Rapimento d'amore: Harmony Collezione
Di Kate Walker
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Info su questo ebook
No ce la farò mai... Felicity Hamilton ha deciso di aiutare suo padre a coprire un enorme buco finanziario che, se venisse a galla, gli costerebbe il posto di lavoro. Pur sacrificandosi giorno e notte,però si rende conto che non riuscirà, così si rassegna ad accettare l'ennesima richiesta di matrimonio di un amico molto benestante. Il giorno della nozze, però, accade l'incredibile: Flyss viene rapita a pochi metri dall'altare da uno sconosciuto che poi si rivela...
Kate Walker
Autrice inglese originaria della regione di Nottingham, ha anche diretto una libreria per bambini.
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Anteprima del libro
Rapimento d'amore - Kate Walker
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Hostage Bride
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2001 Kate Walker
Traduzione di Silvia Artoni
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-387-8
www.harlequinmondadori.it
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1
Rico Valeron posteggiò la potente automobile nel cortile della villa e tirò il freno a mano. Spegnendo il motore, guardò rapidamente l’orologio. C’era ancora tempo, pensò, e si appoggiò allo schienale, in attesa.
Dalla sua camera Felicity lo sentì arrivare, giusto pochi secondi prima che suo padre si affacciasse sul pianerottolo.
«La macchina è qua sotto!» le gridò, e la breve eco della sua voce percorse la tromba delle scale. «Sei pronta?»
Sono pronta?, si chiese Felicity fissando il fondo dei suoi occhi grigi, riflessi sullo specchio della camera da letto. Ma dovette rapidamente distogliere lo sguardo: non le piaceva quanto i suoi occhi sembravano svelare tanto esplicitamente.
«Fliss!» Joe Hamilton cominciava a spazientirsi. «Mi hai sentito? La macchina è arrivata... dobbiamo andare.»
«Solo un minuto!»
Per quanto impegno ci mettesse, Felicity non riusciva a dare alla sua voce il tono che la circostanza avrebbe meritato. Il risultato era davvero poco persuasivo. Di certo, non era la voce di una sposa che sta per salire sull’altare.
Ma in fondo, era forse quello il matrimonio che aveva vagheggiato da bambina? Quello che i suoi sogni coronavano invariabilmente con il consueto e vissero felici e contenti delle favole?
No, questa farsa non aveva niente a che vedere con le sue romantiche fantasie. Solo la paura e la disperazione l’avevano spinta a quella scelta, che aveva tentato di sfuggire in tutti i modi. Senza successo, evidentemente.
«Felicity!»
Suo padre doveva aver perso la pazienza. Solo quando era irritato, infatti, pronunciava il suo nome per intero.
Percependo l’esasperazione della sua voce, lo immaginò inquieto, a controllare nervosamente l’orologio.
«Arrivo!»
Cosa altro avrebbe potuto dire? Non aveva alternative. Nessun principe l’avrebbe tratta in salvo su un cavallo bianco... Non aveva neanche potuto confidarsi con sua madre, perché avrebbe significato rivelarle il guaio in cui si era cacciato suo padre. E anche il fatto che non avesse speranze di tirarsene fuori.
La soluzione era una sola: che acconsentisse a quel matrimonio.
«Solo un momento!»
Inspirando profondamente, Felicity si guardò un’ultima volta allo specchio.
Il vestito di seta bianca che Edward aveva insistito per farle scegliere le stava d’incanto: le disegnava il corpo snello e ne lasciava intravedere la pelle soffice, abbronzata dal sole. I capelli biondi erano raccolti sulla nuca da un diadema di perle e un velo immacolato le copriva le spalle, cadendo morbido fino a terra. Lo stile austero dell’acconciatura metteva in risalto i suoi zigomi alti e i grandi occhi grigi.
Sulla sua pelle, sotto un trucco applicato con cura, non c’era però un colorito vivo; né brillava la luce nel profondo dei suoi occhi.
Piuttosto, aveva l’aria di un condannato in procinto di finire sul patibolo.
«Nessuno sarà tanto credulone da cascarci» considerò tristemente Felicity a bassa voce. «Non potresti almeno sorridere?»
Peggio ancora. Quel sorriso forzato aveva tutta l’aria di una smorfia. Si affrettò a rimettersi seria, mentre sollevandosi la gonna si avvicinava alla porta.
«Finalmente!» esclamò Joe vedendola scendere le scale. «Faremo tardi!»
«Non è una prerogativa delle spose?» replicò lei celando la sua apprensione dietro una falsa indifferenza. «Edward aspetterà.»
Oh, sì, Edward avrebbe aspettato. E avrebbe anche ottenuto molto, da quella beffa matrimoniale. Addirittura più di quanto avesse promesso a Felicity quando lei aveva accettato di sposarlo.
Quando cominciò a scorgere qualche movimento attraverso i vetri smerigliati della porta d’ingresso, Rico abbandonò una posa quasi indolente e si raddrizzò. I suoi occhi scuri si guardarono rapidamente intorno e il viso scoprì un’espressione soddisfatta.
Non c’era nessuno in giro: persino al personale era stato concesso un giorno di ferie perché potesse assistere alla cerimonia. Quasi tutti erano stati invitati al matrimonio dell’anno, così, se la fortuna avesse continuato a favorirlo, nessuno l’avrebbe visto.
Quando la porta si aprì, scese dall’auto e si infilò una mano in tasca.
«Stiamo arrivando!» gridò Joe all’autista mentre accompagnava la figlia alla porta. «Andiamo, Fliss! Il signor Lionel penserà... Eh, no, che c’è adesso?»
Felicity si girò in direzione del telefono, che squillava nell’ingresso, e di nuovo la colse una sensazione di snervante incertezza.
«Non rispondere» suggerì. Era tutto pronto ormai, e lei voleva solo che quella farsa si concludesse quanto prima.
Suo padre, invece, non fu capace di ignorare quel richiamo.
«Tu vai avanti, cara» le propose voltandosi per raggiungere l’ingresso. «Arrivo subito.»
Rimasta sola, Felicity si scoprì incapace di muoversi. I suoi piedi sembravano incollati al suolo, la sua mente non era in grado di farli passare all’azione. Un’ondata di inspiegabile paura la stava paralizzando. Nonostante il sole caldo di luglio, una scossa di brividi le percorse il corpo intero.
«Signorina Hamilton?»
Era l’autista che la chiamava. Lei sollevò lo sguardo e, nella confusione in cui versava, cercò di metterlo a fuoco. Delle visioni confuse bombardarono i suoi tesissimi nervi, regalandole l’immagine di una figura alta e attraente, diversa dall’autista che si aspettava di trovarsi davanti.
Era in piedi, diritto e fiero di fianco a una Rolls grigio argento, in una posa talmente severa da rasentare un portamento militaresco. Due spalle possenti sotto la giacca nera, un petto muscoloso che si assottigliava in vita e due gambe molto lunghe. Indossava scarpe elegantissime di fattura artigianale; la mano avvolta da un guanto nero, teneva aperta la portiera posteriore dell’auto con fare ammaliante.
Il suo viso però era celato dal cappello, abbassato sulla fronte. Nonostante lei tenesse gli occhi socchiusi per non restare abbagliata dal sole, non riusciva a scorgerne i lineamenti.
«È lei la signorina Felicity Hamilton?»
Anche l’autista sembrava piuttosto sorpreso: nemmeno lei, forse, rispondeva all’immagine che si era figurato. L’accento che Felicity aveva colto nella sua voce - era spagnolo? - ora le sembrava più marcato, e il modo in cui aveva scandito il suo nome le stuzzicò insolitamente i sensi.
L’apprensione che aveva provato poco prima si era trasformata in una sensazione completamente diversa. Il fremito di eccitazione che le aveva percorso la schiena era sconveniente
a una sposa che da lì a breve si sarebbe unita in matrimonio con un altro uomo. O almeno lo sarebbe stato, si consolò Felicity, se fosse stata in procinto di sposare qualcuno di cui le importava veramente.
«Sì, sono io. Felicity Jane Hamilton, futura Felicity Jane Venables.»
Cercando di ricomporre in fretta i pensieri, si sollevò il vestito raccogliendo con poca delicatezza la morbida seta della gonna, quindi si diresse verso di lui.
«Ma lei lo sapeva, no? Dopotutto, è per questo che è venuto.»
L’autista rimase in silenzio per quella che a Felicity sembrò un’infinità di tempo, facendola sentire estremamente a disagio.
«Sì, signorina Hamilton» le rispose poi in tono sommesso. «È esattamente per questo che sono qui.»
I suoi occhi erano scuri e profondi, neri come l’ebano; i polpastrelli delle mani di Felicity avvertirono un desiderio quasi incontrollabile di accarezzare la sua pelle, liscia e olivastra.
Il naso volitivo e la mascella squadrata gli conferivano un aspetto quasi austero, ma la bocca, perfettamente sagomata e sorprendentemente morbida, le risvegliava sensazioni ben diverse.
Le sarebbe piaciuto vederlo sorridere, pensò Felicity, o sentire la carezza di quelle labbra sulla pelle, e poi...
«Non sale, signorina Hamilton?»
«Io... sì, certo...»
Ancora in balia dei pensieri lascivi che quella visione le aveva suscitato, Felicity non poté che sbattere gli occhi confusa e imbarazzata, mentre le guance le si imporporavano.
Lo sguardo di quell’uomo era talmente intenso e penetrante da farle temere che fosse in grado di leggere i suoi pensieri, scoprire le fantasie che lei non poteva certo rivelargli.
Fantasie che, peraltro, nemmeno doveva permettersi! Non amava Edward, ma si era impegnata a comportarsi come una brava moglie. E come avrebbe potuto mantenere la promessa, se cominciava a fantasticare su altri uomini prima ancora di avere l’anello al dito?
«Entri in macchina...»
Qualcosa era cambiato. A Felicity parve che il suo tono di voce fosse impercettibilmente mutato, stimolandole i sensi.
«Sto aspettando mio padre...»
«Può aspettarlo in macchina.»
Il tono che l’aveva agitata prima era adesso ancora più minaccioso. Cercando di mascherare la sensazione che quell’insistenza le provocava, Felicity sollevò il mento e incrociò i suoi occhi scuri.
«Preferisco aspettare qui. Non voglio stropicciare il vestito.»
Lui le diresse un’occhiata fulminante, per abbassare poi lo sguardo sull’abito scrollando le spalle in un moto di sdegno.
«Faremo tardi. Per favore, signorina Hamilton, salga in macchina.»
Quel per favore non la convinse affatto. Non avvertì cortesia nel suo tono di voce, bensì un timbro freddo e indifferente, che le trasmise un brivido sgradevole lungo la schiena.
Dall’ingresso di casa sentiva suo padre che tentava di concludere la telefonata.
«Devo andare, davvero... non potremmo parlarne più tardi?»
Per fortuna lui l’avrebbe raggiunta da un momento all’altro, restituendole un po’ della fiducia che lo strano atteggiamento dell’autista aveva incrinato. Sarebbe salita in macchina, sì, ma perché lo voleva lei e non perché lui aveva insistito tanto.
Salire in macchina si rivelò un’impresa piuttosto difficile. Felicity inciampò proprio mentre teneva in mano la lunga gonna, il velo e lo strascico, prima di accomodarsi sui morbidi sedili di pelle.
In quell’attimo lanciò un gridolino, e lui si precipitò prontamente al suo fianco, stringendole la mano sollevata a mo’ di invocazione. Sentì i muscoli dello sconosciuto contrarsi sotto la giacca, sostenendo per intero il suo peso.
Un istante dopo lei era di nuovo in posizione eretta. Lasciò che la aiutasse a sistemarsi sana e salva sul sedile senza rivelare, se non sulle guance