Una principessa per lo sceicco: Harmony Collezione
Di Jane Porter
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Lei è esattamente ciò che lui non dovrebbe nemmeno desiderare, ma una volta scoperto il suo segreto...
Miniserie "Scandalo Reale" - Vol. 2/2
Jane Porter
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Una principessa per lo sceicco - Jane Porter
successivo.
1
Alejandro doveva essere lì.
Doveva esserci per forza. Perché se non si trovava al Lounge Mynt, il club più trendy di South Beach, voleva dire che era partito. Ma doveva essere lì, perché lei aveva assoluto bisogno di vederlo.
Ignorando le dozzine di ragazze in tacchi a spillo e gonne così corte che coprivano a malapena le natiche, la principessa Emmeline d'Arcy di Brabant scese dall'auto e si diresse all'ingresso. Avrebbe costretto Alejandro ad ascoltarla, e gli avrebbe fatto capire cosa c'era in ballo. Il suo nome, la sua reputazione e, cosa più importante, il futuro e la sicurezza del loro bambino. Fu assalita da un senso di nausea, e sperò che passasse. Non avrebbe vomitato proprio adesso, quando il suo futuro si sarebbe deciso nei prossimi cinque minuti. Inalando l'aria nei polmoni e raddrizzando le spalle, superò la coda che correva tutto attorno all'edificio e, come si avvicinò all'ingresso, il buttafuori sollevò la tenda di velluto rosso per farla passare. Non conosceva Emmeline personalmente e non aveva idea che fosse di sangue reale. Ma era chiaro alla prima occhiata che doveva essere una celebrità, e il Lounge Mynt era il ritrovo di celebrità, modelle, politici e VIP di ogni genere. Era il ritrovo più esclusivo di South Beach.
All'interno l'ambiente era scuro: stelle giganti e globi di metallo pendevano dal soffitto mentre alcune ragazze danzavano nella sala con costumi inesistenti e stivali bianchi alti fino alle cosce. Luci stroboscopiche roteavano dietro il DJ e la folla dei presenti che si agitava al suono della musica era inondata da raggi porpora, bianchi e oro, tra cui si allungavano angoli d'ombra. La principessa si arrestò, le lunghe ciglia scure che si abbassavano mentre scandagliava la folla alla ricerca di Alejandro, pregando che non fosse già partito per Greenwich, per il torneo di polo dell'indomani. I suoi cavalli erano già stati spediti, ma lui di solito li seguiva più tardi. Un cameriere le offrì un cocktail, ma lei scosse il capo. Non era lì per bere, ma per vedere Alejandro. L'aveva messa incinta, le aveva sempre promesso che si sarebbe preso cura di lei... Be', era meglio che lo facesse. Lei voleva un anello, una data di matrimonio e una legittimazione per il bambino che aveva in grembo. Glielo doveva.
Non era stata sua intenzione lasciare l'Europa, ma aveva imparato ad amare l'Argentina con Alejandro. Potevano vivere nella estancia che lui aveva fuori Buenos Aires, e crescere lì i loro bambini, allevando cavalli. Era un destino diverso da quello che la sua famiglia le aveva preparato: avrebbe infatti dovuto sposare re Zale Patek e diventare regina di Raguva. Di sicuro i suoi genitori si sarebbero indignati: intanto, Alejandro non era nobile, poi aveva una pessima reputazione, ma una volta che si fossero sposati lo avrebbero accettato. Alejandro era molto ricco, e di certo avrebbe provveduto a lei e a suo figlio. Le principesse europee non potevano fare le madri single.
Sebbene non avesse mai desiderato sposare Zale Patek, provava rispetto per lui, cosa che non poteva dire nei confronti di Alejandro. Tuttavia era stata a letto con lui. Stupida, stupida a essere andata a letto con qualcuno che non la amava, solo perché lui le aveva dichiarato di amarla promettendo di proteggerla, di correre in suo soccorso come se fosse stata Raperonzolo tenuta prigioniera nella torre d'avorio. Emmeline rabbrividì, raccapricciata. Ma ormai quello che era fatto era fatto e doveva cercare di salvare il salvabile. Deglutendo, lisciò la seta di un cangiante blu pavone del suo abito, sentendo le creste iliache sotto le dita. Non era mai stata tanto magra, ma non riusciva a tenere nulla nello stomaco. Vomitava al mattino, a mezzogiorno e alla sera e pregava che dal secondo trimestre la nausea le desse un po' di tregua.
Dalla sala VIP sul retro sentì provenire il rombo di una risata maschile. Alejandro. Era là. Lo stomaco le fece una capriola per l'ansia. Dopo il tempestoso incontro in cui gli aveva detto la verità, lui l'aveva evitata, ignorando le sue chiamate, ma certo una volta che l'avesse vista avrebbe ricordato quanto l'adorava. L'aveva corteggiata e inseguita per almeno cinque anni, e lei gli aveva sempre resistito, finché in un momento di debolezza gli aveva dato la sua verginità. Non era stata l'esperienza appassionata che aveva sperato. Alejandro era stato impaziente, persino irritato. Era rimasta sorpresa dal senso di vuoto che le aveva lasciato quell'incontro, ma si era detta che la volta successiva sarebbe andata meglio. Che avrebbe imparato ad amarlo e a rilassarsi con lui. Sapeva che il sesso poteva essere speciale quando si era emotivamente coinvolti, e sperava che fosse vero.
Solo che non c'era stata una volta successiva. E lei era incinta. Ridicolo, orribile. Specialmente visto che era fidanzata con un altro. Si trattava di un matrimonio combinato, pianificato per lei quando era ancora una bambina, e la cerimonia era fissata di lì a dieci giorni. Naturalmente non poteva sposare il re Zale Patek incinta di Alejandro. Quindi l'argentino doveva prendersi le sue responsabilità e fare la cosa giusta in quella catastrofe. Tenendo il capo eretto, si diresse alla sala VIP, scandagliando con lo sguardo nella penombra. Individuò subito Alejandro, con la camicia bianca in contrasto con la pelle abbronzata. I capelli scuri ritagliavano un profilo latino che rasentava la perfezione. Non era solo, una bruna appariscente gli stava in grembo, con uno scandaloso abito rosso. Penelope Luca. Emmeline riconobbe la giovane modella assurta agli onori della gloria. Le mani di Alejandro erano infilate sotto l'abito rosso, e le stava passando le labbra sul collo.
Per un attimo non poté muoversi o respirare. Rimase a guardare quella scena, poi fu travolta dall'umiliazione. Quello era l'uomo che aveva promesso di amarla per sempre? Che l'aveva voluta, lei, la principessa Emmeline d'Arcy, più di tutte le altre? L'uomo per cui lei aveva sacrificato il proprio futuro?
«Alejandro.» La sua voce era bassa, chiara e tagliente, e sembrò superare la musica e i suoni di voci e risate. Tutte le teste si voltarono verso Emmeline. Pur conscia delle occhiate, lei vedeva solo Alejandro. Lui sollevò gli occhi e la scorse, le labbra ancora incollate al collo della ragazza, l'espressione beffarda. Non gliene importava.
Emmeline sentì le gambe tremare, e la stanza le girò intorno. Non gli importava che lo vedesse con Penelope, non si curava di come si sentisse. Non gliene era mai importato. Per lui si era trattato di un gioco, una sfida: portarsi a letto una principessa. Era stata solo uno scalpo reale che decorava la sua cintura. E adesso che l'aveva avuta, che aveva preso la sua verginità, la scaricava come se fosse niente, nessuno. Furia e dolore la accecarono. Furia contro se stessa, e dolore per il suo bambino. Era stata così stupida, e non poteva biasimare altri che se stessa. Ma non era sempre stato il suo problema, quello? Andare in cerca di amore, di apprezzamento? La nausea la assalì di nuovo.
«Alejandro» ripeté, la voce rotta, il fuoco che si propagava dai lombi al cuore. «Non ti permetterò di ignorarmi.» Ma lui la ignorò. Non la guardò neppure una seconda volta. Tremando, gli si avvicinò. «Sei un bugiardo e un traditore. Un patetico fantoccio...»
«Basta» disse una voce profonda dietro di lei, mentre una mano le si posava su una spalla.
Si divincolò per sfuggire alla mano. «Ti assumerai le tue responsabilità...» insistette con rabbia.
«Ho detto basta.» Lo sceicco Makin Al-Koury parlò con la bocca quasi contro il suo orecchio. Era arrabbiato, e molto.
Si era detto che fosse perché la sua assistente stava provocando un mezzo scandalo, ma la verità era che era sconvolto nel vedere Hannah vestita... che sembrava... sesso. Sesso puro in tacchi alti.
Impossibile. Hannah non era sexy, non era sconvolgente. Però adesso era lì con quell'abito che sembrava dipinto addosso al corpo snello, delineando i seni piccoli e sodi, ed evidenziando il sedere tondo e alto. Il fatto che avesse notato il suo didietro gli annebbiava la mente. Prima di allora non si era mai neppure accorto che avesse un corpo. Invece era lì, con quel vestito scintillante, gli occhi truccati e i lunghi capelli sciolti sulle spalle. La ricca cascata castana sulla schiena guidò i suoi occhi di nuovo ai glutei, e il suo corpo si indurì per il desiderio. Strinse i denti, disgustato di comportarsi come un ragazzino. Per l'amor del cielo, Hannah lavorava per lui da quasi cinque anni. Che diavolo gli era preso?
Sorpresa che qualcuno osasse toccarla, Emmeline d'Arcy si voltò, ma tutto quello che riuscì a scorgere furono delle spalle - spalle senza fine - sopra un petto ampio coperto da una elegante camicia candida. «Mi lasci andare» sbottò, girando la testa per scorgere il suo viso: la mascella era dura e forte, il mento squadrato e le labbra strette in un'espressione decisa. Il bagliore dorato della pelle era l'unico elemento che contenesse un minimo di morbidezza.
«Ti stai mettendo in ridicolo» le disse lui aspro, l'inglese lievemente accentato, la voce stranamente familiare.
Lo conosceva? Più importante: lui la conosceva? Era uno degli uomini di suo padre? Re William aveva mandato qualcuno della sua sicurezza a seguirla? O era uno degli uomini di re Patek? Piegò ulteriormente la testa per vederlo meglio, ma era così alto, e poi la stanza era nella penombra. «Mi lasci andare» ripeté.
«Solo quando saremo fuori di qui» rispose lui facendole pressione sulla spalla.
«Io non andrò da nessuna parte. Non finché non avrò parlato con il signor Ibanez...»
«Non è né il posto né il momento» tagliò corto l'uomo, mentre scendeva dalla spalla ad afferrarle il polso, così fragile nella sua stretta.
Aveva una presa salda e lei rabbrividì mentre il calore la invadeva. «Mi lasci... immediatamente.»
«Non se ne parla, Hannah.» Era calmo, ma il suo tono era così duro e determinato che le scivolò fin dentro le ossa.
Hannah.
Pensava che fosse Hannah! Una sensazione di freddo le scese lungo la spina dorsale mentre i pezzi andavano a posto. La sua voce profonda e familiare, la sua straordinaria altezza, la sua forza impossibile. Era lo sceicco Makin Al-Koury, il capo di Hannah. Emmeline capì di essere nei guai: aveva passato gli ultimi quattro giorni a fingere di essere Hannah Smith, l'assistente personale dello sceicco, temporaneamente assente dal lavoro per malattia.
Senza complimenti, lui la trascinò fuori dal locale, e lei sbatté gli occhi quando uscirono nella notte, la porta che si chiudeva alle loro spalle tagliando via il fragore della musica. Solo allora la lasciò andare, e lei riuscì a guardarlo propriamente in viso. Non sembrava contento, anzi, era livido.
«Salve...» gli disse, la voce gracchiante.
Sollevò un sopracciglio nero. «Salve? È tutto quello che hai da dire?»
Si leccò le labbra, ma la bocca rimase arida, il labbro intrappolato tra i denti. Cinque giorni prima le era sembrata un'idea brillante scambiarsi il ruolo con Hannah, l'americana che le assomigliava così tanto. L'aveva pregata di prendere il suo posto solo per poche ore in modo da sfuggire alle sue guardie del corpo e alla stampa per affrontare Alejandro. Così Hannah si era fatta bionda, e lei invece castana. Si erano scambiate tutto, abiti e accessori. Doveva trattarsi solo di un pomeriggio, ma poi tutto si era complicato e ora Hannah si trovava a Raguva, sulla costa dalmata, a impersonare la principessa Emmeline, mentre Emmeline era ancora in Florida, e