Il marchio del possesso: Harmony Destiny
Di Emilie Rose
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Emilie Rose
Confessa che il suo amore per i romanzi rosa risale a quando aveva dodici anni e sorprendeva sua madre a nasconderli ogni volta che lei entrava nella stanza.
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Anteprima del libro
Il marchio del possesso - Emilie Rose
Capitolo 1
«E LEI LO definisce un increscioso incidente?» si indignò Ryan Patrick con il direttore della clinica della fertilità Lakeview, seduto di fronte a lui alla sontuosa scrivania in noce.
La poltrona di pelle del direttore scricchiolò, assecondando i movimenti nervosi del corpo dell’uomo. «Uno dei nostri tecnici di laboratorio ha purtroppo dimenticato di effettuare il controllo incrociato con il numero del suo campione. Ha solo verificato il nome, senza però accorgersi che nome e cognome erano invertiti. Ci tengo a precisare, signor Patrick, che si tratta di una circostanza del tutto eccezionale per il nostro centro, che lavora da anni con la massima scrupolosità, lasciando sempre soddisfatti i nostri clienti...»
«E con questo? Che cosa vuole che me ne importi se i vostri clienti sono o no soddisfatti. Io di certo non lo sono» si infervorò Ryan ancora di più, serrando le dita attorno ai braccioli. Non era facile mantenere la calma. Soprattutto quando il suo interlocutore sembrava lì lì per avere un infarto.
Il direttore inspirò ed espirò lentamente prima di dichiarare: «Il suo... contributo è stato donato alla donna sbagliata».
Ryan sentì i muscoli addominali contrarsi. «Sarebbe un bel guaio se...»
«È incinta. La gravidanza è stata confermata due settimane fa» aggiunse il direttore in tono funebre.
Che disastro. E ora come faceva a dimostrare a suo padre che aveva messo la testa a posto ed era pronto a prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia, la Patrick Architectural Design? Purtroppo, Ryan era un campione nell’arte di cacciarsi nei guai. Non avrebbe dovuto puntare così in alto nella scala del successo, se poi era costretto a inciampare a ogni ostacolo.
«Due settimane fa? Come mai ne vengo informato solo ora? E che ne è della donna che avevo scelto come madre surrogata?»
«Ci siamo accorti del disguido solo ieri, quando lei è venuta qui al centro per il suo appuntamento. Non è stata inseminata perché, dietro sua insistenza, signor Patrick, avevamo una sola provetta con il suo contributo.»
Ne avevano una sola perché, con la reputazione di cui godeva la clinica, chi andava a pensare che avrebbero combinato quel pasticcio?
«E lei è proprio sicuro che ora questa donna sia incinta di mio figlio?»
«Sì.»
Era demoralizzato. Una volta che aveva deciso di ricorrere a una madre surrogata, aveva impiegato dei mesi per trovare la donna giusta, quella con i requisiti fisici, intellettivi e genetici più idonei. Una che non si sarebbe affezionata al bambino durante i nove mesi di gestazione e che non avrebbe poi cambiato idea al momento di consegnarglielo.
E ora non era quella la donna che portava in grembo suo figlio.
«Come si chiama?»
«Non sono autorizzato a fornirle questa informazione.»
Scattò in piedi. «Non è autorizzato a dirmi chi è che è incinta di mio figlio?»
«Mi dispiace. Sono notizie riservate che...»
Ryan era intenzionato ad avere a tutti i costi quella informazione. Puntellò i pugni sul tavolo e si spinse verso il direttore.
«Non mi costringa a portarle in clinica un plotone di avvocati. Non solo le costerebbe una fortuna, ma la pubblicità negativa sarebbe deleteria per il buon nome della Lakeview. Si tratta di mio figlio, e ho tutto il diritto di sapere chi è e dov’è sua madre e se è adatta al compito. Voglio che mi dica tutto di lei.»
Il viso del direttore divenne paonazzo. «Signor Patrick, sono sicuro che lei comprende l’esigenza di segretezza della Lakeview...»
«Voglio il suo nome e indirizzo immediatamente. Altrimenti i miei legali le piomberanno addosso come falchi prima di pranzo.»
L’uomo si irrigidì e deglutì; poi sfogliò un fascicolo sopra la scrivania. «Sono sicuro che non sarà necessario. La signorina High... ehm, l’altra nostra cliente sembra essere una persona ragionevole e comprensiva. Una volta che le avrò spiegato la situazione...»
«Me la sbrigo io. Lei ha già combinato abbastanza guai. Può pure coprire il suo errore con parole del tipo incidente, disguido, circostanza, ma la verità è che siete stati sciatti e negligenti.»
Il direttore cominciava ad avere la fronte imperlata di sudore. Ryan fissò le goccioline senza battere ciglio. Una volta impallidito, sarebbe stato più semplice ottenere quello che voleva senza dover ricorrere alla legge. Il che era meglio anche per lui. Non voleva che suo padre venisse a sapere del disastro che aveva combinato.
«E va bene. Le darò l’informazione che le occorre, signor Patrick.»
Ryan si rimise a sedere mentre il direttore si affrettava verso la porta.
Non gli restava che trovare quella donna e convincerla a dargli il bambino... così come era stato pattuito con la persona che aveva inizialmente scelto per quel compito.
Sarebbe stata la zia migliore che il suo bambino potesse avere.
E questo doveva bastarle. Nicole Hightower si lisciò lo stomaco sottosopra e agguantò un cracker. Stava finalmente per mettere al mondo il figlio di Patrick.
E di Beth.
Le dita si contrassero attorno al pennino dell’agenda elettronica ripensando a come il suo grande sogno non si stesse realizzando proprio nei termini in cui aveva desiderato.
Diede un morso al cracker integrale e si concentrò sul calendario. Doveva programmare pilota, aereo ed equipaggio per il suo cliente. Ci teneva a lasciare sempre contente le persone che trattavano con lei e a far sì che i loro viaggi fossero senza intoppi. Ma quel giorno la sua vita personale continuava a distrarla dal lavoro e dalla mole di scartoffie che affollava la sua scrivania.
Rinunciare al suo bambino sarebbe stato difficile, ma poteva farcela, continuava a ripetersi, perché sarebbe stata non solo una madrina, ma anche una zia sempre presente. Sua sorella glielo aveva promesso e Beth era di parola. Nicole aveva sempre potuto contare sulla sorella maggiore, anche e soprattutto in quei periodi della sua vita in cui papà e mamma erano stati pressoché inesistenti. Portare in grembo un figlio di Beth era il minimo che potesse fare ora per lei.
E poiché sua sorella avrebbe continuato a lavorare per la Hightower Aviation Management e a portare il bambino al lavoro tutti i giorni, lei avrebbe avuto modo di vederlo almeno durante la pausa pranzo, andandolo a trovare alla nursery dell’azienda. O di osservarlo dalla scrivania.
Cliccò su un’icona sullo schermo del computer e comparve un’immagine della nursery, con le alacri e affettuose babysitter che si prendevano cura degli adorabili figlioletti delle impiegate della HAMC.
L’interfono gracchiò, distogliendola dai suoi pensieri. Chiuse immediatamente la connessione con la nursery. «Sì?»
«C’è un certo Ryan Patrick che vuole parlare con te.»
Nicole sorrise allo sbaglio della sua segretaria. «Vuoi dire Patrick Ryan.»
«No. Non sto parlando di tuo cognato» sussurrò Lea. «Ma di un gran pezzo d’uomo dagli occhi azzurri che in questo momento sta spargendo testosterone nella sala d’aspetto. Il suo biglietto da visita dice che è il vicepresidente della Patrick Architectural Design. È uno dei più prestigiosi studi di architettura di Knoxville, nel caso non lo sapessi. Abbiamo deciso di espanderci?»
«Che io sappia, no. La Hightower Aviation non ha attualmente in progetto di acquistare nuove strutture.» Ma era pur vero che suo fratello maggiore, Trent, l’amministratore delegato, non le diceva mai niente. Essendo la piccola di casa, Nicole continuava a essere tenuta all’oscuro di certe decisioni importanti.
Ricontrollò il calendario per essere sicura di non aver dimenticato nessun appuntamento e verificò che per un’ora abbondante sarebbe stata libera. Poi, siccome non le piaceva presentarsi a un incontro impreparata, digitò il nome della Patrick Architectural Design sul motore di ricerca. Sullo schermo comparve una serie di link. Cliccò su quello che le sembrava più utile e scorse la pagina. Non vi erano foto dell’uomo in questione, solo di edifici progettati dalla sua compagnia e una breve storia dell’azienda. Incredibile, erano sul mercato da svariati anni.
«La Patrick Architectural è una ditta che ha disseminato di progetti il continente» disse attraverso l’interfono. «Credi che il signor Patrick possa essere un potenziale cliente?»
Anche se, in realtà, i nuovi clienti arrivavano da lei attraverso l’ufficio vendite, dopo che avevano acquistato o noleggiato un servizio.
Il suo nome, tuttavia, era un’interessante coincidenza.
«Preferisco la mia fantasia alla tua logica» interloquì Lea.
«Come sempre. Mandamelo.»
«Subito.»
Nicole si spazzolò le briciole dalla camicetta di seta e chiuse il pacchetto di cracker nel cassetto. Si alzò in piedi, proprio mentre Lea bussava alla porta e la apriva.
L’uomo che entrò nel suo ufficio con aria da padrone corrispondeva esattamente al quadro che di lui le aveva fornito la segretaria. Lea non aveva detto, però, che aveva i capelli cortissimi, spalle larghe disegnate dalla giacca blu marina dall’impeccabile taglio, un ventre piatto, fianchi stretti e gambe lunghe. Gli occhi, poi, non erano semplicemente azzurri, ma di un’incredibile sfumatura cobalto. Occhi che ora la scrutavano intensi, come se lui fosse un esperto di aerei e stesse valutando il suo acquisto.
Nicole frenò l’istinto di portarsi la mano agli angoli della bocca, per ripulirli da eventuali residui di briciole.
«Nicole Hightower?»
Anche la sua voce era profonda e sensuale, di quelle che eccitavano fantasie erotiche. Non che si fosse mai intrattenuta in pensieri di quel tipo su un suo cliente. Sarebbe stato di una totale mancanza di professionalità.
E l’avrebbe accomunata a sua madre.
Girò attorno alla scrivania e gli tese la mano. «In persona. In che cosa posso esserle d’aiuto, signor Patrick?»
La stretta fu calda e poderosa. Elettrizzante.
La rinuncia alla caffeina aveva, evidentemente, strani effetti sul suo sistema nervoso. Altrimenti perché avrebbe dovuto provare un brivido, come una scossa elettrica al contatto? Ritirò la mano velocemente, non troppo, però, da risultare scortese.
Lo sguardo intenso dell’uomo si spostò su Lea e la rossa, come decifrando un tacito messaggio, balbettò: «S... sì... vado».
Sorpresa, Nicole osservò la sua segretaria, che solitamente non si lasciava scomporre da niente e da nessuno, affrettarsi verso la porta come una goffa scolaretta e chiuderla dopo che era uscita.
Quell’uomo, oltre che alto e bello, sembrava dotato di qualche potere magico. Chissà che trucco aveva escogitato per far uscire Lea dalla stanza senza dire una parola.
Lea non era una semplice impiegata. Era anche un’amica di Nicole e talvolta il confine tra amicizia e rapporto di lavoro si confondeva, come quando Lea aveva espresso la sua veemente disapprovazione alla decisione di Nicole di diventare una madre surrogata per la sorella Beth. Ma questo perché la segretaria sapeva bene quali fossero i sentimenti di Nicole per il cognato. Dividevano la stanza al college quando aveva perso la testa per Patrick. E Lea le aveva fornito una spalla su cui piangere quando poi il suo grande amore si era fidanzato con Beth.
Lea era convinta che la scelta assurda di dare il suo utero in affitto le si sarebbe ritorta contro una volta rimasta incinta.
«Si accomodi, signor Patrick, e mi dica che cosa posso fare per lei.»
Nicole si sentì il suo sguardo addosso per tutto il tempo che rifaceva il giro della scrivania