Scelta dallo sceicco: Harmony Collezione
Di Abby Green
5/5
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Info su questo ebook
Lo sceicco Sadiq Ibn Kamal è piacevolmente sorpreso dalla natura appassionata della sua giovane sposa. L'aveva scelta conoscendo la sua timidezza e la sua docilità, ma questa nuova Samia lo intriga forse ancor più di prima.
Abby Green
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Scelta dallo sceicco - Abby Green
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Sultan’s Choice
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2011 Abby Green
Traduzione di Carla Ferrario
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A..
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-235-1
1
«Non la sposo per il suo aspetto, Adil. Voglio farlo per le ragioni che la renderanno un’ottima regina di Al-Omar. Non ho bisogno delle distrazioni provocate da una bella donna.»
La principessa Samia Binte Rashad al Abbas restò seduta, rigida per lo choc, nella sala esterna all’ufficio londinese del sultano di Al-Omar. Il sultano, impegnato al telefono, non era stato ancora informato della sua presenza. La sua segretaria si era assentata per un attimo, lasciando inavvertitamente socchiusa la porta, infliggendo a Samia l’ascolto della sua voce profonda e delle sue parole sconvolgenti.
Di nuovo quella voce, venata di cinismo. «Può sembrarlo, ma c’è gente che ha sempre sostenuto che al momento di scegliere avrei preferito una sposa tradizionale, e non voglio deludere gli allibratori.»
Samia aveva il viso in fiamme. Immaginava quello che doveva aver detto l’interlocutore al telefono, qualcosa del genere che lei era un tipo insignificante.
E anche se non avesse ascoltato quella conversazione, sapeva già di che cosa voleva discutere con lei il sultano: aveva intenzione di chiederle di sposarlo. Quella notte non aveva chiuso occhio ed era arrivata lì, sperando ancora che si trattasse solo di un terribile errore. Sentirgli adesso confermare quel programma con parole tanto esplicite era sconvolgente.
E considera la cosa come un affare già fatto!
Lo aveva incontrato una volta sola, più o meno otto anni prima, partecipando insieme al fratello a una delle sue leggendarie feste di compleanno a B’harani, la capitale di Al-Omar. Kaden l’aveva portata prima che lei tornasse in Inghilterra per terminare gli studi, convinto di aiutarla a superare la timidezza. Samia si trovava in quell’età goffa quando gli arti sembrano muoversi per conto proprio, i suoi capelli erano un groviglio di riccioli e lei portava ancora le lenti bifocali che le avevano guastato la vita fin dall’infanzia.
Dopo un momento di atroce imbarazzo, quando aveva rovesciato un tavolino antico coperto di bibite e tutta quella folla brillante si era voltata a guardarla, era scappata via alla ricerca di un rifugio, trovato in un locale poco illuminato, la biblioteca.
Samia distolse il pensiero da quel ricordo, distratta di nuovo dalla voce del sultano.
«Adil, capisco che da avvocato tu voglia essere certo che io compia la scelta giusta, ma ti assicuro che ha le carte in regola. Non sono così superficiale da non potere far funzionare un matrimonio del genere. Prima di tutto viene la stabilità del mio paese, perciò ho bisogno di quel genere di moglie.»
Samia si sentì profondamente umiliata dall’indifferenza con cui il sultano rilevava la sua diversità dalle donne con cui si intratteneva di solito. Del resto non aveva bisogno di sentire le sue parole per saperlo. Non voglio sposarlo e non aspetterò di essere umiliata di nuovo.
Il sultano Sadiq Ibn Kamal Hussein chiuse la telefonata. Un senso di claustrofobia e di impotenza lo fece scattare dalla poltrona di cuoio e avvicinarsi alla finestra, da dove si godeva la vista di una piazza attraversata da gente indaffarata, nel centro di Londra.
Cercando di allontanare l’inevitabile, tornò alla scrivania, dove aveva posato delle fotografie della principessa Samia del Burquat, un piccolo emirato confinante con la parte settentrionale di Al-Omar, sul Golfo Persico. Aveva tre sorelle minori, stesso padre, ma madre diversa, e un fratello maggiore, diventato emiro alla morte del padre, dodici anni prima.
Sadiq corrugò la fronte. Anche lui era stato incoronato da giovane e sapeva che cosa significa reggere il peso delle responsabilità. Questo non significava che lui e l’emiro potessero diventare amici su due piedi, ma se la principessa avesse acconsentito al matrimonio - e perché non avrebbe dovuto? - in quanto cognati sarebbero diventati fratelli.
Sospirò. Le foto raffiguravano una donna di taglia media e di corporatura esile. Aveva perso le rotondità ancora infantili che Sadiq ricordava vagamente dal loro primo e unico incontro. Nessuna delle foto però la ritraeva in figura intera. Le migliori erano quelle scattate l’estate precedente, quando era tornata da un viaggio fatto in barca a vela con due amiche, ma persino in quelle foto risultava compressa tra le altre due ragazze, più alte e carine, mentre un cappellino da basket le nascondeva il viso.
La cosa importante per lui però era che nessuna foto proveniva da giornali scandalistici. La principessa Samia non conduceva vita mondana. Era discreta e dopo essersi laureata si era ritagliata una carriera tranquilla e rispettabile come archivista alla National Library di Londra. Per quella e mille altre ragioni era la moglie perfetta per lui.
Sadiq non voleva una moglie con un passato dubbio. Aveva già attirato anche troppo l’attenzione dei media su di sé... Invece le ricerche fatte su Samia non avevano rivelato alcuno scheletro nell’armadio.
Il mio matrimonio non sarà come quello dei miei genitori, animato da gelosie e rancori. Non avrebbe sprofondato il paese nel caos come aveva fatto suo padre, troppo preso da una moglie che non sopportava di essere stata costretta a sposare chi non amava. Suo padre l’aveva corteggiata a lungo e tutti sapevano che la sua ossessione per quella donna, innamorata di un altro, lo aveva spinto a pagare un’enorme somma per la sua dote, pur di averla.
Sadiq invece aveva bisogno di una donna stabile, che lo completasse, che gli desse degli eredi e non gli togliesse la concentrazione necessaria per governare. E soprattutto che non accendesse le sue emozioni.
In questo la principessa Samia sarebbe perfetta.
Con stato d’animo fatalista, raccolse le foto sparse e le infilò sotto una cartelletta. Non poteva far altro che andare avanti. I suoi migliori amici, lo sceicco di un piccolo regno confinante e il fratello, si erano sposati poco tempo prima, e se lui fosse rimasto scapolo ancora a lungo avrebbe dato l’impressione di mancare di direzione e di stabilità.
Non posso evitare il mio destino. È arrivato il momento di incontrare la mia futura moglie.
Premette il pulsante dell’interfono. «Noor, faccia entrare la principessa Samia.»
Non ottenendo risposta, Sadiq, abituato a ottenere l’immediata soddisfazione di ogni sua richiesta, ebbe un moto di stizza, che aveva radici più profonde di quel contrattempo, legate alla prospettiva di perdere la propria libertà e si alzò per andare alla porta dell’ufficio. La principessa doveva essere già arrivata e lui non poteva rimandare ancora l’inevitabile.
2
Samia fece appena in tempo a posare la mano sulla maniglia della porta per uscire, quando udì una voce.
«Se ne sta già andando?»
Una voce bassa e profonda, con un’intrigante ombra di accento. Samia si rimproverò di non essersene andata subito. E ormai è troppo tardi.
Irrigidita per la tensione, si voltò lentamente, preparandosi all’effetto che le avrebbe fatto incontrare uno degli scapoli più celebrati del mondo.
Io lavoro in mezzo a libri polverosi, non potrei essere più lontana dal suo genere di vita. Dopo avermi conosciuta sicuramente non vorrà più sposarmi.
Ogni pensiero coerente la abbandonò quando si decise a posare lo sguardo su di lui.
La sua figura alta, dalle spalle ampie, riempiva il vano della porta. Aveva una carnagione scura, come gli uomini del deserto, ma un incredibile paio di occhi azzurri che davano l’impressione che il suo sguardo avrebbe potuto attraversarla. Vestito con un abito scuro che rivelava la sua struttura, era un metro e novanta di muscoli, così attraente da togliere il fiato, un uomo nel pieno della maturità, che regnava su un paese enormemente ricco.
Per un attimo Samia fu afflitta da un capogiro.
L’uomo indietreggiò, invitandola a entrare. Il cuore le batteva all’impazzata mentre gli passava vicino, solleticata dal suo profumo maschile. Si portò dietro a una poltrona sistemata di fronte alla scrivania e si voltò, in tempo per vederlo chiudere la porta, lo sguardo puntato su di lei.
Il sultano si avvicinò. L’espressione severa sul suo viso fu presto mitigata dal malizioso sorriso sexy che gli stirò le labbra, facendole accelerare i battiti.
«Dipende da qualcosa che ho detto?» Di fronte allo sguardo confuso di Samia precisò: «La sua decisione di andarsene, intendo».
Lei arrossì. «No, assolutamente no.» Bugiarda, pensò, diventando paonazza. «Mi dispiace, io...»
Odiava doverlo ammettere, ma si sentiva intimidita. Per quanto conducesse una vita appartata e non le piacesse attirare attenzione, non era una donna pavida. Eppure in quel momento pareva sul punto di svenire.
Sadiq liquidò la sua incertezza con un gesto della mano. Peccato che fosse tanto a disagio. Lui stesso stava ancora venendo a patti con la reazione suscitata dalla voce della principessa, bassa e roca, del tutto in contrasto con il suo aspetto scialbo. Con quel completo pantaloni e la camicia abbottonata fin sul collo, impossibile capire se avesse un corpo dotato di curve.
Eppure il suo intuito maschile lo ammoniva di non giudicare con troppa fretta.
Samia sentiva le guance in fiamme, ma continuò a tenere la testa alta. Cercò di mettere in pratica gli esercizi imparati per controllare quella reazione, ma non funzionò.
Lui si limitò a guardarla, e quando le tese la mano Samia sussultò. «Ci siamo già visti, vero?»
Era arrivato il momento che temeva.
«Ero certo di averla già incontrata, ma non riuscivo a ricordare dove. Poi invece...»
Il cuore saltò un battito, e Samia si augurò che non fosse la stessa cosa che ricordava lei.
«Ha avuto un incontro ravvicinato con un tavolino coperto di bibite a una delle mie feste.»
Samia fu così sollevata che avesse dimenticato l’imbarazzante episodio della biblioteca che gli porse la mano, subito sparita in quella grande di Sadiq. Aveva una stretta forte, calda e destabilizzante.
«Sì, ero proprio io. Ero un’adolescente impacciata.» Perché parlo come se mi mancasse il fiato?
Tenendole sempre stretta la mano, lui la guardò negli occhi. «Non mi ero accorto che anche lei avesse gli occhi azzurri. Non portava gli occhiali?»
«Sono stata operata con il laser l’anno scorso.»
«Sua madre era inglese, vero?»
Annuì, cercando di ricomporre i pensieri. «Metà inglese e metà araba. È morta dandomi alla luce, sono stata cresciuta dalla mia matrigna.»
Dopo una pausa, Sadiq le liberò la mano. «La sua matrigna è morta cinque anni fa, vero?»
Di nuovo lei annuì, nascondendo le mani dietro la schiena. Distolse lo sguardo da quegli occhi blu, per nascondergli l’amarezza che l’assaliva ogni volta che pensava alla matrigna. Con lei era stata una vera tiranna, perché nel cuore del marito sarebbe sempre venuta dopo la prima moglie.
Samia tornò a guardare il sultano. Era troppo attraente. Accanto a lui si sentiva sbiadita. Come può pensare che io diventi sua moglie? Poi ricordò le parole che gli aveva sentito pronunciare e fu colta dal panico.
«Si accomodi» la invitò. «Tè o caffè?»
«Caffè, grazie.»
Sadiq andò a sedersi dietro la scrivania e in quello stesso istante entrò la sua segretaria con un vassoio di rinfreschi. Rimasti soli, cercò di distogliere lo sguardo dalla mano tremante della principessa che macchiava il caffè con il latte. Era una frana, eppure lo guardava con aria di sfida. Un miscuglio intrigante, rispetto alle donne sicure di sé fino alla sfrontatezza alle quali era abituato.
Quasi gli faceva pena mentre si portava la tazza alle labbra, miracolosamente senza versarne neppure una goccia. Evitava il suo sguardo, permettendogli di osservarla con calma. Non è poi così scialba. Aveva i capelli di un biondo rosso brillante alla luce del sole quasi al tramonto che penetrava dalle ampie finestre. Li teneva raccolti in una treccia che le ricadeva sopra una spalla, mentre qualche ricciolo ribelle le incorniciava il viso.
Pareva avesse diciotto anni, ma sapeva che ne aveva venticinque, la carnagione molto chiara.
Fu sorpreso dal ricordo così preciso dell’incidente con il tavolino. A quel tempo si era sentito dispiaciuto per lei, mortificata e con il viso in fiamme. Un altro ricordo, di cui aveva la percezione ma non coscienza, continuava a sfuggirgli.
Ciglia incredibilmente lunghe le frangiavano gli occhi. Dovette ammettere che non