Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Una sposa riluttante: Harmony History
Una sposa riluttante: Harmony History
Una sposa riluttante: Harmony History
E-book239 pagine3 ore

Una sposa riluttante: Harmony History

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Inghilterra, 1816
Viaggiare sola insieme all'affascinante lord Hal Wyatt, anche se per una buona causa, potrebbe compromettere la reputazione di Sophia... se lei non l'avesse già perduta. Eppure, quando viene a sapere i dettagli della sua sordida storia, Hal non è affatto convinto che lei sia una donna da condannare, al punto che decide persino di sposarla per mettere a tacere i pettegolezzi. Se non che Sophia, pur desiderando con tutta se stessa di diventare sua moglie, detesta anche solo l'idea di un matrimonio riparatore, e si ribella con tutte le sue forze...
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2021
ISBN9788830524057
Una sposa riluttante: Harmony History

Leggi altro di Francesca Shaw

Correlato a Una sposa riluttante

Ebook correlati

Narrativa romantica storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Una sposa riluttante

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Una sposa riluttante - Francesca Shaw

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Rebellious Bride

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2002 Francesca Shaw

    Traduzione di Gigliola Foglia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-405-7

    1

    L’amore a prima vista non era qualcosa a cui miss Sophia Haydon credesse, almeno non fino alle nove e mezzo della sera del tredici marzo. Il colpo di fulmine la colpì con la violenza di un’esplosione, e tutto quello che poté fare fu rallegrarsi di indossare la veletta. La rete sottile che schermava il suo rossore al resto dell’uditorio la celava anche, fortunatamente, allo sguardo del gentiluomo la cui apparizione aveva sortito un effetto così inatteso sulle sue emozioni di solito ben disciplinate.

    C’erano una quarantina di membri dell’alta società accomodati sulle sedie dorate allineate nel salotto dell’elegante casa di lady Newnham a Mayfair. Chi ascoltava rapito l’arido resoconto su flora e fauna delle pianure brasiliane, chi cercava di mascherare la noia con espressioni di educato interesse. Il Brasile era senz’altro una novità, ma certo non come descritto dal dottor Theophilus Eustace.

    Era sempre un azzardo assistere ai Simposi Filosofici mensili di Sua Signoria, come lady Newnham amava chiamarli. Era capacissima di presentare l’ultimo poeta in voga per una lettura dei suoi focosi e pericolosi poemi, ma ci si poteva parimenti imbattere in una pedante esposizione sui resti archeologici nella Bassa Tracia o sulle abitudini del bisonte europeo.

    L’oggetto della subitanea passione di Sophia sembrava ascoltare con attenzione, gli occhi fissi sulla mappa che il dottor Eustace indicava gesticolando. Non era il bell’aspetto dell’uomo la prima cosa che aveva attratto miss Haydon, benché fosse innegabilmente aitante. Il taglio elegante della sua giacca da sera blu scuro si adattava alla perfezione alle ampie spalle, lo spazio tra le file di sedie era appena sufficiente per la lunghezza delle sue gambe, e il profilo mostrava una perfezione classica che doveva far strage di cuori.

    Ma ad attrarre Sophia era stato soprattutto il riconoscere uno spirito affine. Formalmente, l’uomo si stava comportando con perfetto decoro, inclinando il capo per cogliere i commenti sussurratigli dal vicino, o sedendo con lo sguardo rivolto all’oratore. Eppure Sophia avrebbe detto che condividesse il suo divertimento all’assurdità di quello scelto uditorio, scomodamente appollaiato sulle affusolate sedie da salone ad ascoltare un discorso mal presentato e di sorprendente mediocrità, invece di andare a una cena danzante da Almack o di fare una mano di whist ai tavoli da gioco dei club.

    A tratti agli angoli degli occhi e della bocca del gentiluomo comparivano attraenti rughe d’espressione, e le sue spalle vibravano di risate represse alle più pompose enunciazioni del buon professore. Quando incrociò le braccia sul petto, come se quell’atto potesse contenere la sua ilarità, Sophia si costrinse ad ascoltare l’oratore al centro della sala anziché immaginare come sarebbe stato farsi avvolgere proprio da quelle braccia.

    «E sono certo di non sbagliare affermando che nessuno potrebbe, ehm... fare a meno di condividere... sì, condividere la mia emozione nello scoprire che non solo la famiglia di funghi Lactarius prospera in quell’area, che come si è detto si estende tra le alteterre e le pianure dell’estremo meridione del Brasile, ma anche che uno dei miei preferiti, il Lactarius volemus, è comune, anzi, diffuso, ai confini della foresta cedua. Come sapete, queste specie si contraddistinguono per il lieve sentore di aringa.» Il dottor Eustace si sfilò gli occhiali e sorrise trionfante agli uditori stupefatti, un paio dei quali si sciolsero in un tiepido applauso in quanto il disgraziato sembrava aspettarsi un qualche riconoscimento. Era davvero troppo. Sophia tossì il più silenziosamente possibile nel fazzoletto di trina, ma l’uomo alto fu incapace di trattenere una risata che, allo sguardo di rimprovero del compagno, convertì rapidamente in un poco convincente colpo di tosse.

    Oh, sarebbe stato davvero divertente, pensò Sophia con reale desiderio, condividere quel momento di ilarità con un uomo simile. Naturalmente, si ammonì, ciò che stava provando non era amore, e sapeva Dio se lei aveva imparato molto tempo prima quanto vuota fosse quell’emozione! No, era il riconoscimento dell’intelligenza, dello spirito, della capacità di godere la vita. Le persone dotate di senso dell’umorismo, per non dire di brio, scarseggiavano nella sua vita.

    Il dottor Eustace, beatamente ignaro dell’effetto esercitato sulla maggioranza dell’uditorio, era infine giunto al termine della sua conferenza e si stava offrendo di rispondere a eventuali domande: non ci sarebbe stato scampo per almeno un’altra mezz’ora, poiché alcuni membri del circolo intellettuale di lady Newnham mostravano di aver trovato affascinante quell’intrattenimento serale e già stavano tempestando lo scienziato di quesiti.

    Sophia si asciugò lacrime d’ilarità mantenendo con cura la veletta abbassata. La rappresentanza maschile dell’uditorio, se avesse saputo che cosa nascondeva quel velo, avrebbe deplorato la discrezione che la spingeva a portarlo. Perché gli occhi verdi, le lunghe ciglia scure e la massa di riccioli ramati di miss Haydon avevano fatto invariabilmente voltare gli uomini ai tempi del suo debutto in società, e i quattro anni di forzato ritiro che le erano stati imposti da quando era diciassettenne non avevano potuto minare né la sua bellezza né il suo spirito. Mentre il buon dottore biascicava, Sophia sospirò, forse meno silenziosamente di quanto l’educazione prescrivesse. Non era possibile che il lieve suono avesse raggiunto le orecchie dell’attraente giovanotto, seduto due file più avanti sulla sua sinistra, eppure lui voltò lentamente la testa ed esaminò l’uditorio come per individuare il colpevole. I suoi occhi non potevano penetrare il fitto merletto, eppure Sophia ebbe la sensazione che la guardasse dritto in viso, così intensa fu l’impressione di riconoscersi.

    Sophia strinse forte le mani inguantate sul grembo del suo abito da passeggio marrone castagna, lottando per ritrovare la compostezza. Che cos’aveva quell’uomo per turbarla tanto? Era ridicolo, si rimproverò; non l’avrebbe mai più rivisto, e tutto questo sarebbe servito soltanto a renderla scontenta di se stessa. Negli ultimi sei mesi, da quando aveva fatto ritorno a Londra, si era persuasa ad attendersi ben poca gioia, ad accontentarsi delle limitate opportunità di intrattenimento che non le erano precluse. Ma adesso era come se avesse aperto il vaso di Pandora, lasciando liberi sogni e desideri irrealizzabili.

    Perfino la sobria atmosfera dei pomeriggi letterari per sole signore di lady Newnham, incontri mensili che avevano condotto a questo invito serale, era qualcosa di molto atteso ed eccitante nella sua esistenza ritirata. L’indole sospettosa di George, il suo fratello maggiore, non riusciva a trovare niente di pericoloso nella partecipazione a simili attività, purché si svolgessero durante il giorno, anche se praticamente qualsiasi altra cosa era proibita. Difatti George, una volta messo in allarme da quella che vedeva come instabilità morale della sua giovane sorellastra, prendeva molto sul serio il proprio ruolo di guardiano. Gli incontri diurni al seguito di sua moglie erano una cosa, ma le era assolutamente proibito uscire la sera. A ogni modo, a miss Haydon non era occorso molto per scoprire che una volta ritiratasi dopo cena nessuno avrebbe rivolto a lei un altro pensiero. Sir George e lady Haydon, le rare volte in cui trascorrevano una serata nella pace domestica, non vedevano motivo di coinvolgerla nelle loro attività, supponendo che Sophia fosse innocentemente impegnata con un lavoro di cucito o un libro o con devoti sermoni. Ma la sua camera da letto guardava sul giardino e, con opportuno tempismo e un mazzo di chiavi ottenuto di nascosto, poteva sgattaiolare dalle scale sul retro, per la porta della cucina, e attraverso il cancello del giardino per trovarsi in pochi secondi in Berkeley Square. I vetturini potevano anche guardare di traverso le giovani signore non accompagnate a quell’ora della notte, ma erano più che disposti ad accettare il suo denaro.

    Una o due volte la settimana, dopo aver ispezionato i quotidiani e le riviste di George in cerca di annunci di pubbliche conferenze, se la svignava godendosi la libertà, per quanto l’evento più eccitante in cui potesse sperare fosse una lezione alla Royal Society.

    Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dallo scricchiolio delle gambe di una sedia sulle tavole levigate del pavimento. L’affascinante giovanotto si stava alzando e lei colse appieno quell’occasione perfettamente legittima per osservarlo. Doveva essere alto più di un metro e ottanta, ed era di corporatura atletica. I suoi abiti erano una buona pubblicità al miglior sarto di Londra, ma qualcosa in lui suggeriva che non si trattava di un dandy e che poco si curava in realtà del proprio aspetto. Forse erano i suoi capelli: scuri, folti, leggermente ondulati e un po’ lunghi; o forse era semplicemente il modo in cui si muoveva, senza affettazione, con grazia naturale.

    La sua voce non fu una delusione: forte, profonda e ben modulata, con un sottofondo d’ironia che Sophia sospettò fosse abituale. «Dottor Eustace, posso esordire affermando che di rado, anzi, giammai ho trascorso una serata come questa.» Di fianco a lui, il suo compagno gemette sottovoce mentre il buon dottore si pavoneggiava a quello che evidentemente aveva ritenuto un complimento. «A proposito del fungo, Lactarius volemus mi pare, quello che odora di aringa... sono ansioso di apprendere, in caso dovessi imbattermi in uno di essi, se sia odore di aringa fresca oppure affumicata.» Il suo accompagnatore sprofondò la testa tra le mani, ma il profilo dell’uomo alto non tradì altro che vivo interesse mentre tornava a sedersi.

    «Mio caro signore, che domanda affascinante! Mostra davvero la profondità del vostro interesse. Non ho mai analizzato la questione in dettaglio, com’è ovvio, ma se devo esprimere un’opinione, azzarderei che vi sia un vago aroma di affumicatura.»

    Sophia, combattendo una battaglia già persa contro un riso isterico, serrò i denti sul fazzoletto e scivolò fuori dalla stanza, ringraziando il cielo di essere arrivata tardi e di avere pertanto trovato posto vicino alle porte. L’ingresso, benché popolato da un esercito di statue classicheggianti scarsamente vestite, era misericordiosamente deserto. Sophia gettò indietro la veletta sfogando i singulti di risa nel fazzoletto.

    Una porta si aprì e si richiuse alle sue spalle, e la giovane prontamente si ritirò dietro una statua di Afrodite, volgendo le spalle alla sala nella speranza di non attirare l’attenzione. Una voce... una voce che aveva udito solo un istante prima, disse preoccupata: «Signora, vi sentite male? Posso esservi d’aiuto?».

    Era lui, l’uomo alto. Sophia roteò su se stessa, per poco non gli calpestò i piedi, sollevò lo sguardo a incontrare quegli occhi azzurro scuro e ansimò: «Aringa affumicata!».

    Lui ricambiò con un largo sogghigno. «Lo so, non avrei dovuto, ma non sono riuscito a resistere. Sydney mi ha obbligato a uscire; dice che non mi rivolgerà mai più la parola.» Nella sala si udirono voci e scricchiolio di sedie. «Oh, Dio, tra un momento emergeranno per la cena, presto, venite.» Afferrò il braccio di Sophia e con estrema sicurezza aprì una porta nei pannelli di rivestimento dell’ingresso, percorse con lei un breve corridoio ed entrò nella serra. Attraverso la vetrata Sophia poteva scorgere la sala da pranzo. Debolmente, dietro di loro, udì lady Newnham ringraziare l’oratore tra uno scroscio di applausi e invitare gli ospiti a condividere la leggera cena apparecchiata nella sala adiacente.

    La serra, realizzata e mantenuta con gran dispendio, era calda e odorosa di terriccio riscaldato e di piante che crescevano. Sophia scoprì che il gentiluomo le aveva lasciato il braccio, e d’istinto arretrò. Era molto alto e molto vicino, e all’improvviso l’intimità che avevano condiviso ridendo la mise a disagio.

    Lui sembrò percepirlo, perché fece a sua volta un passo indietro e indicò una panchina di ferro dipinta di bianco, accanto a una pianticella d’arancio in vaso. «Prego, non volete sedere un momento, miss...»

    «Haydon. Sophia Haydon.» Sophia si accomodò con gratitudine e cercò di nuovo di asciugarsi gli occhi, ma il suo fazzoletto era ormai irrecuperabile.

    «Ecco, prego, prendete questo, il mio valletto mi fa uscire sempre con almeno due.» L’uomo estrasse un quadrato di lino impeccabilmente stirato, poi, con un’occhiata alle guance di Sophia rigate di lacrime, ne immerse un angolo nella vasca della minuscola fontana e con delicatezza gliele ripulì. Notò che la tela rimaneva immacolata, senza traccia di cipria o di belletto. Sembrava proprio che miss Haydon non dovesse nulla della sua fresca bellezza al cofanetto dei cosmetici. «Mi rendo conto che è insolito, ma in queste circostanze temo non sarebbe sensato attendere di essere presentati da lady Newnham.» Si inchinò. «Hal Wyatt al vostro servizio, miss Haydon.»

    «Lord Wyatt!» Sophia cercò invano di non far trapelare la sorpresa, e un’ombra di rossore le affiorò sulle guance.

    «Vedo che avete udito parlare di me» commentò asciutto Sua Signoria. «Posso sedermi? Vi assicuro, non avrete alcun bisogno di gridare.»

    Sophia raddrizzò le spalle e replicò, piuttosto vivacemente: «Non ho davvero intenzione di gridare, milord. Secondo mia cognata, siete un notorio libertino con cui nessuna donna è al sicuro, ma dubito che perfino voi provereste a sedurre una signora nella serra di lady Newnham. Quindi, vi prego, sedete».

    Hal aggrottò le ciglia. Bene, bene, bene, miss Haydon era anticonvenzionale e dotata di spirito tanto quanto di bellezza. Ma il suo limpido sguardo smeraldino era diffidente, come se celasse un segreto.

    I pensieri di Sophia galoppavano incoerenti e colmi di rammarico verso la conclusione che era un peccato che lei avesse già perduto la propria reputazione, perché venire compromessa da lord Wyatt era una prospettiva scandalosamente attraente.

    Lanciò un’occhiata alla slanciata figura al suo fianco, le lunghe gambe distese sul lastrico di pietre. Hal giocherellava pigramente col monocolo appeso a un nastro. Il silenzio si protrasse, poi lui chiese, abbastanza ironico: «Conosco vostra cognata?».

    «Lady Haydon? Penso di no, milord. Non riesco a immaginare che frequentiate i medesimi circoli.»

    «Buon Dio, non sarà la moglie di George Haydon? Miss Haydon, posso assicurarvi che la conoscenza del mio carattere da parte di vostra cognata non è basata su alcuna esperienza personale.»

    Sophia sapeva che avrebbe dovuto protestare, ma l’idea che Lavinia intrattenesse un qualche tipo di relazione illecita, retta e formale qual era, era troppo assurda. Inoltre, lady Haydon non avrebbe mai trovato il tempo per un affaire, votata com’era a perfezionarsi nell’arte dell’arrampicata sociale, a introdurre le sue due timide figliole nell’alta società e a tiranneggiare l’irrecuperabile giovane cognata. «Non ci ho pensato neppure per un istante» disse, senza poter soffocare la risatina che il pensiero di Lavinia presa nei lacci amorosi le evocava.

    «Non vorrei che vi sentiste in ansia trovandovi qui sola con me, pertanto credo di dovervi assicurare, miss Haydon, che sebbene io sia stato un tempo un libertino, non sto più facendo pratica come tale.» Il tono e il malizioso scintillio nei suoi occhi blu erano esattamente gli stessi che gli aveva visto mentre si prendeva gioco del dottor Eustace.

    Era una conversazione terribilmente sconveniente, ma ancora una volta Sophia si sentiva così a proprio agio da gettare al vento ogni cautela. «Siete dunque un libertino redento? E la presenza alle conferenze sulla flora del Brasile fa parte della vostra penitenza?»

    «Che sfacciata!» esclamò lui in tono di apprezzamento. Era una giovane davvero particolare: non stava civettando, si stava burlando di lui, ricambiandolo in modo stranamente innocente. «No, la mia partecipazione non è parte di un processo di penitenza o di redenzione! Sono stato trascinato qui dal mio carissimo amico lord Sydney, che, credetemi, la pagherà cara. Almeno per la prima parte della serata: trovo che ora stia migliorando notevolmente.» Si alzò e le offrì il braccio. «Entriamo per la cena?»

    Per la prima volta vide Sophia allarmata. «Oh, no, no davvero, milord. Non intendevo rimanere. Non sono vestita adeguatamente per un ricevimento serale, e ho il viso...»

    Hal Wyatt osservò l’abito da passeggio, il cui taglio semplicissimo non riusciva a nascondere una figura assai ben fatta. «Se solo ci liberiamo di questo cappellino...» Prima che lei se ne accorgesse, le dita dell’uomo le avevano sciolto i nastri sotto il mento e il cappellino fu abbandonato sulla panca, rivelando in pieno la sorprendente massa di riccioli color ruggine. «Non dovreste celare una tale magnificenza» mormorò Hal, liberando un ricciolo ribelle che si era attorcigliato attorno all’orecchino di perle.

    Sophia trattenne il fiato e arretrò, arrestandosi contro il bordo della panchina. Hal sollevò precipitosamente le mani in segno di scusa. «Mi dispiace, è stato assai sconveniente da parte mia. Ma in verità, miss Haydon, chi pensate darà anche una sola occhiata al vostro abito, con il vostro aspetto?»

    Arrossendo di piacere al complimento, a cui non era abituata, Sophia gli scoccò uno sguardo severo. «Vi prego di non dire sciocchezze, milord!» Poi si calmò. «Suppongo che una brevissima cena non guasterebbe, ma non mi è possibile rimanere a lungo.»

    «Allora posso scortarvi?» Le offrì di nuovo il braccio e questa volta Sophia posò lieve le dita sulla finissima stoffa blu scuro della sua manica, e si lasciò condurre. Era così consapevole della sua presenza fisica al proprio fianco, che fu quasi sconvolgente trovarsi all’ingresso di una stanza affollata. «Posso portarvi qualcosa da bere? Ratafià, o dell’orzata?»

    «Orzata, grazie, milord.» Mentre Hal si allontanava rimase lì incerta, sentendosi orribilmente esposta malgrado la folla. E se avesse visto qualcuno che conosceva...? Proprio mentre pensava questo individuò lady Cussons, l’amica del cuore e confidente di Lavinia, nonché senza dubbio fonte di pettegolezzo sullo scandaloso lord Wyatt. Era abbigliata all’ultima moda in crespo bianco a righe rosa, i

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1