Una famiglia al bacio: Harmony Bianca
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È bastato un incontro per sentirsi travolgere dalla forza della passione...
Quella con Abby Phillips doveva essere solo una notte di passione, ma le ore passate insieme lasciano un segno profondo nel chirurgo Noah Baxter, che si ritrova coinvolto più di quanto sia disposto ad ammettere. Abby è una collega eccellente e un'amica dal senso dell'umorismo tagliente e accattivante, e a complicare ancora di più le cose è... incinta di suo figlio.
Non appena scopre della gravidanza, i ricordi di un passato che sta cercando di dimenticare tornano a tormentare Noah, ma quando l'arrivo prematuro del suo bambino lo rende padre prima del previsto, lui sceglie di combattere contro tutti i fantasmi che porta nel cuore, per diventare l'uomo di cui la sua nuova famiglia ha bisogno.
Alison Roberts
Tra le autrici amate e lette dal pubblico italiano.
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Una famiglia al bacio - Alison Roberts
successivo.
1
Accadde tutto all'improvviso. Un terribile stridere di gomme seguito da un urto sordo e deciso. La nuca di Abigail Phillips colpì con violenza il poggiatesta del sedile, poi la macchina sussultò in avanti e si spense.
Temendo che il peggio dovesse ancora venire, Abby chiuse gli occhi e strinse forte le mani sul volante. Sarebbe stata tamponata di nuovo? L'urto l'avrebbe spinta in mezzo al traffico o contro un lampione?
Invece scese il silenzio. Ora l'auto era stabile come un attimo prima, quando lei si era fermata alla riga dello stop davanti al semaforo rosso. Si trattava soltanto di un tamponamento, pensò per consolarsi. Niente di grave. In quel momento avrebbe voluto aprire la portiera e scendere a constatare gli eventuali danni riportati dal suo adorato veicolo, ma era impossibile. Così dovette limitarsi a fare qualche profondo respiro e tentare di porre un freno al battito martellante del suo cuore. Quel galoppo si calmò per qualche secondo, ma ripartì subito dopo, appena lei sentì qualcuno bussare al finestrino.
Abby riaprì gli occhi e voltò la testa. Al di là del vetro scorse un viso dall'espressione costernata.
«Oh, Dio mio» disse l'uomo. «Mi dispiace. Come si sente?»
Lo sconosciuto cercò di aprire la portiera, ma inutilmente. Abby era un'automobilista prudente, non scordava mai di bloccare le serrature per proteggersi dalle aggressioni di eventuali teppisti. Ricordò anche un consiglio che le avevano dato qualche tempo prima: mai ammettere la propria responsabilità sul luogo di un incidente, c'era il rischio di doverne poi subire le conseguenze legali. Era probabile che quell'uomo non avesse ricevuto il medesimo consiglio, oppure era una persona troppo onesta per non ammettere che era lui l'unico colpevole di quello che era successo. Rinfrancata dalla sincerità del tizio, Abby abbassò il finestrino.
«Sto bene» rispose. Notò subito che l'uomo aveva due stupendi occhi azzurri, orlati da ventagli di lunghe ciglia nere che qualunque donna avrebbe sognato di avere per sé. C'erano anche due adorabili reticoli di piccole rughe intorno agli occhi, come se quello sconosciuto passasse la maggior parte del suo tempo a sorridere alla gente oppure a concentrarsi su oggetti minuscoli da osservare.
Ma in quel momento non sorrideva.
«È sicura? Mi permette di darle un'occhiata al collo? Sono un medico.»
Si trovavano soltanto a due isolati dal luogo dove Abby lavorava, il St John's Hospital, per cui era probabile che fossero diretti verso la stessa meta. Non che Abby lo avesse mai incrociato per i corridoi o nel salone della mensa. Ne era sicura, perché altrimenti lo avrebbe di certo notato. Infatti quel tipo era piuttosto attraente. Okay, molto attraente. Il viso era incorniciato da una folta chioma di capelli neri leggermente arruffati, e sulle guance aveva un velo di barba scura che gli conferiva un'aria terribilmente sexy. Tutti dettagli che formavano un mix fascinoso e che di sicuro avrebbero impedito al cuore di Abby di rallentare i battiti per almeno qualche minuto. E come se non bastasse, lui la guardava in quel modo... come se volesse avere l'assoluta certezza che lei non avesse riportato ferite.
Un attimo dopo lo vide infilare la mano nell'apertura del finestrino e passarla sotto i suoi lunghi capelli per tastarle il collo.
«Sente dolore?» le domandò.
«No...» Era vero, lei non avvertiva alcun male in quel punto. Anzi, a dirla tutta, provava una sensazione quasi deliziosa. Si rese conto che era la prima volta che un uomo le posava una mano sul collo, e non le dispiaceva affatto. Per la verità, si scoprì a desiderare che quell'esame così accurato durasse a lungo. La mano era gentile, attenta, segno che l'uomo conosceva perfettamente il suo mestiere. A quel pensiero uno strano brivido le corse lungo la spina dorsale.
Dubitò che fosse normale provare una sensazione simile mentre un medico stava cercando di verificare la presenza di eventuali danni fisici. Doveva mettersi bene in testa che in quel tocco non c'era niente di personale. Ma era da troppo tempo che sfuggiva all'attenzione degli uomini, e così aveva scordato quanto potesse essere gradevole la carezza di una mano maschile sul proprio corpo.
«Provi ad abbassare il mento verso il petto. Se sente dolore, smetta subito.»
Il semaforo era scattato al verde e una macchina dietro di loro cercò di superarli suonando il clacson. Un altro automobilista abbassò il finestrino e strillò: «Tutto bene? Volete che chiami un'ambulanza?».
«Credo che non serva, per il momento» gridò l'uomo in risposta. «Grazie lo stesso.» Poi si rivolse nuovamente ad Abby. «Volti la testa da una parte, poi dall'altra. Lentamente, senza fare movimenti bruschi.»
Abby eseguì alla lettera le istruzioni, e quando fece il secondo movimento si ritrovò a guardarlo in viso.
«Nessun dolore?»
«Nessuno» confermò lei.
«Sente male da altre parti? Può respirare profondamente? Oh, Dio... avrei dovuto chiederle questo come prima cosa.»
La sua espressione disperata era così buffa che per poco Abby non scoppiò a ridere.
Quel tizio era preoccupato per lei, ma Abby era sicura di stare bene. Si trattava soltanto di un leggero tamponamento, e probabilmente anche la sua adorata macchina con i comandi modificati non aveva riportato grandi danni. A quel pensiero fu invasa da un sollievo così intenso che se ne sentì un poco stordita. E l'euforia che ne seguì fu a tal punto straordinaria che decise di mettere in atto uno scherzo piuttosto audace ai danni del suo soccorritore.
«Sto bene, davvero» ribadì. «Ma...»
«Ma?»
«Non riesco a muovere le gambe.» Abby ebbe cura di restare seria mentre parlava. «Temo che non potrò mai più camminare.»
Vedendo il viso dello sconosciuto divenire improvvisamente pallido, capì che il suo tentativo di fare dello spirito era miseramente fallito.
«Mi scusi» si affrettò ad aggiungere costernata. «Forse avrei dovuto dire che non potrò più suonare il violino...»
Ora il pover'uomo sembrava davvero confuso.
«Ehm, lei però dovrebbe chiedermi se prima suonavo il violino» cercò di aiutarlo Abby. «Così io potrò risponderle di no e lei si limiterà a dire molto buffo.» Ma sembrava che non ci fosse niente di buffo in tutto ciò, così Abby sfoggiò il suo sorriso più smagliante e indicò l'oggetto posato dietro il sedile del passeggero.
La sedia a rotelle.
L'uomo non era certo lento di comprendonio, poco ma sicuro, e gli occorse soltanto un attimo per capire che lei era paraplegica e che aveva cercato di scherzare sulla propria disabilità. Lo sentì emettere un suono strozzato, come se non sapesse bene se mettersi a piangere o a ridere.
Alla fine, però, decise di ridere, scrollando la testa e incrociando lo sguardo di Abby. Lei si accorse di reagire a quello sguardo con un sorriso compiaciuto. Be', anche se si stava divertendo, era davvero così sconveniente? Le parve decisamente di sì, soprattutto quando il gemito di una sirena annunciò l'arrivo di un mezzo di soccorso che cercava di farsi largo fra le macchine. Il traffico aveva rallentato abbastanza da trasformarsi in un ingorgo convulso da ora di punta. Guardando nello specchietto retrovisore, Abby vide il lampeggiante di una moto della polizia venire verso di loro e capì che ci sarebbe voluto dell'altro tempo prima di risolvere quel piccolo incidente.
Sarebbe arrivata in ritardo al lavoro – una mancanza imperdonabile – ma si scoprì stranamente felice di avere una scusa per fermarsi lì ancora un po' con quello sconosciuto dagli occhi azzurri e il cui volto diventava ancora più attraente quando s'illuminava di un sorriso.
Santo cielo, imprecò Noah Baxter tra sé. Aveva appena tamponato la macchina di una giovane donna paraplegica – provocando per giunta un blocco del traffico – e... stava ridendo?
Tra l'altro non era nemmeno una risatina di circostanza, ma una vera e propria risata, generata da un'ilarità che sentiva emergere prepotente dentro di sé. Gli sembrava quasi di essere tornato indietro nel tempo. A quando aveva una vita totalmente diversa da quella che faceva ora. Una vita nella quale le cose potevano essere buffe, tenere o stupide, e lui poteva godere tranquillamente di ogni facezia o amenità. Nella quale le risate di piacere erano una parte integrante della routine quotidiana, come del resto lo erano per chiunque...
Mai avrebbe sospettato che un giorno ci sarebbero stati due terribili avvenimenti che avrebbero cancellato per sempre il suo desiderio di ridere.
Si voltò di lato e vide un agente scendere dalla moto e dirigersi verso di loro.
«Ci sono feriti?» chiese il poliziotto.
«No.» Fu la giovane nella macchina a parlare per prima. Dopo la gag scherzosa di qualche attimo prima, una luce divertita le danzava ancora negli occhi. Occhi d'ambra, notò Noah, in un viso incorniciato da lunghe onde di capelli color fragola dorata. Una donna certamente notevole. E quel sorriso... era sorprendentemente contagioso.
«È tutta colpa mia, agente» ammise lui. «Cercavo un'indicazione stradale per assicurarmi di andare nella direzione giusta e ho frenato con un attimo di ritardo. Vuole i miei dati?»
L'agente si stava guardando intorno. «Innanzitutto dobbiamo sgombrare la strada. Nessun si è fatto male, allora?»
«Nessuno.» Stavolta risposero entrambi nello stesso momento.
«Danni ai veicoli?»
«Credo di no.» Quando poco prima si era precipitato verso la macchina che aveva tamponato per accertarsi che il guidatore non fosse ferito, Noah non aveva visto sull'asfalto pezzi di carrozzeria o vetri. Seguì l'agente per verificare se vi fossero graffi o piccole ammaccature, ma sembrava che l'incidente avesse lasciato pochissime tracce.
«Allora non occorre fare alcun verbale» decise il poliziotto. «Adesso vado al centro dell'incrocio a dirigere il traffico. Dovreste risalire in macchina e lasciar libera la strada.»
Noah annuì e tornò dalla donna. «C'è soltanto qualche graffio» le disse. «Non vale la pena di perdere tempo a fare una constatazione. E non c'è motivo di coinvolgere la polizia in quel che è successo.»
«Oh... grazie al cielo! Adoro in modo pazzesco la mia auto.»
«Però dobbiamo levarci immediatamente di qui. È sicura di stare bene?»
«Sicurissima. E lei?»
«Anch'io.» Tuttavia Noah avvertiva uno strano nodo allo stomaco. Glielo aveva forse provocato quell'insolita risata? O magari era dovuto a qualcosa che lui non faceva più da molto tempo... «Potrebbe darmi il suo numero di telefono?» chiese. «Per ogni evenienza.»
Quale evenienza?, si domandò Noah. Forse voleva accertarsi che da lì a qualche giorno lei non avesse sintomi da colpo di frusta? O magari per accertarsi che la sua compagnia di assicurazione le rimborsasse i danni nel caso in cui lei avesse deciso di fare richiesta? O semplicemente... perché voleva rivederla? In quel momento, mentre la guardava negli occhi con più intensità di quanto avrebbe dovuto, la vide sorridere. Forse si era convinta che era solo una scusa per poterla rivedere?
«Casomai decidesse di fare una richiesta alla mia assicurazione e avesse bisogno dei miei dati» si affrettò ad aggiungere. Poi tirò fuori dal taschino della camicia un taccuino e una penna. Era un'abitudine che aveva preso durante l'internato in ospedale, quando le informazioni da tenere a mente erano sempre parecchie ed era essenziale prendere appunti.
Lei gli diede il proprio numero di cellulare, poi girò la chiave di accensione per riavviare il motore.
«A proposito...» gli disse mentre incrociava di nuovo il suo sguardo e innestava la marcia. «Mi chiamo Abby.»
«Io, Noah» ribatté lui prima di dirigersi verso la propria auto. Appena vi salì a bordo sentì le labbra distendersi in un altro sorriso. Che cos'era quella storia? Aveva avuto solo un piccolo incidente mentre si recava in ospedale per conoscere i nuovi colleghi e gli sembrava la miglior cosa che gli fosse capitata da anni?
Alzò lo sguardo