perdiamo quindi altro tempo a spiegare quanta magia abbiamo cercato di mettere all’interno di questo volume per parlare in maniera insolita di una terra già di per sé magica e incredibilmente capace di sorprendere, all’ombra dei vari Tiepolo, Canova, Tintoretto, Palladio eccetera. Vi lasciamo in loro compagnia, con una lettura che speriamo sarà per voi piacevole e soprattutto rivelatrice, ben consapevoli dell’incompletezza della stessa. Tuttavia, la varietà e la ricchezza del Veneto sono davvero troppo vaste per essere sintetizzate in un libro come questo, che intende piuttosto rappresentare un approccio, un benvenuto, nonché una mano pronta a guidarvi dentro luoghi straordinari dove, se vorrete, potrete dare libero sfogo alla vostra curiosità e alla voglia di conoscere. Buon viaggio!

    101 COSE DA FARE

    IN VENETO

    ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA

    1.

    INERPICARSI FINO ALL’EREMO MADONNA DELLA CORONA

    Natura e spiritualità avvolgono immediatamente chiunque si trovi a visitare la basilica santuario Madonna della Corona. Incastonata nella roccia viva del monte Baldo, essa costituisce senza dubbio una delle strutture più suggestive dell’intero Veneto: l’incavo in cui si trova, infatti, a oltre settecento metri di altezza, permette di abbracciare con lo sguardo quasi tutta l’ampia valle dell’Adige.

    Le prime tracce di culto e meditazione in questo spettacolare sito naturale risalgono a più di mille anni fa, quando alcuni audaci eremiti provenienti dall’abbazia di San Zeno a Verona scelsero proprio il Baldo come sede per un sentito ritiro religioso; da allora, nel corso dei secoli è sempre rimasta intatta la speciale aura di raccoglimento e spiritualità che lo caratterizza, incentivata dal verde dei boschi e dagli incredibili paesaggi circostanti.

    La costruzione del primo monastero affiancato da una cappella risale alla fine del Duecento su iniziativa di un gruppo di benedettini; in seguito, la struttura si ingrandì gradualmente, fino a quando furono due i grandi lavori di ristrutturazione compiuti: il primo venne avviato nel 1625 e si protrasse fino al 1685, con l’obiettivo finale di erigere un edificio più moderno che inglobasse nella parte del presbiterio il nucleo originale. Continui ampliamenti e modifiche si succedettero quindi per tutto il XVIII e XIX secolo, tra i quali vale la pena ricordare la realizzazione di una deliziosa facciata in stile gotico nel 1899. Il secondo importante lavoro di ristrutturazione è invece più recente: nel 1974, infatti, l’architetto Guido Tisato progettò la demolizione del vecchio edificio per preservarne solo le parti più significative. Nacque così l’attuale santuario, consacrato dal vescovo Giuseppe Carraro il 4 giugno del 1978.

    Al di là della movimentata storia, la Madonna della Corona deve la sua rilevanza soprattutto alla stupefacente posizione geografica, aggrappata alla roccia nuda del monte quasi fosse un’estensione artistica di esso; non è tuttavia da sottovalutare la forte venerazione locale nei confronti della Madonna che regge in grembo il Cristo morto, una statua rappresentante la Pietà alta settanta centimetri. La leggenda vuole che sia apparsa per miracolo nel 1522 sottraendosi all’invasione turca di Rodi, città in cui era in origine situata. Più verosimilmente, essa fu donata come voto da Ludovico da Castelbanco, stando anche a quanto è inciso sul suo piedistallo.

    Numerose sono, d’altra parte, le opere che nello stesso modo sono andate negli anni ad abbellire l’interno dell’eremo. Tra queste, possiamo contare ben centosettantasette tavolette di diverse dimensioni a ornamento della parete destra, mentre assai affascinante è il Cristo alla Colonna, un olio su tela del 1724 firmato dal pittore veronese Antonio Balestra. Meritano poi di essere citate le ottocentesche sculture di santi e angeli nate dalla mano di Ugo Zannoni, la maggior parte delle quali sfoggia uno splendente marmo bianco di Carrara. Non sono da meno neppure le formelle raffiguranti le stazioni della via Crucis, collocate sui pilastri della navata centrale. Infine, vanno segnalate le originali fusioni in bronzo a cura di Raffaele Bonente, un vero e proprio tratto distintivo della chiesa capace di renderla ancora più unica di quanto già non sia: tra esse, possiamo ricordare – solo per sceglierne alcune – i candelabri, il tabernacolo e il battistero, ma soprattutto la corona di spine con i cinque gruppi angelici posizionati sull’abside, attorno alla statua della Pietà. Egli realizzò anche una lunga via Crucis che collega il santuario al paesino sottostante.

    Aperto tutto l’anno, nonostante la posizione all’apparenza impervia l’eremo può essere facilmente raggiunto a piedi procedendo lungo una comoda via asfaltata con partenza da Spiazzi, ben diversa dalla stretta e insidiosa scalinata che un tempo era l’unica possibilità per chi volesse inerpicarsi sul fianco del monte Baldo. Tuttavia, ogni sabato dell’anno vengono organizzati pellegrinaggi che da Brentino percorrono l’antica scalinata, prevedendo circa un’ora di cammino e non poca fatica.

    In compenso, una volta raggiunta la meravigliosa meta, fantastico sarà il paesaggio di cui si potrà godere. Volendo restare a dormire, nella vicina Residenza Stella Alpina a Spiazzi è presente anche un ottimo ristorante: sarà magari l’occasione giusta per visitare una cittadina veneta poco nota, popolata da appena un centinaio di abitanti, eppure assai singolare nella sua fortunata collocazione nel cuore della valle dell’Adige. Qui sarà facile rilassarsi tornando ad assaporare il ritmo lento e pacifico di una vita in armonia con la natura, oltre che con l’imponente montagna protagonista di questi luoghi.

    Per maggiori informazioni: www.madonnadellacorona.it; 045 7220014.

    2.

    ASSISTERE A UNO SPETTACOLO NEL PIÙ ANTICO TEATRO COPERTO DEL MONDO

    Se il termine olimpico è sinonimo della mae­stosità e della grandezza proprie dell’arte greca, allora non esiste nome più azzeccato per questo teatro. Una struttura da contemplare in silenzio, qualcosa di imponente in grado di riportarci indietro nel tempo, a cominciare dal giardino protetto da alte mura che si attraversa prima di accedere al teatro vero e proprio.

    Sito in piazza Matteotti, a pochi passi dal lungo corso Palladio – la principale via nel centro storico di Vicenza – l’Olimpico è il primo, nonché il più antico, teatro stabile coperto dell’età moderna; non solo: esso è anche l’ultima testimonianza lasciataci dal grande architetto rinascimentale Andrea Palladio. Tutti motivi grazie ai quali nel 1994 è stato inserito nella lista del Patrimonio UNESCO, insieme all’intera città di Vicenza con i suoi numerosi palazzi palladiani.

    Costruito ispirandosi a edifici greci e romani, fu commissionato dall’Accademia Olimpica, di cui Palladio era appunto un membro; essa riuniva all’epoca i migliori letterati, musicisti, uomini di cultura e nobili, ma anche professionisti che a un certo punto sentirono il bisogno di creare uno spazio fisso per le rappresentazioni teatrali, principalmente di commedie classiche. Fino ad allora si assisteva infatti a spettacoli in allestimento mobile, per i quali si utilizzavano aree all’aperto (spesso cortili), oppure sale di palazzi.

    Fu così che nel 1580 Palladio iniziò, laddove in un tempo lontano si ergeva il bel Castello di San Pietro, questa maestosa opera che purtroppo non vide mai realizzata. È uno dei più bei teatri che il nostro Paese abbia da offrire, dunque assolutamente meritevole di una visita. L’interno crea l’illusione del marmo, mentre in realtà è realizzato solamente in legno e stucco. Volendo riprodurre l’atmosfera delle strutture antiche, l’architetto progettò la cosiddetta cavea, destinata agli spettatori, sotto forma di una gradinata ellittica capace di accogliere circa quattrocento persone. Da qui, alzando lo sguardo, è possibile ammirare una sessantina di statue togate, poste a coronamento del colonnato tutto intorno alla cavea: sono gli Accademici Olimpici, ovvero i membri del sodalizio che commissionò l’opera al Palladio; non è quindi un caso se tra i personaggi raffigurati spicca il principe Leonardo Valmarana, tra i primi sostenitori della costruzione.

    Tuttavia, l’elemento che più di ogni altro ricorda lo stile classico è l’imponente proscenio, aperto su tre arcate e animato da deliziose semicolonne. La scena architettonica fissa fu invece realizzata con materiale ligneo tuttora in ottimo stato di conservazione: essa colpisce soprattutto per la straordinaria dote di creare un profondo illusionismo prospettico. A essere onesti, in questo caso l’autore dell’opera non fu Palladio, ma Vincenzo Scamozzi, che subentrò nella realizzazione del teatro dopo la morte improvvisa del maestro; sua fu anche la scelta di rappresentare nello sfondo una versione idealizzata della Vicenza cinquecentesca. Alla mano di Scamozzi si devono inoltre le contigue sale dell’Odèo e dell’Antiodèo, dove attualmente si tengono conferenze e seminari nel contesto di raffinate decorazioni seicentesche firmate dal vicentino Francesco Maffei.

    La storia ci racconta che sin dal primo spettacolo messo in scena il 3 marzo 1585, l’Edipo Re, fu tutto un susseguirsi di successi, tanto che l’eco della sua fama arrivò prima a Venezia, poi in tutta Italia: era il sogno umanistico che si realizzava e prendeva forma, facendo così rivivere come per magia l’arte classica.

    Attualmente da aprile a giugno l’Olimpico si accende di musica con concerti e festival di alto valore, tra cui va ricordato a maggio il Vicenza Jazz, mentre se si visita la città nei mesi autunnali sarà possibile assistere a rappresentazioni di taglio più classico. In ogni caso, non mancano mai gli eventi in cartellone, seppur con la massima tutela per non danneggiare la struttura e mantenerne al meglio la conservazione.

    Il teatro è aperto alle visite tutto l’anno, insieme alla vicina pinacoteca di Palazzo Chiericati, al Palladio Museum, alla chiesa di Santa Corona, alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari, al Museo diocesano, al Museo archeologico e naturalistico e a quello del Risorgimento e della Resistenza.

    In conclusione una curiosità: tra le personalità autorevoli che nei secoli hanno assaporato la meravigliosa unicità dell’Olimpico possiamo ricordare papa Pio VI e l’imperatore Francesco I d’Austria, mentre il regista Mario Monicelli lo scelse nel 1965 per girare alcune scene del film Casanova ’70 con Marcello Mastroianni, seguito dal Casanova del 2005 diretto da Lasse Hallström con Heath Ledger. Infine Goethe, turista a Vicenza nel 1786, sopraffatto dalla poesia di una simile bellezza architettonica si limitò a scrivere che «se non si vede di persona, non se ne può avere un’idea».

    Per maggiori informazioni: www.olimpicovicenza.it; 0444 222800.

    3.

    INCURIOSIRSI TRA LE SALE DEL MUSEO DELL’OCCHIALE

    Non soltanto terra di storia e bellezze naturali tra le più suggestive del nostro Paese, il Veneto è anche il luogo in cui i maestri dell’isola di Murano, grazie alla rinomata nonché unica abilità nel plasmare il vetro, molto tempo fa diedero vita ancora ignari alla creazione che forse più di ogni altra contribuì al benessere dell’uomo nel corso dei secoli: gli occhiali.

    È alquanto probabile che l’anonimo artigiano non fu mai consapevole dell’entità rivoluzionaria della sua scoperta, e neppure delle incredibili, positive conseguenze che quel suo semplice gesto da mago del fuoco e della materia determinò da allora in avanti. Infatti, nonostante le tante ipotesi varate nel corso degli anni da appassionati, studiosi o semplici curiosi, il misterioso autore degli occhiali non è mai stato identificato. Una testimonianza sicura sull’uso di lenti in epoca antica ci arriva da un quadro attribuito al pittore Tommaso da Modena (1352), in cui è raffigurato al centro della tela il cardinale Ugone di Provenza intento a scrivere con la fronte corrucciata e, appunto, un paio di occhiali tondi appoggiati sul naso. Sta di fatto che le tradizioni difficilmente si allontanano dal proprio punto d’origine; allora, non è forse un caso se poco distante dalla bella Treviso nacque niente meno che il primo museo interamente dedicato al fascinoso accessorio di cui si è finora parlato.

    Tutto ebbe inizio nel 1956 a Pieve di Cadore, in Provincia di Belluno: fu in quell’anno che, in concomitanza con i Giochi olimpici invernali, venne inaugurata la prima Mostra dell’occhiale, attraverso i secoli. In seguito, grazie alla mente brillante del medico e archeologo Enrico De Lotto, iniziò a prendere forma l’idea di riunire in un solo spazio oggetti e materiali legati alla nascita, all’evoluzione, alla tecnica, alla tradizione, all’arte e al costume degli occhiali. La realizzazione del progetto si concretizzò tuttavia soltanto parecchio tempo dopo per mano del collezionista Vittorio Tabacchi. Così, nel 1990 venne finalmente inaugurato il Museo dell’occhiale; soltanto sei anni dopo la gestione passò alla Fondazione Museo dell’occhiale, per poi trasferire il tutto dall’agosto del 2007 a Palazzo COS.MO, una moderna struttura ubicata vicino alla casa di Tiziano Vecellio.

    Oggi il museo, unico nel suo genere, conta quasi quattromila stupefacenti strumenti ottici e diversi accessori che raccontano al pubblico lo sviluppo tecnico ed estetico subìto dall’occhiale dalle origini ai giorni nostri. Turisti, studiosi, visitatori di ogni tipologia non potranno che rimanere colpiti da come sia stato sapientemente studiato il percorso dell’intero spazio espositivo. La prima area è dedicata al tema principale: la nascita e l’evoluzione dell’occhiale; si va quindi dai primissimi esemplari privi di stanghette alle montature seicentesche, per arrivare ai prototipi degli occhiali da sole risalenti al XV secolo, insieme ai tipici pince-nez dell’Ottocento. Presenti in questo settore anche pregiati accessori come ventagli con stecche in avorio muniti di piccole lenti montate all’interno, tabacchiere in legno, oro e altre pietre preziose contenenti minuscoli cannocchiali secondo la moda francese del Settecento e – sempre importati dalla Francia – binocoli da teatro, spesso con le famose lorgnettes o i ciondoli con lente. Tutto quanto si trova in queste sale è frutto delle accurate ricerche compiute dagli ottici Jean Bodart e Jean-Bernard Weiss, oltre a quelle degli studiosi Luca Moioli ed Enrico De Lotto.

    Una seconda sezione del museo è riservata all’Oriente, con occhiali di origine cinese e giapponese che si distinguono per le particolari forme e i differenti materiali. L’ultima parte del percorso si concentra invece su strumenti ottici più strani e complicati, comprese le lanterne magiche e gli stereoscopi.

    In aggiunta all’esposizione principale, al fine di offrire al visitatore una migliore comprensione del complesso ma affascinante mondo degli occhiali e al tempo stesso di avvicinarlo alla realtà locale, viene proposta la storia dell’occhialeria bellunese, un racconto che trova le proprie origini nel 1878, quando le famiglie Frescura e Lozza crearono una società alquanto particolare: esse inaugurarono infatti la prima fabbrica di lenti a mulino con macchinari mossi da energia idraulica.

    Non dimentichiamoci, però, che Pieve di Cadore non è soltanto il Museo dell’occhiale. Il suo splendido territorio, compreso tra la valle del Piave e quella del Boite, è ricco di ritrovamenti archeologici che vanno dal I secolo a.C. al II d.C. I reperti si possono ammirare all’interno del Museo archeologico (Marc), dove sono esposte – tra le molteplici preziosità – anche rare monete romane risalenti al periodo di Costantino.

    Suggestivo comune ricco di arte e storia, Pieve è anche ricordata per aver dato i natali a Tiziano, artista che, insieme a Giorgione, viene considerato uno dei massimi maestri nella pittura tonale. È possibile visitarne la casa (dichiarata monumento nazionale) e vederne alcune opere, tra cui la celebre Madonna con bambino nella chiesa di Santa Maria Nascente.

    Per maggiori informazioni: www.museodellocchiale.it; 0435 32953.

    4.

    RILASSARSI AL PARCO TERMALE VILLA DEI CEDRI A LAZISE

    Chiamarlo semplicemente Spa, o centro benessere, è decisamente riduttivo. Piuttosto, potremmo parlare di una vera e propria oasi di relax, un polmone verde nell’incantevole cornice delle colline moreniche affacciate sul blu del lago; non per niente esso rientra a pieno diritto nella top ten dei centri benessere migliori d’Italia. Stiamo parlando del Parco termale del Garda, immerso in tredici ettari di alberi secolari sempreverdi, cipressi, cedri, allori, piante rare, ma soprattutto laghi termali e fontane spontanee.

    In principio, quest’area era il giardino privato della prestigiosa Villa dei Cedri, una residenza neoclassica costruita a cavallo tra Sette e Ottocento dalla famiglia bergamasca dei Miniscalchi Erizzo, che ne mantenne la proprietà fino agli inizi del Novecento. Fu però solo venticinque anni fa che, per una fortunata casualità, vennero scoperte nel sottosuolo preziose sorgenti termali: superfluo dire che da allora in poi si lavorò con grande impegno per costruire lo strepitoso parco, oggi tra i più famosi d’Italia.

    Nel lago originario sono state create due vasche a temperatura differenziata (una a trentasette e l’altra a trentanove gradi centigradi) animandolo con fontane, cascate e una graziosa grotta; successivamente, è stato aggiunto un secondo laghetto ripristinando la vasca naturale creata dal ruscello che alimentava il lago: qui siamo intorno ai trenta gradi, quindi una balneazione ottimale anche per le persone più sensibili al caldo. Stando così le cose, è facile intuire che – al di là della pace derivante dalla presenza di un immenso spazio verde pressoché incontaminato – la vera pepita d’oro di Villa dei Cedri è la prodigiosa acqua che sgorga in varie zone del Parco termale del Garda, rara in natura, e dotata di un dimostrato potere benefico sulla salute umana. Basti pensare che essa è talmente leggera e pura da potersi considerare addirittura potabile.

    Occorre però parlare anche di quanta storia e arte si annidino tra questi folti cespugli: poco lontano da Villa dei Cedri si incontra infatti Villa Moscardo, costruita nel XV secolo. Trovandosi a passeggiare tra fiori e grandi sale, si potrà leggere sulla facciata dell’edificio un’epigrafe che testimonia il passaggio di Carlo V nel 1530. L’ampia struttura centrale ha conservato la forma originaria caratteristica delle case padronali e attualmente accoglie un elegante ristorante, mentre nelle scuderie proprio di fronte è stato ricavato un moderno centro benessere che offre saune, bagno turco con cromo e aromaterapia, zona relax, vasca con acqua termale calda, doccia solare, oltre a massaggi e trattamenti per il piacere di corpo e mente; infine, il vecchio fienile è diventato un centro sportivo all’avanguardia che comprende una piscina termale, una palestra e un’area riabilitativa in cui sono stati sviluppati programmi di acqua medical fitness, fisioterapia, osteopatia e chinesiologia. Non è però tutto qui. In prossimità del lago principale si incontra la serra-giardino d’inverno, un ulteriore elemento architettonico, questa volta in ferro e vetro – dunque con uno stile più moderno – adibito a momenti

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