Un amore senza prezzo: Harmony Jolly
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Il milionario playboy Will Trent-Paterson ha un anno di tempo per sposarsi, pena la perdita dell'eredità e con essa la possibilità di tutelare la fragile sorella. Scherzando, l'amica Sophie Mitchell si dice disponibile a sposarlo in cambio di un milione di sterline. E quale miglior moglie di convenienza se non una donna sulla quale Will ripone la propria fiducia?Costretti in Scozia durante i preparativi del matrimonio, i due si scoprono sempre più attratti l'uno dall'altra, ma Sophie ha bisogno di una prova d'amore per poter credere in un vero futuro insieme.
Michelle Douglas
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Un amore senza prezzo - Michelle Douglas
successivo.
1
Guardandosi intorno nel ristorante di Soho, Sophie si rese conto di essere arrivata per prima; strano.
«Ho vinto una stellina» mormorò tra sé e sé, prima di sorridere al cameriere che le si stava avvicinando. «C'è una prenotazione a nome di Trent-Paterson.»
«Certo, signora.»
Il cameriere non ebbe nemmeno bisogno di controllare il registro delle prenotazioni e la guidò a un tavolo all'angolo, protetto dal resto della sala da alcune palme. Conoscendo Will, si trattava probabilmente del miglior tavolo di quel ristorante. Sophie si chiese se non fosse uno di quei posti riservati dove lui normalmente portava le sue donne.
Non che fossero le sue donne, ovviamente. C'era un tale viavai di ragazze nella sua vita!
Senti chi parla!
Represse un sospiro.
Il ristorante era lussuoso, ovviamente, e non era certo il tipo di edificio che aveva bisogno di giustificare la sua esistenza. Si sedette.
«Le porto qualcosa da bere, signora?»
«Sì, grazie. Acqua frizzante andrà benissimo.»
L'uomo sbatté le palpebre, poi la sua espressione tornò imperscrutabile. Ah... quindi l'aveva riconosciuta anche lui, eh? Resistette alla tentazione di prenderlo in giro. Comportarsi meglio, ricordi?
Guardò il resto della sala attraverso le palme e scosse la testa. «Tremendo» borbottò. Di solito lei e Will si incontravano in un caffè alla Tate Modern, dove potevano ammirare il panorama invece che guardarsi l'un l'altra. E dove occasionalmente le loro spalle si sfioravano. Per puro caso, certo: Will non avrebbe mai toccato di proposito la sorellina del suo migliore amico, soprattutto non ora che Peter era morto. Ma quei piccoli incidenti la facevano sempre sentire meno sola.
«Pazza» mormorò. «E poi devi smetterla di parlare con te stessa o qualcuno ti sentirà.» Ci pensò su per un attimo e poi scrollò le spalle. «E allora?»
Non vivevano nel passato, quando avrebbero potuto condannarla per una tale eccentricità. E poi, era stata descritta in termini molto meno carini che pazza dalla stampa... e da suo padre.
Il cameriere tornò sia con l'acqua minerale che con Will. Le mancava il caffè della Tate Modern, con il suo panorama sulla città grigia, ma quel giorno doveva accontentarsi di un ambiente molto più sobrio. Quel giorno era il compleanno di Peter. Forse era per questo che si sentiva così.
Will non poteva vederla bene quanto lei vedeva lui, ma cercò comunque di non guardarlo troppo intensamente, anche se ne aveva la tentazione. Come al solito, si sentì accelerare il battito vedendo le sue spalle ampie, le gambe lunghe e i fianchi snelli. William Trent-Paterson aveva un corpo in grado di attirare l'attenzione di qualsiasi donna in quella stanza. Ma a prescindere dall'aspetto di Will, lei sapeva che lui avrebbe stretto le labbra vedendola.
«Che peccato» borbottò, perché in realtà lui le piaceva davvero. In ogni caso, avrebbe voluto vederlo ingrassato almeno un po'. Solo un difettuccio, non chiedeva altro. Forse a quel punto si sarebbe sentita un po' più una sua pari.
«Sophie» la salutò lui avvicinandosi.
Come aveva previsto, aveva le labbra strette, così come la pelle intorno agli occhi. Era un doppio peccato, perché lui aveva un bel sorriso, anche se lei lo vedeva raramente.
«Ciao, Will.»
Lei si alzò e si scambiarono i bacetti di rito sulla guancia. Una nota di lime e di profumo muschiato la avvolse. Si ritrasse, si rimise seduta e cercò di ignorare il battito impazzito del suo cuore.
Succedeva così ogni volta.
Sospettava che fosse perché nessun altro al mondo aveva amato Peter quanto l'aveva amato lei... a parte Will.
E suo padre, ma quello era un terreno troppo difficile.
Dopo la ferocia della separazione e il successivo divorzio dei suoi genitori, quando lei aveva undici anni e Peter sedici, lei e Peter si erano sostenuti a vicenda. Era come se avessero capito di non avere una famiglia a cui affidarsi. Lei aveva fatto del suo meglio per evitare che lui diventasse troppo serio, mentre lui aveva fatto del suo meglio per evitare che lei sentisse di non essere all'altezza. Lo aveva ammirato così tanto. Era dipesa da lui.
E ora Peter se n'era andato...
Non riusciva a credere al vuoto che suo fratello aveva lasciato nella sua vita. Le faceva pensare che lei e Will avrebbero dovuto aggrapparsi alle occasioni in cui riuscivano a vedersi, trarre conforto l'uno dall'altro. Ma non era mai così.
Perché lei non piaceva affatto a Will.
Ma per qualche strano senso dell'onore continuavano a tenersi in contatto, per una forma di rispetto per Peter che non erano pronti a dimenticare.
Will sarebbe stato più sollevato se lei avesse smesso di presentarsi ai loro appuntamenti mensili per un caffè e ai pranzi occasionali? Avrebbe pensato di aver saldato una sorta di debito tacito con Peter e di essere libero? Quel pensiero le faceva male al cuore. Non poteva smettere di incontrarlo; Will era uno degli ultimi legami con Peter, e suo fratello era stato l'unica persona che l'aveva amata per ciò che era. Non poteva lasciar perdere e allontanarsi da Peter, e questo significava che non poteva lasciar andare Will. E avrebbe voluto scusarsi di rendergli le cose così difficili.
Invece non lo faceva. Perché l'avrebbe messo in imbarazzo, e lei non voleva; le sarebbe piaciuto farlo sorridere, se solo fosse stata capace.
«Sembri triste.»
Queste parole la riportarono bruscamente alla realtà. «Scusa, avevo un po' di nostalgia per... quello che avrebbe potuto essere.»
Lui chiuse gli occhi per un istante, e lei capì: pensava che stesse parlando di Peter. Rendi le cose più allegre.
Sophie indicò la sala con un gesto. «Non sono mai stata qui.»
Lui raddrizzò le spalle. «Ti piace?»
«È molto bello» disse lei.
Stupendola, lui rise. «Non è vero, ti fa schifo.»
«Be', sto morendo dalla fame. Quindi, se il cibo è buono, non m'interessa nient'altro.»
Will la guardò, sarcastico. «Intendi ordinare l'insalata e niente altro?»
«Prendo l'agnello» gli rispose chiudendo il menù.
«Ottima scelta, lo prendo anch'io.» Porse il menù al cameriere e tornò a guardarla. «Come sta tuo padre?»
Ecco che cominciavano le domande di rito. «Trionfante all'idea che io sia stata costretta a rigare diritto e partecipare a tutti i suoi prevedibili eventi di beneficenza.»
Per il momento. Nascosta dal tavolo, si fece girare intorno al polso il cinturino dell'orologio. Doveva trovare davvero alla svelta un modo per procurarsi un sacco di soldi, e non aveva la più pallida idea di come fare. Suo padre le dava un generoso contributo perché lei gli organizzasse gli eventi, ma non era nemmeno lontanamente sufficiente per aiutare Carla... per fare ammenda con lei. E lei, Sophie, non era abbastanza stupida da chiedere un prestito a suo padre. A lui sarebbe piaciuto fin troppo dirle che era la copia sputata di sua madre e di andare all'inferno.
Will la guardò dall'altro capo del tavolo con i suoi occhi scuri. «Quella è solo colpa tua.»
Certo, ma... «Un vero galantuomo avrebbe di sicuro evitato di sottolinearlo.»
«Non mi sento un galantuomo oggi, Sophie. Ho voglia di rompere qualcosa.»
Wow, quello proprio non era da Will. Interessante.
Ma poi lui si riscosse e le chiese: «Come sta Carla?».
Al solo sentire il nome della fidanzata di Peter, le passò l'appetito. Distolse lo sguardo, con il dolore che le chiudeva la gola. Stava giocando con il coltello del pane, ma lo rimise a posto, temendo che, altrimenti, se lo sarebbe conficcato nella gamba. In effetti non si meritava altro, ma quello l'avrebbe fatta rinchiudere. E lei non poteva sottrarsi alle sue responsabilità, non questa volta.
«Proprio bene, eh?»
Carla si trovava in un istituto per la riabilitazione dalla tossicodipendenza, istituto per cui Sophie doveva cercare di trovare il denaro. Inoltre aveva giurato a Carla di mantenere quel segreto. Glielo doveva, come minimo. Sentì un fiotto di repulsione per se stessa; come aveva potuto lasciarsi sfuggire di mano le cose fino a quel punto? Come poteva essere stata così cieca? Come aveva potuto deludere Carla e Peter in quella maniera così spettacolare?
Si strinse le mani per evitare che le tremassero. «Non riesce a dimenticare Peter.»
«E noi sì?»
Le parole gli scapparono, inaspettate, e Sophie sobbalzò, alzando un braccio come per difendersi.
Il silenzio pulsò tra di loro.
Alla fine, Will si schiarì la gola. «Mi dispiace.»
Lei sentiva il peso del suo sguardo, ma non voleva alzare gli occhi. «Hai ragione» disse con la gola stretta. «Ma sono passati solo due anni.» Era troppo presto per dimenticare.
Con la coda dell'occhio, lo vide passarsi una mano tra i capelli scuri. «Comincio a pensare che continuare a incontrarci così non faccia bene a nessuno, e che...»
«No!»
Lei alzò gli occhi e sostenne il suo sguardo.
«Ti prego» sussurrò. Con orrore, sentì una lacrima rigarle una guancia e desiderò di essere inghiottita dal pavimento. Non gli permetteva di vederla piangere dal giorno del funerale. L'umiliazione che provava in quel momento le fece venir voglia di alzarsi e uscire da quel terribile ristorante.
«Ti prego, Will, non sono pronta ad arrendermi.» Il solo pensiero la riempiva di panico. «Ti prego, non smettere con... questo. Non posso...» Represse un singhiozzo. «So che è imbarazzante e so di essere difficile.»
Era stata difficile con chiunque nella sua vita, tranne che con Peter. Avrebbe cercato con tutte le sue forze di non essere difficile per Will nel futuro. «Ma vedi, tu gli volevi bene. E io lo amavo. Ricordare questo, averne la prova...» il riconoscimento, «... mi aiuta.»
Lui era impallidito e serrava forte la mascella.
Si asciugò le lacrime. «Puoi scusarmi se vado un momento in bagno?»
Will annuì.
«E ci sarai ancora quando torno?»
Trattenne il fiato fino a quando non lo vide annuire di nuovo. Senza dire un'altra parola, si diresse al bagno delle donne, dandosi a malapena il tempo di sciacquarsi il viso.
«Mi dispiace» disse tornando a sedersi e notando che c'erano già i loro piatti in tavola. «È stata una giornata dura. Mi dispiace essermi sfogata su di te.»
«Figurati, sono io a dispiacermi per essere stato insensibile.»
In realtà lui avrebbe voluto strozzarla. Sophie non sapeva come l'avesse capito; forse era per la linea dura delle sue spalle insieme alla fiamma che bruciava nel suo sguardo.
«Come sta Carol Ann?» gli domandò.
«Si è del tutto ristabilita dall'intervento. Adora i DVD che le hai mandato, anche se sta facendo impazzire tutti gli altri.»
Sorrise. Carol Ann era la sorella minore di Will, aveva la stessa età di Sophie, ma aveva la sindrome di Down con tutti i problemi di salute che ciò comportava. Sophie l'aveva incontrata solo alcune volte, ma le mandava gli auguri per il compleanno e per Natale, e regali ogni volta che veniva ricoverata. L'ultimo era stato un cofanetto DVD di un musical. «Sono contenta che le sia piaciuto. Il mondo ha bisogno di più The King and I.»
Lo vide trattenere un sorriso, quindi lei lo considerò un quasi successo.
«E tuo nonno?» gli chiese. «Si dice in giro che stia facendo di tutto per farti sistemare.»
Will tornò serio. «Le buone notizie viaggiano in fretta. Pensavo di vederti alla festa di Catriona McManus.»
Per niente. Aveva rinunciato al divertimento sfrenato. Evitava le feste, tranne quelle che suo padre la costringeva a pianificare, organizzare e ospitare a nome suo. Faceva tutto parte del suo cambiamento. Ma ciò non significava poter evitare del tutto il giro di pettegolezzi. «Quindi è vero?»
«Questa volta mi ha dato un ultimatum.»
Lei si fermò con la forchetta a mezz'aria. «Che tipo di ultimatum?»
«O mi sposo entro dodici mesi e prendo le redini della proprietà o lui donerà tutto a Harold.»
Harold era un viscido cugino di Will. Ci rifletté: a Will non servivano quei soldi, ne aveva già a palate. Non aveva mai mostrato particolare interesse per l'eredità del nonno, ma... abbassò le posate. «Che ne sarà di Carol Ann?»
«Se Harold eredita tutto, Carol Ann non avrà spazio ad Ashbarrow Castle.»
Ma... quella era la casa di Carol Ann! Sophie non sapeva molto della vita di Will a parte ciò che le aveva raccontato Peter, ma sapeva che lui prendeva molto sul serio le responsabilità nei confronti della sorellina. Sapeva quanto lui la amasse, e sapeva quanto Carol Ann si sentisse sicura solo ad Ashbarrow Castle. Lo sapeva perché Will aveva cercato di farla venire a Londra a vivere con lui, ma era stato un completo disastro. Carol Ann aveva sentito tanto la mancanza di casa da ammalarsi.
Alla faccia del ginepraio. «Che cosa intendi fare?»
Lui scosse la testa e tacque.
La sua battuta amara di poco prima, così insolita per lui, all'improvviso aveva senso. «Forse sta solo bluffando» gli disse.
«Non stavolta.»
Sophie si sentì stringere lo stomaco. Il matrimonio dei genitori di Will era stato tremendo e alla fine si erano distrutti l'un l'altro. Il tutto sotto la luce dei riflettori. Immaginava che fosse per questo che lui aveva giurato di non sposarsi mai. Mai. Non aveva mai incontrato nessuno così contrario al matrimonio quanto lui. Si passò una mano sul petto; non c'era da stupirsi che fosse così cupo.
Rimani sulle cose allegre, si disse. Gli lanciò un sorriso. «Io ti sposerei per un milione di sterline, Will.»
Lui la fissò a lungo. «E cosa faresti con un milione di sterline?»
Dallo sguardo di Will, Sophie capì che lui sapeva che cosa ne avrebbe fatto: li avrebbe buttati in vestiti e feste. Rinunciò a essere educata e appoggiò i gomiti sul tavolo. «Crearmi una nuova vita. Con un milione di sterline potrei cambiare tutto.» Avrebbe pagato le cure di Carla e avrebbe