L erede del deserto: Harmony Collezione
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Il punto è che, nonostante l'attrazione che provano l'uno per l'altra, la legge del deserto non concede deroghe: Emir ha bisogno di un erede maschio, se vuole che il suo lignaggio abbia un futuro, ma questo è proprio quello che la dolce Amy non può regalargli.
Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Anteprima del libro
L erede del deserto - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Beholden to the Throne
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2013 Carol Marinelli
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-129-4
1
«Lo sceicco Emir le concede udienza.»
Amy alzò lo sguardo su Fatima, una delle domestiche che entrava nella nursery dove stava dando da mangiare alle due principesse. «Grazie. A che ora...?»
«Subito» la interruppe Fatima con tono impaziente per l’indifferenza di Amy, sempre intenta alla cena delle gemelle.
«Stanno cenando...» cominciò Amy, ma rinunciò a proseguire... Dopotutto, cosa ne sapeva il re della routine delle sue figlie? Emir vedeva di rado le figlie e questo le spezzava il cuore.
Cosa ne sapeva di quanto ultimamente fossero bisognose di affetto e schizzinose con il cibo? Era uno dei motivi per cui aveva chiesto un incontro con il re...
Il giorno successivo sarebbero state affidate ai beduini, degli sconosciuti che le avrebbero tenute per la notte.
Era una tradizione che risaliva ai secoli precedenti, le aveva spiegato Fatima, una tradizione alla quale non ci si poteva sottrarre.
Bene, Amy ne avrebbe discusso.
Le due piccine avevano perso la madre quando avevano soltanto poche settimane e, dalla morte della moglie, Emir le aveva viste di rado. Era Amy a occuparsi di loro, Amy che stava con loro giorno dopo giorno, Amy della quale si fidavano. Non le avrebbe consegnate a una banda di estranei senza lottare.
«Mi occupo io della cena delle principesse» si offrì Fatima. «Lei deve rendersi presentabile per l’incontro con il re.» Fece scorrere uno sguardo di disapprovazione sul grembiule azzurro che era l’uniforme della bambinaia reale. Quel mattino era fresco e immacolato, ma ora aveva chiazze di colore perché nel pomeriggio aveva dipinto con Clemira e Nakia. Non era credibile che Emir si preoccupasse del suo aspetto. Doveva ben sapere che, se una bambinaia svolge con coscienza il proprio lavoro, l’aspetto può essere meno che perfetto. Ma, ancora... cosa ne sapeva Emir della vita della nursery? Erano settimane che non si faceva vedere.
Amy indossò un abito pulito e legò i capelli biondi a coda di cavallo, poi li coprì con uno scialle blu e si accertò che la cicatrice sul collo fosse nascosta dalla seta. Non sopportava che in ogni conversazione gli occhi andassero irrimediabilmente in quel punto, e soprattutto odiava le inevitabili domande che ne seguivano.
L’incidente e le sue conseguenze erano qualcosa che preferiva dimenticare piuttosto che discuterne.
«Sono troppo capricciose con il cibo» considerò Fatima mentre Amy rientrava nella nursery.
Amy soffocò un sorriso mentre con una smorfia Clemira afferrava il cucchiaio che Fatima le porgeva e lo buttava sul pavimento.
«Hanno bisogno di essere vezzeggiate» spiegò Amy. «Non hanno mai mangiato questo cibo.»
«Devono imparare a comportarsi come si deve!» sbottò Fatima. «Quando mangeranno in pubblico, avranno gli occhi di tutti puntati addosso e domani partiranno per il deserto dove mangeranno solo frutta, e alla gente del deserto non piaceranno due principesse viziate che sputacchiano il cibo.» Guardò Amy da capo a piedi. «Si ricordi di chinare il capo quando entra e di tenerlo chino finché il re non parlerà. E di ringraziarlo per ogni suggerimento che le darà.»
Amy ingoiò una rispostaccia. Con Fatima sarebbe stata sprecata e dopotutto era meglio riservare le risposte per Emir. Mentre si avvicinava alla porta, Clemira, rendendosi conto che sarebbe rimasta sola con Fatima, la chiamò.
«Ummi!» piagnucolò. «Ummi!»
Fatima guardò inorridita la bimba che usava il nome arabo di mamma.
«È così che la chiama?»
«Non capisce il significato» si affrettò a spiegare Amy. Ma Fatima adesso era in piedi, la cena dimenticata, il viso distorto dalla furia.
«Cosa le ha insegnato?» l’accusò.
«Io non le ho certo insegnato a chiamarmi così» si difese Amy, colta dal panico. «Anzi, ho cercato di correggerla.»
E lo aveva fatto realmente.
Negli ultimi giorni aveva ripetuto mille volte il proprio nome, ma le gemelle avevano scoperto una nuova versione. Clemira doveva averla colta dalle varie storie che Amy raccontava e dagli incontri con gli altri bimbi che chiamavano così la loro mamma.
A dispetto di tutte le volte che le aveva corrette, Clemira insisteva con la nuova parola.
«Ha un suono simile» cercò di spiegare Amy, ma, non appena aveva creduto di aggiustare la situazione, Nakia, come al solito, imitò la sorella.
«Ummi» piagnucolò la piccola, unendosi alla protesta della gemella.
«Amy!» la corresse mentre percepiva il disgusto di Fatima.
«Se il re sente una cosa del genere, saranno guai» la mise in guardia Fatima. «Guai grossi.»
«Lo so.» Lasciando la nursery, Amy respinse le lacrime. L’incontro con il re era necessario, si disse mentre i nervi cominciavano a saltarle. Bisognava pur dire qualcosa.
Eppure, anche se era stata lei a chiedere udienza, tremava alla prospettiva. Lo sceicco Emir di Alzan non era certo disponibile alle conversazioni, almeno non dopo la morte di Hannah. Sulle pareti, erano allineati i ritratti dei re precedenti, uomini cupi e imponenti, ma dalla morte della moglie di Emir, nessuno era scostante come lui e di lì a poco avrebbe dovuto affrontarlo.
Era necessario, si disse Amy osservando le guardie davanti alla porta del suo studio. Per quanto difficile potesse essere quella conversazione, c’erano cose che dovevano essere dette e voleva farlo prima di recarsi nel deserto con lui e le piccole, perché questa era una discussione che doveva essere affrontata lontano da orecchie infantili.
Amy sostò di fronte alla massiccia porta intagliata e attese finché le guardie fecero un cenno e la porta si aprì.
Emir sedeva a un’immensa scrivania, con una veste nera, e portava la kefiah. Intorno a lui sedevano gli assistenti e gli anziani. In qualche modo, lei doveva trovare il coraggio di perorare la propria causa.
«Capo chino!» la riprese aspra una guardia.
Amy fece come le fu detto ed entrò. Non le era permesso guardare il re, ma percepiva il suo sguardo fisso su di sé mentre Patel, l’assistente anziano, faceva una rapida presentazione in arabo.
Amy rimase a capo chino finché finalmente il re parlò.
«Ha chiesto di vedermi, ma mi è stato detto che le gemelle non sono malate.»
La voce era profonda e l’inglese aveva un accento particolare. Da molto, Amy non lo sentiva parlare in inglese. Le sue visite alla nursery erano brevi e normalmente diceva qualche parola in arabo alle piccole e se ne andava subito. Sentendolo parlare di nuovo, Amy si rese conto con un sussulto nervoso di quanto si fosse persa non udendo la sua voce.
Ricordava i giorni successivi alla nascita e come fosse stato disponibile. Emir era stato un padre premuroso e, soprattutto con una moglie malata, era stato grato per ogni suo suggerimento, tanto che spesso lei aveva dimenticato che fosse il re. Difficile credere ora che fosse stato così disponibile, tuttavia Amy si aggrappò a quella vecchia immagine mentre alzava la testa per guardarlo in viso, decisa a parlare con il padre piuttosto che con il re.
«Clemira e Nakia stanno bene» esordì Amy. «Be’, fisicamente stanno bene...» Notò che lui aggrottava la fronte. «Volevo riferirle dei loro progressi e anche discutere della tradizione per cui...»
«Domani ci recheremo nel deserto» la interruppe Emir. «Resteremo là ventiquattro ore. Ci sarà tutto il tempo per discutere dei loro progressi.»
«Ma desidero parlarne senza che le gemelle sentano. Potrebbero agitarsi, ascoltando ciò che intendo dire.»
«Hanno appena un anno» le fece notare. «Mi sembra ben difficile che capiscano i discorsi degli adulti.»
«Potrebbero...»
Amy ebbe l’impressione di soffocare... sentiva la cicatrice sul collo che bruciava perché sapeva bene cosa significava giacere in silenzio, sapeva cosa significava ascoltare e non essere in grado di intervenire. Sapeva perfettamente come ci si sente quando discutono della tua vita e non sei in grado di partecipare alla conversazione. Non avrebbe permesso che succedesse alle gemelle. Anche se c’era solo una minima possibilità che capissero ciò che veniva detto, non voleva correre quel rischio. Comunque, era lì non solo per discutere dei loro progressi.
«Fatima mi ha informato che trascorreranno la notte con i beduini.» Lui annuì. «Non penso sia una buona idea» proseguì Amy. «In questo periodo, hanno bisogno di affetto. Si agitano persino quando lascio la stanza.»
«Ed è proprio il momento di mettere in atto la separazione.» Emir era impassibile. «Tutti i reali devono trascorrere ogni anno del tempo con la gente del deserto.»
«Ma sono così piccole!»
«È una tradizione, sia per Alzirz sia per Alzan, e non è oggetto di discussione.»
Non condivideva, ma non poteva far altro che accettare quella decisione, si rese conto Amy, perché in quella terra le regole e le tradizioni erano osservate alla lettera.
Poteva soltanto rendere la separazione meno traumatica possibile.
«Ci sono altre questioni di cui vorrei discutere con lei.» Amy si guardò intorno nella stanza. Anche se non sapeva quante guardie e quanti assistenti parlassero inglese, era consapevole che Patel conosceva perfettamente quella lingua. «Non potremmo parlarne in privato?» suggerì.
«In privato?» domandò Emir. Il tono irritato chiariva che non c’era niente di cui lei potesse discutere meritevole di sgombrare la stanza. «Non è necessario. Venga al punto.»
«Ma...»
«Parli!»
Non aveva alzato la voce, tuttavia il tono era impaziente e rabbioso. Amy proprio non lo riconosceva, o almeno non riconosceva in lui l’uomo che aveva conosciuto un anno prima. Oh, era un re inflessibile, e un governante rigido, ma anche una persona sensibile alle necessità della moglie malata, che aveva anteposto al protocollo e al dovere. Quel giorno no. Lei non stava parlando con il padre e il marito che ricordava, bensì con il re di Alzan.
«Le bambine la vedono così raramente» esordì di fronte a un’audience critica. «Sentono la sua mancanza.»
«Glielo hanno detto loro?» La bocca stupenda era incurvata in una smorfia. «Non sapevo che parlassero già così bene.»
Patel si lasciò sfuggire una risatina prima di fare un passo avanti. «Il re non ha bisogno di sentire queste sciocchezze» affermò. Ma Amy, sapendo che era l’unica possibilità che aveva di parlare prima della partenza, non si lasciò intimidire.
«Forse no, ma le bambine hanno bisogno del loro padre. Hanno bisogno...»
«Non c’è niente di cui discutere.» Con un cenno della mano, Emir la congedò. Ma, invece di seguire la prassi di chinare il capo e uscire, Amy mantenne la posizione.
«Al contrario...