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Profumo di vischio: Harmony Destiny
Profumo di vischio: Harmony Destiny
Profumo di vischio: Harmony Destiny
E-book164 pagine2 ore

Profumo di vischio: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Trevor Jarrod non ha mai ricevuto un regalo così impegnativo in tutta la sua vita. Un bambino? Per di più suo figlio? Eppure la splendida donna, Haylie Smith, che siede nel suo ufficio non ha dubbi. Suo nipote è l'erede di Trevor. Ma cosa ne sa uno scapolo incallito di paternità? Nulla. Tuttavia, sarà l'atmosfera natalizia al Jarrod Ridge di Aspen, o l'incantesimo operato dal sottile fascino di Haylie, di colpo però la vita di famiglia non gli appare più tanto disprezzabile.

LinguaItaliano
Data di uscita12 nov 2012
ISBN9788858906040
Profumo di vischio: Harmony Destiny
Autore

Heidi Betts

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Profumo di vischio - Heidi Betts

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Inheriting His Secret Christmas Baby

    Silhouette Desire

    © 2010 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Rita Pierangeli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5890-604-0

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Entrando nel lussuoso complesso del Jarrod Ridge da un ingresso privato, Trevor Jarrod pestò i piedi per scrollare la neve dagli scarponi da sci e imboccò il corridoio che portava al suo ufficio.

    Camminando su folti tappeti persiani, passò davanti agli uffici dei fratelli. Alcune delle porte erano chiuse, e da quelle aperte provenivano voci, squilli di telefoni e il ticchettio sulle tastiere dei computer.

    Lungo la parete di fronte agli uffici erano disposte mensole con vasi color cobalto, che in quel momento traboccavano di brillanti stelle di Natale rosse, in vista delle imminenti vacanze natalizie.

    Interventi in legno e pietra decoravano quell’ala della villa, come anche il corpo principale dell’albergo, e cioè la struttura originale del Jarrod Ridge Resort, risalente a più di un secolo prima. Da allora il resort si era ampliato, con l’aggiunta di cottage, bungalow e boutique, tanto da avere assunto l’aspetto di un piccolo villaggio a sé stante.

    Ma gli uffici della famiglia si trovavano ancor nell’edificio principale e i loro alloggi privati – per quelli che avevano scelto di abitare lì – occupavano ancora l’ultimo piano della villa, tenendo così i Jarrod in stretto e costante contatto, che gli piacesse o no.

    Arrivato al suo ufficio, Trevor salutò Diana, la segretaria, prima di riporre gli sci nell’apposito ripostiglio.

    «Com’erano le piste stamattina?» chiese Diana, inclinando la testa di lato, così che i lunghi capelli neri e ricciuti le sfiorarono la spalla.

    «Avrebbero potuto essere meglio» rispose lui, sbarazzandosi di giacca e pantavento per calzare un paio di Timberland con i jeans e il maglione di cachemire color tabacco che indossava sotto.

    Un po’ troppo casual, in effetti, ma era inevitabile, recandosi al lavoro subito dopo una volata lungo le piste. Dopotutto, quello era un resort per sport invernali, come anche una spa, un rifugio estivo e sede di uno dei principali eventi del Colorado, l’annuale festival enogastronomico. Perciò, era un vantaggio se gli ospiti vedevano che anche i proprietari e il personale approfittavano di tutte le attività e i divertimenti che il Jarrod Ridge offriva alla sua clientela.

    «Temo di stare peggiorando» borbottò Trevor.

    «No, hai avuto soltanto meno tempo del solito per div... per allenarti» si corresse Diana, strizzandogli l’occhio.

    Non era quella la verità. Nei cinque mesi da quando suo padre era passato a miglior vita, Trevor si era destreggiato tra due lavori, entrambi quasi a tempo pieno. Il testamento di Donald Jarrod aveva costretto i suoi sei figli a tornare al Jarrod Ridge per gestire il resort se non volevano perdere la loro quota di eredità.

    Ma per quanto fosse stato costretto ad assumere la carica di presidente del marketing per il Jarrod Ridge, quel fatto non gli aveva complicato la vita. Dopo aver gestito con successo la propria agenzia di marketing ad Aspen, quel lavoro per lui era facile quanto respirare.

    Purtroppo, gli lasciava poco tempo libero per le cose che amava di più... la vita all’aria aperta e tutte le relative attività sportive.

    La natura era grandiosa e, a parte apprezzarla come chiunque altro, per lui rappresentava l’avventura. La sfida. Al mondo niente poteva eguagliare la discesa a tutta velocità lungo il fianco di una montagna, scansando rocce e alberi, sentendo sulla faccia la fredda sferzata del vento. O come lanciarsi da un aereo con il paracadute.

    Oh, certo. Doveva agire con oculatezza, e studiare come equilibrare le sue due attività, in modo da poter dedicare un numero normale di ore al lavoro per ritagliarsi un po’ più di tempo da passare sulle piste. Ma fino a quando non avesse trovato una persona che gli ispirava una fiducia tale da metterla a capo della Jarrod Promotion and Marketing, avrebbe dovuto occuparsene lui stesso.

    «Messaggi?» chiese a Diana, passandosi le dita nei folti capelli neri per togliere un residuo di umidità.

    Lei si alzò e gli porse un fascio di foglietti rosa.

    «Prima di entrare nel tuo ufficio...» iniziò Diana, solo per interrompersi e mordersi il labbro inferiore con palese nervosismo.

    «Sì?»

    Lei trasse un respiro e lo guardò negli occhi. «C’è una giovane donna che ti aspetta. Ha chiamato diverse volte, insistendo per vederti di persona. Ho cercato di scaricarla, ma mi è mancato il coraggio, e... be’, pensavo che dovresti occupartene di persona.»

    Trevor si accigliò. Benché Diana fosse un tipino minuto, lui l’aveva vista quando diventava protettiva e tirava fuori le unghie. La donna in attesa doveva essere molto coraggiosa se era riuscita a debellare le difese di Diana. Coraggiosa, oppure estremamente convincente.

    «Chi è? Una rappresentante che ci offre i prodotti della sua ditta, o una probabile cliente?»

    «Dovrai chiederglielo tu stesso. Non l’ha detto, è soltanto... molto determinata.»

    Sospirando, Trevor infilò in tasca i messaggi. «Bene. Me ne occuperò io.»

    Spingendo la doppia porta di legno di quercia che separava il suo ufficio dalla zona reception, Trevor si arrestò e girò lo sguardo sul vasto locale. Sullo spesso tappeto. Sul camino spento e fatto di lisce pietre di fiume che occupava la parete in fondo. E sulla massiccia scrivania al centro della stanza, con la lampada su un angolo e il monitor del computer sull’altro.

    Ma nessuna donna occupava le due sedie per gli ospiti.

    Chiudendosi le porte alle spalle, avanzò. Mentre il suono dei suoi passi riecheggiava nella stanza, la sua poltrona di pelle marrone si inclinò appena prima di ruotare e rivelare una donna incantevole, con capelli biondo miele e occhi azzurri. In grembo, appoggiato al suo petto, c’era un bebè, occupato a mangiare la propria mano.

    Trevor si accigliò. La donna non era una sorpresa; Diana lo aveva avvertito che lo stava aspettando. Tuttavia, la sua cosiddetta assistente si era dimenticata di dire che aveva con sé un bambino.

    Che tipo di donna era quella che si presentava a un colloquio di affari portandosi dietro un bambino?

    «La mia segretaria mi ha riferito che doveva parlarmi» esordì Trevor, girando intorno alla scrivania con tutte le intenzioni di farla sloggiare dalla propria poltrona.

    Tuttavia, se si era aspettato che lei scattasse in piedi e, arrossendo di vergogna, si portasse sul lato opposto della scrivania, rimase deluso. Lei continuò a occupare la sua poltrona da dirigente – quella che aveva ordinato su misura e aspettato quasi un mese prima che gliela consegnassero, quella che, dopo un altro mese, avvolgeva il suo corpo come un guanto durante le lunghe ore che passava a Villa Jarrod – facendo saltellare il piccolo sulle ginocchia.

    «Sono Trevor Jarrod» si presentò quando fu chiaro che lei non era impaziente di rompere il silenzio.

    «So chi sei. È da due mesi che cerco di contattarti.»

    Il suo tono era piatto, appena un po’ seccato, ma anche estremamente femminile. Sollevando una mano, si scostò una ciocca dei lisci capelli biondi dietro l’orecchio, rivelando un orecchino dello stesso rosso rubino del golf con la scollatura a V che indossava insieme a un paio di pantaloni neri.

    Il piccolo indossava una salopette di denim, con una locomotiva ricamata sulla pettorina, e una camicetta bianca decorata con decine di altri treni. Un maschietto, dedusse Trevor.

    Come se si fosse accorto di essere osservato, il piccolo emise un gorgoglio e scalciò con le gambette.

    Riportando l’attenzione sulla donna, che si era battuta con tanta energia per ottenere un incontro ma che ora sembrava a corto di parole, Trevor incrociò le braccia sul petto e inarcò un sopracciglio. «E tu sei...?»

    La sua domanda la indusse ad alzarsi e a spostare il bambino per metterselo a cavalcioni su un fianco.

    Come ci riuscivano le donne? Nascevano già sapendo come tenere in braccio i bambini, come cambiare pannolini e come distinguere tra diciotto diversi tipi di pianto?

    Dei sei rampolli Jarrod, soltanto Melissa ed Erica erano più giovani di lui, pertanto non aveva una grande esperienza con i poppanti. Trovarsi così vicino a uno, lo metteva un po’ a disagio.

    Schiarendosi la gola per mascherare il fatto di essere stato sul punto di indietreggiare di un passo, per allontanarsi dalla donna e da suo figlio, Trevor aspettò.

    «Il mio nome è Haylie Smith.»

    Lui ammiccò, aspettando che aggiungesse dell’altro. Invece, dopo che furono passati diversi e lunghi secondi, lei inclinò la testa e sbarrò gli occhi, come se avesse appena pronunciato la battuta finale di una barzelletta. Ma a Trevor sfuggiva il significato.

    «Haylie Smith» ripeté lei, in tono più deciso, scandendo le sillabe. «Di Denver.»

    «Ho sentito» mormorò lui, lottando contro la tentazione di storcere le labbra in un sorriso divertito.

    Non gli capitava spesso di essere trattato come l’allievo più ottuso della classe. Ben pochi avrebbero osato. Perché, pur godendo fama di essere piuttosto gioviale, incline a divertirsi e galante con le donne, era anche un Jarrod. Uno degli eredi dell’enorme patrimonio di Donald Jarrod, e imprenditore di successo per meriti propri.

    Era ricco e potente. E anche se ci sarebbe voluto non poco per scuoterlo dalla sua natura indolente, non era tipo al quale altri uomini si sarebbero azzardati a pestare i piedi.

    Che quella sconosciuta – una donna per di più – non desse l’impressione di essere in soggezione lo stuzzicava più di quanto avrebbe dovuto.

    Non che non fosse attraente. Con il suo metro e sessantotto o settanta, contro il suo metro e novanta, era abbastanza alta, ma non in modo eccessivo. Era anche tutt’altro che flessuosa come un giunco, ma non era nemmeno grassa. Aveva le curve in tutti i punti giusti, che premevano contro il golf e riempivano i fianchi dei pantaloni.

    I lunghi capelli lisci incorniciavano un volto a forma di cuore, che era un miscuglio affascinante di innocenza e sensualità. L’arco roseo della bocca, gli occhi di un azzurro cristallino, il modo in cui teneva quel frugolo, con sicurezza e aria possessiva...

    Niente di tutto quello avrebbe dovuto eccitarlo essendo sul punto di buttarla fuori a calci dal proprio ufficio, ma che fosse dannato se non cominciava ad avvertire un sintomatico calore nel sangue.

    Purtroppo – o forse per fortuna – lei non dava l’impressione di soffrire di un’uguale reazione fisiologica nei suoi confronti.

    «Negli ultimi due mesi ti ho chiamato più volte» lo accusò Haylie con impazienza. «Ho lasciato messaggi ai quali tu non ti sei degnato di rispondere.»

    Annuendo, Trevor le girò intorno e andò a occupare il posto che gli spettava di diritto dietro la scrivania. «La mia segretaria me ne ha accennato, anche se non capisco che cosa ci sia di così urgente se non eri disposta a fornire qualche indicazione sul motivo per cui volevi parlarmi.»

    Proprio come era stata sua intenzione, lei andò a mettersi di fronte alla scrivania, senza però sedersi. Invece, continuò a dondolare il

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