Scaldami il cuore: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Cathy Williams
Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.
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Anteprima del libro
Scaldami il cuore - Cathy Williams
successivo.
1
«Tutti parlano di lui, sai.» Katherine Taylor - capelli ricci e biondi, occhi marroni e un viso sorridente - stava accoccolata in un angolo del tavolo della cucina e mordicchiava pigramente un gambo di sedano. Quella settimana, infatti, si era messa a dieta, al contrario della precedente, che invece era stata all'insegna del mangio quello che voglio, tanto è inutile. Comodamente seduta, osservava con interesse la sua amica Sophie, intenta a preparare una ricetta vegetariana.
«Pare che voglia trasferirsi qui.»
«E allora?» A Sophie sembrava di vederla, eccitata e felice per la notizia, sebbene in quel momento fosse rivolta verso i fornelli. In un villaggio come il loro i pettegolezzi fornivano il lubrificante necessario a far girare gli ingranaggi della vita quotidiana.
«E allora? È tutto quello che tu avresti da commentare sull'argomento?»
«Direi proprio di sì.» Sophie lasciò cadere alcuni odori nel tegame in cui cuocevano le verdure, poi aggiunse panna liquida in abbondanza. Katherine era libera di mettersi a dieta, ma incoraggiarla nei suoi sforzi sarebbe stata una vera sciocchezza.
Lei, invece, adorava mangiare bene, e non avrebbe certo gradito un menù a basso contenuto calorico. Le due amiche avevano deciso di concedersi una cenetta e passa re una bella serata insieme, sia pure restando a casa.
«Come fai a non morire dalla curiosità?» Il tono di Katherine suonava vagamente accusatorio, quasi che l'indifferenza di Sophie fosse uno stratagemma deliberato per sabotare la conversazione. «Tutti parlano di Gregory Wallace. Annabel, Caroline e le altre hanno già programmato i suoi impegni mondani, nel caso che la storia sia vera e che si stabilisca davvero qui.»
«Pover'uomo. Be', la cena è pronta.»
Presero posto a tavola davanti a due piatti fumanti, poi Katherine tornò sull'argomento. Inesorabile, era decisa a ottenere una risposta.
Sophie la ascoltò annoiata. Era la prima ad ammettere che Gregory Wallace stava facendo cose stupende per il loro villaggio. C'era lui dietro la realizzazione del nuovo complesso residenziale che, nonostante le diffidenze iniziali, si era rivelato elegante e ben progettato. Naturalmente tutti quei londinesi che si erano trasferiti avrebbero contribuito direttamente all'economia del villaggio.
Già si parlava dell'imminente apertura di un supermercato appartenente a un'importante catena, cosicché non sarebbe più stato necessario fare mezz'ora di macchina per raggiungere quello più vicino. Anche l'unico albergo, che col trascorrere degli anni era diventato triste e scialbo, era stato improvvisamente ridipinto e appariva piuttosto elegante.
Tutti in paese vedevano quell'uomo come un cavaliere dall'armatura scintillante, arrivato in sella a un destriero bianco per salvare dalla rovina i poveri abitanti di Ashdown. Nessuno sembrava considerarlo semplicemente un ricco uomo d'affari intenzionato a incrementare il proprio patrimonio.
«Non capisco per quale motivo Gregory Wallace dovrebbe desiderare di venire a vivere qui, con tutti i posti migliori di questo che esistono sul pianeta terra» disse infine Sophie mentre appoggiava forchetta e coltello sul piatto vuoto. Dapprima Katherine resistette alla tentazione di un bis, poi cedette e si servì nuovamente mentre l'amica la osservava con indulgenza.
«Le persone come lui hanno bisogno della confusione di una grande città come Londra. Non venire a raccontarmi che intende stabilirsi qui, coltivare il suo orticello e dedicarsi al bird-watching nel tempo libero.»
«Non essere così sarcastica, Sophie.»
Katherine bevve un generoso sorso di vino e le lanciò un'occhiata contrariata.
«Sono soltanto realista. Gregory Wallace è un buon partito, suppongo. Perché mai dovrebbe decidere di vivere proprio ad Ashdown? Non mi risulta che il nostro villaggio sia famoso per la bellezza delle sue donne.»
«Stai attenta a non farti sentire da Annabel e dalle altre.» Katherine si appoggiò allo schienale, tenendo il bicchiere di vino fra le mani e guardando seria Sophie. «Inoltre... ci sei tu. Non sei certo da buttare via, ti pare? Anche se passi la metà del tuo tempo a conciarti come se volessi apparire brutta.»
Sophie si sentì avvampare le guance. Cominciò a sparecchiare, mise le stoviglie nel lavello e riempì d'acqua il bollitore.
«Per favore, non ricominciare ancora con questa storia, Kat.» Parlare del suo aspetto la irritava. Tutte le sue amiche sembravano convinte che essere dotate di una bella presenza fosse necessariamente una benedizione, una dote in grado di aprire qualsiasi porta e di rendere la vita molto, molto facile. Nessuna voleva rendersi conto che la bellezza può chiudere tante porte quante può aprirne, ed era stufa di spiegarlo a Katherine.
«Perché non la smetti una buona volta di portare quelle gonne lunghe e tristi, quei pullover sformati? Eppure i mezzi non ti mancano.»
«È vero, non mi mancano» replicò Sophie malinconicamente. «Del resto, Alan si è dimostrato generoso.» Si girò e guardò la sua amica negli occhi. «A volte avere la coscienza sporca può risultare piuttosto costoso, non credi?»
Ancora non le andava giù. Erano passati cinque anni, eppure quel nome le si fermava in gola, dandole la nausea. «In ogni caso non voglio parlarne.»
«Perché no?» domandò Katherine risentita. «Se non vuoi parlarne con me, allora con chi vuoi farlo?»
«Non voglio discutere l'argomento con nessuno, Kat.»
Sophie aveva i pugni serrati. Si sforzò di rilassarsi. «Io e Jade stiamo entrambe bene. Siamo felici. Non c'è motivo di rivangare il passato.» Il nome di sua figlia le fece alzare gli occhi verso la scala, anche se sapeva che in quel momento Jade stava dormendo profondamente.
«Okay.» Katherine si strinse nelle spalle. Osservò Sophie portare due tazze di caffè, appoggiarle sul tavolo e mettersi nuovamente a sedere.
«Secondo me, tu sbagli. Sei bella, Sophie, e senza doverti tingere i capelli o ricorrere al fondotinta. Ma tu insisti ancora nel volerti seppellire qui.»
«Anche tu sei qui. Non mi sembra di averti vista correre alla stazione a comperare un biglietto di sola andata per Londra.»
«Ricevuto.» Sorrise, e Sophie cominciò a sentirsi più rilassata.
Almeno la serata non era finita male. Le sarebbe dispiaciuto accendere una discussione con Katherine. Erano amiche sin dai tempi in cui giocavano con le Barbie e inscenavano picnic con gli orsacchiotti di peluche ma, tuttavia, pensare ad Alan era per lei ancora troppo doloroso per poterne parlare apertamente, e di solito Katherine rispettava la sua riservatezza.
Più tardi, dopo che l'amica fu andata via, Sophie si assicurò che sua figlia stesse bene, poi andò nella sua camera da letto dove rimase sveglia ripensando a quanto aveva detto a proposito di Alan. Tutte bugie. Non era felice. Almeno, non nel senso di alzarsi tutte le mattine sentendosi piena di gioia di vivere.
Stava davvero bene solo quando osservava Jade, ma per la maggior parte del tempo era come se fosse avvolta da una cappa di latente infelicità. A volte riusciva a scuotersela di dosso e a lasciar entrare un po' di gioia, come quando aveva assistito alla prima recita scolastica di Jade, il Natale precedente. Ma ben presto quella cappa era tornata ad avvolgerla, senza mai strangolarla ma anche senza mai abbandonarla.
Come poteva spiegare tutto questo a Katherine? La sua amica sapeva soltanto che i divorzi avvengono a milioni e che Sophie era stata abbastanza fortunata e privilegiata da sposare un uomo ricco, il quale si era premurato di provvedere generosamente a lei e alla loro figlia. Come farle capire quanto profondamente la sua autostima ne avesse risentito?
Avvolta dalla penombra della camera da letto, vide riflessi nello specchio il volto e il corpo che avrebbero dovuto fare di lei una donna felice e realizzata: aveva capelli rosso fuoco che le ricadevano in boccoli fino alla vita, grandi occhi verdi trasparenti, labbra carnose e un naso delicato. I vestiti non bastavano a nascondere le lunghe gambe, la vita sottile, il seno prosperoso.
Sophie non si amava. Se il suo aspetto non fosse stato così attraente Alan non l'avrebbe mai notata e la sua vita sarebbe potuta essere diversa... migliore, forse. Grazie a Dio, ho Jade, pensò. Da quella palude di sofferenza era nata una benedizione.
Non c'era da meravigliarsi che il solo pensiero di attrarre un altro uomo, come pure di esibire il proprio corpo, la riempisse di repulsione.
Vivere in una piccola comunità, per giunta molto unita, presentava dei vantaggi: gli uomini appartenevano tutti a famiglie conosciute, e da loro non c'erano da aspettarsi brutte sorprese. Una faccia nuova poteva sempre capitare, e poi, quando Annabel e le amiche arrivavano da Londra per riposarsi e recuperare un po' di energie nelle case di campagna dei loro genitori, invariabilmente si portavano dietro qualcuno. Lei, però, aveva rifiutato con cortesia i loro inviti, per altro abbastanza rari. Sì, lì si sentiva al sicuro.
Quando, alcune settimane dopo, Katherine le annunciò che Gregory Wallace sarebbe davvero venuto a vivere ad Ashdown, la notizia la lasciò del tutto indifferente. Per quanto la riguardava, che lui scegliesse Ashdown o Timbuktu non le avrebbe certo cambiato la vita.
«L'ho incontrato!» squittì Katherine davanti al bancone della biblioteca in cui Sophie lavorava.
«Buon per te...» si congratulò l'amica cordialmente. «Ma... sei sicura che questa esperienza ti renda migliore?» commentò con una punta di ironia.
«È stupendo.»
«Oh, davvero? Quand'è così, nel giro di poche ore avrà tutta Ashdown ai piedi. Senza dubbio Annabel, Caroline e le gemelle Stennor torneranno a vivere qui definitivamente. E dove ha intenzione di stabilirsi, l'affascinante salvatore del nostro villaggio?»
«Ha acquistato Ashdown House.»
«Ashdown House?» Sophie si sporse verso di lei. Fremeva. «Pensavo che la vecchia signora Frank fosse determinata a non lasciare la sua casa per nessun motivo!»
«Be', invece l'ha fatto. Si è sistemata nel cottage sulla strada, e i lavori di restauro sono già a buon punto.»
«Il signor Wallace deve avere grosse doti di persuasione...» osservò Sophie un po' irritata.
«Decisamente.» Katherine sospirò. «Oltre ad avere un aspetto molto seducente e un conto in banca altrettanto attraente. E ti prego, non ricominciare con la solita storia che i soldi non contano. Se saprai giocare bene le tue carte, lui potrebbe rivelarsi un generoso contribuente per la tua fondazione di beneficenza.»
«Non ho la minima intenzione di correre da un perfetto sconosciuto a chiedergli la carità con il berretto in mano» replicò Sophie bruscamente. La sua attività benefica era dettata dall'amore per il prossimo, e non aveva alcuna voglia di unirsi al drappello di quanti anelavano ad incontrare il signor Gregory Sistemo-tutto-io per ottenere da lui qualche vantaggio. In verità trovava l'intera sceneggiata che circondava il suo arrivo vagamente disgustosa. Tutte le vecchie comari che frequentavano la biblioteca raccontavano una quantità di storie su di lui e sui lavori di restauro di Ashdown House, per i quali Gregory Wallace non badava a spese.
«No, non l'ho ancora visto» aveva ripetuto Sophie in numerose occasioni. Ormai doveva trattenere gli sbadigli ogni volta che veniva fatto il suo nome.
Sapeva che prima o poi l'avrebbe incontrato. Ad Ashdown era impossibile non imbattersi nei propri vicini una volta ogni tanto, e Sophie era praticamente sicura che l'avrebbe riconosciuto anche se, a sentire Katherine, nel corso delle ultime settimane gli avvistamenti si erano un po' diradati.
L'inverno era ormai alle porte, e il pensiero andava alle feste di Natale, al pudding e ai pacchetti sotto l'albero.
«Forse Ashdown House non gli interessa più. Probabilmente si è già stancato del nuovo giocattolo e ha deciso di restare a Londra» obiettò Sophie sorridendo, mentre la sua amica scuoteva la testa e lasciava la biblioteca con passo deciso, l'espressione corrucciata.
Erano quasi le cinque del pomeriggio. A quell'ora fuori era quasi buio e la biblioteca era praticamente vuota. Tra un minuto Sophie sarebbe uscita per andare a riprendere Jade a casa di Sylvia, la babysitter che si prendeva cura di lei dopo la scuola nei due giorni in cui Sophie si tratteneva al lavoro fino all'orario di chiusura. Una volta arrivate a casa avrebbero cominciato a preparare le decorazioni natalizie.
Ancora qualche giorno, e a Jade sarebbe arrivato dal padre che viveva a New York un grosso,