Quando gli opposti si amano: Harmony Jolly
Di Kate Hardy
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Insopportabile! Emmy Jacobs non ci può ancora credere: lei e quello stakanovista, soffocante e apprensivo di Dylan Harper saranno i tutori legali di Tyler, il bambino dei loro due cari amici scomparsi. La convivenza non potrà che essere impossibile. Come si fa a mettere insieme il diavolo e l'acqua santa?
Se Pete ad Ally hanno scelto lei, vuol dire che in fondo non è così male. Dylan deve farsene una ragione: dovrà abitare con quella pasticciona di Emmy. In fondo, un po' di follia nella vita ci vuole. Dylan se lo augura, altrimenti saranno guai per la sua sanità mentale.
Kate Hardy
Autrice inglese, consulta spesso riviste scientifiche per verificare i dettagli tecnici dei suoi romanzi.
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Anteprima del libro
Quando gli opposti si amano - Kate Hardy
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Bound by a Baby
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2013 Pamela Brooks
Traduzione di Paola Picasso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-167-1
1
«Suppongo sappiate perché vi ho convocato» esordì il procuratore legale, guardando Emmy e Dylan.
Certo che Emmy lo sapeva.
Ally e Peter le avevano chiesto di assumersi l’affidamento di Tyler, il loro bambino, nel caso impensabile che fosse successo qualcosa a loro due.
Purtroppo l’impensabile si era verificato e per quanto si sforzasse, Emmy non riusciva a credere che non avrebbe mai più visto la sua migliore amica.
Ovviamente quel giorno si doveva ufficializzare la situazione.
Dylan Harper, l’amico più caro di Peter, era presente perché era stato nominato un esecutore testamentario che aveva richiesto la presenza di entrambi.
«Sì» rispose.
«Sì» le fece eco Dylan.
«Bene.» L’avvocato batté la penna sul plico. «Dunque, voi due mi confermate di essere pronti ad assumervi la custodia di Tyler?»
Emmy s’impietrì. Di che cosa parlava quell’uomo? Doveva esserci un errore. Ally e Peter non avrebbero mai chiesto a entrambi di diventare i custodi di Tyler.
Voltandosi verso Dylan, vide che anche lui la fissava e sembrava interdetto quanto lei.
Forse avevano capito male.
«Dovremmo diventare entrambi i custodi di Tyler?» domandò.
Per la prima volta l’espressione impassibile dell’avvocato subì una leggera alterazione.
«Signorina Jacobs, non sapeva di essere stata nominata custode di Tyler?»
Emmy emise un sospiro.
«Ebbene... sì. Ally me lo ha chiesto prima di riscrivere il testamento insieme a Peter.» E aveva dato per scontato che l’avesse proposto solo a lei.
«E Peter lo ha chiesto a me» dichiarò Dylan.
A quel punto lei si domandò se Ally e Peter avessero discusso di quella questione. Sembrava proprio di sì, dato che entrambi avevano firmato il documento, perciò dovevano aver avuto la certezza che i loro amici avrebbero accettato quell’incarico.
Tuttavia non ne avevano parlato con loro.
«C’è qualche problema?» domandò loro il procuratore legale.
A parte il fatto che lei e Dylan si detestavano e si evitavano il più possibile? O che Dylan fosse sposato e che probabilmente sua moglie non avrebbe gradito che diventasse il custode di Tyler insieme a una donna nubile come lei?
«No» rispose, decidendo all’istante che fosse lui a sbrigarsela.
«No» confermò Dylan, lasciandola a bocca aperta.
«Bene.»
Bene un cavolo, pensò Emmy. La situazione diventava sempre più complicata. Forse Dylan progettava di battersi per ottenere la custodia del bambino e avendo famiglia, avrebbe vinto di sicuro. Stava per protestare, ma l’avvocato la prevenne, leggendo il testamento.
«Ally e Peter hanno lasciato una notevole somma per il mantenimento di Tyler. Ho qui tutti i dettagli.»
«Me ne occuperò io» dichiarò Dylan.
Presumendo forse che la scervellata disegnatrice di gioielli non avrebbe saputo che pesci prendere?
Emmy sapeva bene come Dylan la giudicava. Glielo aveva sentito dire a Peter più d’una volta e la cosa l’aveva molto irritata.
Da dieci anni lei svolgeva un lavoro indipendente e sapeva quello che faceva, mentre non riusciva proprio a immaginare Dylan intento a badare a un bambino, benché fosse tanto sicuro di sé e altezzoso. In quanto a sua moglie, Ally le aveva detto solo che Nadine lavorava con lui ed Emmy era sicura che fosse fatta con lo stesso stampo. Una stacanovista fanatica che sicuramente ignorava che cosa si dovesse fare per il benessere di un bambino. Ally non poteva aver desiderato di affidarle Tyler.
A quel punto l’avvocato illustrò i termini dell’affidamento ed Emmy fu costretta ad ascoltare.
Poi la riunione finì, lasciando a lei e a Dylan il compito di organizzarsi.
Emmy salutò l’avvocato, gli strinse la mano e uscì dall’ufficio. Scesa in strada, si fermò e affrontò Dylan.
«Credo che dovremmo parlare. Subito.»
Lui annuì. «Sento il bisogno di bere un caffè.»
Le sottili rughe intorno ai suoi occhi color pervinca facevano pensare che dopo l’incidente avesse trascorso molte notti insonni. Aveva un aspetto vulnerabile, come se soffrisse al pari di lei e questo le impedì di pronunciare una delle tante battute che si scambiavano di solito.
«Anch’io» rispose.
Nemmeno lei aveva dormito molto, ma in nessun caso si sarebbe mostrata vulnerabile. Non gli avrebbe permesso di portarle via Tyler.
Lui e Nadine non avrebbero preso il suo posto.
«Dov’è Tyler?» domandò Dylan.
«Con mia madre. Mi telefonerà se dovesse aver bisogno. L’ufficio di un avvocato non mi è sembrato un posto adatto a lui.»
«In effetti non lo è.»
Era la prima volta che Dylan le dava ragione. Forse sarebbero riusciti a trovare un accordo. Forse lui si sarebbe mostrato ragionevole. Nella sua vita caotica non c’era posto per un bambino piccolo. Sarebbe stata dura anche per lei, pensò Emmy, ma se non altro stando con i suoi nipoti aveva imparato qualcosa.
«Andiamo?» propose, indicando un bar dall’altra parte della strada.
«Va bene.»
Arrivata al banco, ordinò un cappuccino. «Che cosa vuoi?» gli domandò poi.
«Lascia fare a me.»
Emmy scosse la testa, decisa a mantenere il comando. «Sono arrivata prima io.»
«Allora grazie.»
«Desideri qualcosa da mangiare?»
Dylan serrò le labbra.
«No, grazie. In questo momento ho lo stomaco chiuso. Mi basterà un espresso.»
Anche lei, da quando aveva ricevuto la notizia, non era più riuscita a mangiare. Sembrava che la morte dei loro amici avesse scosso profondamente entrambi.
Forse avrebbero trovato un terreno comune.
«Se ti siedi a un tavolo, porterò là le nostre ordinazioni» gli suggerì Emmy, lieta di restare sola qualche minuto per mettere ordine nei suoi pensieri. In quel momento non voleva litigare con Dylan. Voleva riavere la sua amica e che tutto tornasse com’era stato fino a tre giorni prima. Voleva che Peter portasse Ally a Venezia per festeggiare il loro anniversario. Che Ally l’avvertisse che stavano tornando, ansiosa di riabbracciare il figlioletto e di raccontarle tutto del viaggio. Voleva che fossero vivi.
Pagato il conto, portò le tazze al tavolo che Dylan aveva occupato in un angolo.
«Dunque non sapevi che Peter mi aveva chiesto di assumermi la custodia di Tyler?» le domandò Dylan, diretto come sempre.
«No» rispose. «E tu non avevi idea che Ally l’avesse chiesto a me?»
«No.» Dylan allargò le mani. «Naturalmente ho aderito alla sua richiesta, come devi aver fatto anche tu. So che non si deve parlare male dei morti e Peter era un fratello per me, ma che cosa diavolo pensavano lui e sua moglie quando hanno preso questa decisione?»
«Sono entrambi... erano entrambi figli unici. Il padre di Peter ha quasi ottant’anni, sua moglie non lo lascia un solo istante e la madre di Ally non gode di buona salute. Nessuno di loro avrebbe potuto prendersi cura a tempo pieno di un bambino e con il passare degli anni la situazione sarebbe peggiorata. Dev’essere per questa ragione che Peter e Ally hanno affidato il loro figlioletto a persone della loro età.»
«Questo è più che comprensibile. Ma perché proprio a noi?» insistette lui.
Perché affidare la cosa più preziosa della loro vita a due persone che non andavano d’accordo?, ammise Emmy.
Tuttavia la domanda che le premeva era un’altra.
«Perché noi due invece di te e di tua moglie?»
Dylan scosse la testa. «Questo non è un problema.»
«Se io fossi sposata e il migliore amico di mio marito gli avesse chiesto di diventare custode del suo bambino, nel caso gli fosse successo qualcosa, mi darebbe molto fastidio che la stessa richiesta fosse stata rivolta a un’altra donna al posto mio.»
«Questo non è un problema» ripeté lui.
Che uomo pomposo e arrogante. Emmy fece uno sforzo per controllarsi. «Non pensi che dovremmo includere anche lei in questa discussione?»
«Sei stata tu a dire che dovevamo parlare.»
«Infatti è così» ammise Emmy, adottando il suo tono più educato che usava con i clienti difficili. «Non puoi telefonarle e chiederle di raggiungerci?»
«No.»
Addio tono educato.
«I casi sono due. O ti fidi ciecamente di lei, oppure sei più arrogante di quanto pensassi.»
«Il problema non esiste perché Nadine e io ci siamo separati» disse lui. «Sei contenta, adesso?»
Che cosa? Da quando Dylan aveva rotto con sua moglie? E perché? Ma non erano fatti suoi, perciò Emmy non indagò.
«Temo che questo complichi ancor più la situazione...» mormorò, ripensando al suggerimento che le aveva dato l’assistente sociale, suggerimento che sul momento aveva accantonato, ma che avrebbe potuto rivelarsi la soluzione migliore. «Forse...» aggiunse pensierosa, «Ally e Peter hanno pensato che noi due fossimo in grado di dare a Tyler ciò di cui necessita.»
Dylan socchiuse gli occhi. «Che cosa vuoi dire?»
«I nostri punti di forza sono diversi.» E anche le nostre debolezze, si disse lei. Avrebbero dovuto lavorare su quelle differenze invece di ingaggiare una battaglia. «Ciascuno di noi potrebbe offrirgli quello che ha.»
«Sarebbe a dire che io porterei la mia competenza per tutte le questioni serie e importanti e a te spetterebbe la parte dei giochi e del divertimento?»
Benché fosse disposta ad accettare un compromesso, quella frase la irritò. Era l’atteggiamento di superiorità di Dylan, la sua arroganza e la sensibilità di un rinoceronte ad averglielo reso antipatico fin dal primo momento che l’aveva visto.
«Vuoi dire» replicò, sollevando il mento, «che siccome lavoro con oggetti graziosi e scintillanti, distolgo il mio modesto cervello dalle cose reali?»
Lui trasalì, come se si fosse appena reso conto d’averla involontariamente insultata.
«Messa in questi termini ha un brutto significato.»
«Proprio così, Dylan. Sai che io svolgo un lavoro indipendente. Se fossi una scervellata, incapace di fare delle previsioni economiche e di regolarmi, già da tempo sarei ridotta alla fame e indebitata fino agli occhi. Non è questo il caso. Il mio conto in banca è in nero e gli affari mi vanno bene. Vuoi che ti faccia spedire una lettera di conferma dal direttore del mio istituto di credito?»
Lui sostenne il suo sguardo. «Va bene. Ti chiedo scusa. Non avrei dovuto dirlo.»
«Scuse accettate.» Emmy sospirò. Doveva riconoscere che con la morte di Peter Dylan aveva perso un fratello e che la sua sofferenza doveva essere profonda. Soprattutto adesso che il suo matrimonio era andato a rotoli. Inoltre lui era la persona più riservata che avesse conosciuto e doveva incontrare molte difficoltà a dominare le emozioni. Ecco perché si nascondeva dietro battute pungenti.
Per il momento l’avrebbe perdonato, ma in seguito non gli avrebbe permesso di metterle i piedi in testa.
«So che noi due non andiamo d’accordo, ma adesso non