Una notizia fantastica: Harmony Collezione
Di Mindy Neff
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Info su questo ebook
Dylan Montgomery è abituato al “vizietto” di quel simpaticone di suo zio Karl, che a volte gli passa “le notizie” attraverso dei bigliettini infilati nella tasca della giacca. Questa volta, però, l’ha lasciato senza parole.
Secondo lui tre mesi prima...
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Una notizia fantastica - Mindy Neff
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1
Ancora!
Per l'ennesima volta Dylan aveva sognato Whitney: un sogno... Sì, doveva ammetterlo, sensuale e persino imbarazzante.
Non gli era mai capitato negli anni precedenti, perché lei era sempre stata solo la sua migliore amica, fin da quando erano bambini. Nonostante Whitney avesse cinque anni meno di lui, Dylan non l'aveva mai considerata un impiccio. Erano cresciuti insieme, profondamente legati. Lui sapeva di poter contare sempre su di lei, perché riusciva a distrarlo dalle preoccupazioni, impegnandolo in una partita a biliardo o di poker; anche solo accompagnandolo in una scampagnata in automobile lungo la costa.
Era stata la sua compagna di avventure da quando Dylan aveva solo diciassette anni, e lo era ancora dopo quindici anni.
Ma allora perché faccio questi sogni assurdi?
Una spiegazione poteva venire dall'affare che gli era stata appena proposta, ma in quel momento non voleva pensarci. Desiderava soltanto rilassarsi in compagnia di un amico e, anche se non frequentava più Whitney in maniera regolare, aveva l'assoluta certezza di poter sempre contare su di lei.
Dylan procedeva con la capote della Porsche abbassata e rallentò per osservare la mandria di mucche alla sua destra. Allentò il nodo della cravatta di seta e inalò con gusto il profumo del mare, mentre una brezza leggera gli scompigliava i capelli. Ecco quello che gli piaceva della California: le giornate calde e soleggiate. Sentiva proprio di aver bisogno di un po' di calore, dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni.
Premette con forza sull'acceleratore e l'automobile sfrecciò via. Si sentiva irrequieto, desiderava rilassarsi con qualcuno che non gli chiedesse di prendere decisioni o di firmare assegni. Proprio come Whitney...
«Al diavolo!» esclamò ad alta voce. Poi, con una decisione improvvisa, svoltò sulla statale e, in una pessima imitazione di un pilota di Formula Uno, lanciò la Porsche lungo la costa fino a Montgomery Beach, la città dalle boutique pittoresche e dalle strade alberate che prendeva il nome dai suoi antenati che l'avevano fondata.
Non posso passare così vicino alla casa di Whitney senza neanche farmi vivo. E poi ho proprio bisogno di stare con qualcuno con cui possa essere me stesso, disse tra sé.
Fermò la Porsche di fronte a un edificio in stile spagnolo, convincendosi che trovare parcheggio così facilmente in una zona di solito inavvicinabile fosse un segno del destino. Le spaziose vetrate davano sulla strada principale della città e permettevano di vedere perfettamente all'interno.
Spense il motore, infilò i Ray-Ban nello sportello del cruscotto e compose un numero ben conosciuto memorizzato nel cellulare.
«Sartoria Delaney, buongiorno. Desidera?»
«Una pizza e una birra.»
Sentì un attimo di silenzio, tra lo sbigottito e l'irritato, poi un lungo sospiro di sollievo: «Dylan Montgomery, non cambi mai! Dove diavolo sei?».
Che gioia sentire quella eccitazione nella sua voce! «Prova a guardar fuori dalla finestra, piccola.»
La osservò alzare la testa, scrutare all'esterno e portarsi una mano sul fianco fingendosi seccata. In realtà sorrideva. «Vieni dentro, presuntuoso! E non dimenticare che questa volta tocca a te pagare la birra.»
Dylan sogghignò, mentre spegneva il cellulare. Poi oltrepassò con un salto la portiera della Porsche, infilò in tasca le chiavi e fece di corsa i pochi passi che lo separavano dall'entrata.
Karl Delaney, lo zio di Whitney, era stato il sarto di divi e politici a San Francisco, prima della morte dei genitori di Whitney in un incidente aereo. Allora, senza pensarci due volte, aveva fatto le valigie e si era trasferito a Montgomery Beach, per evitare alla nipote almeno il dolore di uno sradicamento dalla propria casa.
Possedeva ancora un negozio a San Francisco, ma a Montgomery Beach aveva comprato un blocco di immobili per poi trasformarli in un complesso commerciale in funzione dei matrimoni.
Era stata un'idea geniale. Tutti i negozi che vendevano articoli collegati ai matrimoni erano stati costruiti intorno a un cortile, al cui centro troneggiava una quercia vecchia di trecento anni. C'erano anche una chiesetta e un albergo.
In quell'isolato si trovava di tutto: dagli abiti da cerimonia a quelli sportivi da usare in luna di miele, al corredo, ai fiori, alle torte. I futuri sposi potevano anche prenotare viaggi presso la locale agenzia o addirittura trovare casa. Il matrimonio si celebrava nella chiesetta e chi voleva poteva trascorrere un paio di notti nell'elegante albergo che si affacciava sulla spiaggia.
Il fulcro di tutte quelle attività, comunque, rimaneva la Sartoria Delaney per abiti maschili da cerimonia, e Karl Delaney in particolare. Whitney si divertiva a raccontare che nell'armadio dello zio Karl c'erano degli scheletri irlandesi, ma in realtà quel cognome era il risultato della pigrizia di un impiegato comunale addetto all'immigrazione, che aveva accorciato in Delaney il più complesso Delaninstekhov.
Tutti in città sapevano che Karl aveva un debole per dispensare consigli, richiesti oppure no, sotto forma di un biglietto discretamente infilato nella giacca o nei pantaloni di uno degli smoking confezionati o affittati alla numerosa clientela. Delle massime o dei consigli di vita in stile russo.
Quando si trattava di sposi, che fossero ragazzi o alti ufficiali, Karl aveva sempre un'opinione personale ed era assolutamente deciso a farla conoscere ai diretti interessati. Forse per quella ragione il cuore di Dylan batteva più forte mentre varcava la soglia della sartoria, o magari dipendeva dall'aspetto di Whitney, dall'entusiasmo con cui lei gli andò incontro.
Dylan fu costretto a fermarsi di scatto per osservarla meglio: portava una camicetta color lavanda e una minigonna aderente che le avvolgeva i fianchi come le carezze di un amante.
Prima che potesse riprendersi e ricordare che dopo tutto si trattava sempre della sua migliore amica, lei gli si gettò tra le braccia.
Lui l'accolse con calore, accennò a una giravolta e finalmente si sentì a casa. Il nodo che sentiva in gola lo sorprese. Deglutì, stringendo Whitney con più forza, prima di adagiarla a terra.
«Come sono contenta che tu sia tornato a casa! Per quanto ti fermi?» lo investì lei con entusiasmo.
«Ehi, grissino, vacci piano!»
«Quanto tempo è passato? Almeno tre mesi dall'ultima volta. Accipicchia, dovremo raccontarci un sacco di cose, allora!»
«Guarda che io sono solo di passaggio.» Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso e alla fine si lasciò sfuggi re un fischio di ammirazione. «Questo completo è davvero niente male!»
Whitney sorrise radiosa mentre gli piroettava davanti per farsi ammirare. «Ti piace? Sto facendo degli esperimenti con le stoffe.»
Lui ammiccò.
«Stoffe per biancheria intima...»
«Sei sempre il solito!» esplose lei colpendolo ironicamente sul braccio. «Se sei solo di passaggio, come mai sei arrivato fin qui?»
«Sono sopravvissuto a tre giorni di riunioni deprimenti e così, mentre risalivo la costa, mi sono detto: Dylan, amico mio, hai bisogno di qualcuno che ti sollevi il morale. Così ho pensato a te.»
La risata di Whitney fu come una carezza. «Bene, allora ecco a voi l'esuberante Whitney!»
Più esuberante del solito, rifletté lui mentre infilava le mani in tasca per sottrarsi dalla tentazione di toccarla. «Ti andrebbe di mangiare un boccone con me?»
«Vuoi tornare a San Francisco stasera?»
«Il programma sarebbe quello.»
Lei scosse la testa. «Tu lavori troppo! E poi, non pensi a tua madre? Che cosa dirà sapendo che sei passato di qui senza farti vedere?»
Dylan provò una stretta allo stomaco. Non era tornato spesso a casa, dopo la morte di suo padre, Randolph Dylan Montgomery, un tipo abituato a comandare sempre e ovunque. Era buffo, perché in famiglia continuavano a vivere secondo la sua volontà, anche adesso che lui non c'era più. A volte Dylan pensava che li dirigesse ancora dalla tomba, come se il suo fantasma tirasse i fili delle loro vite.
La stessa fusione che gli era stata offerta non era altro che un'idea di suo padre...
«Ehi!» Whitney gli sventolò la mano davanti agli occhi. «Dove sei finito? E a che cosa stai pensando?»
«Stavo pensando a mia madre.» Anche per lei la vita con Randolph era stata piuttosto difficile. «Se non le dirai di avermi visto, non succederà niente.»
«Ah!» Una voce maschile con un netto accento russo si fece sentire alle sue spalle. «E se glielo dicessi io?»
Dylan sorrise rivolgendosi all'uomo vestito in modo impeccabile, i cui occhi azzurri scintillavano divertiti. Alto più di un metro e ottanta, ancora in forma a sessantadue anni, Karl Delaney poteva essere descritto come un uomo di grande comunicativa. Quante volte da bambino Dylan si era sorpreso a desiderare di averlo come padre!
Gli porse la mano.
«Non vorrai che mia madre mi cavi gli occhi!»
Karl ricambiò la stretta, valutando attentamente l'abbigliamento di Dylan, i pantaloni eleganti, la camicia di seta e la cravatta allentata, concludendo con un inconscio cenno di approvazione. «Non vorrei neppure che li cavasse a me!»
La signora Montgomery, cinquantanove anni, sapeva come mettere in riga qualcuno, se riteneva di aver subito un torto. Sapeva farlo con grazia e delicatezza, tuttavia le sue tirate d'orecchi facevano paura.
«Dai, zio, mantieni il segreto!» lo pregò Whitney inserendosi nel gioco. «Non ho ancora potuto raccontare a Dylan del mio viaggio a Parigi!»
Karl sospirò, ma sotto i baffi grigi le sue labbra tradirono un sorriso. «Oggi ho una crisi di cecità, non vedrei neppure un elefante.» Si finse indaffarato a cercare qualcosa. «Per me potete godervi pure una cenetta insieme, ma sono sicuro che qualcuno riconoscerà quella enorme Porsche e...»
«Zio Karl?»
«Dimmi, colombella.»
«Stai esagerando.» La ragazza prese un cardigan da dietro il bancone e lo infilò.
Karl sorrise. «Andatevene!»
Whitney si attaccò al braccio di Dylan e insieme si affrettarono a uscire. «Allora, dove andiamo?»
«Dove vuoi, purché possa stare tranquillo.»
«Ti va di andare da Hank?»
Nel suo locale si gustavano i migliori sandwich, si poteva guardare la televisione su uno schermo gigantesco e anche giocare a biliardo. «Perfetto.»
«A piedi o in macchina?»
«Se andassimo in macchina fino a casa tua e poi a piedi da Hank?»
«D'accordo.» Il locale si trovava a un solo isolato dalla casa di Whitney e, nonostante le serate fossero abbastanza fresche, Dylan aveva voglia di sgranchirsi le gambe.
Mentre procedevano in automobile, lui osservava la città e ne assorbiva i tratti familiari. In nessun altro posto la foresta sembrava scendesse fino al mare, né da un momento all'altro si passava da un paesaggio di montagna, dove spiccavano chalet e macchie di cipressi, a una scogliera che incombeva sulla spiaggia di sabbia finissima e lui lo adorava.
La risata felice di Whitney richiamò la sua attenzione e Dylan sentì le labbra incresparsi in un sorriso. Lei rideva spesso, saper prendere la vita allegramente era una delle sue migliori qualità. Il vento le scompigliava i capelli color mogano, e lei allora li raccolse in una coda di cavallo improvvisata al momento.
Per un riflesso condizionato, Dylan abbassò lo sguardo su di lei ma se ne pentì subito: quel semplice movimento aveva rivelato ancora di più la forma del seno di Whitney, sotto la camiciola.
«Attento ai pedoni!» l'avvertì lei con un grido.
Dylan puntò il piede sul freno e riportò lo sguardo sulla strada. «Scusa, ho proprio bisogno di riposare. Non è mia abitudine investire i vicini!»
«Forse solo perché, in quella specie di mausoleo dove vivi, non hai vicini.»
«Sei gelosa perché la mia casa è più grande della tua!»
Whitney alzò gli occhi al cielo e intanto rimboccò le maniche fino al gomito. «Guarda che io non so nemmeno che cosa sia la gelosia!»
«Sei diventata uno