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Il segreto del primario: Harmony Bianca
Il segreto del primario: Harmony Bianca
Il segreto del primario: Harmony Bianca
E-book155 pagine2 ore

Il segreto del primario: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Il dottore più rinomato e misterioso del Sydney Harbour Hospital è tornato. La specializzanda Hayley Grey conosce tutti i pettegolezzi sul Primario di Neurochirurgia Tom Jordan: vive per il suo lavoro, si tiene lontano dalle relazioni ed è scomparso due anni fa senza lasciare traccia. Ora è tornato e il suo segreto è stato svelato: non potrà mai più operare. Nonostante questo rimane per Hayley l'uomo più orgoglioso, testardo e sexy che abbia mai incontrato. E anche se è certa che sarebbe un grande errore accettare la sua corte, sa che non potrà resistergli a lungo.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2018
ISBN9788858988206
Il segreto del primario: Harmony Bianca
Autore

Fiona Lowe

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il segreto del primario - Fiona Lowe

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Sydney Harbour Hospital: Tom’s Redemption

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2012 Harlequin Books S.A.

    Special thanks and acknowledgement are given to Fiona Lowe

    for her contribution to the Sydney Harbour Hospital series

    Traduzione di Giacomo Boraschi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-820-6

    1

    Affacciato al balcone del suo attico all’ultimo piano, Tom Jordan... il dottor Jordan per quasi tutti... offrì il viso al sole invernale. Le strida dei gabbiani che ruotavano nel cielo si fondevano con il muggito della sirena di un traghetto mentre il sentore di acqua salata gli stuzzicava le narici. Era Sydney, la sua città.

    Si volse verso il famoso Teatro dell’Opera, poi verso il ponte alla propria destra. Conosceva bene il panorama, essendo cresciuto a Sydney... anche se molto lontano da quel sontuoso punto di osservazione. Una volta, da bambino, aveva preso con la sua classe il traghetto per il Giardino Zoologico di Taronga. Vedendolo ammirare le eleganti dimore costruite sulla costa, l’insegnante aveva detto: «Sogna pure, Jordan. La gente come te può solamente lavare il pavimento di quelle case».

    Tom non aveva mai scordato quelle parole. Aveva giurato di provare che l’insegnante aveva torto. Di provare che a Derrybrook tutti avevano torto... be’, quasi tutti. Due persone avevano sempre creduto in lui.

    L’attico e la Ferrari erano il suo modo di fare uno sberleffo ai bastardi di Derrybrook. Il lungo e faticoso ciclo di studi per diventare primario del famoso reparto neurochirurgico del Sydney Harbour Hospital era un’altra questione... il suo omaggio a un uomo straordinario.

    Un sentore di muffa unito alla pungente fragranza di limone del detersivo fluì all’improvviso dall’interno, aleggiando sulla terrazza. La donna delle pulizie stava trafficando per liberare l’appartamento dalle conseguenze di quasi due anni di chiusura. Due anni cominciati nel più banale dei modi, in un giorno così normale che non gli sarebbe certamente rimasto impresso nella memoria... se non fosse stato per un attimo che aveva cambiato tutto. Irrevocabilmente, irreversibilmente e indelebilmente.

    Era rimasto lontano da Sydney per quasi due anni, disperando di poter tornare nel suo paradiso perduto, ma le cose erano cambiate ancora. Due mesi prima, sulla spiaggia di Cottlesloe a Perth, il vento aveva ridestato in lui la nostalgia, inducendolo a volgersi verso est. Una settimana prima aveva ricevuto un invito congiunto da parte di Eric Frobisher, direttore clinico del Sydney Harbour Hospital e Richard Hewitson, rettore dell’Università Parker. Lo invitavano a tenere un ciclo di lezioni per il personale e gli studenti, proponendogli un contratto di sei mesi. Al momento avrebbe voluto rifiutare: non era un insegnante e non voleva insegnare. Ma a pensarci bene, era sempre meglio che stare con le mani in mano. L’inattività lo stava attirando in un gorgo che minacciava d’inghiottirlo.

    Strinse convulsamente la ringhiera del balcone. L’ultimo anno era stato di rieducazione, il primo passo nella sua nuova vita. Gli era già capitato di risalire dopo avere toccato il fondo e poteva rifarlo. Ma a differenza di quando era bambino, stavolta non avrebbe visto la pietà o il disprezzo.

    Poiché cominciava a fare freddo, si volse lentamente e tese le mani per tastare il tavolo. Quando lo ebbe toccato, contò cinque passi e procedette in linea retta finché la sua mano sinistra toccò la porta di cristallo socchiusa. Passò le dita della mano destra sulla superficie levigata fino a trovare e stringere la maniglia rettangolare, poi entrò nella stanza, quasi senza notare la diminuzione della luce.

    «Abbiamo finito. Ottimo lavoro. Grazie a tutti.»

    Hayley Grey, interno di chirurgia all’ultimo anno, si scostò dal tavolo operatorio e si tolse i guanti, lasciando il paziente nelle capaci mani dell’anestesista e delle infermiere. Nel rapporto l’operazione sarebbe stata descritta come una normale appendicectomia. Soltanto lei e lo staff del turno di notte avrebbero saputo di avere sfiorato il dramma di una setticemia a causa di un peritoneo pieno di pus. Kylie Jefferson poteva considerarsi fortunata. Con un’altra ora di ritardo, le cose sarebbero andate in modo molto diverso.

    Hayley lasciò la sala operatoria, attraversò il bagno e varcò altre due porte, uscendo nel lungo corridoio del reparto.

    Gettò indietro le spalle mentre avvertiva all’improvviso tutta la stanchezza della notte di lavoro. L’orologio sulla parete segnava le tre del mattino. Come le sarebbe piaciuto andare a letto e concedersi una lunga dormita! Si sarebbe sicuramente addormentata come la sua testa avesse toccato il cuscino. Ma sapeva di non potersi concedere quel lusso. Doveva attenersi alla routine... battere il rapporto sul computer, mangiare un boccone, fare il giro della corsia. Sarebbe andata a casa soltanto allo spuntare dell’alba.

    «Abbiamo la torta, Hayley.»

    «Quale?»

    Jenny, la caposala del turno di notte, alzò gli occhi al cielo mentre Hayley entrava nella sala del personale inaspettatamente affollata. Qualche tempo prima, nel cuore della notte, un incidente stradale aveva messo il Pronto Soccorso sotto pressione e Hayley aveva visto la tensione su ogni viso quando era arrivata per il suo caso. Due ore dopo, con la paziente nella sala post-operatoria, la tensione si era allentata e le infermiere si rilassavano nella penombra della stanza, accoccolate sui comodi divani.

    Hayley accese automaticamente le lampade principali. La penombra la metteva a disagio.

    «Troppa luce! Spegni!» protestarono le infermiere, strofinandosi gli occhi.

    Jenny decise per un compromesso, limitandosi a spegnere le lampade sopra i divani. «Lavori qui da un mese e chiedi ancora quale torta?»

    Hayley sorrise. «L’ho chiesto apposta per stuzzicarti. Per fortuna mi piace il cioccolato.»

    Pur lavorando all’Harbour da solamente un mese, aveva già imparato che le infermiere del turno di notte avevano una dipendenza dal cioccolato e dalla caffeina. Una dipendenza comprensibile, considerati gli orari e i casi che si trovavano ad affrontare. Erano anche molto estroverse e Hayley apprezzava la loro socievolezza, pur trovandola a volte un po’ snervante.

    Un tempo aveva avuto una sorella che era anche la sua migliore amica. Non si era mai sentita così legata a nessun altro. Certo, aveva delle amiche, ma non era la stessa cosa. Con il passare dei giorni, tuttavia, si sentiva sempre più parte dello staff ospedaliero.

    «Andiamo tutti pazzi per il cioccolato.»

    Jenny mise sul piatto una generosa fetta di torta e glielo porse.

    «Meno Tom Jordan» ricordò Becca, un’infermiera della sala operatoria, tenendo fra le mani una fumante tazza di caffè.

    Un gran sospiro si levò dalla stanza. Sembrava esprimere un miscuglio d’infatuazione e nostalgia.

    Accadeva ogni volta che qualcuno nominava l’antico primario di neurochirurgia. Hayley non lo aveva mai visto. Sembrava che due anni prima, avesse lasciato l’ospedale senza preavviso.

    Si sedette e tagliò un pezzetto di torta con la forchetta. «Come si può sentire la mancanza di un uomo che non apprezza il cioccolato?»

    «Hayley! Non sai quello che dici!» Becca si premette la tazza sul cuore. «Tom era semplicemente divino. Certo, non aveva pietà, a volte faceva piangere medici e studenti, ma chiedeva agli altri solamente quello che chiedeva a se stesso. Niente di più.»

    «Ed era moltissimo» aggiunse Theo, l’unico infermiere maschio nella stanza. «Abitava e lavorava qui, per lui i pazienti contavano più di tutto. Mi ha insegnato più cose di qualsiasi altro chirurgo.»

    «Guardandolo operare...» Jenny accennò un sorriso triste. «Guardando la magia che sapeva creare con le sue lunghe dita, si scordavano tutte le parole sgarbate che aveva pronunciato nei momenti di tensione. Bastava uno sguardo dei suoi occhi verdi e avresti dato la vita per lui.»

    «Suzy lo conosceva bene.» Theo stuzzicò l’infermiera seduta al suo fianco. «Ma se n’è andato. Chi è il tuo uomo di turno? Corre voce che sia Finn Kennedy.»

    Suzy gli tirò un pugno sul braccio. «Almeno l’ho provato. Sei solamente geloso.»

    «Di Finn Kennedy? Non c’è pericolo.»

    Ma Theo aveva stretto le labbra.

    Suzy gettò ad Hayley un’occhiata gelida. «Theo aveva un debole per Tom. Gli dispiace di non avere fatto parte del suo team, anche perché Tom era un amante favoloso.»

    Lei era abituata alle stoccate delle infermiere, ma stavolta le parve che avessero passato il segno. «Bello, intelligente, gran lavoratore e fantastico amante? Mi sembra che stiate esagerando.»

    L’atmosfera si raggelò all’istante. «Tom era unico» insistette Jenny. «Nessuno poteva stargli alla pari.»

    Hayley lasciò che il cioccolato le titillasse un momento la lingua, poi ingoiò un altro boccone della deliziosa torta. «Se è così straordinario, perché ha lasciato il prestigioso Harbour

    Becca fece una smorfia. «Non lo sappiamo. Tom se n’è andato e la direzione ha annunciato che Rupert Davidson lo sostituiva mentre cercavano un nuovo primario. Quando facciamo domande, non rispondono.»

    Jenny annuì. «Abbiamo tentato di telefonargli, ma la linea non è più in funzione. Abbiamo cercato su Internet per vedere se aveva trovato lavoro in Inghilterra o negli Stati Uniti, ma le ultime notizie riguardano la sua ultima operazione in questo ospedale. È sparito e non vuole essere rintracciato.»

    «Spero che lavori, ovunque sia. Il suo talento non deve andare sprecato.» Theo si alzò mentre l’altoparlante chiamava lo staff. «A proposito, Hayley, siamo in competizione contro Terapia Intensiva per il premio ecologico Salvatori del Pianeta. Tu sei il nostro anello debole. Potresti spegnere le luci quando te ne andrai?»

    Hayley si morsicò il labbro. «Okay.»

    Dopo avere dato un’occhiata alla paziente appena operata, che sembrava stabile e dormiva profondamente, entrò nell’ascensore per tornare a casa. Si appoggiò alla parete e trasse un profondo sospiro. Amava quell’ora della notte, quando l’alba era vicina ma il trambusto della giornata doveva ancora cominciare. L’ascensore giunse al pianterreno e le porte si schiusero sul lungo corridoio che univa l’ospedale al parcheggio dello staff.

    Come parte della politica ecologica dell’ospedale, nel corridoio erano state installate delle cellule fotoelettriche, dato che fra il mattino e la sera veniva usato di rado. Appena uscita dall’ascensore, Hayley contò mentalmente, aspettandosi che le luci si accendessero automaticamente prima del tre. Ma quando giunse a cinque, il corridoio era ancora buio. Le porte dell’ascensore si chiusero, nascondendo l’unica luce, e Hayley fu avvolta dall’oscurità.

    Assalita dal panico, tolse di tasca il cellulare e lo accese, rischiarando il pavimento con la fioca luce del quadrante mentre strisciava lungo la parete. Le parve di sentire un rumore e si fermò di colpo, ma dopo un momento udì

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