Scandalosa eredità: Harmony Destiny
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Info su questo ebook
Legati da vincoli che non si possono spezzare, travolti da passioni che non si possono controllare.
Samantha Hardcastle è decisa a trovare l'ultimo degli eredi dispersi della potente famiglia. Era questa infatti la ferrea volontà del compianto Tarrant, così parte alla volta di New Orleans per rintracciare il proprietario di una catena di ristoranti a cinque stelle, Louis DuLac. Ma le sue ricerche sembrano vane e, sfiduciata, Sam trova temporaneo rifugio tra le braccia accoglienti di un magnetico sconosciuto.
Louis non ha mai conosciuto l'identità del padre e ora scopre che è l'ultimo uomo con cui vorrebbe avere a che fare: l'ex marito di Sam, la donna con cui ha trascorso la notte più eccitante della sua vita.
Jennifer Lewis
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Scandalosa eredità - Jennifer Lewis
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Heir’s Scandalous Affair
Silhouette Desire
© 2009 Jennifer Lewis
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-572-4
1
Schiacciata come il Cartier ultrapiatto che portava al polso, ultimo regalo del suo defunto marito, Samantha Hardcastle tentava a fatica di aprirsi un varco tra la folla festante dell’happy hour, ammassata lungo Bourbon Street. I nuovi sandali firmati Christian Louboutin, che avrebbero dovuto tirarla su di morale, minacciavano invece, tra spintoni e gomitate, di farla finire lunga per terra.
Riuscì alla fine a sgusciare verso una strada laterale, decisamente meno affollata, boccheggiando nell’aria satura di odore di birra. Con la coda dell’occhio colse il bagliore dei lampioni e delle insegne al neon che fiancheggiavano la via. Colonne di cemento che sorreggevano in alto i ballatoi parevano chiudersi sopra di lei come alberi minacciosi di una foresta incantata.
Si sentiva frastornata, la testa vuota. Forse perché non mangiava da... aveva fatto colazione prima di partire? Non si ricordava più da quanto era che non toccava cibo.
Prese una storta, o forse semplicemente il ginocchio le cedette, e dovette sorreggersi al muro per non cadere.
Si era in qualche modo persa tra il negozio di scarpe e l’albergo. Il sole al tramonto aveva trasformato la città in un luogo di ombre, e non riusciva più a trovare la via del ritorno.
Da quando era morto suo marito, sembrava non riuscisse a combinarne una giusta. Ogni giorno che passava sentiva che un po’ di energia l’abbandonava.
«Tutto bene?» le echeggiò una voce profonda nell’orecchio.
«Sì... bene, grazie» rispose, senza staccare la mano dal muro. Aveva avuto un capogiro.
«Non è vero. Venga dentro.»
«No, davvero, io...» Immagini di sé presa prigioniera le assalirono la mente mentre un braccio robusto le cingeva la vita. Provò invano a divincolarsi.
«È solo un ristorante. Venga a sedersi un istante.» L’uomo la condusse all’interno del locale. Le piacevoli note di uno strumento a corda fluttuavano nell’aria che, strano ma vero, non era impregnata di odore di birra. «C’è una sedia comoda da quella parte» indicò con tono autoritario ma dolce.
Nell’ampia sala si respirava un’atmosfera da saloon di inizio secolo. Decori dorati, pavimenti in legno tirato a lucido, alti soffitti a specchio. I colori erano tenui, caldi. Un effetto d’insieme molto riposante.
Si lasciò condurre a una poltrona di pelle in un angolo più buio del locale. «Grazie» mormorò mentre lui la faceva sedere. «Non capisco cosa mi sia successo.»
«Pensi solo a stare tranquilla e a riposarsi. Le porto qualcosa da mangiare.»
«Ma non...»
«Sì, invece.»
Le parve di scorgere una sfumatura ilare negli occhi del suo misterioso soccorritore, mentre la contraddiceva con fermezza. Non aveva voglia di mangiare. Non aveva voglia di niente.
Si guardò intorno. C’erano poche persone sedute ai tavoli o appoggiate agli sgabelli lungo la parete. Diversamente dallo sfacciato chiacchiericcio esterno, parlavano tutti a bassa voce e le loro risate discrete tintinnavano lievi nell’aria.
Due camerieri in giacca bianca le poggiarono davanti un tavolino sul quale erano già collocate delle posate scintillanti. Una mano robusta allungò un piatto fumante.
«Risotto ai gamberetti. Così come ha ordinato il medico.»
«Grazie. Non doveva disturbarsi.» Samantha levò lo sguardo sul proprietario della mano e di quella voce rassicurante. «Lei è troppo gentile.»
«Non si monti la testa» la contraddisse lui bonariamente. Occhi color caramello la fissavano con un guizzo divertito. «Semplicemente non mi piace che la gente mi svenga davanti al locale. Sarebbe una pessima pubblicità.»
«Invece, trascinare dentro donne in preda a un malore è un modo per farsi dei clienti.» Samantha si avventurò in un timido sorriso.
Lui ricambiò, infondendo all’espressione gioiosa un calore che la lasciò sorpresa. Aveva i lineamenti cesellati, capelli scuri scomposti ed era troppo bello per ispirare fiducia.
Avvertì la tensione risalirle lungo la schiena. «Perché continui a guardarmi così?»
Di solito attenta alle formalità, era passata istintivamente a dargli del tu. Effetto del capogiro?
«Sto aspettando che tu prenda la forchetta e inizi a mangiare» l’assecondò al volo.
«Ah.» Afferrò la posata e raccolse un po’ di risotto. Consapevole di avere addosso il suo sguardo penetrante, lo portò alle labbra e lo mangiò. Un delizioso sapore di crostaceo si espanse sulla lingua.
«Uhm... squisito.»
Un sorriso si aprì sui lineamenti aristocratici dell’uomo che l’aveva soccorsa e che la stava ora anche sfamando.
«Che cosa posso portarti da bere?»
Le rivolse la domanda con una nota seduttiva nella voce, non come un soccorritore, stavolta, ma come il classico tipo che vuole abbordare una donna in un bar.
Un’ansia crescente le si insinuò dentro. Era atterrita all’idea di restare di nuovo da sola e ciò la rendeva particolarmente vulnerabile di fronte a un uomo così premuroso e affascinante.
«Va benissimo un bicchiere d’acqua, grazie.» Si esprimeva con la disinvolta formalità della ricca signora di Park Avenue quale era.
Lui sparì dalla sua visuale. Con un sospiro di sollievo, Samantha si tuffò rapace sul risotto. Era stata in giro tutto il giorno a cercare la persona che sperava fosse il figlio che il marito aveva abbandonato appena nato e che non aveva mai conosciuto.
Alla fine era riuscita a trovare la casa di Louis DuLac su Royal Street, con le sue finestre alte e i balconi con le aste in ferro battuto bombate. Ma lui non era in casa. Ci era passata due volte e la seconda la governante le aveva quasi sbattuto la porta in faccia.
Era in corso qualche festival a New Orleans e la città era gremita di turisti. Un particolare che le era sfuggito quando aveva organizzato il suo viaggio. Dopotutto, l’aereo privato del marito non richiedeva prenotazione e si trovavano sempre le camere da diecimila dollari a notte.
Un tappo saltò via con un pop, catturando la sua attenzione. Levò lo sguardo e vide Mister Gentilezza con in mano una bottiglia di champagne di una marca prestigiosa. Aveva capito che era una di quelle riccone che non badano a spese?
Forse la colpa era anche un po’ sua. I sandali rossi di Louboutin erano un chiaro indizio.
«Oh, davvero, io non...»
«Offre la casa» la bloccò subito lui, riempiendole il bicchiere.
Lei batté le palpebre, incredula. «Perché?»
«Perché sei troppo carina per avere un’aria così triste.»
«Forse ho i miei buoni motivi per essere triste.»
«Non lo metto in dubbio. Stai per caso morendo?» Non c’era traccia di umorismo, stavolta, nei suoi occhi.
«No, no» ribatté lei veemente. «Non che io sappia, per lo meno.»
La fronte di lui si spianò. «Bene. Mi fa piacere. Beviamoci su, allora.» Riempì anche il suo calice e lo innalzò verso di lei.
Samantha si unì al brindisi e bevve un sorso di champagne. Le bollicine le titillarono le papille. «E se ti avessi detto invece che stavo per morire? Come avresti reagito?»
«Ti avrei consigliato di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo.» Aveva gli occhi luccicanti, di quel meraviglioso color caramello, con delle pagliuzze dorate. «Credo che sia un buon consiglio comunque.»
«Hai ragione.» Samantha sospirò. Era stata proprio la voglia di vivere, di non mollare a sostenere suo marito Tarrant negli ultimi suoi mesi di vita e a farlo vivere oltre tutte le aspettative dei medici. Lei aveva giurato di seguire il suo esempio, ma non sempre ci riusciva.
Bere champagne era un inizio. «Brindiamo al primo giorno del resto della nostra vita.» Sorridendo, sollevò il bicchiere.
«Che ogni giorno sia un giorno da festeggiare.»
I loro sguardi si tennero incatenati un lungo istante e lei avvertì uno strano fremito.
Doveva essere lo champagne.
«Lo vedi il chitarrista?» Lui indicò nell’angolo. «Ha centun anni.»
«Davvero?» Samantha sgranò gli occhi. I capelli bianchi del musicista contrastavano con la pelle nera. Era già incredibile che avesse così tanti capelli a quell’età. La sua vitalità si esprimeva nei movimenti energici delle dita che vibravano nell’aria producendo suoni meravigliosi.
«Pensa, ha attraversato due guerre, la depressione, la digitalizzazione di quasi ogni cosa e l’uragano Katrina. Suona la chitarra tutti i giorni, il che significa che riaccende il fuoco dentro di sé ogni volta.»
«Invidio la sua passione.»
«Tu non ne hai una?» Mentre glielo chiedeva, la guardava quasi teneramente.
«Non proprio.» Di certo non avrebbe raccontato a un estraneo della sua smania di trovare i figli sperduti di suo marito. Anche le persone a lei più vicine la prendevano per pazza. «Ho la passione delle scarpe» svicolò. «Acquistare un nuovo paio di scarpe mi tira su di morale, qualche volta.» Sfoderò un sorriso soddisfatto, ammirando i suoi sandali rossi.
Sperava, in qualche modo, che lui storcesse il naso. Avrebbe smorzato quella strana sensazione di calore alla bocca dello stomaco.
E invece lui sorrise. «Christian è un artista e l’arte solleva sempre lo spirito. Sono convinto che lui approverebbe.»
«Conosci Christian Louboutin?»
«Sì. Ho vissuto a Parigi per anni. Trascorro ancora un sacco di tempo lì.»
«Mi sorprende che tu sappia riconoscere la paternità stilistica di un paio di scarpe. La maggior parte degli uomini non ne ha la più pallida idea.»
«Ho sempre apprezzato le cose belle.» Non vi era nulla di sensuale o ammiccante nel suo sguardo mentre la fissava, ma a lei parve di udire le parole come te aleggiare nell’aria.
Invece di provare imbarazzo, si sentì... desiderata. Qualcosa che non provava da tantissimo tempo.
Si scrollò di dosso l’inopportuna sensazione. «È sempre così caotica New Orleans?»
«Altroché. Pensa che c’è gente che viene qui e si diverte così tanto da dimenticarsi addirittura di mangiare.» Con un velo di ironia, guardò il piatto di risotto che aveva appena assaggiato.
Lei accennò un sorriso. Credeva che fosse lì per svago? In un’altra vita, forse. Tarrant era un appassionato di jazz e avevano spesso parlato di andare a New Orleans, lui e lei, per il festival del jazz che si teneva in primavera.
«Ti prego,